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diario

 
 

 

 

 

 

Lettera alla Gazzetta

 

Andando anche oltre le aspettative di mero lucro che gli avranno pur fatto da levatrice, nella sua gestazione organizzativa di cui sono all' oscuro, lo confesso, è innegabile che il festivaletteratura di Mantova sia esploso in un accadimento culturale di innegabile primaria grandezza, per ammissione ( che è) d'obbligo anche per chi, come me stesso, vi era renitente anima e corpo, per il non infondato sospetto che la letteratura, l' oggetto in questione, vi dovesse restare ad aleggiare come un presupposto cartaceo di improvvisazioni mediatiche, i fatidici 106 eventi in programma, esclusi dalla mia diffidenza i soli laboratori di scrittura per bambini; ossia per il timore, quantomai fondato,  che l' universo dei testi letterari vi dovesse essere posto , e avere posto, solo come pre-testo di discorsi o di che altro, di evenemenziale, quantomai effimero e psicolabile, improntato e remunerato, dagli spettatori paganti, così come veniva in mente, all' istante, in scrittori e cantartisti divenuti affabulatori istantanei, quali gli ospiti o le presenze fisse di " Come quelli che il calcio" o di un "Maurizio Costanzo show", senza che in alcunchè di scritto, - e perchè ancora?- o di una qualsiasi traccia, fosse loro richiesta la preparazione e la premeditazione, se non già la revisione interminabile, - il lavorio che dovrebbe sovrintendere per i medesimi all'opera perfetta nell' officina letteraria,- di modo che, in offerta a modici prezzi per la compiacenza di un  pubblico finalmente conquistato a plaudere a a onorare ciò che pur sempre avrebbe seguitato a non leggere, paventavo che letterati,  e artisti vari, finalmente se erano per questo finalmente commissionati con grande successo, non avessero a differenziarsi da come si allestisce la spettacolarizzazione e la rappresentazione del mondo radiotelevisiva e di tanta pubblicistica tele-giornalistica, usa e getta nel calderone della ridda degli interessi in fermento.

Con l'esito fatale, e calamitoso, che anziché approssimare il pubblico a ciò per cui la letteratura è o dovrebbe essere altro, in forma e sostanza,- nella esperienza di verità e nella sua rappresentazione del mondo, nei tempi di levitazione e di crescita dell' opera, come e quanto nell' etica di vita che sottende nei suoi artefici e devoti,- da ciò che è opinionistica e pubblicistica pratico-polemica, secondo i criteri di mera convenienza dell' integralismo dominante in Occidente della politica- spettacolo , per quanto tale universo di pagine scritte divulghi e propini ciò che in effetti muove gli animi della gente, e non è poco, ahimè, si accreditasse piuttosto invece l'idea che non fa differenza tra letteratura e media, tra l' arte che profonde un cuoco fra i fornelli, uno stilista nell' abbozzare un vestito, che so, tra il talento nei sorbetti di un "gelartista",  e l' arte ch' è la rivelazione invece vitale di un poeta o di un romanziere effettivo, che la diversità, in definitiva, sia solo di quel che si impasta e si imbastisca per la clientela di consumo, parole e suoni anzichè lievito e farina o filati e tessuti, su prestampati o ricette riciclate,- frutto, il tutto, di occasionalità, o casualità d' ispirazione, di maitres à penser indaffarati a rispettare i tempi di consegna quali cuochi maestri, nell' aggiunta felice del timo o del sintagma o della variante nei revers, qualora, malauguratamente, gli uditori paganti avessero dovuto vedere quest'ultimi, i letterati invitati, improvvisare incontri reciproci e con il pubblico senza supporti nemmeno di testi o scalette, così, alla carlona, come non si registrano nemmeno i talkshows televisivi della quarta rete della Mediaset, e così come, nelle patrie scuole, nessun insegnante è più tenuto impunemente ad entrare in classe per stipendi famelici, che tanto loro sono le misere truppe cammellate,  rispetto agli alti vertici gerarchici della carta stampata e delle emittenze in onda.

Sintesi delle parti seguenti - (Traendo ora le somme e le conclusioni, forse che l' esito del festivaletteratura è stato fausto) Se l'esito del festivaletteratura fosse stato fausto perchè si è evitato per lo più tale sconcio , peggio, ? Così fosse stato, non mi sarei diffuso tanto su ciò che presumevo che si verificasse ed è di fatto  avvenuto, in tutta una serie di eventi sventurati, piuttosto piuttosto è stato tutto sommato un felice evento perchè tale suo preventivato succedere é stato riscattato, piuttosto, dalla felicità, per grandezza di ingegno, delle performances di scrittori e polemisti di valore assoluto quali Yeoshua o Galeano.

Ne sortisce pertanto al postutto la mia modesta proposta, solo riformistica, di una riproposizione del festival non più per soli eventi, ma insieme per atti ed eventi, gli uni presupposti agli altri, onde garantire, con la continuità della manifestazione,  un minimo di riuscita e di rimanenza attestata e che sia di tramando; in virtù di per atti costituiti, che so, di analisi e campionature critiche, sia pur brevi e succinte, offerte all' ascolto, e su cui verta di scritto ed allegato il discutere, nel raffronto tra autori e un pubblico di lettori e apprendisti scrittori, inevitabilmente sulla esemplarità rappresentativa dei modelli testuali esemplificati, sul mestiere, e i modi e i mezzi e la materia prima, sull' dell' arte pur sempre dilemmatica di vivere e/o di scrivere.

 

 

 

                    

 

 

20/9/97

 

Ho cercato, in questi giorni, di divagarmi nella bellezza di un mio nuovo allievo o nel trasporto d'affetto per un altro che ho lasciato[1], ma l' insistenza della mente torna ancora e sempre a lui, senza darsi pace se non gli si ricongiunge.

 

 

23 settembre

 

Per due volte lo sguardo è intercorso fra noi, quando dopo due settimane ch'era assente ho intravisto alla cassa quel giovane e lui mi ha fissato.

"Arrivederci...", nel consegnarmi i soldi mi ha detto d'intesa guatandomi fissandomi intenso.

E' davvero molto bello, nella sua capigliatura bionda, in quei suoi occhi verdi azzurri, nella tenebrosità seria e riguardosa dei suoi lineamenti.

Con lui è tutto diversamente, altrimenti difficile che con il giovane pittore: l' altro mi è irraggiungibile, non so dove trovarlo nel suo pur piccolo paese, quando invece questi posso rivederlo a poca distanza appena io voglia, negli orari di apertura, solo basta che scenda al supermarket, pienamente giustificato dalla necessità, anche più volte al giorno, di acquistare questo o quel prodotto domestico.

Ma siamo sotto gli occhi di un pubblico quando ci rivediamo alla cassa, è allora impossibile ogni nostra esplicitazione manifestazione diretta; ed il ricorso a qualsiasi sotterfugio d'intesa, o , ogni espediente palese, come il trasmettergli appallottolato coi i soldi il mio recapito, oppure l' attenderlo al termine negli immediati paraggi, temo ( è mio timore) che degradi per entrambi ai suoi occhi la nostra attrazione, ( che)la renda insulsa, che e facilitandola, smaccatamente, la degradi a una vicenda d'appendice, ed agevolandola ( e facilitandola) che le tolga banalizzi togliendole ogni intensità sensuale, qual'è quella che ieri ci ha emozionati tanto, allorchè quando siamo rimasti colti di sorpresa l'uno dall' altro, nell' impedimento che ci tratteneva e ci appassionava faceva propendere l' uno verso l'altro solo clandestinamente  segretamente.

A casa, di rientro, ero stordito dal fantasticare, dalla anticipazione immaginativa dell' avventarci reciproco, dei suoi genitali e della sua inseminazione in bocca... dalla consumazione di tutto ciò che di lubrico potessi sollecitare da lui, traendone un piacere che avvertivo che sarebbe venuto meno del tutto, insipidendosi, qualora il godimento fosse stato riuscito preventivato da un concerto d' intesa, fosse stato (atteso) quale l'esito di in un incontro cui ci fossimo mentalmente predisposti a lungo, e non sussistesse ci fosse un imprevisto, o più alcun un impedimento, che ci trattenesse/ga trattiene e che cade a provocarlo esasperandoci ci esasperi e provocasse provochi .

Quando oggi l' ho rivisto, e il nostro sguardo si è cercato e si è incrociato, ho creduto di avvertire avvertito che i suoi timori e le sue cautele siano sono i miei stessi timori e le mie identiche cautele, nel fissarci all' atto della resa del resto, come ogni volta,  ma più che mai quantomai fugacemente. 

 

 

Paralisi

 

Mia madre, ieri sera al telefono,  al pensiero di mio padre si è commossa di una mia afflizione che era solo sua, quando mi ha detto che ora sa reggere il suo nuovo stato, ora è più forte lo sconforto.

Io intanto non avevo, e non ho più la testa, che per la mia irrimediabile impotenza nel tentare di rapportarmi al giovane del supermarket, per il mio terrore inerme di volgarizzare ogni cosa, di rovinare tutto con la minima intrapredenza, - per cui la sua accessibilità mi è una ragione per differire, per rinviare il contatto, intanto che quando temevo già oggi di non essere più per lui quello che per lui ero ancora ieri, che il suo " buonasera" composto che mi aveva appena rivolto, anzichè l' arrivederci ansioso dell' altro giorno, significasse già un suo distanziarsi irrevocabile dalla mia rinvenuta anzianità d'aspetto, il suo formalizzare il nostro relazionarci su una sintonia esteriore di natura non più sessuale  .

E mi intimidisce e mi toglie ogni espansività cordiale la sua serietà indeffettibile, raffreddandomi nei suoi riguardi al  tempo stesso che quando la voglia sessuale di averlo viene invece divenendo intensità di sentimento e riguardo verso di lui, certezza della profondità e della solidità di rapporti che tra noi potrebbe intercorrere, nonostante la differenza tra il mio stato intellettuale ed il suo, che mi ha fatto diffidare talmente delle mie intenzioni nei suoi riguardi.

E' la ragione della mia mia disperazione attuale aìin corso l' la mia inettutudine paralizzante che ne consegue, la mia incapacità, manifestatasi anche stasera, di cogliere l' occasione nell' attimo che si offre, per il suo ciuffo il demone del kairos che se ne fuggiva nel vento, nella sua immagine scolpita che ho visto nel museo di Ragusa, lì, alla chiusura del supermarket, senza più alcun altro che lui alla cassa, affidandomi al bigliettino che vi lasciavo alla cassa con la lista dei prodotti occorrenti, e in cui avevo trascritto nome e cognome ed indirizzo, che chissà tra quali rifiuti cartacei è finito disperso, quando c'era l'opportunità di rivolgere al giovane uomo la parola, di parlargli direttamente una prima volta personalmente!   

 

 

La domenica, più che ogni altro giorno

 

E quand' anche sia pure l' anelito per quel giovane, che si è professato pittore, fosse solo un mio infatuamento carnale, quand'anche io non consista più che in un pesce esanime che boccheggia a riva, abboccato all' amo senza più esca dei suoi genitali perduti del suo cazzo perduto, ora che dispero di dove e quando possa mai ancora rivederlo, ed anche se riavvenisse, di che cosa possa più sussistere esserci tra di noi, che non sia  estraneamento insostenibile fastidio e disagio, eppure  quand'anche così sia, non v' è stata finora più domenica o giorno libero, e solatio, di quest' estate che non ha più fine, in cui che lui non sia stato il magnete irraggiungibile del mio erratico disperdermi, la mancanza che mi rendeva incapace di accingermi ad alcunchè di reale, per la quale ricadevo o  restavo che mi faceva ricadere o restare in stato confusionale, ed accusavo accusare ogni male come la mia fine tumorale, l' assenza, che anche alle ore più impossibili, ha seguitato a farmi uscire per strada a ricercarne il volto che vagheggiavo tra i tanti, a tentare di distogliermi da lui, nei lineamenti più turpi in cui ricercavo il degrado dei suoi.

Anche domenica, in quella sagra del paese lungo i cui litorali fluviali dove ci siamo presi ed eiaculato irrumati in bocca abboccati, dopo avere fatto ritorno alla radura dove è avvenuto tutto, poi tra la folla accorsa agli schioccatori o a un piatto in piazza di maccheroni con carne di anitra, l' animale di cui era e si faceva la festa, ero tra nessuno senza di lui, tra quella ruralità agricola entro cui ricercavo invano la sua incarnazione degradata, una sua origine infima quand'anche mi disossessioonasse di lui.  me ne disossessionasse. (!)

Il vino, con i maccheroni, che mi conferiva un pò di ebbrezza, e mi incantava a indugiare nella via adiacente , ove nel succedersi sull' uno e l'altro lato del municipo garibaldiniano e mazziniano nell' impronta delle lapidi, della caserma modernista e fascista e delle case ove ebbero i natali la prosopea e la lotta di capipolo socialisti, i Ferri e i Dugoni di residua fama, l' intera storia dell' Italia unita sembrava civilmente allineata e fronteggiarsi, quietatisi i tumulti, in sobrietà stagionata di timpani e di marcapiani e di torri della milizia, di insegne di locande e di aperture sotto i portici di sportelli di banche tra le marmoree lapidi.

Il flirt con il commesso, che frattanto, si è freddato freddatosi nelle inevitabili schermaglie che attivano in astio le reazioni di difesa.

Almeno il mio bel canarino diletto ha ripreso anche a cantare, più incantevole che mai, nel suo scrutarsi intorno alla nicchia della mangiatoia.

Oggi in classe, tenevo tra le mani il foglio mortuario ov' era l' annuncio del decesso di mio padre, due mesi fa, a esemplificare agli allievi di seconda che cosa sia un eufemismo, nell' annuncio che il defunto era immancabilmente " mancato all' affetto dei suoi cari".

Ma ho avvertito ripulsa, e mi sono astenuto dal farlo, quando mi sono detto che avrei potuto dire a loro che così stereotipato come gli altri, su quel foglio figurava l' annuncio del decesso di mio padre.

in quell' aula Vi avevo appena contenuto il mio furore costernato, per il fatto che uno di loro, ed io so chi, mi avesse sottratto nella consapevolezza generale la copia della loro Antologia che non è più edita.

Ma quando quell' allievo così bello e partecipe, e a me caro, mi ha detto che era del paese stesso dove mio padre e mia madre si erano divertiti tanto quando ci siamo andati insieme, a visitare in una magnifica giornata di maggio la corte rurale di Baldassarre Castiglioni, io ho colto l' occasione ed ho profittato del fatto che ne tengo sempre con me le fotografie, per mostrargli come vi sono stato felice con mio padre e mia madre, tacendogli ( del)la morte di mio padre.

Avrei voluto, e vorrei uno di questi giorni, invitarlo a raggiungermi in sala insegnanti, e mostrargli la ragione per cui ho un affetto familiare così intenso per la sua località di origine: vedrebbe, allora, ad un riscontro delle pareti di fondo dietro il volto di mio padre, che la fotografia in cui ve lo colsi estasiato di gioia riunito a mia madre, è la stessa che purtroppo figura nell' immagine che ne è divenuta sulla locandina l' istantanea mortuaria, la stessa che è sulla sua lapide e che campeggia ingrandita nella camera da letto di mia madre.          

 

 

Interminabile

 

Anche questa domenica d' ottobre ho svasato in bicicletta in mancanza di lui, muovendomi troppo tardi e con troppo scoramento per raggiugere le contrade dove lui abita, prima che il maltempo che s'annuncia in arrivo dall' Europa centro orientale raffreddi il clima e ponga termine all' estate residua.

Così ho divagato verso le vie di campagna alla periferia della  mia città, tra i sobborghi di un incivilito benessere che non abbisogna più di cultura, quando ciò che importa è il flusso generale che sopravanza, e gli individui non sussistono più che per affermarsi e dimenticare e venir meno, in cerca di ville patrizie divenute industrie agricole o sale di banchetti nuziali, nell' afa e la luce opaca di un' estate che sopravviveva a se stessa, tra le foglie caduche, da platani e pioppi,  nel verde di nuovi ammanti d'erba nei prati dei declivi circostanti, smaglianti della luce radente all' incresparli del vento,  al decorso di un' estate fittizia che è un autunno già in atto, posticipato,  incipiente, siccome senza LUI, disincarnata,  la mia interminabile vita disincarnata è un'interminabile morte.

Per quegli ignoti percorsi d'antiche ville, tra nobili piante, bastava il minimo sopraelevarsi del terreno agricolo sugli avallamenti fluviali, perchè la distesa dei campi verdeggiasse sottostante a perdita d'occhio, confermando le antiche carte che parlavano di divallamenti in di piane ove si stanziarono gli di Ungheri assedianti, di alture  rivierasche che orlavano appena oltre i laghi in cui il fiume si dilarga intorno alla mia città, sulle cui prominenze  terminavo di aggirarmi, in cerca dei terrapieni o dei rialzi che vi indicassero i camminamenti o i profili residui di antiche fortificazioni, dopo che avevo tentato cercato invano più a riva possibilità di incontri con uomini, finendo ove il sentiero si perdeva e finiva , tra le varici d'acqua, in rifiuti e reticolati e passatoie arrugginite di discariche industriali.

Ero così, di nuovo, restituito alla folla ed alla mia solitudine libraria. Ai canarini al rivedermi che si ravvivavano in gabbia.    

 

 

L' insostenibile giorno

 

16 0ttobre 1997: oggi è avvenuto e sono qui a esprimere il mio sopravviverne allo schianto, di ciò che ancora domenica, quando lo ritenevo un evento fugato, o rinviato nel tempo, mi era l' insostenibile che mi rendeva cara la morte , per imminenente che fosse, se il suo sopraggiungere mi avesse evitato di assistere  a quanto oggi è stato: è morto ch' erano le due del pomeriggio il mio Bibo, il piccolo sole della mia vita, il mio angiolino che mi era la grazia e il conforto e l' incanto superstite nel suo canto, il piccolo compagno della mia solitudine la cui adorazione trepidante e timorosa della sua piccolezza animale, eppure che mi sanava le lacrime e il dolore infertomi dalla brutalità dei simili, nel vegliarlo o adorarlo o accudirlo nella sua innocenza volatile.

Ora il suo corpicino stecchito sta è ad irrigidirsi nel congelatore, ove l' ho riposto in un  sacchetto di cellophane, in attesa di trovare un imbalsamatore che lo preservi perchè al più presto sia sepolto con me.

Quando sono rientrato dalla casa dell' allevatore in cui mi è spirato nella mano, chiudendo gli occhi e reclinando il capino in un altro suo sonno ch'era per lui l' ultimo e definitivo, accorsovi con l'autobus quando dopo lo scuola l' ho ritrovato al fondo della gabbia senza più forze ed alcuna voglia di alcun cibo, io oltremodo disgustato, lungo il rientro, di ogni mia teatralità scenica che intendesse confidarsi nel mio dolore ai miei simili,  l'esserino adorato, come avevo infinite volte anticipato con angoscia e voluttà, l' esserino adorato eccolo lì ora al mio fianco morto, sul mio letto, senza più vita, e reattività di difesa, che lo sottraesse ora al mio solo possesso della sua irrimediabile perdita, eccolo ora morto al mio fianco, sul mio letto, il mio sposino- uccellino che piangevo a dirotto, e baciavo e strabaciavo, nel suo corpicino di piume odoroso oltre la morte del più soave profumo.

Come infinite volte avevo anticipato con angoscia e voluttà che non fosse vero...

Poi lo strazio del risolversi di ogni mio interrogarmi sulle ragioni della sua morte, nella sulla certezza colpevole che è morto a soli tre anni di vita, il più luminoso e bello degli uccellini del mondo, perchè io sono stato io sono il suo padrone, perchè egli è finito ed è stato affidato alle nelle mie mani incapaci.

Oh, nelle tue piume, e nel tuo piccolo cadavere, mio principino brinato nelle piume e nel tuo cadavere di ogni vano regno terreno: avessi io solo un briciolo in fede in altro che nel conforto di annientarmi come te, di finire nello schifo della decomposizione di quanto mi è stato più caro, di non essere più niente come te, come mio padre, per poterti intonare stasera come al più nobile dei principi caduti:

" Buonanotte, / dolce uccellino, e possa un volo d'angeli/ condurti altrove al tuo riposo!"

Ahimè, a inconsolabile seguito dei dopo i versi che non voglio, non riesco ad intendere, che anche nella caduta del passero(,) presumono vi sia una provvidenza particolare.

O forse l' atrocità maggiore è che non mi sono spezzato, che ho sostenuto, che sono state (fin)anche troppo capace di resistere e di rendere conto.

Per quel che è La vita che seguita, in cui si rimane coinvolti invischiati, stasera, nel vuoto affranto di queste stanze in cui lui più non vive, è l'attenermi alla è la dieta che persevera e al riso con la lattuga che nonostantetutto mi sono prefissato di cucinarmi come ieri sera avevo già in mente per oggi, quando anche ieri sera mi sono diviso tra i preparativi della mia cena e del suo pasto per stamane oggi, la sola mela e la miscela di grani in  mattinata, per predisporgli di nuovo la carota e il pastoncino nel primo pomeriggio...

Dopo che quando la settimana scorsa era ritornato al canto, benchè ieri mi avesse lasciato esterrefatto che non facesse altro che sonnecchiare e cibarsi sempre di meno, - ma era già successo una diecina di giorni or sono e si era ripreso-, talmente tanto non credevo affatto che fosse prossimo a morire, che per grattugiargli meglio le carote ieri sera avevo appena ho acquistato un nuovo trituratore di ortaggi, che oggi, poi non sono stato capace di maneggiare al rientro da scuola, come ho cercato sgomento di rimediare un' ultima pietanza che resuscitasse l'appetito al mio uccellino al fondo, riponendolo/la, il trito di carote, insieme al pastoncino all' uovo nel posatoio sul quale invano l' ho appoggiato (,) l' animaletto languente, sempre più disperato invano ricollocandolo quindi con il cibo nel fondo della gabbia da cui non riusciva più a spiccare al volo, senza che ce la facessi riuscissi più a connettere che a stento, pensieri e gesti, dopo che presolo in mano senza più alcuna sua resistenza capace, ho sentito e inteso la sua morte, nello sterno che con la sua ossatura al tatto era lì ancora a fior di pelle, al tatto, nonostante tutto quanto, vorace, l'uccellino per mesi e mesi aveva mangiato di quanto gli predisponevo.

Se il sentire, l'amare e l'adorare ha un senso, se ha un senso cui serbarmi fedele che come ancora domenica, senza più presagirlo imminente, cingessi/vo le gabbie dei miei uccellini quale il bene superstite e irrinunciabile della mia vita, - dicendoli i miei piccolini, i miei adorati, i miei tatini, a lui parlandoavo come al mio fratellino e amorosino e bambino diletto, non c' è davvero più altro che possa o debba più scrivere.

Resta adesso solo da iniziare a scalare. La resa ultima e con la consegna ultima.

La consegna ultima dei miei resti e dei miei scritti.

Non resta Resta soltanto che da rivedere per la consegna.  

 

 

Ora. Versione ultima

 

Venerdì 17 ottobre

 

 

Quali e quante offese e privazioni, ho potuto reggere in virtù soltanto del suo canto e della sua grazia.

 

Tre soli anni, tre soli anni di vita, gli hanno concesso le mie cure.

 

Poverino l'amorino mio.

 

Il velo di tulle che riponevo stamane intorno alla sua gabbia, il velo di nozze tra me e lui, caro il mio sposino segreto.

 

Che felicità oramai non ho più che da rimpiangere, perduta per sempre senza più lui, in un interminabile rovinio davanti.

 

Oh, potessero essere insieme ancora viventi, mi sconfortavo in classe,  quei luminosi occhi di allievo che in classe mi guardavano confidenti devoti e cari, con i suoi occhiolini che ancora ieri ad un passo dalla sua morte mi scrutavano intenti, intanto che in mano mi si spegneva nel sonno in cui l'ho (congelato) brinato nel freezer.

 

 

Sabato 18 ottobre.

 

Eppure è come se fosse ancora presso di me, nella cella frigorifera dove la sua piccola salma giace remota nel gelo, dentro il cestellino di plastica involtato di alluminio, in cui l'ho riposto ben preservato dal sacchettino di cellophane,  cercando di supporvelo, impettito nelle sue alucce serrate, da due giorni soltanto immerso in un sonno che non conosce risveglio.

 

Da oggi smaltirò in settimana tutti i surgelati che ancora vi tengo riposti, perchè il freezer al più presto divenga per sempre la sua sola bara incontaminata.

E terrò la sua gabbia, accanto al letto, come lui l'ha lasciata in agonia, coperta dal telo e dal velo abituale sino alle mangiatoie, per preservarmi illuso che il mio angiolino piccolino o la sua anima vi volitino dentro, al mio risveglio che sortendo anch' egli dal sonno vi stacchi un suo saltarellino , nel ridestarvisi in un balzo a cibarsi ancora di seme e di vita.

 

 

" Adesso, basta che io apra il frigo per andare in cimitero..." dicendomelo, stasera sono scoppiato a ridere e a piangere al rientro con la spesa.

Poi l' ho riguardato, nel congelatore, il suo cadaverino sempre più rigido, sempre più inoltrato nel gelo e nella morte.

 

Eccola la mia nuova linea di resistenza, mi sono detto,  il nuovo attestarsi e l' appiglio di disperazione e speranza, nel timore che si rassicura di avvertire odori di decomposizione.

 

Martedì 21 ottobre.

 

" Non vi è niente per cui valga la pena di morire".

Yehoshua, Ritorno dall' India, pagina 428.

 

Io sono rimasto vedovo del mio uccellino, come mia madre lo è rimasta di mio padre.

Le mani ed il grembo morti, che disperano di non potere più assicurare ad altri suoi simili che la morte precoce.

E la mia casa mi è divenuta come a lei la sua, un vuoto inconsolabile dove si è impietrito anche il silenzio.

Perdurando il dovere un affaticamento stanco.

 

In classe, ( in quanto che) perchè la mia reazione sarebbe pervenuta da un sentimento opposto troppo distante, o per dispetto oramai di ogni sorta di vita animale che sopravviva e che non sia la sua, ieri non ho mosso parola contro l'allieva che esibiva le mosche catturate in un tubetto di plastica, od ho lasciato che un  allievo nel liberare la cimice dal suo astuccio in cui era finita, potesse forse farne uno scempio fuori dell' aula.

 

 

Non vi è più per me altro essere che un individuo umano

ch'è impossibile, che possa mai succedersi al mio uccellino.

 

Con la pena, senza più lacrime esacerbandomi, che si è chiusa in me come un bubbone che si incistida e ne trattiene il ricordo, - intanto che mi cresce dentro crescendo  il senso di colpa che con la sua morte sconti la condanna implicita, o divina, di avere fatto delle sue cure, che mi obbligavano al rientro, il pretesto per non fermarmi mai di notte presso i miei genitori mentre mio padre moriva.

Talmente mi incrudeliva il risentimento dell'abbandono a me stesso, nella mia rifiutata sofferenza, da parte tutti quanti di loro congiunti.

 

Con questo supplemento di tormento, mi sono ritirato verso il con il mio uccellino mi sono incamminato nella terra dei morti. La non terra popolata da nessuno. Dove niente che tiene insieme  più niente, è il solo destino che potrà accomunarci io e lui a mio padre.

 

" Se ne è andata con suo marito nella terra  dei morti".

( Ritorno dall' India, pagina 444).

 

 

 

 

Ancora. versione ultima

 

fine ottobre - primi di novembre 97

 

Oh, l'intima essenza che vuole sopravvivere a ciò che le era più caro e non è più niente, - e accomiatarsene nell' impulso di vivere ancora,  perpetrando il torto di fare ritorno da essi alla felicità vitale.

 

 

Mio uccellino, che il rimpianto della tua perduta meraviglia,  sia (il guasto) l'infelicitazione  dolente di ogni mia pretesa di felicità futura.

 

 

Il relitto, che non voglio suffragare, del conforto dell' integrità superstite della mie condizioni di esistenza, che voglio piuttosto smentire, infelicitandomi, al pensiero di entrambi che non sono più niente della vita generale.

 

 

La malinconia e l' angoscia, perenni, nell' amarli ch' erano ancor vivi in presenza della morte che si è avverata, e di cui la mia vita è l'avveramento che sopravvive, in forza di un' anestesia che è la necrosi del loro vivo ricordo, la recisione che la mia vitalità perpetra per seguitare avanti.

 

(" Nostalgia? Come poteva provare nostalgia dal momento che lui era lì, di fronte a lei? Come si può soffrire per l'assenza di chi è presente? ( Jean- Marc saprebbe come rispondere: si può soffrire di nostalgia in presenza dell' amato se si intravede un futuro in cui l'amato non c'è più- se la morte dell' amato è, per quanto invisibile, già presente? Milan Kundera, L'identità, pag. 48)

 

( " Solo lei, e nessun altro, riesce a scuoterlo dalla sua indifferenza. E solo attraverso di lei è capace di provare compassione. ... : e se gli capitasse di perdere quell' unico essere che lo lega al resto dell' umanità?...

Se Chantal è un simulacro, l'intera esistenza di Jean marc è un simulacro." ibidem, pagg.98, 113).

 

 

 

 

Con mia madre

 

Quando seguito a dolermi con mia madre che manchi di venirmi a trovare, non è affatto che lei sopraggiunga venga a trovarmi che io voglio, ma per l'appunto con lei seguitare a dispiacermi che non venga.

E lei, nella sua resistenza insuperabile, mi offre implacabile di mettere in scacco ogni mia propensione nei suoi riguardi.

( Come se non sapessi che sta già speculando che io debba fare ritorno da lei per ritirare la semente speciale che mi ha acquistato per l'uccellino superstite, onde eludere ancora una volta di venirmi a trovare nella mia casa deserta).

Anche questo per parte sua congiura, come il rifiuto di scrivere ancora, al pari dell' come l'orrore di essere coatto ad insegnare altri vent'anni, prima di potermi riposare dalla umiliazione sociale dei miei sforzi in classe e su cumuli interminabili di compiti e compiti, mi viene liberando  a liberarmi mi viene liberando da qualsiasi tributo a una vita che seguita indifferente alla fine del mio uccellino, per l' appuntamento al più presto con la morte del mio rifiuto di vivere.

 

Inappellabilmente incapace di attrarre, di unirmi a chi voglia/o, - di emergere chissà mai quando in futuro a valere alcunchè.      

 

 

 

Il mio uccellino, dove mai

 

Ogni volta che riapro il frigo e ho l'anino di osservarlo, ciò che vi è del mio uccellino mi appare sempre più sigillato nella morte, sotto sempre più invisibili cigli, il suo cadaverino contratto in un' immobilità rigida sempre  più impenetrabile.

 

10 novembre 97

 

 

Ho capito

 

13 novembre

 

Alla voce "muta", nel consultare dopopranzo in sala insegnanti il fascicolo ultimo di quel dizionario a dispense, ho avvertito la desolazione di intendere , con più ancora sconforto, forse perchè era morto il mio adorato uccellino, quando vi ho letto che la muta dipende dalla tiroide.

Non è forse la disfunzione della tiroide, mi sono ricordato, che può essere responsabile nell' uomo di una famelicità vorace?

E il mio esserino amatissimo non entrava più in muta ed era affetto da una fame canina...

Ma è tardi oramai per tutto, è tardi, per tutto quanto sia altro che chiudere i conti e lasciare al più presto.

 

 

Quando tenendolo nella mano

 

Quando tenendolo nella mano, lui mi guardava solo per distogliersi e richiudere gli occhi stremati sotto le ali,

al mio uccellino oramai urgeva solo di finire.

 

E la mia disperazione, quando ho avvertito l' irrimediabile sfinimento della sua incapacità al volo in fondo alla gabbia, l'inesorabilità del suo dimagrimento nell' ossatura a fior di pelle ridotta a carcassa, era nel serrare fra le sue piume una sua già perduta vita.

 

 

Nezami IL LIBRO DELLA FORTUNA DI ALESSANDRO pg 253

 

16 novembre 97 

 

 

Nihil

 

Il vuoto- l'assenza di senso del pieno.

L'altezza- l' ergersi ad ottusità del piano.

L' illusione la profondità di campo,

l' enigma la sua nullità assoluta ( totale).

 

 

Variante

 

Per le mani discioltesi,

rabbrividenti,

ora svena ogni tuo spasimo

fra le ritorte foglie che ti laminò un artefice,

la ferrea trama riforgiandoti

di cancelli invano a schiudersi,

ora che le stagioni si susseguono, pur sempre,

e delirio

è ancora accoglierne il richiamo,

tra i freddi palmiti verso dimore d'ombra

affetti e palpiti stillanti,

a corpi e mani, se ripulluliamo,

quale vano tormento

a noi morti l'intrecciarci.

 

             1992-1997

 

 

lettera a Magris

 

Mantova, li 20 novembre 1997

 

Caro Magris,

 

per la stima e l'affetto intellettuale che Le porto, prima di consentirmi di inviarle qualche mia pagina su dei miei eventi tragici, o traumatici, per i quali le sono dolorosamente solidale nella perdita degli affetti più cari, credo sia salutare che le comunichi quanto mi ha esacerbato il suo articolo che il Corriere della Sera sventuratamente ha potuto titolare quale  un "elogio della copiatura", vulnerandomi nella professione di insegnante cui devo di che vivo e la mia considerazione sociale, visto che come scrittore sono e permango soltanto un' entità virtuale post mortem.

Lei vi asserisce, così come purtroppo spira il vento odierno dello Spirito in circolazione sui media, " che anzitutto copiare ( in primo luogo far copiare) è un dovere, un' espressione di quella lealtà e di quella fraterna solidarietà con chi condivide il nostro destino ( poco importa se per un' ora o per una vita) che costituiscono un fondamento dell' etica ....".

Il che mi sconcerta, detto da lei, come se potesse essersi smemorato, per un abbuiamento incredibile, che ciò che avvalora o degrada ogni rapporto di solidarietà e di amicizia ne è la finalità, sicchè si è per lei tramutato in un bene, nell' atto di copiare, anche aiutare un altro a mancare di crescere e di verificare che vale eppure a farcela, eccome, per quell' appunto che non vale e che non è per niente, a rischio e discapito degli altri di cui si profitta, - a meno, così argomentando, di non fare epicamente propria la visione filmica pur somma della vita di Sam Peckinpah o di John Voo, per i quali l' amore e l'amicizia sono la sola differenza tra la vita e la morte, e dunque in nome di amore ed amicizia tutto diventa lecito contro gli altri, quegli stronzi figli di puttana, anche di sterminarli tutti, pur in nome del branco o del mucchio selvaggio...  

E come se non fosse anche in virtù della copiatura come di ogni ssvaccamento scolastico cui l' ignavia imperante tra tanti  miei colleghi è talmente acquiescente, che la scuola seguita a fungere da palestra formativa dei futuri rapporti solidali di evasione e di elusione di obblighi ed adempimenti, normativi o fiscali, tra imprenditori ed assessori e commercialisti e truffaldini vari, a promozione della ascesa sociale della categoria dei copiatori ai danni ulteriori della categoria di coloro che ingenui lasciano copiare, nell' impunità senza soluzione di continuità di tutti quanti hanno così appreso a scuola, ed in famiglia, come poi nella vita seguitare ad esercitare la parte anziché l' arte.

Il che mi è sconcertante, detto da lei, come se potesse essersi smemorato, per un abbuiamento incredibile, che ciò che avvalora o degrada ogni rapporto di solidarietà e di amicizia ne è la finalità, sicchè diventa nell' atto di copiare un bene aiutare un altro a mancare di verificare che vale e farcela, eccome, e avere anzi successo per quell' appunto che non vale e che non è per niente, a rischio e discapito degli altri di cui si profitta, a meno di non fare epicamente propria la visione filmica pur somma della vita di Sam Peckinpah o di John Voo, per i quali l' amore e l'amicizia sono la sola differenza tra la vita e la morte, e dunque in nome di amore ed amicizia tutto diventa lecito contro gli altri, quegli stronzi figli di puttana, anche di sterminarli tutti, pur in nome del branco o del mucchio selvaggio...  

E come se non fosse anche in virtù dell' ignavia imperante tra i miei colleghi acquiescenti ad ogni svaccamento scolastico, appunto, che la scuola seguita a fungere da palestra formativa dei futuri rapporti solidali di evasione e di elusione di obblighi ed adempimenti, normativi o fiscali, tra imprenditori ed assessori e commercialisti e truffaldini vari, a consacrazione, magari, della ascesa sociale della categoria dei copiatori ai danni ulteriori della categoria di coloro che ingenui lasciano copiare, di chi ha così appreso a scuola e in famiglia, come poi nella vita seguitare ad esercitare la parte anziché l' arte.

Ciò espettorato, quel che mi è altresì spiaciuto di rinvenire nella rappresentazione in cui lei si è attardato di che cosa sarebbero ancora la vita e le relazioni scolastiche negli Istituti medi, è la presupposizione che come nella scuola d' un tempo noi insegnanti possiamo ancora entrarvi in classe come degli arbitri sul terreno di gioco, il cui parere sarebbe insindacabile e costituirebbe verdetto con un solo colpo di fischietto, o mediante l' estrazione inappellabile di un cartellino giallo o rosso.

Per magnifica e giusta sorte degli allievi piuttosto che di si attarda ancora ad essere retrogrado e insegnante, nella correzione puntuale degli elaborati che ne sono divenuti il telelavoro in nero, impagabile e impagato, che finisce per vampirizzarne il tempo libero disponibile da settembre fino a giugno o luglio inoltrato,- checchè ne dicano ed ottengano dalle nostre Camere gli ordini professionisti che conservano l'abbinamento ancillare dell' insegnamento a un secondo lavoro, poichè risulta sempre più impossibile conseguire o accertare altrimenti il profitto scritto e anche orale di classi sempre più numerose e tra un  Consiglio e un corso e l'altro, - nell' attendere nelle ore più peregrine anche dei di di festa a tale rovinio cerebrale su cumuli di compiti e conmpiti, non solo occorre che motiviamo o giustifichiamo per iscritto ogni nostra correzione e reprensione, ma in caso di copiatura, che dimostriamo l' inautenticità dell' elaborato che ci è pervenuto, evidenziandone la fonte originaria e le trafile  e i trapassi di mano in mano, in quanto, almeno qui in Italia, anche il sorprendere un allievo intento nell' atto di copiare non basta più ad invalidarne l' esito, perché ci si può venire a chiedere come si possa dimostrare per parte nostra - lo ribadiscono sentenze di appello-  che l' allievo in  causa non poteva altrimenti senza quel concorso o soccorso svolgere la prova, se non lasciandogli attingervi e suggere ben benino fino in fondo.

E dunque oltreché richiederci, quali insegnanti, di dispensare le nostre energie migliori o residue per districare negli inferni correttori domenicali e festivi matasse di imbrogli, la copiatura rischia di aggiungere a noi miserabili insegnanti il danno alle beffe se i genitori fanno ricorso, che pressocché inesorabilmente , è mia viva esperienza, sono quelli degli alunni che hanno copiato anziché di quelli che invischiandosi han dato invece da copiare, coloro sapendo di averla comunque giuridicamente vinta.

E non basta, se i figli persistono e i genitori impugnano, chè allora per l'insegnante diventa un ulteriore obbligo in perdita, e gratuito, doversi giustificare del giudizio negativo inflitto anche a più di due svolgimenti negativi per mano di diversi alunni e pressocché identici, di quanto magari dovrebbe rappresentare una personale rielaborazione critica od analitica, data la convenienza che hanno colleghi e presidi, di spontanea intesa, ad attribuire il torto alla dabbenaggine dell' insegnante in causa piuttosto che alla diseducazione sociale, già radicata

negli allievi, ad affermarsi civilmente per quel che si è dimostrato innanzitutto a se stessi di valere, dato che tale remissione consente ai superiori di evitare accertamenti noiosi, e riprove di riscontri, od ai colleghi la messa in discussione degli esiti assodati nelle proprie materie.

E' dunque (è) per le ragioni stesse per le quali ho altamente apprezzato successivamente il suo articolo "Leggi razziali, il tradimento dell' Accademia", in cui in assenza di valori condivisi, lei denuncia il venir meno della sua resistenza  morale, di fronte all' eventualità di essere chiamato a concorrere a un sopruso quale quello dei professori che sedettero sulla cattedra degli insegnanti ebrei discriminati dal regime fascista, non ho potuto tacerle il vulnus che il suo articolo mi ha inflitto nella mia fatica sofferta di insegnante.

A quanto mi costa, di disperazione, differire ancora l' intervallo tra me e la lettura e la scrittura, quando poco è il tempo che sento che mi resta da vivere e manco di nuovo di salvaguadarmi salvaguardando l' inedito, di nuovo mi espongo a ogni rischio e catastrofe della mia precarietà sociale, per destinarmi all' assillo di un' attività di correzione e accertamento e revisione dei compiti, di cui anche lei mi ha accreditato la persuasione che non sia altro che imbecillità da fottere e fottuta. 

 

E il richiamo antecedente alla barbarie delle leggi razziali non mi risulta solo  occasionato, perché a mio giudizio è secondo solo a tali discriminazioni lo scempio che si viene ora facendo della dignità della funzione degli insegnanti e della trasmissione del sapere oramai cosiddetto "cartaceo" nella scuola, nel delegare ad essa per cortezza di ingegno, o di interessamento reale, l' incombenza di tutto ciò che di umano e sociale fa repulsione affrontare,- che si tratti di intolleranza o di tossicomania o di pedofilia, - intanto che si concorre a disconoscere per legge all' insegnamento, mortificandolo, anche la dignità usurante del lavoro operaio o ad esso equivalente, il che va detto pur con tutta la simpatia e lo spirito di collaborazione che ho con le commesse ed i commessi così salvaguardati previdenzialmente, come possono attestare le tante e i tanti commessi cui predispongo puntualmente gli spiccioli per aiutarle/i ad arrotondare i resti.

Putroppo, sotto la coltrice, solo nel nonuagenario Garin ho inteso una voce culturale autorevole e consapevole di che si sta perpetrando.    

 

             In tutta sincerità con cordialità d'affetti

                                 O. Bergamaschi


 

 

lettera a Magris. revisione

 

Mantova, li 20 novembre 1997

 

Caro Magris,

 

per la stima e l'affetto intellettuale che Le porto, prima di consentirmi di inviarle qualche mia pagina su dei miei eventi tragici, o comunque traumatici, per i quali le sono dolorosamente solidale nella perdita degli affetti più cari, credo sia salutare che le comunichi quanto mi ha esacerbato il suo articolo che il Corriere della Sera sventuratamente ha potuto titolare quale  un "elogio della copiatura", vulnerandomi nella professione di insegnante cui devo di che vivo e la mia considerazione sociale, visto che come scrittore sono e permango soltanto un' entità virtuale post mortem.

Lei vi asserisce, così come purtroppo spira il vento odierno dello Spirito in circolazione sui media, " che anzitutto copiare ( in primo luogo far copiare) è un dovere, un' espressione di quella lealtà e di quella fraterna solidarietà con chi condivide il nostro destino ( poco importa se per un' ora o per una vita) che costituiscono un fondamento dell' etica ....".

Il che mi sconcerta, detto da lei, come se lei potesse essersi smemorato, per un abbuiamento incredibile, che ciò che avvalora o degrada ogni rapporto di solidarietà e di amicizia ne è la finalità, sicchè si è per lei tramutato in un bene, nell' atto di copiare,  anche aiutare un altro a mancare di crescere, e di verificare che vale, eppure a farcela, eccome, a pervenire a diplomarsi per quell' appunto che non vale e che non è per niente, in questo a rischio e discapito degli altri di cui si profitta, - a meno, così argomentando, di non fare epicamente propria la visione filmica pur somma della vita di Sam Peckinpah o di John Voo, per i quali l' amore e l'amicizia sono la sola differenza tra la vita e la morte, e dunque in nome di amore ed amicizia tutto diventa lecito contro gli altri, quegli stronzi figli di puttana, anche di sterminarli tutti, pur in nome del branco o del mucchio selvaggio...  

E come se non fosse anche in virtù della copiatura ( come di quanto svaccamento scolastico cui l' ignavia imperante tra tanti  miei colleghi è talmente acquiescente), che la scuola seguita a fungere da palestra formativa dei futuri rapporti solidali di evasione e di elusione di obblighi ed adempimenti, normativi o fiscali, tra imprenditori ed assessori e commercialisti e truffaldini vari, promuovendo, ove uno mano non lavi l' altra e la solidarietà nel sottrarsi all' accertamento non sia organizzata,  l'ascesa sociale della categoria dei copiatori ai danni ulteriori della categoria di coloro che ingenui lasciano copiare, nell' impunità senza soluzione di continuità di tutti quanti hanno così appreso a scuola, ed in famiglia, come poi nella vita seguitare ad esercitare la parte anziché l' arte.

E' dunque (è) per le ragioni stesse per le quali ho altamente apprezzato successivamente il suo articolo "Leggi razziali, il tradimento dell' Accademia", in cui in assenza di valori condivisi, lei denuncia il dubbio del venir meno della sua resistenza  morale, di fronte all' eventualità di essere chiamato a concorrere ad un sopruso quale quello dei professori che sedettero sulla cattedra degli insegnanti ebrei discriminati dal regime fascista, non ho potuto tacerle il vulnus che il suo articolo mi ha inflitto nella mia fatica sofferta di insegnante.

A quanto mi costa, di disperazione, differire ancora l' intervallo tra me e la lettura e la scrittura, quando così manco di nuovo di salvaguadarmi salvaguardando l' inedito, di nuovo mi espongo a ogni rischio e catastrofe della mia precarietà sociale, per destinarmi all' assillo di un' attività di correzione e accertamento e revisione dei compiti, di cui anche lei mi ha accreditato la persuasione che non sia altro che imbecillità da fottere e fottuta. 

 

E il richiamo antecedente alla barbarie delle leggi razziali non mi risulta solo  occasionato, perché a mio giudizio è secondo solo a tali discriminazioni lo scempio che si viene ora facendo della dignità della funzione degli insegnanti e della trasmissione del sapere oramai cosiddetto "cartaceo" nella scuola, nel delegare ad essa per cortezza di ingegno, o di interessamento reale, l' incombenza di tutto ciò che di umano e sociale fa repulsione affrontare,- che si tratti di intolleranza o di tossicomania o di pedofilia, - intanto che si concorre a disconoscere per legge all' insegnamento, mortificandolo, anche la dignità usurante del lavoro operaio o ad esso equivalente, il che va detto pur con tutta la simpatia e lo spirito di collaborazione che ho con le commesse ed i commessi così salvaguardati previdenzialmente, come possono attestare le tante e i tanti commessi cui predispongo puntualmente gli spiccioli per aiutarle/i ad arrotondare i resti.

Putroppo, sotto la coltrice, solo nel nonuagenario Garin ho inteso una voce culturale autorevole e consapevole di che si sta perpetrando.    

 

             In tutta sincerità con cordialità d'affetti

                                 O. Bergamaschi


 

 

La scrittura

 

E' quando la scrittura è il relitto dell'aver tentato di essere assolutamente altro che la sola scrittura, che  si fa espressione vitale.

 

 

Nei turbini

 

Leggendo "Il codice dell' anima".

 

 

Nei turbini che allentano la mente

odi l'altro, allo schiarirsi,

che ti sventa e canta dal ramo:

" Sopporta, ancora, in questo mondo che non vuoi più vivere,

accudendo(vi) morti di cui non hai più sentore,

a loro tormentandoti il torto di sopravvivergli

tra le fitte di una resistenza resistenza atroce,

nel divincolarti ( intorno) che non trova luce

che ad/ in (nelle) impressioni d'affetti che tradisci inerte (ancora),

 

muovi ancora, tu che lo puoi, tra i rami e l'aria di un cielo aperto

anche se l'uccellino che vi canta non è più la sua anima,

ed oltre la porta, ove il via vai si affaccenda

non vi è più immancabile,, in lui,

non vi è più chi in lui padre e cane fedele

ti riappaia,

a venirti a prendere in lui a prenderti,  a portarti via,

 

per un pò di sollievo tra pareti inospiti, più avventate a rischio,

ove ti dà di che da vivere e ti toglie sempre più respiro

la desolazione attonita di doveri e compiti,

 

rimani ancora fin tanto,

non perderti, non devi,

(lasciare) che nella sordità banale, nell' incapacità a protenderti,

in te quel che preme ed urge, e si dispera

sia vanificato nella vanità di tutto.

Alla Dentro Nella riassimilazione del calco che sfigura

giace ancora

in te disfatto 

da seguitare e compiersi il tuo lascito.

                

 

23- 25 novembre 1997


 

 

All' arrivo di mia madre

 

Quando, come siamo usciti dalla stazione ferroviaria, mia madre  mi ha chiesto di indicarle dove fosse nelle vicinanze una fioreria, per acquistarvi un vaso di fiori da regalare alla signora che ha messo a disposizione di entrambi il suo telefono durante l' agonia di mio padre, vi ho colto l'occasione per rimediare a quanto poteva lasciarle desumere, sconcertandola, il fatto di ritrovare un rametto fresco di ginepro/cipresso presso il mio canarino morto nel freezer, laddove di fonte all' immagine  di mio padre che tengo esposta su di un boxer della libreria, non v' era alcun fiore commemorativo che un mazzolino secco di riporto.

Me ne ero reso conto quando era oramai troppo tardi per provvedervi, mentre in ritardo per essere risalito a mettermi un giubbino che mi proteggesse dal freddo più di quello che avevo indosso, stavo già avviandomi verso di lei alla stazione ferroviaria.

E lei, ora, all' uscita dalla stazione e lungo il tratto di strada che percorrevamo per giungere alla fermata dell'autobus, non faceva che trasmettermi i complimenti ed i ringraziamenti che le avevano detto di rivolgermi, al telefono, i parenti ai quali ho inviato la audiocassetta  dell' intervista a mio padre sulla storia di mio zio vincitore del giro d' Italia, e sulla sua di ciclista e di partigiano.

Di suo fratello, appassionato di ciclismo, mi diceva ch' era sceso ad ascoltarla emozionato in auto nel garage, non disponendo che del frontalino come radioregistratore/ sintolettore.

E che andassi uno di questi giorni a trovarla, mia zia che si era talmente commossa nel sentire parlare, con tanta ammirazione, di mio zio Vasco ai suoi esordi e nei suoi successi di campione, per la nella sua lealtà ed umanità di uomo e di sportivo.

Eppure poco prima avrei potuto acquistare l'uno o l'altra di quelle talee di conifera, a guisa di cipressetto, ch' erano esposti in vendita presso il pullman di un fiorista ambulante, ove  avevo indugiato a lungo senza decidermi, di rientro dal mio Istituto scolastico dove avevo ordinato in mensa le pietanze da portare poi a casa per il pranzo con mia madre.

Ma nel negozio che è presso la fermata dell' autobus poco oltre il mio condominio, non v'era alcuna pianticina o ghirlandetta con la quale potessi onorare mio padre in effigie.

A mia madre ho dunque detto di attendermi nel bar di fronte che fa angolo, ed in bicicletta ho fatto ritorno al pullmann di quel fioraio ambulante.

Non v'era nessuno, ora, ma ugualmente ho atteso a lungo che l' uomo ritornasse da un caffè di fronte, per acquistarne un rametto radicato che potessi tenere all' interno a guisa di pianticina funeraria.

Tuttavia non ho voluto, anche se mi era possibile, ricorrere al sotterfugio di rientrare in appartamento dal retro del condominio senza che mia madre se ne accorgesse, per deporvi davanti all' immagine di mio padre la pianticina funeraria prima che vi entrassi con lei, e lasciarle così credere che già da tempo ve l'avessi posta a commemorarlo.

L' ho invece raggiunta in quel bar, senza dirle che cosa fosse ciò che avvolto in incartamenti avevo appena comprato, * per disvelarglielo solo quando siamo stati in soggiorno, e la pianticina l' ho sistemata di fronte alla fotografia di mio padre.

Ma ogni mio accorgimento è stato un'inutile cautela, non occorreva in alcun modo che tentassi di celarle che la perdita del mio uccellino, nella sua desolazione,  ancora a distanza di un  mese era l'eclisse solare che in me aveva occultato la fine ed il rimpianto di mio padre.

Dopo il nostro pranzo in economia, è stato infatti solo poco prima che uscissimo per andare a spasso nella mia bella città, quando non avremmo più fatto rientro insieme in appartamento, che ho dovuto chiederle se volesse vedere la salma dell' uccellino nel freezer, dato che fino ad allora non me ne aveva fatto alcun cenno. , io profittando

Io ho profittato intanto della necessità di scendere a riversare i rifiuti nel cassonetto, per non assistere alle sue reazioni e non avere altro da dirle.

Ed è stato Solo quando ci siamo ritrovati alla stazione per il treno del suo rientro, ed erano già le cinque di sera, ho inteso chiederle che avesse provato nel vedervelo.

" Oh, poverino..." ha detto con tanta dolcezza, " che belle che ha sono ancora le sue piume", come se avesse visto ciò che rimaneva allestito, sulle quinte, di un bello spettacolo che lascia il solo rammarico che sia già precocemente finito nella sua tanta delicatezza innocente  , senza pena e sofferenza.

Per varie ore, nel pomeriggio divenuto solatio, , ci eravamo protratti a passeggio nella città antica, non più come un figlio e sua madre, ma come due amici che si ritrovano attempati, inoltrandola per vicoli e recessi medievali che lei ignorava, all' interno della basilica rinascimentale ad ammirarne ammirandone i monumenti funebri, seguitando nei cortili e le piazze ed i giardini di semplici del Palazzo ducale, fino a rientrare dalle brume dei laghi per una sosta, che l' ha incantata, entro la concavità tardobarocca del teatrino mirabile ove ebbe ad esibirsi anche il genio di Mozart.

E' avvenuto stato tutto questo già due settimane fa.

Nel frattempo l'uccellino rimastomi mi si è fatto più caro, da che ha preso il coraggio ed il piacere di accostarmisi sul posatoio quando mi siedo appresso alle sbarre, accorrendovi felice di celebrare, in voli e voletti, la confidenza e il bisogno che ripone ora in me.

Ed è divenuto Bibì Ronaldinho, da che il giocatore fenomeno, un minuto fa, ha assicurato la vittoria su un campo difficile alla mia squadra beneamata.

Di fuori, nella pioggia, se ne è appena andata via una decina di passerottini, che ho richiamato in frotta sul balcone con la semente sparsa, della quale a lungo si sono contesi e bisticciati in grida la beccata.

Ma che l' uno e l'altro degli esseri che a me erano più cari non siano più, che altri uccellini che lui stamane nel centro planassero in volo, che la portiera che s'apriva davanti al cancelletto d'ingresso lasciasse scendere dalla vettura un anziano che non poteva essere più mio padre, e della vittoria della nostra squadra non possa più dividere con lui la contentezza, che rimpianto che torna a scontentarmi di tutto, a insipidire lenire ogni ripresa persistente d'appetito e di gusto.              

 

30 novembre 1997

 

In me è il disumano che abbisogna dell' umano che è impossibile, a piangere/ che piange più la morte nel mio uccellino di un angelo, che in mio padre quella di un uomo vero.

 

30 novembre 1997

 

Cfr. per questo J. Hillman " Il codice dell' anima", pagine 76-77


 

 

E il mio angioletto defunto

 

E il mio angioletto defunto/ morto, là in frigo, chè è più altro di diverso da ciò che mangio ogni giorno?.

 

 

L' antivigilia

 

Domani andrò a Milano, presso mio fratello, per riunirmi da lui con gli altri miei familiari rimasti per il nel pranzo di Natale.

Per la prima volta senza più mio padre, nè lasciando per questo a se stesso Bibò, senza più altri miei intenti, per l'avvenire, che di dare decenza di forma ai miei scritti e di dispormi a morire.

Per non dimenticarmene all' atto di partire, ho già irrorato la talea di pino che è di fronte all' immagine di mio padre. Ho allora fissato Avevo di fronte lo sguardo senza più vita della persona che più è stata capace di volermi bene, ma non ho avvertito che il sentore freddo dell' ignavia che da lui mi si è trasmessa da lui,. Sul suo volto impressa l' identica mia miseria di uomo, per come atterrito guarda una vita cui può soltanto ritardare di cedere.

Poverino, papà, non è passato nemmeno (che) un anno da che eri ancor vivo, quando lo scorso Natale reclinavi nel sonno all' ascolto delRigoletto sul radioregistratore che ti avevamo  regalato, e non sopravvivi più nemmeno nell' affetto di tuo figlio ( e stenti a sopravvivere anche nel solo affetto di tuo figlio).

Mio padre la cui esistenza, tanto per quanto egli mi voleva bene, era l'unica,  con quella di mia madre, - sono venuto ripensando- che per la sofferenza che con il mio gesto il cui protrarsi, per la sofferenza che con il gesto gli avrei inferto,  potesse indurmi a (mi fosse era un motivo per) recedere dai miei intenti di morte, - il mio uccellino invece la cui cura con quella di Bibì, che gli è felicemente superstite, è stato a lungo  piuttosto la principale remora a ogni mia libertà di movimento recandomi altrove.

Ma da che Bibò ha cessato di essere, non è più è morto, da che il mio uccellino è divenuto la sua mortuarietà irrimediabile congelata nel freezer, -  qualche ora fa l' ho riestratto per desolarmi alla sua rigidezza inerte/ immota- la mia libertà è divenuta unn semenzaio di possibilità che mi ripugna vivere, che nemmeno intendo più rianimare in propositi ed intenti di alcunchè di ulteriore, di altro che non sia di raccogliere e trasmettere ogni mio lascito scritto prima di accomiatarmi, pur senza avere dato alcuna vestigia editoriale ad alcun mio testo.

Nè so più concludere fare altro, mi dico, impotente a vivere e fare quale sono.

E' bastato che la dinamo del fanale si allentasse, per ritrovarmi in impasse anche ad uscire di sera con la bicicletta.

Senza più mio padre alle spalle,- che per quanto gli voglia ancora bene non posso dimenticarmi che mi ha improntato  tale quale così come sono,- stasera sentivo mancarmi, stasera ripensandoci nel rientrare a casa sentivo mancarmi, riavvertendo nel riavvertire che in tanta incapacità inettitudine di cui mi vergogno, senza più lui, non ho più nessuno cui mi senta sia in in grado di rivolgermi a di chiedere il minimo aiuto.

Ed è costernante la mia definitiva impotenza incapacità al sesso ed agli affetti sessuale e  d'affetti, la mia desolazione a provvedere altrimenti, come ogni occasione eventuale riproponga soltanto la mia inettitudine incapacità  ad assumere o a consentirmi qualsiasi iniziativa.

Quanto a imprese librarie o editoriali...

Anche queste vacanze le ho ipotecate piuttosto nei compiti che mi rimangono da correggere, un centinaio, nelle letture di libri che vorrei prima ultimare, la " Casa desolata" di Dickens,i grandi romanzi di James che non ho ancora letto, la narrativa sudamericana che mi è pressocchè ignota, esclusi Borges, Garcia Marques e l' autore di "Memorie dall' oltretomba" ah, si, Machado de Assis.

E' gia tanto, che prima della fine dell' anno riesca a inviare le copie di un mio racconto per il concorso al quale sono stato invitato quale che sia per il premio Teramo, e qualche estratto a Magris di quello che negli ultimi anni sono venuto scrivendo.

E intanto che così cerco e mi illudo di mettermi in salvo, riacutizzo il senso di avere un cancro nel mio cervello, che mi lascia vivere e lavorare ancora finchè ne avrò motivo, finchè non lo accerti, al che, quando non e mi sia confermato, al che precipiterò al che la mia fine precipiterà in poco/breve tempo

di schianto.

Certe pagine in tal senso impressionanti che ho letto di recente nel " Libro degli abbracci di Galeano, o quanto mi diceva un articolo- saggio di Umberto Galimberti sull' inibizione dei carcinomi suscitata dallo " shock carismatico" indotto da figure spirituali quali quella di Madre Teresa, dalla liberazione conseguente di neuropeptidi e di chitonine antitumorali suscitata dalle credenze nei miracoli delle fedi pellegrine, mi ha confermato in tali ipotesi.

La mia salvezza da assicurarmi... La fine da ritardare, per garantirmi la mia salvezza... quando non credo che al solo permanere dell' orrore vitale nella fine di tutto, che inarrestibile(,) nella corruzione in vita e in morte di ogni spirito ed anelito che sia,  e  neanche l' inverarsi della buona novella del Natale su cui insisto a sono tornato a meditare mi sarebbe di conforto, se non valesse a rendere partecipe della salvazione dell'uomo l' intera creazione/natura, e all'atto della resurrezione dei morti, in corpi e membra non più di carne, non  ritornassero in vita mio padre e l'uccellino Bibò insieme a Bibì, chè non avrebbe senso che fosse altrimenti, nella valle di Giosafat o in Hurqalya che sia, se quando Bibì, secondo quell' unico spirito che si anima dovunque,  si è riacceso questo pomeriggio al canto infervorato dalle carole natalizie medievali di cui ero in ascolto, quando mentre la delle quali di cui la la generalità degli uomini attuali, umani, degli stessi miei allievi, oh, non ne tollererebbe il minimo melisma o permutazione vocale. la minima permutazione/ figurazione vocale.  

Secondo quell' unico spirito che si realizza ovunque, in un animalino volatile quanto o più che nella sordidità generale dei miei simili, stando alle parole di Paolo, Lettera ai Romani, come le interpreta il teologo Drevermann.

 

 

Natale 97

 

Natale 97

 

A Milano, presso mio fratello, riunitomi da lui con gli altri miei familiari rimasti per il nel pranzo di Natale.

 

 

Abbiamo rinserrato i posti a tavola, e non c' è stato più alcun vuoto da colmare.

Ognuno di noi aveva la sua espressione ridente, assumendo la benevolenza che non vuole contrariare e contrariarsi, l' allegria che non intende riesumare infelicità e rimpianti.

Dopo che mi era stato perdonato il ritardo che avevo fatto nel recarmi a vedere l'arca dei Magi in Sant'Eustorgio, mi sono guardato allora accanto, ho volto gli occhi allo spazio e agli scaffali, con i miei doni, che intercorrevano fra me e la finestra, ed ho sentito cadere l'invito rivoltogli, che anch'io come gli altri non avevo lo spirito per convocare il suo angelo.

Povero angelo, confinato in vita a sorreggere in disparte, di cui seguitava la morte l' esclusione dai vivi.

Derelitto, dev'essersene svanito via, com' era suo solito, appena s' è accostato a noi sulla soglia senz'essere visto, ed ha capito che non era il caso di entrare a scomodarci.

Non c'era più niente al posto di lui, in quegli istanti, nemmeno il vuoto che credeva di avere lasciato.

Era come se riuniti insieme, ricompostici, finalmente  riuscissimo e potessimo fare a meno anche di ricordarlo con pena, e così egli fosse definitivamente morto, con i sensi di colpa ch' erano stati discacciati dall' allegria, fra l'ilarità che non vuol saperne di che si deve ai vivi ed ai morti.

Era spontaneamente convenuto per noi tutti di comportarci così, di non farne alcuna parola.

Nè alcuno, come paventavo e speravo, si è riferito o ha fatto cenno al mio canarino defunto, per quanto l'insinuarsi dei gatti di mio fratello e del suo amico finanche sulla tavola a pranzo e insieme con noi che conversavamo su divani e poltrone, riesumassero la mia mancanza di lui.

( E'stato questo pomeriggio tra il tacchino farcito ed il budino belga, che il gatto Ciquito è venuto a distendersi sulla tovaglia, per godersi il piacere del contatto col suo ruvido frsco, ed adunghiarne l'ordito del tessuto.)

" Ha adesso cinque anni la mia micia- serrandola a sé, ha detto di lei ieri sera mio fratello dopo la cena della vigilia, - ed è come se fossero trentacinque dei nostri. Possiamo restare insieme ancora un decennio...- così soggiungendo per conciliarsi con l'angoscia di perderla.

Anch'io - ho solo pensato-, mi confortavo che Bibò avrebbe raggiunto almeno sette anni di vita. Ed ora me ne attende al rientro solo quello che ne resta congelato nel freezer."

All' atto di partire, con sollievo di mio fratello e del suo amico, mia sorella si è portata via volentieri la pianta della stella di natale che tenevano in casa, perchè i due gatti ne avevano mangiato le foglie e si erano già sentiti male vomitando.

Giù in strada, l' amico greco di mio nipote che ci lascerà per sempre, quando gli ho detto addio mi ha offerto le guance a che ci baciasimo con mio tacito rimpianto.

Quando nell' addio gli avevo porto solo la mano, credevo ed avrei sperato che mi riservasse soltanto la gelida finzione di uno scambio di baci, che aveva opposto all' amico di mio fratello.

Potevo almeno dirgli che mi dispiace, è stato l'ulteriore mio rimpianto nel rimpianto, per avergli solo chiesto quando sarebbe partito.

" Posdomani", mi ha risposto, ed era molto più presto di quanto credessi.

Molto più presto di quanto si creda, compiendosi la perdita dei vivi come dei morti.

Ma è bastato che così mi abbia lasciato, dopo che tutto il pomeriggio, senza dirci una parola, ha prediletto di sedermisi accanto, perchè ora, al rientro, sia meno morto nella mia infinita fine.

Solo quando già si profilava la Stazione centrale, mio fratello che mi ci ha condotto in macchina perch'io vi prendessi il treno, ha poi infranto l'omissione di mio padre.

E' stato nel chiedermi come provvedere al Capodanno di mia madre.

" Del resto, ha detto, era abituata a solita passarlo sola insieme con il papà, mangiandosi una pizza".

Avrei potuto andarla io a trovare.

Ma come fare, mi sono tenuto di dentro, la mattina del primo gennaio c'erano da videoregistrare " Close up", "Bashu, il piccolo straniero",  il Concerto da Vienna diretto da Zubin Metha ...

Come all' altro Capodanno, e all' altro ancora,... (e) allora i compiti ancora da correggere, e il maltempo, e la neve, ogni  scusante è pronta buona che mi ritorna mi è ritornata valida mi era valsa quale scusante per evitare di recarmi a condividere con i miei anziani la buona fine ed il buon principio, e trascorrere allora, ora non più allora,  l'ultima sera dell' anno piuttosto da solo con i miei canarini.

Intanto mio padre è morto, mia madre è più sola che mai, ed io

non ho cambiato determinazione e atteggiamento.

E non ho capito, di nuovo, perchè mia madre mi ha chiesto di risalire da lei, se volevo che mi rovesciasse il collo liso della camicia che per questo ho portato appresso a Milano.

Avrebbe potuto venire lei da me, allora, ho proposto a mio fratello,( pur) sapendo, così esponendomi, quanto sia difficile che si dia la cosa.   

Da " Natale 96"E con quale amarezza depressa, mettevo mano al telefono e chiamavo mia madre, per compiere apparrentemente un atto di pacificazione parziale e di affetto, in effetti di insaziata crudeltà.

" Ti chiamo per augurarti una buona fine e un buon principio,  ci risiamo con il fatto che sono io a dovere venire, no, non vengo anche se lì siete rimazsti voi soli, ho i compiti da correggere e c'è il maltempo, no, neanche domani a pranzo, è sempre per le stesse ragioni, eh, passo l'ultimo dell' anno con i miei canarini,vuoi sapere il menu che mi preparo, te lo dico, oh, risotto con le vongole, e filetto con le acciughe e le olive, poi il pandoro e lo spumante, ...eh,  è così, e ora ti saluto e ti rinnovo gli auguri di buona fine e di buon principio."

La sua voce soffocava il pianto quando ho staccato.

Di certo non stava più fingendo di prestare ascolto alla mia miseria.

Non era certo lì a ripetermi, che va male a tutti allo stesso modo.

Che non c' era chi vivesse le feste altrimenti.

Intanto all' avviarmi al treno, nello scompartimento,  al prendervi posto e sistemarmicisi, già mi viene turbando veniva già avvincendomi che all' atto di lasciarci di fronte a dove abita mio fratello, giù in strada, l' amico (greco) di mio nipote che ci lascerà per sempre, allorchè gli ho avevo detto addio mi abbia aveva offerto le guance a che ci baciassimo con mio tacito rimpianto.

Nel porgergli Quando nell' addio gli avevo porto per parte mia solo la mano, credevo che altrimenti mi avrebbe ed avrei sperato che mi riservasse riservato soltanto una variazione della gelida finzione di uno scambio di baci, che aveva appena opposto all' amico di mio fratello.

Potevo almeno dirgli che mi dispiace, è  l'ulteriore mio rimpianto nel rimpianto, per avergli solo chiesto quando sarebbe partito.

" Posdomani", mi ha precedentemente risposto, ed è molto più presto di quanto credessi.

Molto più presto di quanto si creda, (compiendosi) accadendo la perdita dei vivi come dei morti.

Ma è bastato che egli così mi abbia lasciato, dopo che tutto il pomeriggio, senza dirci una parola, ha prediletto di sedermisi accanto, perchè ora, al rientro, almeno io sia meno morto in una nella mia infinita fine.

 

 

 

 

 

La difficoltà difensiva

 

La difficoltà di difendere la dignità sociale della mia esistenza, se trae per me legittimità e valore dalla sola mia virtù di scrivere ignota agli altri, e se, e soltanto se, mi si riconferma nella dispersione di ogni giorno.

 

 

 

Assento ai Na

 

Del mio assenso con l'etica normativa dei Na di Cina, che disconoscono il matrimonio e la famiglia patrilineare, in ragione della relatività assoluta delle affezioni pulsionali.

" Ciò che un giorno si desidera disperatamente può lasciare indifferenti anche dopo poche ore. La natura umana è così, noi la assecondiamo".

 

 

Il disumano

 

In me è il disumano che abbisogna dell' umano che è impossibile, a piangere/ che piange più la morte nel mio uccellino di un angelo, che in mio padre quella di un uomo vero.

 

30 novembre 1997

 

Cfr. " Il codice dell' anima", pagine 76-77

 

 

Stesure antecedenti

 

 

L' insostenibile giorno- Prima stesura

 

16 0ttobre 1997: oggi è avvenuto e sono qui a esprimere il mio sopravvivere allo schianto di ciò che ancora domnenica, quando lo ritenevo un evento fugato, o rinviato nel tempo, mi era l' insostenibile che mi rendeva cara la morte , per imminenente che fosse, se il suo sopraggiungere mi avesse evitato di assistere  a quanto oggi è stato: è morto ch' erano le due del pomertiggio il mio Bibo, il piccolo sole della mia vita, il mio angiolino che mi era la grazia e il conforto e l' incanto superstite nel suo canto, il piccolo compagno della mia solitudine la cui adorazione trepidante e timorosa della sua piccolezza animale, eppure mi sanava le lacrime e il dolore infertomi dalla brutalità dei simili, nel vegliarlo o adorarlo o accudirlo nella sua innocenza volatlie.

Ora il suo corpicino stecchito sta a irrigidirsi nel congelatore, ove l' ho riposto in un  sacchetto di cellophane, in attesa di trovare un imbalsamatore che lo preservi perchè al più presto sia sepolto con me.

Quando sono rientrato dalla casa dell' allevatore in cui mi è spirato nella mano, chiudendo gli occhi e reclinando il capino in un altro suo sonno ch'era per lui l' ultimo e definitivo, accorsovi con l'autobus quando dopo lo scuola l' ho ritrovato al fondo della gabbia senza più forze e alcuna voglia di alcun cibo, disgustato di ogni mia teatralità scenica che intendesse confidarsi nel mio dolore ai miei simili, come avevo infinite volte anticipato con angoscia e volutta, senza più vita e reattività di difesa, che lo sottraesse ora al mio solo possesso della sua irrimediabile perdita, eccolo ora al mio fianco, sul mio letto, il mio sposino- uccellino che piangevo a dirotto, e baciavo e strabaciavo, nel suo corpicino di piume odoroso oltre la morte del più soave profumo.

Poi lo strazio del risolversi di ogni mio interrogarmi sulle ragioni della sua morte, sulla certezza colpevole che è morto a soli tre anni di vita, il più luminoso e bello degli uccellini

del mondo, perchè io sono stato sono il suo padrone, perchè è finito ed è stato affidato nelle mie mani incapaci.

O principino brinato nelle piume e nel tuo cadavere di ogni vano regno terreno: avessi io solo un briciolo in fede in altro che nel conforto di annientarmi come te, di finire nello schifo della decomposizione di quanto mi è stato più caro, di non essere più niente come te, come mio padre, per poterti intonare stasera come al più nobile dei principi caduti:

" Buonanotte, / dolce uccellino, e possa un volo d'angeli/ condurti altrove al tuo riposo!"

Ahimè, dopo i versi che non voglio, non riesco ad intendere, che anche nella caduta del passero, presumono vi sia una provvidenza particolare.

O forse l' atrocità maggiore è che non mi sono spezzato, ho sostenuto, che sono state (fin)anche troppo conto.

Per quel che è la vita che seguita, in cui si rimane coinvolti invischiati, la dieta che persevera e il riso con la lattuga che mi sono prefissato di cucinarmi come avevo in mente per oggi, quando anche ieri sera mi sono diviso tra i preparativi della mia cena e del suo pasto per oggi, la sola mela e la miscela di grani in  mattinata, per predisporgli di nuovo la carota e il pastoncino nel primo pomeriggio...

Tanto non credevo affatto che fosse prossimo a morire, quando la settimana scorsa era ritornato al canto, benchè ieri mi avesse lasciato esterefatto che non facesse altro che sonnecchiare e cibarsi sempre di meno, - ma era già successo una diecina di giorni or sono e si era ripreso-, che per grattugiargli meglio le carote ieri sera ho acquistato un nuovo trituratore di ortaggi, che poi non sono stato capace di maneggiare al rientro da scuola, come ho cercato sgomento di rimediare un ultima pietanza che resuscitasse l'appetito al mio uccellino, riponendola insieme al pastoncino all' uovo nel posatoio sul quale invano l'ho appoggiato, l' animaletto langue, sempre più disperato invano ricollocandolo con il cibo nel fondo della gabbia da cui non riusciva più a spiccare al volo, senza che riuscissi più a connettere che a stento, dopo che presolo in mano senza più alcuna sua resistenza capace, ho sentito la sua morte, nello sterno che con la sua ossatura al tatto era lì ancora a fior di pelle, nonostante tutto quanto vorace l'uccellino per mesi e mesi aveva mangiato di quanto gli predisponevo.

Se il sentire, l'amare e l'adorare ha un senso, se ha un senso cui serbarmi fedele che come ancora domenica, senza più presagirlo imminente, cingessi/vo le gabbie dei miei uccellini quale il bene superstite e irrinunciabile della mia vita, - dicendoli i miei piccolini, i miei adorati, i miei tatini, e a lui parlavo come al mio fratellino e amorosino e bambino diletto, non c' è davvero più altro che possa o debba più scrivere.

Resta solo da iniziare a scalare. La resa ultima e con la consegna ultima.

La consegna ultima dei miei resti e dei miei scritti.

  

 

 

Ora

 

Venerdì 17 ottobre

 

 

Quali e quante offese e privazioni, ho potuto reggere in virtù soltanto del suo canto e della sua grazia.

 

Tre soli anni, tre soli anni di vita, gli hanno concesso le mie cure.

 

Poverino l'amorino mio.

 

Il velo di tulle che riponevo stamane intorno alla sua gabbia, il velo di nozze tra me e lui, caro il mio sposino segreto.

 

Che felicità oramai non ho più che da rimpiangere, perduta per sempre senza più lui, in un interminabile rovinio davanti.

 

Oh, potessero essere insieme ancora viventi, mi sconfortavo in classe,  quei luminosi occhi di allievo che (in classe) mi guardavano confidenti devoti e cari, con come i suoi occhiolini che ancora ieri ad un passo dalla sua morte mi scrutavano intenti, intanto che in mano mi si spegneva nel sonno in cui l'ho congelato ( brinato nel freezer).

 

 

Sabato 18 ottobre.

 

Eppure è come se fosse ancora presso di me, nella cella frigorifera dove la sua piccola salma giace remota nel gelo, dentro il cestellino di plastica involtato di alluminio, in cui l'ho riposto ben preservato dal sacchettino di cellophane,  cercando di supporvelo immaginarlo, impettito e composto nelle sue alucce serrate, da due giorni solo immerso in un sonno che non conosce risveglio.

 

Da oggi smaltirò in settimana tutti i surgelati che ancora vi tengo riposti, perchè il freezer al più presto divenga per sempre la sua sola bara incontaminata.

E terrò la sua gabbia accanto al letto, come lui l'ha lasciata in agonia, coperta dal telo e dal velo abituale sino alle mangiatoie, per preservarmi illuso che lui o la sua anima vi volitino dentro, egli vi stacchi all' improvviso un suo saltarellino sortendo dal sonno, si ridesti e spicchi quel suo balzo a cibarsi ancora di seme e di vita.

 

 

" Adesso, basta che io apra il frigo per andare in cimitero..." dicendomelo, sono scoppiato a ridere e a piangere al rientro con la spesa.

Poi l' ho riguardato, nel congelatore, il suo cadaverino sempre più rigido, sempre più inoltrato nel gelo e nella morte.

 

Eccola la mia nuova linea di resistenza, mi sono detto,  il nuovo attestarsi e l' appiglio di disperazione e speranza, nel timore di avvertire odori di decomposizione.

 

Martedì 21 ottobre.

 

" Non vi è niente per cui valga la pena di morire".

Yehoshua, Ritorno dall' India, 428.

 

Io sono rimasto vedovo del mio uccellino, come mia madre lo è rimasta di mio padre.

Le mani ed il grembo morti, che disperano di non potere più assicurare ad altri che la morte.

E la mia casa mi è divenuta come a lei la sua, un vuoto inconsolabile dove si è impietrito anche il silenzio.

Perdurando il dovere un affaticamento stanco.

 

In classe, è perchè la mia reazione sarebbe pervenuta da un sentimento opposto troppo distante, o per dispetto oramai di ogni sorta di vita animale che sopravviva e che non sia la sua, che ieri non ho inveito contro l'allieva che esibiva le mosche catturate in un tubetto di plastica, o che ho lasciato che un  allievo nel liberare la cimice dal suo astuccio in cui era finita, potesse forse farne uno scempio fuori dell' aula.

 

 

Non vi è più per me altro essere che un individuo umano

ch'è impossibile, che possa prendere il suo posto di uccellino.

 

Con la pena, senza più lacrime esacerbandomi, che si è chiusa in me come un bubbone che si incistida e ne trattiene il ricordo, - intanto che mi cresce dentro crescendo  il senso di colpa che con la sua morte sconti la condanna implicita, o divina, di avere fatto delle sue cure, che mi obbligavano al rientro, il pretesto per non fermarmi mai di notte presso i miei genitori mentre mio padre moriva.

Talmente mi incrudeliva il risentimento dell'abbandono a me stesso, nella mia rifiutata sofferenza, da parte tutti quanti di loro congiunti.

 

Con questo supplemento di tormento, mi sono ritirato verso il con il mio uccellino mi sono incamminato nella terra dei morti. La non terra popolata da nessuno. Dove niente che tiene insieme  più niente, è il solo destino che potrà accomunarci io e lui a mio padre.

 

" Se ne è andata con suo marito nella terra  dei morti".

( Ritorno dall' India, pagina 444).

  

 

 

 

Ancora

 

fine ottobre - primi di novembre 97

 

Oh, l'intima essenza che vuole sopravvivere a ciò che abbiamo amato e più non finisce di decomporsi, e non può non andare oltre ciò che le era per  essa di più caro e non è più niente, - e accomiatarsene nell' impulso di vivere ancora, nel perpetrando l' orribile torto di fare ritorno da essi alla felicità vitale.

 

 

Mio uccellino, che il rimpianto della tua perduta meraviglia,  sia (il guasto) l'infelicitazione  dolente di ogni mia pretesa di felicità futura.

 

 

Il relitto, che non voglio suffragare, del conforto dell' integrità superstite della mia condizione di esistenza,  che voglio piuttosto smentire, infelicitandomi, al pensiero di loro che non ci sono più,  che non sono più niente della vita generale.

 

 

La malinconia e l' angoscia perenne, nell' amarvi ancor vivi in presenza della morte che si è avverata, di cui la mia vita è l'avveramento che sopravvive, in forza di un' anestesia che è la necrosi del vostro vivo ricordo, la recisione che la mia vitaltà perpetra per seguitare avanti.

 

(" Nostalgia? Come poteva provare nostalgia dal momento che lui era lì, di fronte a lei? Come si può soffrire per l'assenza di chi è presente? ( Jean- Marc saprebbe come rispondere: si può soffrire di nostalgia in presenza dell' amato se si intravede un futuro in cui l'amato non c'è più- se la morte dell' amato è, per quanto invisibile, già presente? Milan Kundera, L'identità, pag. 48)

 

" Solo lei, e nessun altro, riesce a scuoterlo dalla sua indifferenza. E solo attraverso di lei è capace di provare compassione. ... : e se gli capitasse di perdere quell' unico essere che lo lega al resto dell' umanità?...

Se Chantal è un simulacro, l'intera esistenza di Jean marc è un simulacro." ibidem, pagg.98, 113).

 

 

 

 

lettera a Magris

 

Mantova, li 20 novembre 1997

 

Caro Magris,

 

per la stima e l'affetto intellettuale che Le porto, prima di consentirmi di inviarle qualche mia pagina su dei miei eventi tragici o traumatici per i quali le sono dolorosamente solidale nella perdita degli affetti più cari, credo sia salutare che le comunichi quanto mi ha esacerbato il suo articolo titolato dal Corriere della Sera sventuratamente quale "elogio della copiatura", vulnerandomi sensibilmente nella professione di insegnante cui devo di che vivo e la mia considerazione sociale, visto che come scrittore sono e permango soltanto un' entità virtuale post mortem.

Ciò che mi è spiaciuto rinvenirvi è innnanzitutto la rappresentazione, in cui si è attardato, di che cosa sarebbero ancora la vita e le relazioni scolastiche nella scuola media superiore ed inferiore, quasi che noi insegnanti  come nella scuola d' un tempo che per fortuna è viva ancora soltanto nella nostra memoria, potessimo ancora entrarvi in classe come degli arbitri sul terreno di gioco, il cui parere sarebbe insindicabile e farebbe sentenza con un solo colpo di fischietto, o l' estrazione di un cartellino giallo o rosso.

Non solo occorre che motiviamo o giustifichiamo per iscritto ogni nostra correzione e reprensione, ma in caso di copiatura, che dimostriamo l' inautenticità dell' elaborato che ci è pervenuto, evidenziandone la fonte originaria e le trafile  e i trapassi di mano, in quanto, almeno in Italia, anche il sorprendere un allievo intento nell' atto di copiare non basta più ad invalidarne la prova, perchè ci si viene a chiedere, come si può dimostrare per parte nostra - lo dicono sentenze di appello- se non all' allievo in causa lasciandogli attingere fino in fondo, che l' allievo in  causa non poteva altrimenti senza quel concorso o soccorso svolgere la prova.

E dunque oltrechè richiederci di dispensare le nostre energie migliori o residue per distrigare negli inferni correttori domenicali e festivi matasse di imbrogli, la copiatura rischia di aggiungere a noi insegnanti il danno alle beffe se i genitori fanno ricorso, che pressocchè inesorabilmente quelli degli alunni che hanno copiato anzichè di quelli che invischiandosi han dato invece da copiare, coloro sapendo di averla comunque giuridicamente vinta, e che diventa un ulteriore obbligo in perdita e gratuito, per l' insegnante, doversi giustificare del voto negativo inflitto anche a due prove pressocchè identiche, magari un tema personale o un testo di rielaborazione critica o analitica, data la convenienza che hanno i colleghi e presidi, perchè richiede di eludere accertamenti e riprove di riscontri, di attribuire il torto alla dabbenaggine dell' insegnante in causa piuttosto che alla diseducazione sociale inseminata negli allievi, ad affermarsi per quel che si è dimostrato innanzitutto a se stessi di valere.

E questo, solo del lato che mi offende di misconoscimento della realtà della scuola del suo intervento, che c' è altro ancora di più deprimente e sconfortante nel suo scritto.

Lei parla, così come purtroppo spira il vento odierno dello Spirito, in circolazione sui media, di "...."

Il che è sconcertante, detto da lei, come se potesse essersi smemorato che ciò che qualifica e avvalora o degrada ogni rapporto di intesa e di amicizia ne è la finalità, e quasi che fosse un bene mancare di crescere e farcela, e avere successo, a rischio e discapito degli altri di cui si profitta, a meno di non fare propria la visione filmica pur somma della vita di Sam Peckinpah o di John Voo, per i quali l' amore e l'amicizia sono la sola differenza i soli differenziali tra la vita e la morte, e dunque in nome di amore ed amicizia tutto diventa lecito contro gli altri, quegli stronzi figli di puttana, anche di sterminarli tutti, pur in nome del branco o del mucchio selvaggio...  

E come se non fosse anche in questo, appunto, che la scuola ha funto e seguita a fungere da palestra formativa dei futuri rapporti solidali di evasione e di elusione di obblighi ed adempimenti, prima di tutto quelli fiscali, tra imprenditori e assessori e commercialisti e truffaldini vari, a consacrazione, magari, come recitava la pubblicità avveduta di un certo shampoo, della ascesa sociale della categoria dei coopiatori ai danni ulteriori della categoria di coloro che lasciano copiare, di chi sa l'arte anzichè la parte.

E l'analogia non è gratuita, poichè può bastare , nel poco tempo usufruibile a chi di noi è insegnante,  anche che si falsifichino e raggirino gli esiti di una sola verifica concessaci, perchè con una nuova classe  sia ad esempio eluso ed evaso l' intento, senza più possibilità d'appello o di recupero,  che gli alunni leggano e parafrasino qualche pagina dal vivo di Leopardi o di Manzoni anzichè riprendere qualche commentucolo sottobanco come di consuetudine.

E dunque (è) per le ragioni stesse per le quali ho altamente apprezzato successivamente l'articolo in cui , in assenza di valori condivisi, lei denuncia il venir meno della sua vigoria morale, di fronte all' eventualità di essere chiamato a concorrere a un sopruso quale quello dei professori che sedettero sulla cattedra degli insegnanti ebrei discriminati dal regime fascista, (che) non ho potuto tacerle il vulnus che il suo articolo mi ha inflitto nella mia fatica sofferta di insegnante.

A quanto mi costa , di disperazione, differire ancora l' intervallo tra me e la lettura e la scrittura, la mia salvaguardia tramite anche solo il recupero dai floppy disc, di scritti di cui devo rinviare anche l' editing o la revisione, quando poco è il tempo che sento che mi resta da vivere e manco di nuovo di salvaguadarmi salvaguardando l' inedito, di nuovo mi espongo destinandomi rimango esposto a ogni rischio e catastrofe della mia precarietà sociale, nel sentimento di essere prossimo alla fine per inappetenza e mortificazone di ogni volontà di vivere, per destinarmi all' assillo di un' attività di correzione e accertamento e revisione dei compiti, di cui anche lei mi ha accreditato la persuasione che non sia altro che imbecillità da fottere e fottuta. 

 

E il richiamo antecedente alla barbarie delle leggi razziali non mi risulta solo  occasionato, perchè a mio giudizio è secondo solo a tali discriminazioni lo scempio che si viene ora facendo della dignità della funzione degli insegnanti e della trasmissione del sapere oramai cosiddetto cartaceo nella scuola, per mano di esponenti mediatici e politici della categoria e dello schieramento ideale-politico in cui lei stesso pur si riconosce, che nel delegarle per cortezza di ingegno, o di interessamento reale, l' incombenza di tutto ciò che di umano e sociale fa repulsione affrontare,- che sulle stesse colonne del giornale sul quale lei scrive si tratti di intolleranza dell'homo videns che non ha più ragionamenti logici, di intolleranza multietnica, o sessuale, di tossicodipendenza o anoressia o bulimia  o la crisi della famiglia o di tossicomania o di pedofilia, - intanto che si concorre a disconoscere per legge all' insegnamento, mortificandolo, anche la dignità usurante del lavoro operaio o ad esso equivalente, il che va detto pur con tutta la simpatia e lo spirito di collaborazione che ho con le commesse ed i commessi così salvaguardati previdenzialmente, come possono attestare le tante e i tanti commessi cui predispongo puntualmente gli spiccioli per aiutarle/i ad arrotondare i resti.

Putroppo, sotto la coltrice, solo nel nonuagenario Garin ho inteso una voce culturale consapevole di che si sta perpetrando.    

 

        

 

 

lettera a Magris

 

Mantova, li 20 novembre 1997

 

Caro Magris,

 

per la stima e l'affetto intellettuale che Le porto, prima di consentirmi di inviarle qualche mia pagina su dei miei eventi tragici, o traumatici, per i quali le sono dolorosamente solidale nella perdita degli affetti più cari, credo sia salutare che le comunichi quanto mi ha esacerbato il suo articolo titolato dal Corriere della Sera sventuratamente quale "elogio della copiatura", vulnerandomi sensibilmente nella professione di insegnante cui devo di che vivo e la mia considerazione sociale, visto che come scrittore sono e permango soltanto un' entità virtuale post mortem.

Ciò che mi è spiaciuto rinvenirvi è innanzitutto la rappresentazione, in cui si è attardato, di che cosa sarebbero ancora la vita e le relazioni scolastiche nella scuola media superiore ed inferiore, quasi che noi insegnanti  come nella scuola d' un tempo che per fortuna è viva ancora soltanto nella nostra memoria comune, potessimo ancora entrarvi in classe come degli arbitri sul terreno di gioco, il cui parere sarebbe insindacabile e farebbe sentenza con un solo colpo di fischietto, o con l' estrazione inappellabile di un cartellino giallo o rosso.

Per quanto attiene agli elaborati, che sono divenuti il telelavoro in nero, impagabile e impagato, che finisce per vampirizzare il nostro tempo libero disponibile da settembre fino a giugno o luglio inoltrato, poichè risulta sempre più impossibile accertare altrimenti il profitto anche orale di classi sempre più numerose e tra un  Consiglio e un corso e l'altro, - non solo occorre che invece motiviamo o giustifichiamo per iscritto ogni nostra correzione e reprensione, ma in caso di copiatura, che dimostriamo l' inautenticità dell' elaborato che ci è pervenuto, evidenziandone la fonte originaria e le trafile  e i trapassi di mano, in quanto, almeno in Italia, anche il sorprendere un allievo intento nell' atto di copiare non basta più ad invalidarne l' esito, perché ci si può venire a chiedere come si possa dimostrare per parte nostra - lo dicono sentenze di appello-  che l' allievo in  causa non poteva altrimenti senza quel concorso o soccorso svolgere la prova, se non lasciandogli attingervi fino in fondo.

E dunque oltreché richiederci, quali insegnanti, di dispensare le nostre energie migliori o residue per districare negli inferni correttori domenicali e festivi matasse di imbrogli, la copiatura rischia di aggiungere a noi insegnanti il danno alle beffe se i genitori fanno ricorso, che pressocché inesorabilmente sono quelli degli alunni che hanno copiato anziché di quelli che invischiandosi han dato invece da copiare, coloro sapendo di averla comunque giuridicamente vinta, e che diventa un ulteriore obbligo in perdita e gratuito, per l' insegnante, doversi giustificare del voto negativo inflitto anche a due o più prove di diversi alunni pressocché identiche, che magari dovrebbero rappresentare uno svolgimento personale o di rielaborazione critica od analitica, data la convenienza che hanno i colleghi e presidi, perché richiede di eludere accertamenti e riprove di riscontri, di attribuire il torto alla dabbenaggine dell' insegnante in causa piuttosto che alla diseducazione sociale, inseminata negli allievi, ad affermarsi per quel che si è dimostrato innanzitutto a se stessi di valere.

E questo, solo nell' attenermi a quanto è il misconoscimento della realtà della scuola del suo intervento, che c' è altro ancora di più deprimente e sconfortante nel suo scritto.

Lei asserisce, così come purtroppo spira il vento odierno dello Spirito, in circolazione sui media, " che anzitutto copiare ( in primo luogo far copiare) è un dovere, un' espressione di quella lealtà e di quella fraterna solidarietà con chi condivide il nostro destino ( poco importa se per un' ora o per una vita) che costituiscono un fondamento dell' etica ....".

Il che è sconcertante, detto da lei, come se potesse essersi smemorato che ciò che avvalora o degrada ogni rapporto di intesa e di amicizia ne è la finalità, e quasi che fosse un bene mancare di crescere e farcela, e avere successo, a rischio e discapito degli altri di cui si profitta, a meno di non fare propria la visione filmica pur somma della vita di Sam Peckinpah o di John Voo, per i quali l' amore e l'amicizia sono la sola differenza tra la vita e la morte, e dunque in nome di amore ed amicizia tutto diventa lecito contro gli altri, quegli stronzi figli di puttana, anche di sterminarli tutti, pur in nome del branco o del mucchio selvaggio...  

E come se non fosse anche in questo, appunto, che la scuola seguita a fungere da palestra formativa dei futuri rapporti solidali di evasione e di elusione di obblighi ed adempimenti, tra imprenditori e assessori e commercialisti e truffaldini vari, a consacrazione, magari, della ascesa sociale della categoria dei coopiatori ai danni ulteriori della categoria di coloro che lasciano copiare, di chi sa l'arte anziché la parte.

E l'analogia non è gratuita, poiché può bastare , nel poco tempo usufruibile a chi di noi è insegnante,  anche che si falsifichino e raggirino gli esiti di una sola verifica concessaci, perché con una nuova classe sia ad esempio eluso ed evaso l' intento, senza più possibilità di recupero,  che gli alunni leggano e parafrasino qualche pagina dal vivo di Leopardi anziché riprendere qualche commentucolo sottobanco come di consuetudine.

E dunque (è) per le ragioni stesse per le quali ho altamente apprezzato successivamente l'articolo Leggi razziali, il tradimento dell' Accademia, in cui in assenza di valori condivisi, lei denuncia il venir meno della sua vigoria morale, di fronte all' eventualità di essere chiamato a concorrere a un sopruso quale quello dei professori che sedettero sulla cattedra degli insegnanti ebrei discriminati dal regime fascista, non ho potuto tacerle il vulnus che il suo articolo mi ha inflitto nella mia fatica sofferta di insegnante.

A quanto mi costa, di disperazione, differire ancora l' intervallo tra me e la lettura e la scrittura, quando poco è il tempo che sento che mi resta da vivere e manco di nuovo di salvaguadarmi salvaguardando l' inedito, di nuovo mi espongo a ogni rischio e catastrofe della mia precarietà sociale, per destinarmi all' assillo di un' attività di correzione e accertamento e revisione dei compiti, di cui anche lei mi ha accreditato la persuasione che non sia altro che imbecillità da fottere e fottuta. 

 

E il richiamo antecedente alla barbarie delle leggi razziali non mi risulta solo  occasionato, perché a mio giudizio è secondo solo a tali discriminazioni lo scempio che si viene ora facendo della dignità della funzione degli insegnanti e della trasmissione del sapere oramai cosiddetto "cartaceo" nella scuola, nel delegare ad essa per cortezza di ingegno, o di interessamento reale, l' incombenza di tutto ciò che di umano e sociale fa repulsione affrontare,- che si tratti di intolleranza o di tossicomania o di pedofilia, - intanto che si concorre a disconoscere per legge all' insegnamento, mortificandolo, anche la dignità usurante del lavoro operaio o ad esso equivalente, il che va detto pur con tutta la simpatia e lo spirito di collaborazione che ho con le commesse ed i commessi così salvaguardati previdenzialmente, come possono attestare le tante e i tanti commessi cui predispongo puntualmente gli spiccioli per aiutarle/i ad arrotondare i resti.

Putroppo, sotto la coltrice, solo nel nonuagenario Garin ho inteso una voce culturale consapevole di che si sta perpetrando.    

 

                              Con cordialità d'affetti

                                 O. Bergamaschi

 

 

Nei turbini

 

Nei turbini che allentano la mente/ che la mente allentano

odi l'altro, che ti sventa e canta dal ramo:

" Sopporta, ancora, in questo mondo che non vuoi più vivere,

(che non vivi più )

(non fosse / non fossero le / per le fitte di una resistenza atroce,)

accudendo morti di cui non ha più sensazione/ sentore,

cui sei nel torto di sopravvivere

tra le fitte di una desistenza resistenza atroce,

nel divincolarti che non trova spazi/ varchi

che l' impressione d'affetti che tradisci ancora,

 

come a te spiri un pò di vento

muovi, ancora, tra i rami e l'aria di un cielo aperto

anche se l'uccellino che vi canta non è più la sua anima,

ed oltre la porta, ove il via vai si affaccenda

non vi è più chi nessuno che in lui ti riappaia

in lui a prenderti a/per venirti a prendere

chi ti raggiunga a prenderti,

 

per un pò di sollievo tra pareti inospiti, più vertiginose a rischio,

ove ti da da vivere e toglie sempre più respiro

la desolazione attonita di doveri e compiti,

 

rimani ancora fin tanto,

non perderti, non devi,

che nella sordità banale, nell' incapacità a protenderti,

in te quel che preme ed urge, si dispera

sia vanificato nella vanità di tutto.

Nella riassunzione tra loro del calco che sfigura

giace ancora disfatto 

da seguitare e compiersi il tuo lascito.

                

 

23 novembre 1997


 

 

All' arrivo di mia madre

 

Quando, dopo ch' è arrivata alla stazione, mia madre mi ha chiesto di indicarle dove fosse nelle vicinanze una fioreria /fioristeria, per acquistarvi un vaso di fiori da regalare alla signora che ha messo a disposizione di entrambi il suo telefono durante l' agonia di mio padre, vi ho colto l'occasione per rimediare a quanto poteva lasciarle desumere, sconcertandola, il fatto di ritrovare un rametto fresco di cipresso presso il mio canarino morto nel freezer, laddove di fonte all' immagine  di mio padre che tengo esposta su di un boxer della libreria, non v' era alcun fiore commemorativo che un mazzolino secco di riporto.

Me ne ero reso conto quando era oramai troppo tardi per provvedervi, mentre in ritardo per essere risalito a mettermi un giubbino che mi proteggesse dal freddo più di quello che avevo indosso, stavo già avviandomi a prenderla verso di lei alla stazione ferroviaria.

E lei, ora, all' uscita dalla stazione e lungo il tratto di strada che percorrevamo per giungere alla fermata dell'autobus, non faceva che trasmettermi i complimenti e i ringraziamenti che le avevano detto di rivolgermi, al telefono, i parenti ai quali ho inviato la audiocassetta  dell' intervista a mio padre sulla storia di mio zio vincitore del giro d' Italia, e sulla sua di ciclista e di partigiano.

Suo fratello appassionato di ciclismo, mi diceva, era sceso ad ascoltarla emozionato in auto nel garage, non disponendo che del frontalino come radioregistratore.

E che andassi uno di questi giorni a trovarla, mia zia che si era talmente commossa nel sentire parlare, con tanta ammirazione, di mio zio Vasco ai suoi esordi e nei suoi successi di campione, per la nella sua lealtà ed umanità di uomo e di sportivo.

Eppure poco prima avrei potuto acquistare l'uno o l'altro di quei rametti di conifera, a guisa di cipressetto, ch' erano esposti in vendita presso il pullman di un fiorista ambulante, ove  avevo indugiato a lungo senza decidermi, di rientro dal mio Istituto scolastico dove avevo ordinato in mensa le pietanze da portare poi a casa per il pranzo con mia madre.

Ma nel negozio che è presso la fermata dell' autobus poco oltre il mio condominio, non v'era alcuna pianticina o ghirlandetta che potesse fungere a onorare mio padre .

A mia madre ho dunque detto di attendermi nel bar di fronte che fa angolo, ed in bici ho fatto ritorno al pullmann di quel fioraio ambulante.

Ma Non v'era nessuno, ora, ma ugualmente ho atteso a lungo che l' uomo ritornasse da un caffè di fronte, per acquistarvi un esemplare di rametto a guisa di pianticina funeraria che potessi tenere all' interno.

Tuttavia non ho voluto, anche se mi era possibile, ricorrere al sotterfugio di rientrare in appartamento dal retro del condominio senza che mia madre se ne accorgesse, profittandone per deporvi davanti all' immagine di mio padre la pianticina funeraria prima che vi entrassi con lei mia madre, e per lasciarle credere che già da tempo ve l'avevo posta a commemorarlo.

L' ho raggiunta infreddolito in quel bar, senza disvelarle che cosa fosse ciò che avvolto in incartamenti avevo appena comprato, * per lasciarglielo farglielo vedere solo quando siamo stati in soggiorno, e la pianticina l' ho sistemata di fronte alla fotografia di mio padre.

Ma ogni mio accorgimento è stato tutto un'inutile cautela, non occorreva in alcun modo che tentassi di celarle che la perdita del mio uccellino, nella sua desolazione,  ancora a distanza di un  mese era l'eclisse solare che in me aveva occultato la fine ed il rimpianto di mio padre.

Dopo il nostro pranzo in economia, è stato infatti solo poco prima che uscissimo per andare a spasso nella mia bella città, quando non avremmo più fatto rientro insieme in appartamento, che ho dovuto chiederle se volesse vedere la salma dell' uccellino nel freezer, dato che fino ad allora non me ne aveva fatto alcun cenno. , io profittando

Io ho profittato intanto della necessità di scendere a riversare i rifiuti nel cassonetto, per non assistere alle sue reazioni e non avere altro da dirle.

Ed è stato Solo quando ci siamo ritrovati alla stazione per il treno del suo rientro, ed erano già le cinque di sera, ho inteso chiederle che avesse provato nel vedervelo.

" Oh, poverino..." ha detto con tanta dolcezza, " che belle che ha sono ancora le sue piume", come se avesse visto ciò che rimaneva allestito, sulle quinte, di un bello spettacolo che lascia il solo rammarico che sia già finito nella sua tanta delicatezza innocente  , senza pena e sofferenza.

Per varie ore, nel pomeriggio divenuto solatio, , ci eravamo protratti a passeggio nella città antica, non più come un figlio e sua madre, ma come due amici che si ritrovano attempati, inoltrandola per vicoli e recessi medievali che lei ignorava, all' interno della basilica rinascimentale ad ammirarne ammirandone i monumenti funebri, seguitando nei cortili e le piazze ed i giardini di semplici del Palazzo ducale, fino a rientrare dalle brume dei laghi per una sosta, che l' ha incantata, entro la concavità tardobarocca del teatrino mirabile ove ebbe ad esibirsi anche il genio di Mozart.

E' avvenuto stato tutto questo già due settimane fa.

Nel frattempo l'uccellino rimastomi mi si è fatto più caro, da che ha preso il coraggio ed il piacere di a/ccostarmisi sul posatoio quando mi siedo appresso alle sbarre, accorrendovi felice di celebrare, in voli e voletti, la confidenza e il bisogno che ripone ora in me.

Ed è divenuto Bibì Ronaldinho, da che il giocatore fenomeno, un minuto fa, ha assicurato la vittoria su un campo difficile alla mia squadra beneamata.

Di fuori, nella pioggia, se ne è appena andata via una decina di passerottini, che ho richiamato in frotta sul balcone con la semente sparsa, della quale a lungo si sono contesi e bisticciati in grida la beccata.

Ma che l' uno e l'altro degli esseri che a me erano più cari (dei due) non siano più, che altri uccellini che lui nel centro stamane planassero in volo, che la portiera che s'apriva davanti al cancelletto d'ingresso lasciasse scendere dalla vettura un anziano che non poteva essere più mio padre, e della vittoria della nostra squadra non possa più dividere con lui la contentezza, che rimpianto che torna a scontentarmi di tutto, a insipidire lenire ogni ripresa persistente d'appetito e di gusto.              

 

30 novembre 1997

 

In me è il disumano che abbisogna dell' umano che è impossibile, a piangere/ che piange più la morte nel mio uccellino di un angelo, che in mio padre quella di un uomo vero.

 

30 settembre 1997

 

Cfr. " Il codice dell' anima", pagine 76-77

 

 

 

 

 



[1] " Tappati in casa, in questi giorni, gli ho detto, che nei tuoi paraggi tra villa Isabella e villa Rosenfeldt, verrà aggirandosi uno zombie ..."?".... "Sono io che verrò a visitarle..."

 

 

 

 

 

 

 

 

                   

 

 

 

 

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