PRIME POESIE

AlI Indice Generale

 

Pallido scudiero di sale

miniato in un convento su di un antico messale,

i salmi del chiericato profanandovi

e le assorte preci degli abati,

tra la polvere di pesanti pagine morte

io sempre vi ho palpitato

di unirmi in amore a un cavaliere,

che cortese fosse d'aspetto

e di maniere,

il mio richiamo a lui elevandogli

come un astore,

intessuto nel vento il mio lamento,

da un millenario incantamento

a una landa d'Asia spenta

incatenato e avvinto,

per sempre per mano di ignoto maestro

sul suo fondo di cenere dipinto

Ma invano rimanendo l'estro ad aspettarne,

amareggiato alfine e stanco

di cavalcare solo nei sogni al fianco

di un audace e bello e folle cavaliere,

per non più desiare ogni baldo messere

alla fonte volli bere delle dame.

                         

 

                                                            I

 

(Pallido scudiero di sale

miniato in un convento

su un antico messale,

tra la polvere di pesanti

pagine morte

i salmi del chiericato

profanando

e le assorte preci

degli abati,

io sempre

vi ho palpitato

di unirmi in amore a un cavaliere

che cortese fosse d'aspetto

e di maniere,

il mio richiamo esalando

come un astore,

nel vento intessuto il mio lamento,

da un millenario incantamento

a una landa d'Asia spenta

incatenato e avvinto,

per mano di ignoto maestro, per sempre

sul suo fondo di cenere dipinto

Ma invano rimanendo l'estro ad aspettarne

amareggiato alfine e stanco

di cavalcare solo nei sogni al fianco

di un audace e bello e folle cavaliere,

per non più desiare ogni baldo messere

alla fonte volli bere delle dame.)

                        

       II

 

Ah se solo un dio m'avesse lievitato (suscitato lievemente)

un gaio stuolo di fanciulle nella mente!

Ma per quanto a lungo mi sia specchiato

nell'acqua fresca e chiara di fontana

per cogliermi in un loro sogno reclinato

sempre specchiarvi vedevo ritto in sella

ribaldo un cavaliere alto e bello...

Ora un fauno son'io silente

che tace la sua voce tra la gente,

alla madre mentendo e a una sorella

amata, che mi è di monito come una fata

a rifuggire simil empia vita,

in gotiche vesti d'angelo

( miniatura) sul messale miniata entro un'ogiva.

Per me ancor piene sono in casa le dispense

e di carne apparecchiate trovo sempre le mense,

anche se povero è mio padre e torva mia madre,

da quando il suo cuore d'angoscia spaura

come uccello presago della tempesta futura.

Qualcosa di grave accadrà, lo sento,

trema l'aria di un presentimento.

Ma armato son solo di fragile lancia:

Ah, se di carta una barca

potessi farmi coi Reali di Francia,

sull'acque inseguendo più lontane età

per obliare nel canto le mie calamità.

                              III

Ma tempo è ancora che del presente mio gramo

m'affanni, fuggendo ogni dolce richiamo,

e pensi a non fare invano

soffrire chi m'ama.

Vogliono i miei vecchi onorata la fama,

e s'affaticano solo a guadagnarsi un'onesta

morte cristiana.

Mia madre (devota) me la vedo devota attorno

per il mio bene affaccendarsi ogni giorno,

il mio genitore per me lavora e mai m'incomoda,

del figlio non sospettano l'appartenenza a Sodoma.

Giorni prospettano

alla loro vecchiaia sereni,

dal mio lavoro il riposo traendo che li meni

infine alla morte lievemente,

le povere loro anime solo

di me contente.

Della loro vecchiaia sono la sola consolazione,

e da me attendono le soddisfazioni

che li ricambino della gramezza presente.

Tra loro ( Tra mio padre e mia madre) può dirsi anche l'amore cosa morta,

che si sia involato a piedi, a cavallo, come, non importa:

parlano ormai del loro amore come di ciarpame,

che ne é più dell'antico legame,

fondamenta costruite sul niente.....

Solo povertà li tiene uniti tra la gente,

la sola poesia che cantino a mia madre

l'ossa stanche di mio padre. 

               

                         IV

 

Povertà di noi ha fatto le sue prede

e nostra casa eletta a sua sede (sua eletta sede ).

Povertà sui nostri crani siede

ed ogni ambizione schiaccia col suo piede:

desiderare si risolve in vano affanno

ed ogni delusa speranze è più di un ( volge in ) danno.*

Povertà con noi si leva, lavora e desina,

con noi lo scudo e il centesimo su tutto lesina.

Povertà il nostro ventre duro

usando incuoiato per tamburo

ci volteggia e piroetta al fianco

coll'arte del saltibanco,

il quale (che) le ossa rischia pur anco

per un tozzo di pane bianco.

Potessi attaccarti vincendo o condizione,

che dalla nascita ci segui e non hai sospensione!

Ma che fare a mio padre accanto,

(uomo arrendevole a ogni pianto?)

uomo d'arrendevole pianto?

                            V 

Mio padre mi vuol bene

e nella sua casa mi tiene,

ma del cuore tace a se stesso le pene,

per paura di soffrire, per debolezza d'umore,

della morte ha gran terrore, rimpiange il vigore

degli anni trascorsi, e così sempre più muore ogni giorno

come una bestia patendo, a stento vivendo,

senza mai le zecche levarsi d'intorno.

Uno stanco bove egli mi pare, che sull'istante si rassicura

non appena un di verde rivede di un'antica pastura,

lui vive così, come un falcone nel vento,

la testa vuota d'ogni più vago intento

se dato non gli viene qualche ammaestramento,

vittima di una sua madre arcigna

che legato lo tiene a un focolare impoverito,

fra gli altri figli già ogni altro bene ripartito,

come un allocco in gabbia, senza un sol baiocco

da lasciarmi in Testamento,

pover'uomo dai propositi di vento.

 

                              VI

 

Mia madre, donna di domestici mestieri,

che sempre ha sofferto senza lottare,

di pochi scudi contentandosi e di poter mangiare,

di tale sua vita vuol farmi nutrire

e tenermi avendomi sempre a servire.

Come uccello notturno che si sazia di fuoco

l'anima mi ha risucchiato a poco a poco

con l'eterna sua presenza

d'ombra che si strugge,

ed ogni volere ribelle inesorabile distrugge

dell'anima mia, che già si adombra e s'impaura

se non la vede al fianco del figlio sicura.

Ma muoia in me ogni filiale rispetto

ed ogni paterno e materno

ed ancestrale affetto,

se inerme io debbo divenir bianco

come un'ombra dissolvendomi al lor fianco!

     

                             VII

Come vorrei esser io brigante

e l'epa infilzare d'un mercante

come mio padre é e fù-

e nella fossa cacciar giù

mio padre con mia madre,

come ogni servile leccapiede

del sire che franchige gli diede,

reali e principini

con gran dame e cavalieri,

chi d'oro ha pieni gran ( i )forzieri 

e le beghine e il chiericato

che le umane menti ha intorbidato.

Voglio io esser uccel di bosco

(e non più bere di mia madre il tosco,)

e non più bere di mia madre il fosco veleno,

un povero scolaro da ogni studio affrancato

che tutte le conosce le oscene canzoni

con le più sporche, più sporche dizioni,

fare al mio culo

di sterco un monumento

come all'artefice che mi sostenta,

nudo quale fiore di campo

d'ogni abito cercar scampo

e sia la pioggia il mio solo lavacro,

il pene il bel simulacro

snudato in vista di ogni piacere,

ed allieti ben esso madama e messere.

Oh, ch'io diventi un gran damerino

e mi inculi chi vuo, per un zecchino!

 

Ma il veleno ho  già addosso

di millenni di pensiero ortodosso!

A che mi è servita ogni lettura

se non a schivare ogni avventura!

Ma nel mio cuore Dio è morto, Satana risorto,

riposi il Cristo in pace e così sia!

Solo ieri del Dio perduto io piangevo:

ora alla sua fine io brindo e bevo!

Accattoni e mendicanti,

barattieri e lestofanti

falsari oppur briganti,

belle mignotte e tracagnotte

del vin vuotiam ognor la botte:

sacro è il nostro mestiere

più non dobbiam rimorsi avere,

la vita cogliamo a piene mani

senza più crucci del domani.

Fresche spose e verginelle timorose

su, far vi dovete ardimentose,

allietatevi ognor gaie brigate,

pensar più non dovete

che non si sa qual giorno poi morrete...

                              VIII

Moriremo, questo è il destino

che tocca al grande ed al piccino,

al villano e al soldatino,

alla dama e al damerino.

Nera morte è in sorte

al gentiluomo e allo strozzino,

all'imbellettato ed al burino,

al sant'uomo e all'assassino.

Morte vien d'inverno come a maggio,

per chi la teme e chi l'oltraggia.

Siede donzella in un campo di grano

tu non ti avvedi e le porgi     la mano.

Ti attende a casa severa

quando più mite si fa sera,

lui crede in un abbraccio l'attenda la moglie

e alla morte invece porge le spoglie.

Vien la morte di sera e di mattina,

veste il saio, il giaco, la trina,

va a piedi ed a cavallo,

accomuna il villano ed il vassallo.

Trionfa su ognuno nera morte,

non distingue classi o ceti,

Soldano accomuna con Tancredi,

non asseconda luminosi destini,

i Papabili uccide ed i Delfini.

Né preferisce i brutti o i belli

o distingue ori da orpelli.

La morte è comune e universale,

la fine d'ogni bene ed ogni male.

Sempre e solo in un canto di dolore

si spegne la vita ed ogni ardore.

 

Morirò, ma morire non voglio disperato

la vita avendo inutilmente dissipato.

Di che fatti siamo se non di vento,

se l'anima esala esce solo un lamento,

come da canne di flauto vuote.

Cospargiamoci di cenere il capo

e sconsacriamoci da Venere e Priapo.

 

                  IX  Ballata dell'età cortese

 Scorre l'acqua fresca e chiara

trasportando seco al piano

gaie dame e cavalieri,

forosette e favorite

con monache sfiorite,

Ronciflore e Biancamano

annegandoli lontano.

Su l'onda lieve scivolando

se ne van insiem danzando

principi e reali e usurpatori,

chi ordì tresche e loschi amori,

Lancillotto dileggiando

con Ginevrà il re Artù,

di Genoveffa insidiando

il drudo Gano la virtù.

 

Chi si nutrì di real pappine

e colletti portò, e nastri e trine,

come chi le carni afflisse

e del cilicio il tormento s'inflisse,

chi di canti e di ballate

allietò gaie brigate,

come chi perseguì agi e onori

nelle sante guerre contro i Mori,

tutti quanti, senza scampo,

va portando la corrente,

Muore il canto, muore l'ardore,

muore il sire e il trobadore,

verso amor de lohn Jauffré,

la guerra e l'armi Bertrand cantando,

lente immagini di sogno

intessute sol di vento,

senza un richiamo, senza un lamento,

a cento a mille nella corrente;

Mio Dio, e andrà con loro a mare

anche questo vostro

empio giullare...

 

                              X

Sconsacriamoci da Venere e Priapo.

Ma come posso al decreto chinare il capo

se il conforto mi è tolto dell'amore infecondo

- che turpe è al sire e al trobadore,

escluso dalla cortese casistica d'amore,

come posso amare ancora un dio senza volto

se non fra le dolci braccia

di garzoncelli a me cari.

Eppure quanto ho cercato Dio

nelle silenziosità dell'anima.

E mi dicevo: quando anch'io vivendo

sarò affilato come il vento,

o le rovine di pace e le pietre di un convento,

ed ogni istanza tacerà della carne e del tempo

greve d'affanni, che urge gli uomini e li induce, nel tempo breve

di vita ch'é a lor dato, a vivere insieme

e a generare il seme

di nuove età

e insieme di nuovi costumi e ambienti,

quando non vorrò più perseguire mondani intenti,

allora sì, Iddio l'avrò nel cuore,

e la gioa sormonterà il dolore,

nella Sua certezza, morte trovando l'affanno

ed ogni tema d'eterno danno.

 

                                 XI

 

Erano già gli anni trascorsi della fanciullezza belli

in cui i rami intrecciando di arboscelli

sospingevo dalle terre di Mago Merlino

navicelle di fragili giunchi a un ignoto destino,

gli occhi ancora intatti per vedere e sognare,

oltre l'immenso respiro del flusso del mare

mondi nuovi e rifioriti degli angioli e dei Santi

di cui mia madre mi insegnava la sera i dolci canti.

Già i primi brividi si mescolavano ai fascinosi incanti

di draghi e sirene da fondali affioranti,

alla vista di (dei) cadaveri di (dei) marinai e di (delle) dissolte orche,

d'oltre i confini della vita e della morte

contro gli scogli a me risospinti dal mare.

Ma io sereno e superbo( orgoglioso) passeggiavo come incorporeo

sugli sfinimenti del sole ed i pallori alborei,

inseguendo di mia madre l'ombra cara ed i contorni,

se ne splendevano gli occhi per fugarvi ogni paura,

come ogni bimbo che nella mamma soltanto s'assicura.

 

                     XII

La mia patria, i suoi eroi esaltavo,

e la fama abbellivo d'imprese d'ogni mio avo,

anche se mai scettro ne infrondò le tombe,

ma solo l'onesta infamia di chi sempre soccombe.

Fu facile, a chi per mezzo soldo mi fu maestro,

nel culto delle fedi farmi crescere maldestro.

In Dio credevo, nella patria ed il sire,

sempre pronto la Chiesa ed il Trono a servire,

come a prestare a un prode Carlomagno devozione

tal quale Rolando a Roncisvalle nella sola convinzione

" I pagani han torto, i cristiani ragione".

Poi crebbi, ed il mio corpo rifiorì

come a primavera il biancospino,

della rugiada più tremulo del primo mattino,

colto ogni volta da strano malore

se un grazioso paggio intravedevo.

Come foglia tremavo allo spirar d'amore

confuso e soffuso di rossore,

allorchè di Dio m'accostavo agli altari

pregandolo dalla mia mente di discacciare ogni giullare

ed i lor salti e i loro agili balli e le membra belle,

e ch'io più non smaniassi

al tintinnio dei campanelli

se (che) al paese annunciavano l'arrivo

 di giocolieri novelli,

nei ludi ignudi

sempre pronti per strada a lazzi rudi.

 

                           XIII

 Il mio corpo nel tempo sempre più maturava,

l'ombra lenta del pube sul ventre calava,

e così presi ad involarmi nei voli

che fa l'uomo per consolarsi, quando si è soli.

Inseguii i primi ebbri pensieri, diedi sfogo ai desideri,

confidando che Dio accordasse le sue leggi

al mio amore così umano per i paggi.

Da lui era venuto, non poteva essere dissoluto,

poi lessi di Sodoma, e che Dio l'aveva per sommo peccato:

"Impia actio, istigatione diabolica"

ne era della chiesa la definizione solita.

Sul capo mi piombò come scomunica,

sull'istante inorridii, piansi, soffrii,

poi in Dio confidai

e delle fanciulle insegui i risi gai.

Ma a nulla mi servì: e conforme al precetto divino

accettai da cristiano il mio destino,

soffocando ogni palpito del cuore

ogni più naturale istinto d'amore.

 

                         XIV

 

Ma gli anni s'annunciavano del malcontento

verso ogni umano ordinamento,

in crisi entravano le scienze, le religioni e l'arte,

come del malessere non essere anch'io parte?

Venni a conoscenza del libero pensiero

che in dispregio ha le superstizioni e il clero,

il linguaggio assunsi di un ribelle giullare

che ha preso il gusto di bestemmiare,

e bestemmiai prima i neri Salmodianti,

che Dio commerciano, Cristo, la Madonna e i Santi,

e poi sulla Chiesa sputai, l'influente cortigiana,

che tutte le batte le corti, la gran puttana,

tutte le usai le blasfemie,

nel volgere di una settimana,

finchè non pronunciai la bestemmia più solenne

e la morte di Dio in me sopravvenne.

Finalmente potevo il corpo consacrar

fin nelle vene a ogni piacevol garzone,

ora che fra i più grandi della storia

avevo saputo chi avesse la stessa mia scoria.

Fu un urlo di trionfo esaltato:

da ogni credulità prendevo commiato.

Non mi sarei più dannato al peccato

ogni volta che un giovinetto l'avessi amato,

per sempre deliziarmi potevo con diletto

delle dolci membra di bei giovinetti,

d'un fanciullo scrutare i moti del cuore

per sapere se corrispondesse

o meno al mio amore.

Presi a spiare i baccellieri

i nudi atleti e gli scudieri,

gli amorosi e i cavalieri(,)

i loro visi tenendo bene impressi,

le abitudini e i modi studiando di quei messi

d'altrove ivi venuti, forse dal suolo asiano

cui relegato m'ero di lontano.

 

                XV Ballata dell'amore di lontano

 

M'innamorai di due giovinetti di lontano

che tuttora insidio invano

quando essi sono al monte

scendendo presto al piano

perché nessuno amore dura

più che amore di lontano,

mentre se solo io m'avvicino

di perderli è solo il mio destino.

 

Eppure soffro che amore mi si neghi,

che dall'ordito del mondo mi si leghi

alla sorte per cui invano

io soffro d'amore di lontano.

 

Se loro son tristi io son ridanciano

perchè il contrasto ci tenga lontano,

se son soavi io son baggiano:

non vengono gli stolti irrisi di lontano?

così amante son'io arcano

per chi amo di lontano

poiché sento che se solo m'avvicino

di perderli é solo il mio destino.

 

Eppure soffro che amore mi si neghi,

che dall'ordito del mondo mi si leghi

alla sorte per cui invano

io soffro d'amore di lontano.

 

Che altro sono se non orpelli

gli ori che brillano di lontano,

dico spesso per consolarmi invano,

quando mi tengo lontano

dal correre al richiamo

del frutto pendulo dal ramo

( il frutto di staccar dal ramo).

Così nei sogni mi consolo di lontano

di quanto amando cerco invano,

perché io sento che se solo mi avvicino

di perderli è solo il mio destino.

Eppure soffro che amore mi si neghi,

che dall'ordito del mondo mi si leghi

alla sorte per cui invano

io soffro d'amore di lontano.                   

 

                        XVI

  Spesso, dopo averne lunghe notti rimpianto

la compagnia ed insieme il bere e il canto,

se soli od in allegre brigate ritrovavo

i due giovinetti, non ne traevo un piacere nuovo,

anzi le più volte mi allontanavo

per rinnovare così fra noi l'amore di lontano.

C'è chi al mio caso relegato

trascorre ogni festa con l'amato,

e cerca sempre nuovi motivi insieme di sollazzo,

ogni occasione di ludi maschi e di lazzo,

la virilità sfidandolo a misurare sugli attributi,

o a rotolarsi nella lotta come bruti,

Altrimenti c'è chi ne riesce al fianco solo lo stolto buffone

che male ne asseconda

la voglia di battone,

se come vergine pudica sé ritraendo

le arti rifugge di Mercurio di Marte,

ai soli giochi mischiandosi

ove oneste sono le carte,

gentiluomini cortesi

ai modi, all'aspetto indifesi,

che pur anco all'odio dell'amato si danno,

per non venirgli a noia,

se li ha presi in sospetto

per qualche cosiddetta mancanza di rispetto,

la polvere essi mordendo pur di saziar la foia

ove li abbia sospinti il troppo amato piede

di quel sorpreso e ritroso, crudele Ganimede.

  

Ma io per mia debolezza, e non per tema di sconcezza,

nutro per i giovinetti di cui sono innamorato

un sentimento ch'è troppo riserbato ( delicato)

perchè di un solo bacio

abbia le loro guancie sfiorato.

L'uno e l'altro baccellieri

aspirano a farsi cavalieri,

biondo al primo la peluria

come le piume di un pulcino,

l'altro di poco più anziano

che forte e pura ha la mano

in ogni amichevole schermaglia.

Ora spesso nella boscaglia

m'invitano a caste effusioni

a dura prova ponendo le mie inclinazioni.

Io i modi aserbando di verginella

come di fronte al cavalier la villanella,

trepidando per l'onore, con loro monto in sella

al cortese invito.

Chi più amo è quello di me

più giovinetto, e spesso mi chiedo s'io non sia solo un inetto

a non tramutare con lui il desio in diletto;

è così bello nell'amore di sé, e tanto fanciullo,

che potrei ben farne il mio trastullo,

tante volte mi istigo.

Ma come abusare del mio bello

se la vita gli ha inferto il triste oltraggio

di privarlo di madre, per cui al padre decano

levandolo, vorrei prenderlo per mano

quel biondo fanciullo penante

( quel biondo pulcino saltellante)

tra le angosce della vita così esitante,

e della mia voce cullargli all'amoroso suono

nella fragile testa i primi sogni d'uomo.

 

                        XVII

 

Il mio amato più cresciuto

da un demone a me ostile è posseduto.

Mi diede spesso le prove di un fraterno amore,

la rude mano passandomi giusto sul cuore,

ma d'un cavallo adombrato ha spesso l'umore,

e d'ogni contrasto serba rancore.

Lui si considera cavaliere ed uom provetto,

e sempre mi tratta come il suo cadetto.

Se solo sapesse come con lui

nei sogni abbia ecceduto

e quanto volte l'asbbia baciato nel mio sol regno

e denudato e fustigato e posseduto

certo di stargli al fianco mi riterrebbe indegno,

mi lascerebbe più grufolare sulle sue spalle,

come maialino aspirando l'aroma delle sue ascelle,

o quando insieme per i boschi densi cavalchiamo

non mi accorderebbe più con ardore

del corpo suo cosi bello

di detergerne con gli afrori il sudore!

Come allora vorrei con gli occhi l'ispido ventre rubargli,

ed atterrarlo, e poi di forza sulle spalle montargli,

ma il mio occhio e il mio cuore altrove si volge pudico

quando non devo considerarlo più solo un amico.

 

                       XVIII

Ma che mai sono questi scherzi del cuore?

Perchè fuggire sempre davanti all'amore?

Egli irride il suo piccolo amico,

mi dice il suo amore particolare,

dalla disperazione facendomi come un cane latrare.

Ed io affidandoli a immaginosi messaggi

a loro rivolgo i più devoti omaggi,

quando più tristi si fanno le ore

le più ingenue e irrise profferte d'amore.

 

             XIX-Profferte d'amore

 

Ah, se tu in me facessi affidamento,

t'ìnfiorerei di baci l'intonso mento,

per te la luna rivestirei d'argento,

la terra incatenerei a un incantamento,

ti canterei le fiabe ebbre (morte) nel vento.

Nel suo sesso t'incanterei come un bambino

perché di giocare sia il tuo solo destino

e con me giocheresti poi sempre a Mago Merlino

le lacrime filtrando nel più buon vino.

Ricuciremo le bave stracciate di vento

e il tempo scivolare faremo su foglia d'argento

perché in sé si specchi e scorra più lento,

e viver ci faccia per altri anni cento e poi cento

dimentico che noi due siamo del mille...

e tanti cento!

E ci porterà il vento lontano nel piano

a danzare folletti su ariste di grano,

inchinandosi le dame al nostro passaggio

come antenne dei fiori al vento di maggio.

(E) Ci porterà il vento lontano sui monti

ove più incaute si specchiano le stelle alle fonti

che stringeremo luminose fra le nostre mani

per i loro pascoli andando vagabondi profani,

per sempre più eterni, più alati, più soli,

più oltre degli uccelli nei voli.

Per te farei parlare( tutte) l'erbe e i fiori,

muterei i sassi in trepidi cuori,

od in cavalieri e reali dell'età feudale

trasformerei all'istante tutti gli animali.

Perchè ti dia sempre nuova gioia,

procurerò che varii sempre la mia Magia

che nome ha Estro e Fantasia.

Un fattucchiere io in virtù di tale Magia

che tutto ciò che tocco, per Amore diventa Poesia.

 

                         XX

 Oh, già capisco

che farebbero a pezzi ogni mio gioco,

e che di motti mi coprirebbero e di lazzi

i due cresciuti ragazzi,

perché i maghi che filtrano i sogni

e si ingraziano i paggi

essi alla gogna li vorrebbero messi.

Fattucchiere, streghe, e quelli come me li dicono Lerci,

e come i Catari, tutti li vorrebbero anzitempo agli Inferi.

Il più cresciuto con Simone Di Monfort nel Sud della FRancia

calare voleva contro gli Albigesi con la sua lancia,

poi in Bulgaria contro Bogomili e Pauliciani marciare

e tutti quanti farli a pezzi o bruciarli vivi.

Spesso alle fonti spaventano e volgono in fuga le villanelle,

sprezzanti ridono di quelle che rimangono e delle puttanelle

le dicono, se per un solo bacio fanno le belle.

E quando così parlano,non lo sanno, ma d'un sol colpo uccidono

tutte le mie speranze, tutte le riposte mie illusioni,

che ad una ad una si spengono con le morte visioni

di notte incantate insieme trascorse

beati a baciarci

sotto i carri dell'Orse..........................

 



 

Scene d'infanzia e della prima adolescenza

 

 

Neve è sui tetti ferma

 

Neve è sui tetti ferma,

distesa sopra i campi intorno,

nella volta il cielo cenerino

turchese al limitare; l'acqua

che gocciola monotona

e fanghigliose fa le vie.

Che antica festa

poi sorpresa

nei bimbi in poliestere

farfallanti,

l'adiaccio adesso

che già vòlitano spettri:

ricordi di torsi

di pupazzi,

di fantasie coi trabiccoli

di slitte, d'ardori di fumanti polente

sui focolari accesi.

Al soglio, che di schiocchi di brocchi

crepita, e sfavilla di falistre, vampe

sui dorati volti, e le favole e i racconti

che in noi calano e non stancano

di chi già incantava

e nella terra fredda

che l'acqua irriga

ora la neve

copre lieve.

Sotto la coltre

a riposare il grano e i morti.

 

 

S'oggi nevica e piove

 

S'oggi nevica e piove

sulle vetrature

fantasmata l'età dell'oro

é nel passeggiere,

già vinto, gorgogliando l'Orco

rantolante nella pentola,

di noi bimbi cristianucci

- chi mocciosetto costipato,

chi crucciato ahi con gli ossiuri,

sgranati gli occhi

vividi accesi sulle fiamme,

alterni Lari verso un nero cielo

per gli arcani della cappa, inquietanti,

evolanti via lontano;

la polenta nel tagliere,

aurea divinità solare,

poi gialla a trionfare di noi bimbi

sui bisticci e le discordie.

Al rosso inferno

dei tizzoni ardenti

il solo gatto affusolato ora

in compagnia dei Mani.

 

 

Per le innevate vie

 

Per le innevate vie,

pure se gli stessi,

delle genti,

sono il fiato nubiforme,

o lo scrollare limaccioso

nella pula delle botteghe,

alla cordialità dal vivo gelo

accalorate,

non c'è più quel candore nel biancore,

lo stupore nei raggelati visi,

non più sotto l'ammanto nell'aere rafferme

le cose del mondo e le parole.

Fracida neve che la pioggia liquea

a disfaldarci in dissolvenze

dipartite falbe parvenze...

 

 

 

Già s'infangano i piedini

 

Già s'infangano

i piedini

nell' opaca mota

del cortile,

specchio rotto

le pozze

a rotto cielo,

gli assi, i calcinacci,

i cartoni, i vecchi stracci,

e le voci bagnate

del creato,

non le umane,

sono l'umido mondo

a me d'intorno

ancora grato;

specie gli uccellini

dimessi e canterini;

e lontano, sereno,

su di me bambino che ancora

incredulo è al suo pianto

l'arcobaleno

che brilla perfetto

dei sussidiari;

di lassù un saluto divino,

un cenno d'intesa a un beniamino

messo a dura prova

in cuore

l'ha il devoto piccolino,

nell'incredibile valle di pianto

di quaggiù,

ancora nuovo

egli e già quanto

penante

umido il ciglio...

 

 

 

Sui bianchi muri calcinati

 

Sui bianchi muri calcinati

e l'edere erranti

esplosa era all'aperto

la solarità d'aprile, sui

verdi fervidi

brillando

degli orti e delle biade,

invaso,

già mi carceravo

al fresco

nella stanza. " I compiti! I compiti!"

mia madre mi grida va a tratti.

Per le vie deserte e polverose

acuta sentivo

poi suonare

sul sagrato la campana.

Nella perdita del sacrificio

urgendo da compiersi,

salvifici,

vgià i doveri più esemplari.

 

 

Alto era il sole

 

Alto era il sole

nell'ora invasa dalle cicale stolte. Fulgevano

gli ori dei campi e i verdi orti,

le corti e le case

e le alte biade,

gli arnesi

e i rottami sparsi

e le merde riarse,

(con) i corpi umani ed animali

intenti al sole.

La luce filtrando dalle persiane

sul suo corpo,

ma il vano chierichetto d'un tempo

nel meriggio

più non era che l'assorto

esiliato alchimista del suo sesso-

-quella mia ricchezza calda

all'avida mia mano

(il) nuovo tramite divino ...

(unico concesso

tramite (munere) divino...)

 

 

Erano giorni solatii e caldi

 

Erano giorni solatii e caldi.

Poi che la madre era partita in tempo,

si concedevano alle masturbazioni estive le solitarie stanze.

Lasciativi i panni, ignudo di stanza

io trascorrevo in stanza,

l'ombra del corpo più vivamente

suscitando

il sesso in erezione ( eccitazione )

a inturgirdirsi,

nello specchio esso riflesso

donde la mia immagine mia lasciva ( donde l'adorata mia immagine lasciva)

mi irretiva e mi sfrenava a liberarmi

con troppo ardore precipite

del vivido seme.

I santini pregati un tempo

trascorso or era poco

consumavo quindi

a ripulirmi il sesso,

e disfogato

con che furore iconoclasta

li stracciasvo.

Del piccol sacrilegio degli dei cattolici

la nuovas divinità dei sensi

già implacabile godendo.

 

 

Ma nell'alba trepida di gridi

 

Ma nell'alba trepida di gridi

ancora lucente e azzurro

al nuotatore parrà il mare.

 

 

Variatio

Ma nell'alba giovane di gridi

................

 

 

Giovinezza

 

 

Lievi stormiscono lontano

 

Lievi stormiscono lontano

ancora verdi i pioppi riarsi.

Miasmi

alita il vento

su morte sabbie,

ove solitario reclino

le mie assolate membra

lungo il fiume.

Oltre il letto desero

del dio fiume

nuove nubi già oscurando

ardente

l'interna solarità febbrile

 

Qui invano ancora

consumantesi

a frinire e a fricare come le cicale.

 

 

Lentamente imbrunisce

 

Lentamente imbrunisce

nuovamente la città,

tra i tetti a scalare

già un quarto di luna

ora spicca nel cielo,

quando (nell') l'aria più dolce

(che) già tempera l'afa,

la vecchia città

nelle brezza soave

quasi assorta e sospesa

Come vi ferve( di nuovo) ora

la gente per le strade,

per il solito senso

simile e diverso

delle solite cose,

nella sera lievitata

vario e identico

spettacolo e vicenda.

Così come insiste di nuovo

l'impulso a ripetere vivendo

con i soliti asti le solite pene,

la solita delusa ricerca

ostinata e vana

del piacere,

nel darsi in studi esangui

di un altro giorno su libri

chino in stanza.

Oh, con te, luce

dileguarmi,

a tanto vano animamento!

 

 

Già finita la salita

 

Già finita la salita, riecco

il fiume mio che appare,

lento e calmo sotto il sole

qui ove sgranda

la sua corsa.

Tra cielo

e sparsi campi

che solenne andare, nel meriggio,

del gran (dio) fiume verso il mare!...

Già sciamano ora per gli argini,

festosi e calorosi,

i cari ragazzi in motoretta;

nell'ora di domenica più viva

a tutti un solo amore

io leggo che li muove

e quanto li inimica

a questo sguardo

se sollecito li cerca,

oh, mia insidia disarmata,

già disperando

in ogni suo invito che li scruta...

Che mio vano ardore

insolatio nella corsa...

Cosdì solo

e contromano

già declino,

nel meriggio,

verso un solito tramonto,

triste esilio

mio di lacrime tra i pioppi...

 

 

 

" Sei un culo o una persona?"

 

"Sei un culo o una persona?"

rilanciandolo per strada

io di passaggio,

vivaci ridendo rumorosi

si scherniscono, all'oltraggio,

i ragazzacci del paese

in compagnia.

Ridono e si vendono,

insieme,

le ragazze corteggiate,

sempre e solo

per loro

quelle fatue

delle fiche...

Animale nel deserto

affondando io per i campi

a desolarmi con la luna...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In Venezia

 

Scalinanti solitari

i ponticelli,

o al pallone

nei campielli

chiassosi

giocanti

contro i muri,

tanti bimbi

vivi intatti

che strano

per Venezia,

d'acque e marmi

cinereo un algido mortuario

nella merla di gennaio,

per le calli ed i campielli

alla caccia d' un an rag

disarmato io transitando

fra i passanti,

tra quanti e quanti

eter a me

d'intorno

soffocanti,  


 

 

 

Fissata già la luna ha l'ancora

 

 

Fissata già la luna ha l'ancora

 

Fissata già la luna ha l'ancora

nel cielo immoto dell'estate,

pallida guida

notturna

al corso in terra

degli amanti.

Infinite

nel chiaro

ora si consumano le stelle,

gli astri

ardenti brame.

( variante: Gli astri ardenti

quali brame.)

Ma il vento,

dalla terra,

più non reca sciabordio di vita

a quest'animalità che

sanguina lontano.

(Vana l'attesa)

Remota s'inabissa nella tacita notte

senza tregua la mia pena.

 

 

A voi salve,

 

In battello, da Portovenere a Lerici.

 

 

(A voi salve,) Salve

tremuli lapislazzuli,

sprizzanti(mi) a me

dal mare

scintillanti,

care gemmule d'onda

rimbalzanti in onda,

con che agile volo etereo

di bimbette lievi,

mie figlie serene

e della spuma marina,

che innanzi alla madre nell'acque

già infrantasi

veloci correte

voi a precipitarvi,

come gentile or'è la grazia

del vostro aereo incedere

danzante,

nel battello,

gli occhi stanchi,

tra gente illusa

a (di) rincorrere

un giorno felice,

per chi esausto

egli era di vivere,

nella luce aliena

di tramonti sublimi

scivolando su

estranei

languidi golfi d'argento.

 

 

Destandoci

 

Destandoci,

se le brame guerriere ora

fanno l'armistizio,

caldi animali buoni,

stretti a se stessi

nel letticciolo amico,

che bello è

lievi nuotare

entro l'azzurro di un nuovo mattino,*

se poi il caravanserraglio

della fantasia s'arresta

é bello, ugualmente,

il concerto discorde

or'ascoltare lontani

che sincronizzano uccellini

motori e motorini,

e sbattere di porte

e rumori familiari,

con intermezzo improvviso d'auto

che non parte,

concertino

sotto le finestre

per sole donne e bambini

vocianti di quest'ora,

per i campi

ora il rumore di fondo dei trattori

un (il) basso continuo di lontano...

 

 

 

Sotto impietrite stelle

 

Sotto impietrite stelle

contro vento farò inesorabile

naufragio, nelle sterili secche risospinto

di quanti vani piccoli

miei amores,

pallide effusioni

rabbrividenti

al solo chiaro di luna

che le sveli...

 

 

Pallente

 

Pallente

lievita la Luna

sui colli astanti.

Al vento

cheta rimormora l'Anima

il suo desiderio.

 

Poi è calma la notte, ad aliare,

alta e fonda

sui lumi umani.

 

Sotto la casta luna

e gli astri ardenti

sempre più vivida, nell'ombra

immota a fervere la brama.

 

 

 

 

 

Oh, se un gruccione io fossi

 

"Oh, se un gruccione io fossi

e svernare potessi, hippyeggiando,

verso l'India in volo e l'Africa

lontana...",  mesto, così sospiravo malinconico,

al piccolo amico intanto sorridendo

a me d'accanto tredicenne,

per quella strada remota con me solo

fra le brume verso sera,

animula freddolosa

quanto devota e confidente

negli occhi sgranati a me rivolta,

essa sola a me cara,

essa sola a me fraterna

per davvero

nel tutto così ostile del paese,

immenso piccolo mio amico

che già baciare volevo appena

appena sul suo viso, e poi strettissimo abbracciare,

quella sua tristezza amica

a me stringendo così forte

che lacrime più calde

ci unissero più insieme. Ma d'altro,

sospirando,

noi a parlare seguitammo,

degli alberi quali broncheoli candenti

tramati strani contro il cielo,

del canto di una quaglia in un pometo,

del campanile e della chiesa ad ergersi,

vigilanti,sui vizi (per le vie

o) nei chiusi interni

illuminati. Scissi e sconsolati,

nella sera più fitta già abbandonandoci( lasciandoci ),

più tristi e dolenti andanti

per le diverse e buie

già ripetute vie.

 

 

O fiore, mio dolce fiore,

 

O fiore, mio dolce fiore,

non vorrei mai essere stato

così crudele.

Oltre i vetri, la nonna discacciata mi vedeva passare

ed io nella sua fredda casa

non volevo mai entrare.

O fiore, mio dolce fiore,

dal fatuo tenue sentore

del vano pianto del mio dolore.

 

 

 

 

Inetto milite solingo

 

Inetto milite solingo

al sostegno d'un muretto

ora riparo.

Quanto poco, per loro,

mi fa troppo diverso e delicato.

Sia conforto a tanto (questo) (quanto) pianto

il dolce grembo della notte.

 

 

Tra peste aiuole dilavate

 

Tra peste aiuole dilavate

di soavi petali una rosea neve

ha il cheto lindore del mio dolore

                                

                                  Udine 1978-79

 

 

Di mezzodì

 

Di mezzodì,

nel campo di San Giovanni e Paolo,

imperscrutandomi silente, cheta trascorre

alle sue cure intenta, ravvivata

l'eterna gente,

tra obliati avelli

agili bimbi giocano a palla

schizzando

lievi d'intralcio

nell'animato intreccio;

oltre il Cavallo, altri loro

corpicini snelli

s'inerpicano in gioco

nel canto spento

di un lampione e di un alberello,

dirimpetto,

nel rio diffusa,

tremola assorta

la mia quieta morte.

 

 

Vieni, mio rinato, mio ritrovato eterno amico

 

 

Vieni, mio rinato, mio ritrovato eterno amico

 

Vieni mio rinato, mio ritrovato eterno amico.

tu unigenito radioso

della vanita cenere dei morti sogni, vieni,

ove si fa l'erba più soffice e lieve, e più teneri al vento

tremano i fiori. Non temere

la mia nera ombra. Ove andremo, i nostri corpi si ameranno

senza toccarsi, ed i nostri occhi, nel confidarsi,

saranno delicati abissi

di pura luce.

Liberi, respirando accanto

come fiori di prato, in sciolte parole

abbandonati.Senti quanto silenzio! Vieni

radioso e lieve! Ridenti andando

a sbocciare insieme. 

 

 

Pur se granitico, non sarà il medesimo

 

Pur se granitico, non sarà il medesimo

lo scoglio

che assale l'onda del mare. O la stessa

l'agave prensile

che curva e plasma ogni vento e nembo.

Così l'uomo

ch'è superstite.

 

 

Oltre la plenitudo dei bagnanti

 

Oltre la plenitudo dei bagnanti

tremola il mare azzurro e calmo.

Di natanti

tesa la vela all'orizzonte

come l'Anima in sé assorta

che resiste.

 

 

Poesie d'amore e d'armi

 

 

Nella notte

 

Nella notte,

oltre i chiari silenzi

della caserma assorta

lieve la luna trascorre

e disvela a tratti

per l'aere sperso

il suo terso incanto,

nella notte

oltre il mio nuovo amico

dolcemente

nella sua branda accanto addormentato,

lieve la luna trascorre

e rischiara a tratti

già nata morta

una speranza vana,

nella quiete insonni

le sentinelle in armi

là su le (sulle) altane,

al chiaro astrale

per le campate

già docili assorti

al posto letto

gli inquieti corpi

in camerata...

mio incantato delirio

nel silenzio intorno

tra fronde e rivi, mormoranti,

sono poi

i fremiti di luce già

della lontana notte

di tenebre vinte

di Maria Egiziaca nel suo deserto...

Come forte,

nella notte,

inestinta

la mia pena...

 

 

Entro la Caserma

 

Entro la Caserma

in camerata

al di là del tricolore

nelle fresche sue inflessioni

di colore

ma il mio dolore ora lo smorza

a luccicare in vista il mare...

 

 

O my dear piantoncino

 

O my dear piantoncino,

tra i dèmoni sergenti

Caron demòni sull'entrata:

nella tua tuta mimetica brutale

che sogno sessuale

e nulla più

in me lievita al rigido

smarrito

tuo saluto militare.

Tu mio angelo col fez,

di tenere fatue luci a me

radioso

in armi finchè indifeso...

 

 

Orchidea recisa

 

Tra il fragore dei marosi

ma (il flusso non schizza

con i flutti)

E') é la mia sorte,

recisa,

in quella vivida testa

d'orchidea reclina,

qui spersa tra salmastri

aspri scogli

in riva a un mare...

 

 

O  * Caro, * bello,

 

O, tu sapessi, quando mi guardi con trepidazione

caro, che grato animale,

in te luce nei tuoi occhi!

Come volano lievi i miei giorni in armi

lieto e triste con te giocando;

con me non vuole mai tante parole

la tua profondità;

raccogliendosi si raccoglie essa tutta

nella tua lievità;

ove si insinua

poi più atroce

la tua precoce desolazione...

E se pur io rido infelice

quando mi sberli

è che (già) oltre il congedo,

la vita di sempre,

senza di te,

già io la penso

che annientamento...

 

 

Come un tempo

 

Come un tempo,

com'io ora vorrei che la Caserma

fosse una prigione perpetua per entrambi,

ove vivere per sempre

con te giocando

al dolce caro gioco della stupidità,

nel vedertici trascorrere nel tuo perpetuo incanto

di che luminoso essere bambino,

lieve adombrandoti d'amore

in ogni tua stoltezza

ed abbandono

- come allorquando nella notte

felpato procedi saltellante

verso stupide tue infamie,

lontano spegnendoti piccino

al pari di Charlot in un suo cine,

o di ritorno dalla libera uscita,

soave Cherubino

stremato d'amore,

cedi di schianto tra le braccia del sonno

ancora rivestito riverso in branda,

nell'orrore

del mio bieco amore, serbandomi

così al tuo fianco,

docile ai tuoi giochi

finché di me stanco, un dolce giorno

tu mi uccida,

trattenendomi tu delicato

un solo lieve istante

tra le tue soavi

e dolci braccia,

tanto io da te vorrei:

ed invece già è tanto

che tu mi sopporti a te d'accanto

a contemplarti nel tuo odio...

 

 

Leccandosi le ferite amare

 

Leccandosi le ferite amare,

solo in un canto contro tutti,

tra di pensa l'amico gentile

a come farsi lupo tra gli altri lupi

- lui bastardo, lui balordo-

Poi infurierà sulle sue delicatezze,

famelico d'atrocità;

e commetterà gli atti più meschini,

perchè si sente, senza più scampo,

fallito un lurido uomo.

Ma nella sua dignità infinita

quel piccolo suo avido mondo

di discomusic

di fumetti

di sadico-pornogiornaletti,

di" ti voglio bene" alla sua Gianna

ovunque scritti,

che universo é per il mio amore

di straziatissimo bambino!

 

 

Sei un obietto

 

" Sei un obietto", lui mi urla,

tra gli altri accorsi come iene,

"si, com'è che si dice, un ... abietto

tu che ti fai sempre le seghe dentro il letto,

frocio di merda..."

Davvero é mio destino

di amare solo chi è così bambino?

Amico caro, io sono, è vero, un abietto,

ma perchè non voglio

che il tuo male che ci unisce.

E forse per questo

più mi odi e più ti amo.

 

 

S'io ti sforzai

 

Mio amico,

s'io ti sforzai a parole con il denaro

fu per darti dono della mia dignità,

non già per poterti comperare.

" Voglio un milione"freddo mi dicevi,

" un milione...". Ebbro di scherno

e di dolore, fisso guardando intanto

un triste punto da noi lontano.

Ed io disperato

stringevo inerte una tua fredda mano.

 

 

 

Il mio amico come lo amo

 

Il mio amico come lo amo

se balordo si fa bambino,

nelle ferite ebbre di che sanguina

il piccolo mondo delle sue brame.

Ed egli pertanto

quale dolente uomo mi odia e schifa.

Ma il mio sguardo per nulla folle

quanto più lo brama

nell'odio implacato del suo potere,

nella triste vergogna con cui si lava

d'ogni trascorsa traccia del nostro bene.

Nel fetido fango in cui mi lascia

da mesi, in silenzio,

lurido gli trascorro accanto.

La gelida sua indifferenza

intessendo la nuda veste

del mio abominio.

Nel giorno che si leva chiaro e sereno

quel suo sguardo che si nega

la mia morte alla natura intera.

 

 

In licenza

 

Luna, gelida luna,

io lo amo

ed è lontano.

E se gli accedo

lui m'odia

perché l'amo.

Per me sempre

è così, luna,

gelida luna...

E' la mia vita, in amore,

solo strazio

e non s'acqueta!

 

 

Ma pure, son'io che vinco sulla tua ferocia

 

Ma pure, son'io che vinco sulla tua ferocia,

se negli occhi tuoi furenti a me rivolti,

calmo ti guardo con immutato amore,

a me contro, come tu esaltato nel delirio

di che laide tue care mete...

 

 

Alla Mortai pesanti sotto la Luna

 

Alla Mortai pesanti sotto la Luna, che

andavi cercando, eh?

in mutandine e camiciola...

Che vale ora piangere l'offesa inferta?

Mendicando scuse vane... Che gridi a fare

tra le campate " abusarono della mia solitudine"?

La curiosità della tua vanità

fu a te fatale.

Volesti farti cosa? Ed ora impietra,

ilare godendo di te stesso

nell'essere stato

così uccellato (ingannato) ( beffato);

eppoi,

lieve sfida con un sorriso

ogni commento sul caso strano.

 

 

Lampeggiante, tra l'armi,

 

Lampeggiante, tra l'armi,

notte inquieta di settembre.

Fosco il cielo

senza luna.

Nei bagliori

tralucendo già gli umori

di una morente nostra età.

 

 

Sia il silenzio del mio canto

 

Sia il silenzio del mio canto.

Io, che del dio che squarcia e infiora

le aperte voragini del Nulla

mi illudevo d'essere scintilla,

sono oramai soltanto la latrina

d'una plebe ch'è immortale.

 

 

                             Dyonisos mis à mort.

 

 

 

Dopo il congedo

 

 

E' la notte dell'ultimo dell'anno

 

E' la notte dell'ultimo dell'anno.

A giorni, allorché i duri termini

avrà scontati

della consegna inflittagli di rigore,

ritornerà, infine per sempre,

dalla sua cara Gianna il mio più caro amico.

Oh, te perduto da me per sempre!

Ma il caro tuo ricordo

di che dolci lacrime

nella notte mi conforta.

Il kerosene che brucia nella stufa.

Il gatto sulla sedia addormentato.

Tra gli studi te sognando

io che m'estinguo nello strazio

dell'affetto ignaro dei miei cari.

 

 

Che vale, tentare a lui ancora

 

Che vale, tentare a lui ancora

messaggi d'amore,

in attesa che la cornetta

il trillo squilli del suo Paradiso.

E' finita,

ora e per sempre nella mia vana vita

più non incontrerò i suoi vivi occhi

-già famelici incupiti

come farsi

a me grati d'affetto rilucenti,

da un altro capo del telefono

o del mondo

più risentirò

di nuovo amica

l'amara voce sua bambina.

Più non ritornerò

nell'implorata cerchia del suo caro bene.

Viafora* è perduto,

perduto da me per sempre!

 

 

Nell'ora, la sua divinità animale

 

Nell'ora, la sua divinità animale

risuola di nuovo scarpe  in un' industria.

Forse, ora più lo strazia e incrudelisce

il chiaro senso della sua minus-vita.

 

 

Ancora ricordo...

 

Ancora ricordo...

Come strinsi il sesso tuo piccino,

dal dolore e la voglia inavidito,

come ti facesti pallido

nel tuo sgomento.

" Non farlo più... Non farlo più..."

balbettavi puntando il dito.

Poi, scese il dolce silenzio della tua comprensione.

Tu mi provocavi e lo sapevi.

Così, ti rigirasti in branda senza far più parola.

Ma già all'alba, era l'altro

tuo silenzio che non lascia scampo.

 

 

Ora che scritta è la cartolina

 

Ora che scritta è la cartolina

vorrei morire*

come muore un fiore.

Reclinando il capo,*

sotto le stelle in dolce attesa.

Sempre più lieve sospirando, finché

soave mi rechi un Zeffiretto

di lontano un suo sospiro.

 

 

Vita mia,

 

Vita mia,

perdonami, mio caro bene,

di quanto a te domandai;

quando nel tuo strazio

da me volevi limpide cose serene. Si che

deluso nella mia brama

ti spalancai feroce, per perturbarti,

la lubrica cloaca del mio vile inferno.

Così, fui uno stupro per la tua cara vita.

Ma tu dimenticami mio dolce bene,

anche per me

sii felice da me lontano.

 

 

Cronaca di un amore

 

 

Tremenda, se in me un'imago tua di nume

 

Tremenda, se in me un'Imago tua di nume

ignuda sorge , come

turbine mi scaraventa e schianta

nel tuo corso, ond'io più non ardo

che di schiumarti ad annientarmi.

O vortice, o vertigine

t'abbattessi a devastarmi,

esanime t'imploro,

" tu non avessi, mio adorato,

le tue delicate lievità.!"

In brividi di cenere morenti

ma quale infinito di bellezza

trascorre nei tuoi occhi

a trasalirmi...

E' la Mania della corrusca Divinità

che in un balenio sfavilla e già

si sfaglia..

sfuma, liquida medusa,

in remote assenze

lontananti.

Nei tuoi pallori

il silenzio che involve gli astri

ora è la Sua eburnea taciturnità.

Ora che più non sei quel dio, tu

o mia vertigine adorata

che sanguina dolcezza...

 

 

Poi che a te son giunto

 

Poi che infine a te son giunto

su foglie d'oro,

irrevocabilili,

le nostre Anime congiunte,

qui e non altrove,

ora, più mai,

dal Niente al Niente io ritorni.

 

 

Eppure vivi del vorace moto

 

Eppure vivi del vorace moto

di non essere che il tuo smembrarti

 

Ond'io consunto ne riardo.

 

 

Per un ora meno trepido

 

Per un ora meno trepido,

tu non struggere, o mio caro,

l'aureo incanto di quest'ora,

che ci vede nel vento a raccostarci,

pur se increduli e tremanti,

insieme e amanti incontro al sole.

 

 

Ritorna, te lontano,

 

Ritorna, te lontano,

vano incanto Primavera.

Se l'uno dell'altro insieme esangui

tu da me dipartito non ritorni.

Che più vale, nel gridio fra i rami,

entro il tenero verde il melo in fiore? Se a me

tra inani lacrime silente, di te

la brama tutto ammorta.

 

 

Poi è il Nulla di Tutto

 

Poi è il Nulla di Tutto.

Se a me non vieni, oltre ogni

margine sfogliato, superstite

più io non sono

che una gola che ti latra.

Non tardare. E

dolce e crudo, tu

entrami carezzandomi,

torturante male mio.

 

 

Di te placato, si fa una calma

 

Di te placato, si fa una calma

ch'è mortale. Nel grigio opaco

gelido il gridio canoro. Le opere d'intorno

il nulla a fervere dell'uomo.

 

 

Le ruote stridono

 

Le ruote stridono

l'asfalto invano,

se non è che il vento

che dissuggella le porte

al mio amore madido

che attende.

 

 

Tra il Tedio e la Mania

 

Tra il Tedio e la Mania,

é alla settima foce,

a te inetta,

che la mia inesistenza

si rivolve. Al vivo sole, la mia morta vita

non più che errastico un immoto andare

nel deserto del tuo essere lontano.

A che tu lo raccolga, a illimpidirsi nel greto

del mio pianto

sua urna cinerea il mio canto.

 

 

Nell'afa torbida di neri nembi

 

Nell'afa torbida di neri nembi

si fa deserto ogni abitato. Curvi,

già al vento oscillando i fari squassati.

Tra le raffiche, nel turbine,

prefiche ululanti le cime degli alberi,

cinereo in un vortice di polvere e sterpi.

Sarà poi la tersa frescura del nostro tormento

l'umida sera che quieta rimormora.

 

 

Che possono più mormorare, d'inconsunto,

 

Che possono più mormorare, d'inconsunto,

le (mie) nostre  labbra esangui sotto le stelle?

Se nient'altro

che l'Inferno è certo se si ama,

o altrimenti è il Tutto

vano splendere.

Che nessun amato può riamarci

se non incrudelendo sulle labbra

del nostro Amore.

Invano a noi supplice

la sua Domanda,

po che solo Chi non esiste

può a lui dare senza chiedergli.

Più nient'altro, d'inconsunto,

invano esalando le (mie) labbra sotto le stelle,

lieve adombrami nel Nulla,

tu o Notte delle Notti.

 

 

 

Anche se gli astri si congiungeranno

 

Anche se gli astri si congiungeranno

ogni esaudimento sarà un mancamento.

Sventurate le trame

dei nostri Amori, se nel compiersi

già ne ordiscono la Fine.

 

 

Fra me ed il mare, che implacato,

 

Fra me ed il mare, che implacato,

rabido biancica lontano,

il mio amore che lo attende

è la mia calma prigionia. Ove

a refoli

mi sibila

il vento

tra le case:

" oh, é invano,

è invano

 che lo attendi..."

 

 

Sotto la luna

 

Sotto la luna

e il cimitero,

ristà sugli scogli

il paese in riva al mare.

Come la vita

nella mia morte.

 

 

Ora che tutto è consumato

 

Ora che tutto é consumato,

più oltre il mare, scintillante,

placido si rifrange sugli scogli.

Poi cade nell'ombra

anche il paese ch'era nel sole.

Torbidandosi

il mare e l'anima fluttuando

nuovi reami di vita e di morte.

                           

                               settembre 1981

 

 

Oltre la notte della mia morte

 

OLtre la notte della mia morte,

trepido calore

s'è effuso in stanza,

ov'egli, già trascorso,

con il suo corpo

mi lasciò il suo amore. Breve arse

vivo fuoco.

Oltre il residuo cinereo lume

già la tenebra che riaffolta.

 

 

Un carico di maiali

 

Un carico di maiali si ferma e stride

  sotto la finestra della nostra stanza.

" E adesso

siamo come quelli", tu mi dici.

Mentr'io che voglio rifarmi

con te animale

invano guardo, lontano,

oltre l'ombra (il nero) che già sale.

 

 

Smettila

 

"Smettila

di ricattare gli altri con la tua debolezza",

mi preghi angosciato per telefono.

" Non commetterlo quel gesto,

te ne prego, perché, credimi,

ti voglio davvero molto bene". Intanto

ch'io resto ad amarti e ad ascoltarti,

mentre di me così ti liberi

con lei.

 

 

Oltre il vacuo rievocandoti

 

Oltre il vacuo rievocandoti,

invano ti reinvoca a disbramarla

l'ardura di che vivo.

Tu la sua fonte e la sua sete.

Oltre ogni abbocco del tuo sesso

fu pur grata tenerezza

pur inesausti riaccostarci.

 

 

Poi nella notte

 

 Poi nella notte

furore che il fango

scagliava agli astri

fu a te inane

il mio gridore,

precipite, vinto,

ora nella mia diuturna

animalità silente.

 

 

Ora che tutto è consumato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sinopie e scarti

 

 

 

 

 

Entro la Caserma

 

Entro la Caserma

in camerata

(al fischio del treno

lungo il litorale

(non è più lontana un'eco

il Congresso Comunista

si rinfocola ora il mio inferno,

aperto e pulito

quel loro viso di Partito

la mia morte civile permanente...)

( Ma) al di là del tricolore

nelle fresche sue inflessioni

di colore

il mio dolore ora  lo smorza

a luccicare in vista il mare...

 

 

 

 

 

 

 

 

Postea

 

 

A voci e passi, furtivi,

 

 A voci e passi, furtivi,

in stanza o per le strade

se trasali

è l'attesa, vana attesa,

felpato di un ritorno,

piangendo dolci labbra, dolci occhi

così belli,

così cari nel mentirti,

se incerti gli stanchi passi

si smarriscono nella consueta via

in quell' anima soltanto

incespicano ancora a una dimora,

ad immolarvisi

a roghi d'amore e di pietà ferventi,

di morte e di dolore

(solo luminoso  quel volto superstite...)

solo luminoso in te quel volto...

O trepide carezze,

avidi atti di abiezione,

ora che si ammorta

chi più vi rammemora e non sanguina!

 

 

Ma anche così

 

Vita che non ha più vita (Cadaveri vivi)

sanguiniamo morte ferite

se palpitiamo. ( rianimiamo)

Se ci fu un tempo,

disperando,

corpi ed anime cercando.

 

 

 

Più non infierire

 

Più non infierire

nel cuore d'altri.

Che i tuoi giorni

almeno siano cenere

d'insfiorati petali di rose.

 

 

Nell'ora che si eterna in te la stasi

 

Nell'ora che si eterna in te la stasi

v'é chi riferve di un'attesa,

v'è chi gode di un suo angelo

nell'ora che in te ricade la rinuncia.

E mentre tanta inedia torna ad infrangerti ( spezzarti)                             (stremarti),  

vi è chi in suo godimento o in una preghiera a un dio

teme una morte che tu solo brami.

 

 

Ora vedi

 

Ora vedi

oltre il selciato che a te brilla:

sono i battenti d'oro della morte

che infissi stanno nel sole.

Tanto miele che ne stilla

lo scolarsi è del tuo sangue.

Di te che formuli ancora a trasfonderti

vani cifrari telefonici

all'altro capo in linea tra le voci tacito

il nero Anubis sul suo trono d'ebano.

 

 

Sera a riardere d'estate

 

Sera a riardere d'estate.

Da golfi di catrame

sartie che salpano oltre le stelle.

Insenzienti uomini inerti. ( ai moli)

Pur se remoti rideclinanti

a eterni sentieri solitari.

 

 

Giovinezza, invano

 

Giovinezza, invano

luce a protrarsi,

fermento nero dei sensi

più ancora ad ammortarli

tra più vividi vivi.

Nella necrosi riprecipitando, sterili i giorni,

avidi ed immobili suicidali,

a occhi e volti, che trepidanti risorgono,

invano sognati come non mai,

all'altra morte nel sole più invano gridando.

 

 

Quando l'ora il silenzio l'ammorta

 

Quando l'ora il silenzio l'ammorta

un velame d'ombre d'anime

è la bruma nei parchi,

in afonie dispentisi

agli sguardi erratici,

cadenti al futuro anteriore

mani nel tempo stellanti rovine,

loro, rimarginati,

che mai non furono dei vivi,

come ad eccedere e spegnersi tanto,

il solo protrarsi, poi,

insepolti tra i nemici viventi,

la memoria dilavatane del sangue

di quando menti attonite agli assalti,

ove s'intenebrano le statue di gloria

al verdertame di conche lustrali

oltre il godere e i rantoli ora ad attingere il fondo.

 

 

E' ogni bellezza solo il principio di ogni tormento

 

E' ogni bellezza solo il principio di ogni tormento,

il deserto il termine di ogni brama.

Un petalo ( di rosa) il residuo bene.

E tu non gualcirla, incauta,

la sua delicatezza che ti sospira.

 

 

Nella nebbia è un sogno di che trepidi

 

Nella nebbia è un sogno di che trepidi.

Se già credulo lo miri,

tu solo lo disfiora

di morte quel tremulo incanto.

 

 

Eppure ti ho richiamato, mio delicato essere,

 

Eppure ti ho richiamato, mio delicato essere,

nel vuoto illimite del mio solo amore.

Che un angelo segni ora il termine

che mi è invalicabile.

Crepitando nella mia estinzione

fiamma che di te divampi solitaria,

se luce non splende ch'entrambi riarda.

 

 

Già nell'attimo, astanti,

 

Già nell'attimo, astanti,

che tremanti ci si porge,

già sgomenti ci ritrae

nei più delicati sguardi

il tremendo che palpita.

Così a te solo assisto

in me dissolto a desiderarti inerte.

 

                                     1983

 

 

E' inutile, ancora di notte,

 

E' inutile, ancora di notte,

ai furori a riattorcersi cadaveri.

La fredda vigoria di un vuoto a insistere

sarà oltre i vetri ad un suo passato

che mira la rosa nel gelo

che stenta a morire.

 

 

Fra le mani cuori che palpitano negli sgolatoi

 

Fra le mani cuori che palpitano negli sgolatoi

pupille fanciulle ove i baci

come farfalle posassero,

ma al tatto fu il brulichio dei vermi

e l'anima corrosa si è incatramata in bende,

per strade di polvere e sole

a un esalare più lieve nel braciere dei giorni,

nelle vene streamantesi l'orbitare degli astri,

eppure è lìinoltrarsi ancora per i laminatoi,

anche questo svenarsi, si,

questo venir meno ad ogni (umano) richiamo,

purché lìacqua riscorra e lìaria rinfreschi,

e a nuova solitudine e roccia

l'onda ripalpiti e sospinga,

qui, febbricitanti,

in ogni fibra riarsa che stenti sul ciglio,

nelle carni uno (lo )stesso fermento

al palpitare di farci putredine e vento.

 

 

Finchè infine s'allenta


 

 

Finché infine s'allenta

 

Nell'ora immota a riardere

finchè infine la morsura s'allenta

al disgusto nel tedio di ogni bene,

nelle morte golene di gromme rafferme

qui lontani, infine,

dagli esseri felici luminosi,

da terracquei paradisi-miraggio,

nel fermento disfatti di carnami infestati

per sempre lontani dai vili esseri-inganno,

quando incarnati insieme, atroci sempre,

ebbri dell'orrore di ogni amore

tesi nella luce del solo dolore.

La sabbia d'intorno arida e scabra

la scabbia che tutto

abrade ed esulcera.

 

                                 1982-83

 

 

I soli incendiano il sangue e la roccia

 

I soli incendiano (infuriano) il sangue e la roccia,

nelle arsioni invocano

la polla le bocche.

Vivide scaturigini di carne

può delirare ancora tanto (questo) fermento,

qiuando non si dà che la sabbia e il sale del mare.

Così l'ardere qui ancora è esalare

quanto di morto è oltre ogni tormento.

 

 

Se al focolare degli autunni

 

Se al focolare degli autunni

con gli dei decrepiti

esanima l'enervarti,

non smottare, a un tedio d'ansie,

che ancora è calda cinigia.

Se la brace risuscita,

conosci già il tuo attorcerti,

le satrapie di sangue

che levano al cielo

le fiamme del cuore reviviscenti.

Nel disfarti

non temere, il fuoco dispentosi,

ombre e solitudini che incubano.

Fra le pareti fumide dei Lari

seguita ancora a calcinarti,

finchè al braciere degli inferi

esali la tua sola mondiglia.

Solo allora

a schiudere al vento il tuo destino.

 

 

Neoclassiche


 

 

Mentre il servo nella sera gli accorda la cetra

 

Mentre il servo nella sera gli accorda la cetra,

oltre gli orti Roma dòmita nella sua lussuria,

Nerone s'interroga chi egli sia:

" Io sono di certo le falangi nell'Estremo Oriente

che a colpi di scure squartano i nati dei vinti.

Ogni Leda e Pasifae della storia.

E se è il figlio che sventra la madre

io di certo non sono l'assassino

che poi sia rimorso da tale sua vittima

(vinto dal pianto di tale sua vittima)".

 

 

Così medita in Lampsaco sulla sua natura

 

Così medita in lampsaco sulla sua natura

chi a differenza di Stratone di Sardi

resterà un perduto poeta della Corona:

" in ogni mito d'eroe v'e una donna

che l'eroe tradisce od abbandoba.

Arianna, Medea, Deianira..

Come tremenda, inesorata,

di quella donna è la vendetta....

E in quanti miti l'eroe,

prima o poi,

viene meno alle donne

e si fa amante d'uomini:

Orfeo senza più Euridice...

Come più ancora tremenda

delle donne evase è la vendetta.

Se di me ora ride tutta l'agorà

è perchè invece

io sono lo sconcio di ogni mito

( é perché invece io sono lo sconcio di ogni mito):

il vano amante d'uomini

ch'è una invendicata donna abbandonata".

 

 

Sotto il lieve premere del piede

 

Sotto il lieve premere del piede, mentre

la valva scivola tra i flutti,

una Carite la Dea d'un velo avvolge

di fiori e boccioli trapunto,

innanzi il lido live tocchi

da Borea sospinta al lieto approdo.

Ora Afrodite luminosa

l'altre Cariti saluta, l'erbe e i fiori

saluta e gli animali,

con l'aure ardenti del suo cielo

rifluenti asl suo cospetto.

E quando in cielo fulgono le stelle

ed aromi nell'aere bruciano di zaffiro,

fra prati e boschi trascorrendo

il Sogno effonde e la Malinconia soave.

Così, da immemore tempo, rinasce Amore a ignoti lidi.

 

 

Le acque cantano nelle golene

 

Le acque cantano nelle golene,

il Suo pugno con le folgori è nel nembo che avanza,

lucidi platani tra il sole

e le nubi rinascono,

madidi a brividi di luce ed ombra

in un gridio di fronde vergini nel vento

disvelatisi fra i campi con le Ninfe i Pan...

 

Sui pioppi che tremano astanti

il rombo di piombo che rotola lontano.

Nel limpido silenzio

ora tra i cieli e i campi

i balenii nel vento di uomini e dei.

 

 

E' l'ora che decrepita le meridiane

 

E' l'ora che decrepita le meridiane.

Nell'arco dell'orizzonte

un crepitio precipite che vi riferve e brulica...

Ma se anneri il quadrante

Il Sagittario in controcampo riuniti i capi

scoccata ha una frecia ferma in eterno,

 

fra gli agitantisi vivi,

nel cuore di morte della LUce

calcinate Menadi nel Sole.

                                   1983

Alla Pagina D’ingresso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oltre le sirti

 

 

Oltre le sirti e i golfi lapidici

 

Oltre le sirti e i golfi lapidici

ove non è più brezza di vita

che il mare abbrivii,

ombre d'ombre siamo fra antiche pietraie. Al limitare

ove arde un deserto infinito

nella luce totale. E la notte

é un'ombra nuda sotto le stelle.

Gli esodi e le transumanze

risolcando lontane

carovaniere. Non più la vita nel vento che le voci remote

di ladri di tombe e d'assassini,

le sole serpi

che fischiando s'annidano

in orbite vuote;

ancora torcentisi, implacate,

due mani mozze

gettate di corsa.

Ogni notte

la falce della Luna in un cielo di zaffiro

vi risorge nel silenzio d'inerti forme.

E il giorno é turbine

d'arida sabbia. Se cessa,

ove equorei brillano solo i fatati miraggi

di colombe e farfalle tra minareti.

Fra lievi acque che cantano in oasi d'ombra.

In tanta rena di vane visioni

eppure persistono le spore dischiuse

Mentre il vento che reca le voci di fonti

è il vortice della morte degli astri.

           (che fa polvere gli astri).

 

 

Il cielo che gravita converso in acqua

 

Il cielo che gravita converso in acqua.

Nelle tenebre insostenibile

il calice in frantumi

sopra la tavola. Entro un intarsio nelle Menti

la figura ad irricomporsi dell'Unicorno,

il gioco della chiave oramai smarrito

nella successione vana dei tentativi.

Soffermatasi la pioggia,

quando un'irruzione trascorre

nel verde tra l'umido che gocciola.

Entro la gola

un grido rabido che sale...

Dalla favilla

riscaturendo dall'ombra a perimetrare lo sguardo

il grigio opaco scalfito degli ammattonati.

Finch'é il ritorno del feed-back.

Sulla modulazione di frequenza inalterata

Otello chiede a Desdemona un altro bacio ancora.

E se rimoduli

è don José che riassassina Carmen adorata.

 

 

 

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