ODORICO BERGAMASCHI
LIRICHE INDIANE
SECONDA PARTE
ULTIME LIRICHE INDIANE
ODORICO BERGAMASCHI
LIRICHE INDIANE
SECONDA PARTE
ULTIME LIRICHE INDIANE
Khajuraho- Mantova 2017-2019
A Mohammad Anas, Poorti,
Ajay, Chandu, Vimala e Kailash, mie anime care
Sommario
Ora che non ha più luce il cielo e più acqua la fonte
Nella notte le luci della stazione quelle di un camposanto
Sulla via del ritorno, con i versi di Anna Achmatova
Può un’oncia di bellezza, di amore puro
Ci fosse mai qualcuno che vuol sapere
Se non è per scherno e umiliazione
Battuto sotto il tuo calpestio
Più non conti e non contano gli anni
Non scomporti nel foro delle polemiche.
Traduzioni da Mir Taqi Mir e Mirza Ghalib
Traduzioni da Mir Taqi Mir (
1722-1810)
I tempi sono difficili, caro Mir, stai dunque in guardia
La testa che così fieramente è oggi coronata
Il fiore mi ha implorato di non andarmene
Che dire di tale umore, o Mir,
Quale primavera? Per noi prigionieri è proibito
I miei versi piacciono all’élite
Se non parlo, il mio cuore brucia, se lo faccio
Tutti i miei intenti i sono stati
ribaltati
La mia precipua religione è amore, in cui il cuore
E’ la Sua bellezza che illumina tutto
Mir, Egli verrà alla mia tomba
solo dopo la mia morte .
Le macerie del mio cuore sono davvero, a vedersi
Ora ricorda le mie parole, se non vuoi
Ritraduzione di una ghazal precedente
Sono divenuto come un fachiro, e
così gridando me ne vado:
Ogni foglia ed ogni albero sa della mia condizione
Vari sher di Mirza Ghalib su Delhi
Essendo venuto a Delhi di questi tempi
Il mio cuore e la mia Delhi siano pure
I miei occhi in lacrime sono ora un canale
Le strade di Delhi erano come pagine dipinte,
Tu chiedi delle mie origini,
o popolo dell’Est,
La desolazione di Delhi era di gran lunga migliore
Che ti è successo, ingenuo cuore?(162)
E’un cuore, dopo tutto, non pietra o mattone (115)
In verità, ci sono molti altri validi poeti
Non c’è chi non chieda perché il persiano
Se Ghalib seguita a singhiozzare tanto, vedrai
Un sospiro richiede una vita intera per sortire
effetto (78)
Sono tali e tante le migliaia di desideri, che l’ulteriore anelito ne
incalza il disciogliersi (219)
Lasciatemi andare a vivere dove non c’è nessuno,(127)
La bellezza non avrà più ragione di essere dispettosa quand’io non ci sarò più (57)
Versione ulteriore della stessa ghazal (57
Non era il mio destino di unirmi con il mio amore (20)
Il mondo non è che un campo da gioco di ragazzi, al mio
cospetto (208)
L’amico indiano
Kailash, Kallu
La moglie, Vimala
Il figlio maggiore
Ajay ( 2000), allora ancora un ragazzino
La figlia Poorti, (
2005), allora ancora una bambina
Il figlio Chandu (
2009), un bambino
Il figlio Sumit (
2007-2009), deceduto a due anni di età
Ashesh, il nipote,
figlio di una sorella dell’amico, ora un giovane uomo.
Mohammad, allora un giovinetto amico dell’Io poetante
2017
Che dolce languore ora assonna i miei giorni
qui ove mi
riconduce servitù d’amore,
leniti gli attriti e gli screzi,
sopita l’inanità di intenti,
nel sole che intorpidisce con la lena gli
affanni,
qui ora al largo dell’esistenza, dei flutti
di morte del ventre degli inferi,
di ogni angoscia soggiacente di cui
era folle la mente,
dove tra gli ultimi e ai piccoli dare vita ai
grandi pensieri,
nel godervi di ogni cosa mentre tu la stai vivendo,
degli occhi stellari di Chandu che tornano a cercarti
di nuovo solo per altre dieci rupie,
“ one plus zero zero “, la sua mente indiana dopo
avere invano tentato di chiederti,
la tua mente, come la sua,
che ora non sa che incantarsi di una luce
perpetua,
pur dove caduto ogni mormorio di auree brezze
con la ruota che nel mela ground ricompie
il suo giro
la distesa della pianura ove già il grano rifulge
tace gli stupri di bimbi aggallanti nei pozzi.
Né cessarono uomini e animali di berne alle acque
o le adombrarono di rami e di foglie,
non altro oltre le nubi e gli astri, o nei casolari e tra i campi,
che al fuoco nel freddo o all’ombra nella calura il
ridursi memore,
e tra il viavai per Amavasya sui passi di danza,
anche se cantiamo per sordi, e non risponde la
giungla,
intanto raccogliamo la residua voce a che
pur in pochi versi, soltanto,
diciamo della fine degli infelici amori di Mohammad,
il cui eccesso di cui rabbrividisci ai tuoi trascorsi
per un nulla non fu la stessa sua fine,
appesosi ad un gancio, nei farmaci cercando un veleno
letale.
.
Come profetica fu l’ansia dei versi
quando per lui, mio piccolo principe,
fra ogni altro ragazzo il più bello di tutti,
paventavano il dipartirsi per la sua rosa
nel più lontanante dei viaggi possibili.
“Ora è la morte che mi è amica “
sospira egli superstite tra il lucore lacustre
Nello specchio rotto ch’ora è la sua vita
sullo smartphone un Lakshmana rekha. insuperabile
separando a sua dall’imago di lei,
finché in lacrime s’infrange anche la sua
estrema illusione
all’averla vista con un altro, che con lui si baciava,
“A torto le ripetei io ti lascio,
io che non posso vivere senza di lei,
di lei nei suoi ok senza più amore,
di lei che come Allah si fa gioco di me, della
mia povera vita,
ed ora me ne andrò lontano da qui in Kanpur, senza più
fare ritorno,
dal mio amico gemello di me di un’ora più giovane,
da lui e dai suoi che mi amano tanto,
o con il mio amore di lei io distruggerò la mia vita,
avranno fine tra poco i miei giorni”,
Dei suoi giorni sono un appiglio ora gli esami,
al cui esito perché abbia un futuro, con la virtù lo
addestri all’inganno,
nel tacito assenso nel dissenso a che copi le prove
dopo avergli invano corrisposto gli studi,
fu per il troppo suo patimento degli affanni di amore
e miseria
la sua scusante tra le tue braccia,
e invano richiamandolo, sedatone il
tormento,
nell’ipnosi a una tepida calura di ogni furia del
sangue
con gli armenti fai ritorno ch’è il tramonto
sulle selve di grano,
tra i bufali e le capre camuse saziate dai pascoli,
ricolmi dello scorrere d’acque i rivi tralucenti
del declino del sole che si fa più abbagliante,
e voi o Divini celesti,
Cerere e Bacco, Parvati o Shiva,
Padre dei nostri ritrovati giorni,
tramati di viridi chiome i fondali e i declivi,
siate luce nella sua luce morente ai voti umani,
al nostro ritorno dalle fiere e dai campi
di nuovo sperando.
Nel sereno diurno di un sole implacabile,
le ossa si temprano della loro fine,
in ceneri e ciotole per l’offerta e lo sputo,
quando, delle messi raccolte, già le
stoppie
si calcinano nei campi,
ed oltre l’amore di odiare tanto
in erte scale di luce l’ascesa all’azzurro
nei suoi infranti gradini è la tua vita che si fa
lastrico
per insegnare l’adempiersi alle vite più
care,
nel lavoro in cui ha fine la fanciullezza di Mohammad,
di sbocco anzi che il cricket alla scuola
di Ajay,
in cui Kailash ritrova chi per una manciata di rupie
notte e giorno è già il padrone della sua intera
esistenza,
“In India
there aren’ t rules in private hotels”,[3]
tu li volesti lavoratori capaci,
stanno traendone già degli schiavi insonni
e famelici,
più ancora affidati alla tua rotta
vecchiaia.
“Prima dormivamo noi tutti,
Solo ora ci ritroviamo svegli, “
le parventi resipiscenti parole dell’amico,
in una luce a cui ancora attingiamo e che non ci
lascia intendere
quanto avanziamo o siamo per gli dei solo come mosche
in mano ai monelli
nel nostro sperare e credere ancora
che più ancora per spasso tormentino e uccidano,
“Mio Dio, gridando io nello spezzarmi,
non so essere e dare più che questo”,
“ Dii non dederunt eidem homini omnia nimirum”,
e nessuno è capace più di tanto,
“ Perficient Superi”,
“La notte scorsa feci il sogno che tu ci
lasciavi,
e la testa or ora mi girava più debole
alle tue parole che svuotavano dei tuoi libri la
tua stanza,
la stanza di babbà che se ne va via per sempre”,
le parole che dissi per sincerarmi
se fosse per non vedermi soffrire che mi congedavano,
come se non dicessero già tutto
l’ incanto mattutino che mi ritrova insieme
a Vimala e Chandu,
il ritorno di Ajay per cucinarmi
l’omelette di nuovo,
la stessa delicatezza con cui in stanza mi rinnova la
madre l’acqua fresca,
ad ogni occorrenza mi serve il the con il limone e la menta,
il sensore del pappagallo che rinnova il suo canto ad
ogni acciottolio di stoviglie,
le incursioni di Porti per riprendersi e leggersi i
Panchatantras.
“ Sei tu più un fiorellino o un uccellino?” chiedo
allora a Chandu,
“ Un uccellino” mi dice il bambino,
imperterrito videogiocando a sterminare polli,
i chicken invaders,
la stanza tutta ora la fragranza di tutta la
sua tenerezza.
“ Ma non lascio già per questo, io
resto qui al lavoro, ora è questo il nuovo capitolo della mia vita”,
più forti già di ogni resa
le parole di Mohammad che tutto riavvivano,
quanto e più di Kailash
già ben sapendo Mohammad come giocare d'astuzia,
Mohammad, Kailash ed Ajay ricordandomi nel
restare senza salario a servizio
" that the work isn’t only for making money,
ed ora l'autorickshaw di Kailash è affidato alla guida
del padre di Mohammad
con il concorso di clienti dagli hotel in cui sono di
stanza,
e se per me c'è ancora vita prima della morte
è qui, è qui, è qui, che la ritrovo,
per quanto io resto fedele al mio piccolo destino,
nel farsi sera, di un altro giorno sereno volto al suo
tramonto,
di ogni luce e strepito a spegnersi prima di
riaccendersi.
2018
Ora che non ha più luce il cielo e più acqua la fonte
Più respiro d’aria la distesa dei campi,
che non c’e più ombra di riparo al dolore
se amore non è che un vano inganno,
che un giocare con gli altrui sentimenti,
To play with the feeling of another person,
con lui come con altri lei giocando,
alla stregua di come lui seguita a giocare con chi l'ha
preceduta,
infliggendosi schiaffi vuole darsi la morte il mio
Mohammad,
allo svaporarsi con l’alcool del vuoto di fondo,
non fosse per la mia amicizia a cui s’avvinghia nell’algore
dei baci,
svelandomi d’un tratto tutto quanto ha commesso,
nell’ufficio, in stanza, al caffè dei nostri ritrovi
strette ed abbracci per levarmi di tasca
le rifiutate/ rupie
"Sapevo che tu accettavi tutto per salvare la nostra
amicizia".
Così tu dicendomi,
quando nella tua animalità si ammusa la mia.
“How lovely, Chandu,
Between the sun and the moon,
The kites in the blue sky.
Like fishes swimming in the water,”
Cosi dico al bimbo mio,
amore mio,
intanto che dalla sua corda, da altri rocchi,
svariano aquiloni nel più terso dei cieli, nei suoi occhi,
tra il dardeggiare del sole, la falce di luna,
guizzanti, al tratto della mano,
quali pesci di un acquario celestiale,
e il bimbo assente, in sé irraggiungibile,
come gli aquiloni inebriati nell’azzurro
del più puro infinito.
Nel tuo ruvido biancore
Stazioni immota sull’uscio di
casa.
Nei tuoi occhi chini socchiusi
La tua muta richiesta di
cibo.
La chappati, come l’avverto,
Che Vimala si toglie di bocca.
Sul quartiere silente
Alta la luna nel chiarore dovunque.
Nel meriggio ti scruta, tese le
orecchie,
al cancello che non si apre.
Ma la casa e’vuota, la dispensa
chiusa,
per la nonna morta, di cui
crepita il fuoco,
nel fervore di eredità.
E lei si affaccia alla porta
accanto.
Mite alla percossa che la
discaccia.
Quando ti adoravo,
al disvelarsi della luna,
nel roteante sole,
il tuo arrivo era il sorvolo di un angelo.
Ora che ci amiamo
nel perdonarci e’ il sopraggiungere
della tua umida carne.
In giorni di continuo sole,
al freddo che demorde.
Nella notte le luci della stazione quelle di un camposanto.
Non solo i loro i capi rasi
Di chi bivacca per Varanasi.
In una sacca bianca due denti inferiori,
Un frammento di femore
Quel che dell’avola destinato è al Gange.
Tu il primo, è il rintocco,
Cui ora tocca per anzianità.
Sempre che la sua mano
Come fu per Sumit
Non ghermisca il più tenero infante.
In disparte distogliendoti assente,
Tra i loro
discorsi tu già la tua morta cenere.
Per voi, anime care,
che mi monetate ogni vostro favore,
ho perso il gusto
di tutto ciò che costa,
sfasciatosi ogni acumine mentale
alle latitudini morte di quel che sognavo,
inultimate le tue pagine, Heinrich,
su un’India cui non potesti mai giungere
giorno dopo giorno dove non posso che esserci,
per poco che io ancora mi regga,
.
Angkor, Borobodur,
Bagan, dalle mille pagode,
inarrivabili
nelle brume dell’albe
desolandomi
solo che ne senta la magia dei nomi.
"Alto potere
di un suono purissimo,
come fosse il distacco
sazio di divertirsi.
Familiari edifici
guardano dalla morte,
e sarà l’incontrarsi
cento volte più
triste
di tutto ciò che un tempo
mi e' capitato...
Per una nuova perdita
me ne ritorno a casa.
Può un’oncia di bellezza, di amore puro,
Scongiurare che tutto ciò che l’uomo è ancora
Sia bene si estingua?
Quanto può detergere ancora
Il velo lunare il sangue della lama ?
Smacchiare i nostri sudici sudari ?
Nell’innocente loro dissolutezza
gridano vendetta i profanati angeli,
Intanto che torna, Sumit, il tuo esanime corpo
nei bimbi raccolti dal mare,
E resta senza musica la vita
In ciò che ne dice e pensa l’uomo comune,
A che le anime insaziate di morte risorgano a vita
Nei migranti Egli venne alla sua gente
Ma i suoi non l'hanno
accolto,
Così al
passaggio estremo
Volgi
erranti i tuoi stessi passi,
Nella Sodoma ti
volgi agli indimenticabili cuori,
Ne accudisci i
giorni futuri,
Togliendoti di
bocca ogni estremo conforto,
Om, così sia,
dicendo a un dio senz’altro lume di volto.
2019
Non ha amici il tuo cuore
Di cui tu non sia il servo in amore.
Non ha parole la tua lingua
Che non siano vani servigi.
Non chiede di te il tuo tempo, amico mio,
per quanto tu perfezioni per esso l’accento.
Ma più che mai ti spendi, vuoi sapere
e sapere ancora, non ti spegni nella Sua luce.
Ci fosse mai qualcuno
che vuol sapere[7]
Ci fosse mai qualcuno che vuol sapere
Della mia fede e religione
Dirò che Dio è l’identico palpito
Per cui le foglie verdeggiano, noi respiriamo.
E siamo sessuati né più né meno che i batteri,
traendo Egli lo spirito da un pugno di polvere,
dalla nostra morte la rinascita di feti
a un’inimmaginabile vita,
l’ amore anche dall'orrore per chi ci sta accanto.
In Lui di Lui viviamo, vibriamo, desideriamo,
dicono bene gli Atti e le credenze dei Tantra,
peccato per la nostra presunzione
sia Egli infinitamente infinito,
al punto che noi tutti non siamo neanche
una sua cellula,
appena barlumi ciechi della sua mente.
Basta anche solo avere occhi per le amiche
piante,
per intendere che siamo solo uno dei modi della
sua intelligenza,
Oramai a poca distanza dalla mia morte,
Oltre la quale non vedo,
Con il poeta dei poeti affranti è come a dire,
che la mia precipua religione è amore , in cui il
cuore
E’ il profeta, il cuore la direzione di preghiera,
il cuore è Dio.
I
Se non è per scherno e umiliazione
Egli ti cerca solo per soldi.
E tu non cercarlo per niente al mondo.
II
Battuto sotto il tuo calpestio
Lascio che sia se tu mi dici
Che è il tuo cuore distrutto che mi distrugge.
Il tempo si è fatto breve.
Come la rondine presso il tuo altare pongo i miei piccoli,
La mia fiaccola come la servente levo dal moggio.
Dal mattino alla sera
Ardo la luce dei giorni.
Più non conti e non contano gli anni
Quando nella voce del tuo bambino
Sei il suo amico.
Non scomporti nel foro delle polemiche,
Che il destino ti
arrida od irrida,
Quando ti villaneggia il suo amore
Tu sei il raja[9] di ogni contrada.
Godi, se puoi, con ardore
E fa godere il tuo Amore.
Sii la puttana del Signore.
del mio amico
iraniano Farhang Atefi
Così tu ubriaco, ed ispirato
come avrei voluto che tu mi facessi.
Abbiano le leggi il loro corso,
ch’io seguo il mio.
O acqua, che sgorghi ancora alla mia bocca,
tu non sei ancora acqua di Lete
che questo mio io in sé svanisca
per un’altr’anima che preme,
per l’estrema morte, di cui piango,
che non ricordi più ch’io amo,
alla cui cara immagine ricorro, che riappaia,
sospiro in linea parole,
e i miei giorni si gremiscono di voi,
ora che più nulla può più dirmi
lo stesso respiro del mare, ovunque io salpi.
Mentre tutto di voi mi ravviva
come il giorno non ha più battiti
e si fa muro davanti la vita che resta,
Che importa, se in voi mi fa eco la stessa vita,
la pace dei vostri giorni che sfamo e disseto
mi è di conforto per resistere nel tempo,
ora che non è l’ora nostra, e il potere è delle
tenebre,
e nel tempo mi è di viatico per volgere al suo guado,
di cui si fa luce di un crepitare perenne,
Lichtung, radura di che al varco ci attende.
Strani tempi
Di strana gente,
qui, o in India, come altrove,
che i figli dei corrotti
salgono al governo degli onesti e sono peggiori che
i padri
ed in nome di Dio
fare il bene è fuorilegge,
strani tempi
di strana gente,
che svuota la vita di ogni trascendenza in un
boccone,
manda baci a chi vuole morto,
ti uccide in un sorriso,
e sono giocolieri di piazza
il montanaro del Cremlino,
l’ imbianchino austriaco,
nell’ora
loro della nostra passione.
Accanto a ogni ghazal di Mir Taqi
Mir non ho potuto indicare il numero
ordinale di successione nel suo Diwan perché non ho avuto accesso alla magnifica edizione in rete della raccolta
delle ghazals come A garden of Kashmir curata da Frances W. Pritchett della Columbia University all’
indirizzo: http://www.columbia.edu/itc/mealac/pritchett/00garden/index.html
che fa capo a http://www.columbia.edu/itc/mealac/pritchett/00ghalib/index.html#index
Non è che una bolla
d’aria
La nostra vita, nient’altro,
Le quinte del mondo sono solo
La vastità di un miraggio.
Ah, la squisita tenerezza del suo labbro,
La cui grazia evoca
un petalo di rosa.
Ancora una volta batto alla sua porta
La mia mente del tutto stravolta.
Basta ch’io parli, che ella dice
Che tale voce è proprio quella
Di quell’uomo
sventurato.
Mir, questi tuoi svanimenti
Sono dei tossici respiri alcolici.
I Tempi sono difficili, caro Mir, stai dunque in
guardia
Preserva il rispetto di te medesimo con la massima cura.
La vita può risolversi in una semplice faccenda,
Non complicarla con seccature indebite e vani affanni.
La vita ha breve durata
Sii retto con ciascuno, uomo mio.
Fai pure tutto quello che ti piace, mio caro,
Ma cura che sia tersa la tua coscienza,
Va di per se quel che dici e come lo dici,
Sempre che tu sia libero di dire quel che ti è dato di
dire.
La testa che così fieramente è oggi coronata
Domani sarà interrata nelle lamentazioni di grida.
Nessuno ha lasciato questo mondo integro e sano,
Ogni viaggiatore che vi è sopraggiunto ha perso tutto
Nell’agguato finale.
Pur se imprigionata
Non si è data per vinta la mia maniacale passione,
A questa mia farneticazione mentale il solo rimedio
E’l’impietramento.
E’ così delicata la vetreria del mondo
Che anche il tuo respiro qui deve essere lieve.
Il fiore mi ha implorato di non
andarmene
“Se tu sei venuto per un breve
tratto nel giardino,
Sii il mio valente ospite.”
Io incurante lo ignorai e me
ne andai via.
Quando, invero, è il tempo di indulgere
Verso qualcuno?
Che dire di tale umore, o Mir,
Egli camminava nel giardino,
I fiori salutavano chinandosi dai loro steli,
Ma ad egli non importava nulla.
C’è amore e solo amore
Ovunque tu volga lo sguardo,
Tutta la creazione trabocca d’amore
Amore è l’amata, amore è l’amante, e lo è fino a tal punto,
così tanto,
Che è come se l’amore fosse in amore con se stesso.[14]
Quando chiesi come trascorressero gli erranti in amore
La brezza del mattino sollevò una manciata di polvere
E la soffiò via.
Quale primavera? Per noi prigionieri è proibito
Anche solo vedere il muro del giardino
Traverso una crepa nella nostra cella.
I miei versi piacciono all’élite.
Ma io scrivo per il largo pubblico.
Se non parlo, il mio cuore brucia, se lo faccio
La mia lingua è scottata.
La mia amata può avvampare
Se sente le parole
Che voglio dirle.
Tutti i miei intenti sono stati ribaltati
Non c’è più medicina che possa servire …
Non hai visto come questa malattia del cuore
Mi ha finalmente ucciso?
Noi di fatto impotenti siamo accusati
Di avere autorità senza una investitura precisa
Voi fate tutto quello che vi piace
E noi siamo ingiustamente diffamati.
Nel bianco e nero
del mondo
La parte che posso
recitare non è che questa:
Piangere di notte fino al mattino e in qualche modo
Far decorrere il giorno nella sera.
Lo Shaik che se ne sta nudo
Nella moschea, era nella taverna
La notte scorsa.
Manto, toga, camicia e berretta, tutto si è bevuto
Completamente pazzo, tutto ha dato via.
Quale Kaaba, quale direzione di preghiera,
Quale moschea santa, ora quale veste di pellegrino?
Noi, abitanti il breve cammino che a lei conduce,
Da tutto ciò prendiamo congedo a distanza.
Che vuoi tu dunque sapere
Della religione e della fede di Mir?
Con un tilak[15] sulla fronte siede in un
tempio,
E’ da lungo tempo che ha rinunciato all’islam.
Con la complicità di Shaik
E Brahmini[16], Mir perderà la Kaaba[17]
Ed il Mandir.[18]
Egli farà per se stesso una separata
Minuscola moschea, in un cantuccio
Che sia appartato.
La mia precipua religione è amore, in cui il cuore
E’ il profeta, il cuore la direzione di preghiera,
Il cuore è Dio.
E’ la Sua bellezza che illumina tutto,
Sia la candela della moschea
O la lampada di Somnath.
La benevolenza come usanza
È scomparsa dal mondo,
Uno strano popolo abita ora la terra,
Strani sono ora i tempi.
Mir, sono tempi delicati,
Reggiti il turbante con entrambe le mani!
Mir, Egli verrà alla mia tomba solo dopo la mia morte,
Il mio Messia di me
si prenderà cura solo dopo che me ne sia andato.
Le macerie del mio cuore sono davvero, a vedersi
Una cittadella che
il dolore abbia raso al suolo.
Ora ricorda le mie parole, se non vuoi
Udirle troppo tardi.
Se udrai qualcuno riportarle,
Il tuo cuore scoppierà nel rimpianto.
Non considerarmi ordinario,
Dopo un vagabondaggio del cielo per anni
Solo allora, tratto da un velo di polvere, un uomo
Può dirsi nato.
Tu lo vedi? Esala
Dal mio cuore o dalla mia anima,
Da dove esala, quanto sembra solo fumo?
O cielo, quale cuore infranto
Giace in questo sepolcro?
Una fiamma ne esala ogni mattino.
Quando grida di lamento cominciano a ferire la mia mente,
Un urlo esala al cielo.
Ovunque di lei vada a posarsi lo sguardo gioioso
Un patimento agitato ne esala.
O voce ardente, stai attenta
Alla tua stessa dimora,
Una nuvola di fumo esala dal tuo riparo.
Chi non s’inquieterà nel sedersi ancora dovunque
Chi, che si levi anche solo una volta dalla tua
soglia?
Oh, come noi ci rimettemmo in piedi nel lasciare
quella via
Quasi nel risollevarci
da questo mondo ci levassimo da morte.
Mir, l’amore è un macigno pesante,
Quale creatura non è troppo gracile
Per sostenerne e levarne il peso?[20]
La mia esistenza non è che una bolla
Qualsiasi vista non è che un miraggio.
Ah, la tenerezza delle sue labbra,
È come il petalo di una rosa.
Apri ora il tuo occhio del cuore
Vedrai che tutto il mondo è solo un sogno.
Eccomi alla sua porta ancora una volta
Sono ora in uno stato tale di agitazione
Che basta che parli, e loro dicono
Questa è la voce di quello sventurato.
Mir, in quegli occhi schiusi in sogno
C’è il tossico di un vino stagionato.
Sono divenuto come un fachiro, e così gridando me ne vado:
Serbati felice, anima cara, io te ne prego .
Un tuo solo baleno è stata una tale estasi
Che mi ha estirpato da me stesso.
Come desideravo frequentare il tuo sentiero,
Ed ora vi ritorno,
madido di sangue.
Ho consunto la mia fronte nel prostrami,
Pagando l’intero mio debito di obbedienza.
Ti ho adorato sino a tal punto, Idolo mio,
Che di te ho fatto il mio Dio agli occhi di tutti.
Che posso replicare, se qualcuno mi chiede:
Mir, sei venuto in questo mondo, che cosa hai concluso?
Ogni foglia ed ogni albero sa della mia condizione,
Solo quel fiore non lo sa, a differenza dell’intero
giardino.
Attendere ai cuori afflitti non costuma nella città della
bellezza.
Anche se il più inaccorto amato sa bene
Quale sia cura di tale
pena..
Rendimento di grazie, fedeltà leale, gentilezza e
cordialità- nessuna
Qui ne tiene più conto.
Scherno e
affettazioni, segni ed allusioni
È tutto quello che tutte sanno ed usano,
Nessuno in questo mondo vorrebbe essere autentico
Come un amante.
Perdendo il suo cuore in amore egli pensa di guadagnarci,
Mir, il sempliciotto amaro, egli è troppo assetato
Del suo stesso sangue,
Egli pensa che di lei la pesante spada affilata sia l’elisir
di vita.
.
Voi non
considererete più
Alcun giro di perle
Una volta
considerato lo stile della mia espressione.
Essendo venuto a Delhi di questi
tempi
Non ho rivisto quei miei amici,
Se ne sono andati un po’ troppo presto
Son io sopraggiunto un po’ troppo
tardi.
Il
mio cuore e la mia Delhi siano pure
Ambedue in rovina,
C’è ancora del diletto
In questa loro casa straziata.
I miei occhi in lacrime sono ora
un canale
Il mio cuore straziato è come la
città di Delhi.
I dintorni della in cui visse Mir Taqi Mir da A desertful of roses , il web site creato da Frances Pritchett per la Columbia University che raccoglie tutti gli urdu Ghazals di Mirza Ghalib, mentre A garden of Khasmir, cui non ho avuto accesso, raccoglie gli urdu Ghazal di Mir Taqi Mir http://www.columbia.edu/itc/mealac/pritchett/00ghalib/index.html#index
Old DelhiLe
strade di Delhi erano come pagine dipinte,
Ogni
vista che vi vidi sembrava una pittura.
in cui visse Mir Taqi Mir da A desertful of roses , il web site creato da Frances Pritchett per la Columbia University che raccoglie tutti gli urdu Ghazals di Mirza Ghalib, mentre A garden of Khasmir, cui non ho avuto accesso, raccoglie gli urdu Ghazal di Mir Taqi Mir http://www.columbia.edu/itc/mealac/pritchett/00ghalib/index.html#index
Chandni Chowk, la via principale dI Shahjahanabad, l’Old DelhiTu
chiedi delle mie origini, o popolo dell’Est,
Schernendo
la mia povertà e di me ridendo?
E’
di Delhi, che del mondo era la città
privilegiata,
Dove
non si raccoglievano che gli eletti
Di
ogni genere di vita,
Ora
predata dal Fato e ridotta a deserto,
Ch’io
sono un residente del sito in rovina.
La
desolazione di Delhi era di gran lunga migliore
Che
non Lucknow.
Vorrei
esservi morto
Anziché
essere qui scampato.
Come
dirti che cos’è l’amore?
E’
una malattia dell’anima, una sventura, questo fatidico amore.
Mir,
ti vedo farti pallido,
Dimmi,
anche tu sei ora preda d’amore?
Accanto a ogni ghazal è indicato il
numero ordinale della loro successione nel Diwan di Mirza Ghalib edito in rete
magnificamente da Frances W. Pritchett
della Columbia University come A desertfull of roses all’ indirizzo http://www.columbia.edu/itc/mealac/pritchett/00ghalib/index.html#index
Che ti è successo, ingenuo cuore?
Ed ora quale è la cura di questa pena?
Io sono consumato dal desiderio, e lei è
indifferente.
O Dio, in che stato mi ritrovo !
Anch’io ho una lingua nella mia bocca
Solo che tu voglia chiedere a me dei miei aneliti.
Se non esiste niente senza di te,
O Dio, da che nasce tutto questo turbamento?
Se ci sei solo Tu, come mai queste incantevoli bellezze
Parie.[24]
A che, questi occhieggiamenti, e pose galanti, e
svenevolezze?
E le spire di ambrati, profumati riccioli- a che furono
create?
A che la fissità di sguardo del collirio di adombrati
occhi?
Verzieri e rose da dove provengono?
Che cos’è una nuvola? E che cosa il vento?
Noi confidiamo nella fedeltà di colei stessa
Che non sa nemmeno la fedeltà che sia.
Invero “ fai il bene, e il bene ti accadrà”
Quale altro è il grido del Derviscio?
Non mi resta che offrirTi la mia vita,
Della preghiera io ignoro i termini.
Lo ammette, Ghalib, che vale ben poco
Ma se lo lasci uscir di pena, che male c’è?[25]
E’un cuore, dopo tutto, non pietra o mattone
Perché non può erompere di dolore?
Più di mille volte leverò il mio grido, perché mai torturarci?
Non è qui un tempio, o una moschea, una porta, od una soglia,
Se siedo ai bordi della strada, perché mi si
dovrebbe scacciare ?
Quando a quella bellezza che illumina il cuore come un sole
meridiano
Egli vorrebbe struggersi alla vista, perché in un velo ci
nasconde il suo sembiante ?
Di voi la stilettata di uno sguardo toglie la vita, la
freccia della civetteria non si può schivare,
Come lo stesso
specchio del vostro volto potrebbe rimirarvi, a voi di fronte?
La prigione della vita, la schiavitù
Del dolore, n verità sono la stessa cosa.
Finché non sopraggiunge la morte, come un uomo
Potrebbe trovare scampo dal dolore?
Che ritrovi in lei beltà del corpo, o del pensiero, l’onore
resole dal libertino è salvo .
In sé stessa lei confida, a che mai un’altrui riprova?
Qui, questo vanto di splendore e
grazia, colà, quell’ammanto di modestia di sguardo,
E così dove mai potremmo incontrarci per strada, come
potrebbe lei farci salire?
Certo, lei non crede a Dio, sicuro, lei è un’infedele
Costui che tiene tanto a religione e cuore, perché si
ostina ad andare da lei?
Quali affari del mondo
Si sono forse fermati in
assenza di Ghalib, l’affranto, l’ingiuriato?
Perché pianger(lo) così amaramente, poi, lamentarsi
E gemere così?
In verità, ci sono molti altri validi poeti
A questo mondo,
Ma dicono loro stessi
Che lo stile d’espressione di Ghalib
E’ un caso unico.
Non c’è chi non chieda perché il persiano
Debba essere invidioso del Rekta[26]
Recitagli anche solo una volta una poesia di Ghalib
Ed egli ti dirà, Ecco il perché.
Tu non sei il solo Signore
Del Rekta Ghalib
Essi dicono che in tempi trascorsi
C’era anche un certo Mir.
Se Ghalib seguita a singhiozzare
tanto, vedrai
O popolo di tutto il mondo
Che non c’è contrada
Che non ne cadrà
presto desolata.
Un sospiro richiede una vita
intera per sortire effetto
Chi può vivere fino a che i tuoi riccioli ribelli siano domi?
Nell’incedere di onda in onda si circonvolvono cento bocche
di dragoni
Vedi quali siano le traversie di una goccia per farsi
perla.
L’amore richiede sopportazione, lo spasimare non conosce tregua[27]
Come trascolorerò nel mio cuore, fin che la bile
travasi in sangue.
D’accordo, verrà un tempo che mi considererai,[28]
Ma nel frattempo mi sarò consunto in cenere.
Dai raggi del sole la rugiada viene a sapere la sua
distruzione
Anch’io avrò vita fin che non mi baleni il tuo sguardo.
Il godimento dell’esistenza non dura
Più di un singolo sguardo, siine avvertito,
Quanto la danza di una favilla è il calore di
quell’avvivarsi.
Della pena di vivere, quale il rimedio, se non la morte?
La candela avvampa di ogni colore fin che non sia
l’alba.
Versi non pubblicati della stessa ghazal
Fino al Giorno del Giudizio vivremo
nelle tenebre della separazione
I sette giorni graveranno anche su di
noi, fino a quel sorgere dell’alba.
Sono tali e tante le migliaia di desideri, che l’ulteriore
anelito ne incalza il disciogliersi
Fossero anche esauditi innumerevoli desideri, quanti pochi
sono disciolti.
Che ha da temere colei che mi uccida? Il mio sangue sul suo
collo?
Quel sangue che dai miei umidi occhi, per un’intera vita, e
senza un perché, ad ogni sospiro vorrebbe disciogliersi.
E ‘ da sempre che udiamo dell’esilio di Adamo dall’Eden,
Ma dalle tue contrade con più grande sventura
siamo stati disciolti.
O crudele, l’infingimento dell’altezza della tua vera
statura sarà disvelato
Se gli intorcimenti e le arricciolature dei tuoi
capelli saranno disciolte.
Se qualcuno ha una lettera da scriverle, che ci
contatti perché le sia scritta da noi.
Si fa l’alba, e dall’uscio di casa, è con una penna
infilata dietro l’orecchio che ci disciogliamo.
In questo girare in tondo, quante bevute furono
a me ricondotte,
Al ritorno dei tempi la mia è la coppa di Jamshid[29], in cui il mondo
rispecchiandosi ha da disciogliersi.
Coloro da cui attendevamo giustizia all’udire della ferita
infertaci
Coloro, ancora più di noi feriti dalla spada del tiranno,
ben presto si disciolsero.
In amore, non c’è differenza tra vivere e morire,
Solo che rimiri l’ infedele per la quale il respiro vuole
disciogliersi.
La porta dell’osteria può essere la stessa che il
predicatore valica, Ghalib,
Come ieri la nostra truppa ha ben visto nel suo
disciogliersi[30].
Lasciatemi andare a vivere dove non
c’è nessuno,
Nessuno con cui parlare, nessuno con
il linguaggio in comune,
Lasciatemi edificare una casa che sia
speciale, senza porte né muri,
Nessuno che sia vicino di casa, nessuno
che sia custode,
Se ci ammaliamo, nessuno che ci curi,
Se moriamo, nessuno che intoni
lamenti.
La bellezza non avrà più ragione di essere
dispettosa quand’io non ci sarò più
Chi tiranneggia i cuori se ne starà in pace,
quand’io non ci sarò più.
Nessuno sarà rimasto degno del ministero della
Follia d’amore
Decadrà la vana civetteria più crudele, quand’io non
ci sarò più.
Quando la candela si consuma, il suo fuoco è per
essa che si affumica.
La fiamma della passione si vestirà di nero quando
io non ci sarò più.
Il cuore è sangue, della polvere, cui attingono gli
idoli.
Le loro unghie non si tingeranno che di henné,
quand’io non ci sarò più.
Non troverà più degno consesso, per mettersi in
mostra, la gemma della crudeltà,
E la grazia della civetteria che se ne farà del
collirio, quand’io non ci sarò più.
La follia, per la gente folle in amore, è l’amplesso
che afferra e lascia,
Non ci sarà più strappo di collare, quand’io non ci
sarò più.
Chi sarà ancora, come chi sia vittima del
vino-veleno della passione?[31]
Sulle labbra del coppiere si moltiplicheranno a
vuoto i richiami, quand’io non ci sarò più.[32]
Io muoio nel dolore che non ci sarà nessuno al mondo
Che consoli e compianga amore e fedeltà, quando non
ci sarò più.
La caduta in
rovina dell’amore mi fa piangere,
Ghalib,
Di chi la casa sommersa dal riversarsi della
disgrazia, quand’io non ci sarò più?
Verso non pubblicati della ghazal 57
Il mio sguardo era un escavatore
Nella camera intima del cuore .
Scampato il
pericolo, per i Signori dell’ Ipocrisia,
Quand’io non ci sarò più.
Io ero le foglie dell’amicizia raccolta in un bouquet
I miei sodali di vita si sparpaglieranno,
Quand’io non ci sarò più.
Versione ulteriore
della stessa ghazal (57)
La beltà non avrà più bisogno di essere dispettosa
Quand’io me ne sarò andato.
Questi tiranni si ritroveranno finalmente a loro agio
Quand’io o me ne sarò andato.
Sale il fumo da una candela
Quando sia spenta
La passione annerirà
Quand’io me ne sarò andato.
Io muoio dal dolore se penso che non ci sarà nessuno a
questo mondo.
Che piangerà la fine della lealtà e dell’amore
Quand’io me ne sarò andato.
La caduta in rovina dell’amore mi fa piangere,
Ghalib,
Quale casa sommergerà il flutto della sofferenza
Quand’ io me ne sarò andato?
Chi accetterà la sfida di bere
Il veleno del vino d’amore?
Il coppiere seguiterà
a lanciare invano il suo grido di sfida
Quand’ io me ne sarò andato.
Egli condivide la mia vocazione, le mie bevute
E i miei secreti.
Non condannare Ghalib,
Per me è buono a sufficienza.
Non era il mio destino di unirmi
con il mio amore
Avessi vissuto più a lungo,
sarebbe stata la stessa lunga attesa.
Ho vissuto delle tue
promesse, ben sapendo quanto siano
menzognere,
Sarei forse morto di felicità, avessi
confidato in esse?
Per la vostra finezza è da
credere che le vostre promesse siano state a cuor leggero
Mai le avresti infrante, se
fossero state formulate con fermezza.
Si chieda al mio cuore della tua
freccia che l’ha scalfito
Mi avrebbe così disfatto, se
fosse andata fino in fondo?
Che genere di amicizia é mai
questa, che i consiglieri si fanno amici,
Quando se solo si fosse corso in
aiuto, qualcuno avesse fatto proprio il mio dolore.
Dalla vena della roccia gocciola
un sangue che non finirebbe mai di scorrere
Ciò che credesti pena, è folgore.
Benché il dolore sia micidiale,
chi può scamparne, finché c’è un cuore?
Non ci fosse il dolore della
passione, si accamperebbe quella della sussistenza.
A chi si può dire come sia, la notte del dolore una tale sventura,
Chi può dire che è dolente la
morte, se lo ha provato anche solo una volta?
Se dopo morti, di noi si diffonde
una cattiva fama, perché non finire sommersi dal mare,
Non avrebbe luogo alcun funerale,
non sorgerebbe una nostra tomba in alcun luogo.
Chi lo ha mai visto, giacché Egli
è unico, l’Unicità.
Ci fosse in Egli anche solo un
soffio di dualità, l’avremmo pur incontrato dappertutto.[33]
Il
mondo non è che un campo da gioco di ragazzi, al mio cospetto
Il
giorno e la notte sono il consueto spettacolo, al mio cospetto.
Il
trono di Salomone è per me un gioco perditempo,
Idem
il miracolo del Messia, al mio cospetto.
Per
me tutto il mondo è un vano accento,
Non
c’è sostanza che non sia l’illusione di un’idea, al mio cospetto.
L’intero
deserto del mondo per me si cela nella polvere
Anche
il fiume struscia la fronte sulla sabbia, al mio cospetto.
Non
chiedermi quale sia il mio stato, al tuo apparire,
Considera
quale sia il tuo, al mio cospetto.
Dici
il vero- mi riguardo e mi do lustro- e perché mai
altrimenti
Se
un idolo con il sembiante di uno specchio siede al mio cospetto.
Attieniti
allo stile di rosa fluente dal mio dire
E
lascia che qualcuno ponga il boccale di vino al mio cospetto.
Trascorre
l’insidiarsi del disgusto, in me è trascorsa ogni sorta di gelosia,
Perché
io dovrei dire:” Non fare il suo nome al mio cospetto?”
La
fede mi trattiene, l’incredulità mi sprona,
La
Kaba è retrostante, la Chiesa al mio cospetto.
Sono
un amante, ma che fatalmente si disinganna su chi ama,
Laila
stessa diffama Majnun al mio cospetto.
Siamo
felici, ma non si muore felicemente nell’unione,
Della
brama della notte della separazione giunta al mio cospetto.
Un
unico mare Rosso di sangue si va intorbidando, appena uno
abbia qualche pretensione
Vedi
che cosa di buono ora giunge al mio cospetto!
Benché
la mano non possa più muoversi, eppure, hanno ancora umore di vita
questi miei occhi,
Lascia
la brocca e il bicchiere di vino al mo cospetto.
Egli
condivide la mia vocazione, il mio bere
E
i miei segreti,
Non
condannare Ghalib, per me egli vale quanto basta
Al
mio cospetto.
Odorico Bergamaschi nasce nel 1952 a San Giacomo delle Segnate in
provincia di Mantova. Si è laureato in Filosofia morale con Cesare Luporini,
sostenendo una tesi su Superstizione Etica e Politica nel Pensiero di Spinoza.
Dal 2005 i suoi
itinerari di viaggio, esistenziali e spirituali, letterari e di storico
dell’arte si sono concentrati in India,
dove dal 2012 vive la maggior parte del
suo tempo residuo.
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Version 1.0
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Bergamaschi 2019
ePub
2019
[1] L’Ecloga è letteralmente intessuta di
reminiscenze delle Ecloghe Virgiliane, in particolare delle Ecloghe V, IX,
X, che lascio al lettore ritrovare.
Il “ mela
ground” è in India il campo di fiere
e mercati.
Amavasya
è la ricorrenza della fase della luna nuova, che dà origine a grandi
festeggiamenti in onore di Lord Shiva se cade di lunedi, giorno sacro al dio.
Il Lakskmana reka è originariamente la
barriera tracciata intorno a Sita, la sposa di
Lord Rama , dal cognato Lakshmana, fratello di Rama, per
proteggerla dal demone Ravana, che avrebbe dovuto restare invalicabile, come
non fu, sicchè il demone la rapì con se nel suo regno nello Sri Lanka, Nel linguaggio popolare indiano designa un
limite, una frontiera di separazione costituita da regole, convenzioni, norme
etiche, che dovrebbero restare insuperabili.
[2] Da
Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXII, 51,1-4” "Gli Dei non diedero certamente
tutto allo stesso uomo “
“ Perficient
Superi”: “ Completino l’opera gli Dei”, motto di invocazione della
grazia divina, a integrazione di un altro motto “ Non omnes” “ Non tutti”, che riprende il detto
virgiliano, già rinvenibile in Lucilio, “ Non omnia possumus omnes “ “ Non
tutti siamo capaci di tutto”, o meglio “ noi tutti non siamo capaci di tutto,
del verso 63 dell’Egloga VII.
[3] “In India non ci sono regole negli hotels privati”.
[4] La chappati è il pane indiano più comune, di farina integrale e senza lievito
[5] La poesia commemora o rievoca l’incontro alla stazione di Khajuraho con i familiari di Kailash, il padre e gli zii, in partenza per Allahabad-PrayagRaji, come altri per Varanasi ( Benares), per trasportarvi le ceneri e i resti di ossa della nonna di Kailash. Il lutto degli astanti è attestato dal loro capo raso in segno di lutto. La poesia è dimessa nel tono, quanto intessuta di allitterazioni continue ( rasi Varanasi, bivacca sacca , denti , frammento, infante assente, e via dicendo).
[6] Heinrich è il grande indologo Heinrich Zimmer ( 1890-1943).
[7] Il poeta dei poeti affranti è il grande poeta in urdu Mir Taqi Mir, (1722-1810), di cui seguono varie traduzioni
[8] Il tempo si è fatto breve: la citazione è tratta da Paolo, 1Cor 7,29
[9] Raja, il re
[10] L’acqua del Lete è quella del fiume dell’ai di là che per gli orfici, per Platone nel libro X della Repubblica, ove narra il mito di Er, come per Virgilio nel VI libro dell’Eneide, al berne l’acqua cancella ogni memoria della vita antecedente, compresa quella delle persone amate, nell’anima che trasmigra in altre forme di esistenza
Lichtung, la
radura, è un motivo ricorrente del pensiero di
Martin Heidegger, per indicare
ciò che apre e schiarisce d’improvviso
gli orizzonti delle differenti forme di comprensione
[11] Il
montanaro del Cremlino è Stalin secondo il grande poeta russo Osip Mendel’stam,
l’imbianchino austriaco è Hitler secondo lo
stesso Mussolini, che lo definì tale,
nel 1934, quando seppe ch’era
responsabile della morte dell’amico Engelbert
Dolfuss, il cancelliere austriaco
Il passo “L’ora loro della nostra passione “ è una ripresa di un passaggio
capitale della Passione di Cristo secondo Luca: “Poi Gesù disse a coloro che erano venuti contro di Lui, capi
dei sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Come se fossi un ladro
siete venuti con spade e bastoni. Ogni giorno ero con voi nel tempio e non
avete mai messo le mani su di me; ma questa è l’ora vostra e il potere delle
tenebre».
[12] Una ghazal è una serie di distici non inferiori a cinque di numero, il cui primo verso rima con il secondo, che rima con tutti i successivi secondi versi di ogni distico, spesso in forma di refrain, dentro predeterminati parametri metrici. Le traduzioni delle tre ghazal iniziali “ Non è che una bolla d’aria”,“ I tempi sono difficili, caro Mir, stai dunque in guardia “ , “La testa che così fieramente è oggi coronata” risalgono la prima al novembre 2017, le altre al 2018.
[13] Tutte le seguenti traduzioni da opere poetiche di Mir Taqi Mir risalgono al 2018-19.
[14]
Variante: “Che è
come se l’amore si intrattenesse in un gioco con se stesso”
[15] Tilak è il caratteristico segno frontale che nel suo
specifico colore designa una particolare affiliazione religiosa di chi è hindu.
Se è rosso può altresì designare lo stato coniugale di una donna, o altrimenti
può attestare la visita di un determinato luogo di culto
[16] Tali uomini di culto sono i religiosi d’alta casta, il shaik islamico, il brahmino hindu, spesso accusati di ipocrisia.
[17] Il massimo edificio di culto dell’Islam, situato a La Mecca. Esso contiene la Pietra Nera, l’ultimo residuo meteoritico della Antica Casa che Allah avrebbe fatto discendere in terra dall’Eden, e che sarebbe stata per il resto distrutta dal Diluvio Universale.
[18] Mandir è il nome in hindi del tempio hindu.
[19] Somnath è il sito di un
famoso tempio shivaita, lungo la costa occidentale del Gujarat, nel Saurahstra,
per la sua importanza devozionale ripetutamente distrutto dai musulmani
e riedificato nel tempo, al punto da essere considerato l”terno tempio hindu”,
per eccellenza. In esso Lord Shiva si
sarebbe manifestato per la prima volta in uno dei suoi dodici lingam di fuoco o
yotirlingas.
[20]
( Variante” Quale creatura può non soccombere sotto il suo peso ?”)
[21]Mir Taqi Mir, nato ad Agra, amò intensamente Delhi e le sue forme di vita, ma vi visse in tempi calamitosi, per la calata rovinosa in Delhi di Nadir Shah ( 1739) e di altri sovrani o capi avventurieri, e per l’inettitudine corrotta dei Moghul che la governarono allora. Trovò riparo presso i nawab di Lucknow, ma seguitando a rimpiangere in un sogno di vita la sua trascorsa esistenza in Delhi, nei suoi aspetti magnifici. Cfr.Saif Mahmood, Beloved Delhi , New Delhi 2018.
[22] Il poeta si riferisce agli abitanti di Lucknow presso i cui sovrani nawabs trovò relativa protezione. Cfr sempre .Saif Mahmood, Beloved Delhi , New Delhi 2018.
[23] Accanto a ogni ghazal è indicato il numero ordinale della loro successione nel Diwan di Mirza Ghalib edito in rete magnificamente da Frances W. Pritchett della Columbia University come A desertfull of roses all’ indirizzo http://www.columbia.edu/itc/mealac/pritchett/00ghalib/index.html#index
[24] I Pari erano un’etnia della Persia, di rara bellezza.
[25]
Variante, più
letterale: “Ma se a te si consegna perché lo liberi, che male c’è?”.
[26] Rekta designa il vernacolo Khariboli di Delhi che è la forma originaria dell’urdu e dell’ hindi. Successivamente mescolatosi con il persiano della corte Moghul, fu preservato come lingua principale della poesia in urdu, distinta dal persiano o ad esso in contrapposizione, come in tali sher , o distici, di Mirza Ghalib.
[27] Variante: “ Lo spasimare non conosce riposo”.
[28] Variante: D’accordo, allora mi considererai,
[29] Jamshid è un famoso re persiano dello Shah-namah, L’ epica dei Re di Firdausi ( 1010). Jamshid possedeva una magica Coppa, l ajām-e jam or jām-e jamshīd, che gli disvelava il mondo intero.
[30]
Variante:
“Come ieri abbiamo ben visto nel nostro discioglierci”
[31]
Variante: “Chi
sarà ancora, come chi sia
ucciso
dal vino -veleno della passione?.”
[32]
Variante: “A
chi volgerà il suo richiamo il coppiere quand’io non ci sarò più?”.
[33] Variante:
“Dappertutto ( Dio) sarebbe stato due o
quattro.