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La dottrina delle profezie secondo Spinoza.

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La natura della conoscenza profetica 1

 

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La confutazione di Spinoza  della dottrina delle profezie di Mosè Maimonide

Accertata la natura esclusivamente immaginativa delle percezioni dei profeti, eccettuata la rivelazione in Cristo, da Mente a Mente, della sapienza eterna di Dio, resta da verificare se l'immaginario profetico non comprendesse, in intuizioni immaginative sensibili, verità non percepibili con la conoscenza intellettuali, ossia se tale virtù immaginativa, nella sua stessa singolarità attiva, oltrepassò almeno il grado di perfezione comune dell'essenza della natura umana.

La profezia costituì forse, secondo le Scritture, un supplemento dottrinario immaginativo dei dogmi intellettuali di verità?

Nella rivelazione profetica i profeti pervennero, in qualche modo, ad un'illuminazione esterna agli eventuali pregiudizi della loro immaginazione comune?

Spinoza lo confuterà , nel Trattato teologico -Politico, in ragione di quanto attestano a proposito le Scritture.

In realtà, secondo la elaborazione riflessiva limitativa, in materia, che fu effettuata da Spinoza del suo sistema filosofico nel Trattato Teologico-Politico, non esiste alcuna possibilità di una filosofia profetica, di un qualsiasi  profetismo contemplativo, in quanto non esiste alcuna altra teofania dell' Intelligenza agente dello  Spirito Santo divino che quella percepibile dal concetto intellettuale, e non è concepibile la possibilità di manifestazioni simboliche della divinità tramite i dati sensibili, che possano essere percepite da una peculiare facoltà trans-sensibile attiva, ed essere elaborate nell'ermeneutica profetica personale di individui spirituali, benché tale facoltà sia concepibile come Immaginazione attiva all' interno dello spinozismo, in virtù della percezione della propria esistenza come modo finito immediato ed eterno della Sostanza divina, in coesistenza con la nostra realtà in atto di modi finiti e mediati della medesima sostanza , nel  corso della nostra vita peritura nel tempo.( Confronta  la ripresa contemporanea della possibilità invece di una speculazione profetica, mediante la valorizzazione, nel pensiero islamico, della coalescenza con le teosofie avicenniane, e di Sorhhavardi,  della speculazione filosofica di  Ibn Arabi, che è stata attuata da parte di  Henry Corbin in "L'immaginazione creatrice. Le radici del sufismo"..

“ Da ciò conosciamo chiaramente in che cosa consista la nostra salvezza, ossia la nostra beatitudine o la nostra  Libertà; cioè nell’Amore costante ed eterno verso Dio, ossia nell’ Amore di Dio verso gli uomini. E quest’Amore, ossia questa beatitudine, nei libri Sacri è chiamato, e non a torto, Gloria”( Ethica, V, 36, Scolio).

E’ la Beatitudo di tale Amore, in quanto Letizia in cui s’esprime l’ idea di se stessi sotto la specie dell’ eternità,( Ethica V, Proposizione XXIX),  la consapevolezza di essere eternamente in Dio e concepiti per mezzo di Dio, l’ immaginazione attiva della attualità della nostra esistenza necessariamente eterna,( Ethica, V, XXX),  che può subentrare alla  immaginazione passiva  della nostra attualità nella durata nel tempo mediante l’esistenza del Corpo ( Ethica XXIII).

Ora le Scritture ci attestano, piuttosto, per quanto attiene alle profezie, che variavano insieme con il variare della costituzione fisica, della " forza immaginativa e dell'eloquenza di ciascun profeta" ( Trattato Teologico- Politico, I, 50-51), per cui " a seconda che il profeta fosse di indole misericordiosa, mite, iraconda, severa, ecc., era più adatto a questo o a quel genere di rivelazioni" ( Trattato Teologico-Politico, II, p.50).

Nei loro contenuti espressivi le profezie variavano insieme con il variare delle abitudini di vita dei profeti, all' interno della divisione del lavoro,  per cui " se il profeta era contadino si rappresentava buoi e vacche, se era soldato capitani ed eserciti, se cortigiano il trono reale e simili cose" ( ibidem).

Sono i differenti ruoli sociali esercitati in vita, che spiegano di conseguenza perchè " le rappresentazioni e i geroglifici variavano anche quando significavano la medesima cosa.

Infatti la Gloria di Dio, che abbandonava il tempio, fu rappresentata a Isaia in modo diverso che ad Ezechiele. I rabbini sostengono invece che le due rappresentazioni  siano state identiche, ma che Ezechiele, da contadino qual era ne sia rimasto oltremodo impressionato e ne abbia fornito una descrizione più circostanziata2( Trattato Teologico-Politico, II, p.52).

La profezia non costituiva pertanto una rivelazione apportata al profeta dall' esterno della sua immaginazione abituale, risultava invece interamente malleata nella maniera " in cui l'abitudine di ciascuno ha ordinato nel corpo le immagini delle cose", nella Memoria cioè dell' immaginario ( Ethica II, 18, Scolio).

Le Scritture attestano, altresì, quanto le profezie fossero conformi alle opinioni preconcette dell' immaginario dei profeti, circa le questioni speculative.

Se infatti, come canone scientifico, si assumono le conoscenze naturali che con il retto filosofare già al tempo di Spinoza erano accessibili all' intelletto comune, è evidente l'ignoranza dei profeti riguardo alle scienze delle cose naturali.

Ma soprattutto si può altresì dimostrare che i profeti  rimassero sempre separati dall' idea vera di Dio,  in quanto ignoravano le proprietà  della perfezione assoluta della sua natura, l'onniscienza, l'onnipresenza  e l'immutabilità eterna del suo operare.

Solo Salomone, che non era un profeta, e l'apostolo Paolo, pensarono dio secondo ragione, oltre al Cristo, ed i quanto deterministi,  percepirono le leggi della sua natura  come verità eterne( Trattato Teologico-Politico, II, p.60;IV,pp.111-1115, 127).

Lo stesso Mosè, che secondo le scritture fu il maggiore dei profeti  ( Numeri 13, 6-7), non si distinse dagli altri profetici ebraici per una sua trascendenza speculativa iperfilosofica, come riteneva ad esempio Mosè Maimonide.

Secondo quanto attestano le Scritture, Mosè condivideva gli stessi pregiudizi degli altri profeti riguardo alle proprietà della natura di Dio.

Egli ignorava infatti l'onniscienza dell' intelletto divino, in quanto credeva che fosse indifferente e ignaro del futuro degli uomini. Di Dio ignorava anche l'onnipresenza, localizzandone la sede in cielo.

Egli credeva indubbiamente che Do fosse invisibile, ma non perchè fosse consapevole che la sua visibilità è incompatibile con la perfezione assoluta della sua natura; egli riteneva chela invisibilità di dio dipendesse soltanto dalla nostra incapacità di visualizzarlo

Se attribuiva a Dio una potenza singolare ed unica,  non era perchè fosse monoteista,  ma in quanto lo considerava l'Esse supremo tra le potenze divine, il Dio degli Dei;  ogni nazione a suo parere era guidata da enti vicari di Dio, da lui preposti alla loro guida,  avendo egli  eletto la sola nazione ebraica al privilegio della sua tutela diretta. Questi dei vicari erano della stessa natura degli angeli che si manifestavano nelle visioni profetiche.

Mosè, al pari  delle superstizioni  di cui sono espressione le filosofie platoniche, immaginava inoltre Dio come un artefice supremo che  " ordinò il presente mondo visibile traendolo dal Caos ( vedi  Genesi 1.2) e immettendo nella natura i semi delle cose; ... perciò egli ha il supremo diritto e il supremo potere su tutte le  cose..." ( Trattato teologico Politico, p. 57); non è nemmeno sicuro che egli considerasse gli altri enti divini solo delle creature di Jehova, non già degli  enti in creati a lui assoggettati, e a lui inferiori solamente di potenza.  Mose attribuiva pertanto a Dio la natura di un sovrano   che a suo arbitrio decreta leggi, e che ha comunissime affezioni e passioni umane: bontà, indulgenza, gelosia.

Inoltre, sempre secondo le Scritture, sebbene Dio si fosse manifestato a Mosè sotto il nome di Jehova ( 1) , che ne designa l'essenza formale assoluta,   non già come agli altri patriarchi sotto il solo nome di " El Sadav", ovvero come il Dio che nelle sue manifestazioni attraverso le cose è sufficiente solo assicurare agli uomini la salvezza nell' obbedienza, ciononostante Mosè lo percepì inadeguatamente, come l'Essere che è sempre presente nella durata ad assistere io suo popolo, anziché come l'Essere eterno che è fuori del tempo,  nell' esistenza necessaria della sua essenza assoluta ( Trattato Teologico Politico XIII, pp.335-37).

Erra pertanto chi ritiene che Mosè abbia potuto concepire Dio nella sua verità filosofica, come l'essenza che implica necessariamente il godimento di un'esistenza infinita, in virtù  della sua perfezione assoluta.

Che può esserci del resto di più ripugnante che la rappresentazione mosaica di Dio come legislatore e giudice spietato, inculcata da Mosè nel popolo ebraico, con la teologia negativa di chi esalta Mosè come filosofo, e pretende di fare risalire al profeta del Decalogo il proprio rifiuto di dedurre una rappresentazione antropomorfica della divinità,  dai nomi che definiscono Dio mediante attributi morali, i midot, che è quanto asserisce la  concezione della profezia di Mosé Maimonide, che nella "cGuida dei nperplessi" concepisce i profeti come dei filosofi superiori .

Una concezione di ascendenze islamiche, rinvenibile già in Al.Farabi ed Ibn Arabi, nel milieu arabo occidentale in  cui fu operante Mosè Maimonide, di cui la dottrina delle profezie di Spinoza è una confutazione puntuale.

 

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