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diario

   
 

  AVIPOESIA

 

 

 

 

L'autunno che dispiove

 

 

L'autunno che dispiove caligine e barbagli

è lo schianto a dirotto di anima e cielo-

al riacuirsi, nello squarcio,

che di caro tutto ciò che ti palpita è mortale,

le mani che ti disfiorarono i capelli

e riammorbidiscono l'impasto,

il volteggio del canarino estatico della tua solitudine.

E i trilli delle note inumidiscono in pianto,

quando allo suo stacco dal dondolino

lo sguardo rimira nel volteggio

una viva e morta silhouette.

 

                           8 novembre 1994, martedì

Addizione  ( in una versione personalizzata)

 

... .................

una viva e morta silhouette.

All' ottenebrarti, così tu precorri il verminaio,

la sua assenza che ti invoca inaudita controvento (nel vento),

nello strazio degli anni e anni che sopravviveranno

accanto all' impagliatura nella tua vuota stanza dell' uccellino.

Egli è stato il ferale dono che le sue mani

ti recarono a conforto e compagnia.

Dalle sue mani esumando l' amore che intride il pastoncino,

la dedita cura al tuo idoletto,

che sventi la morte anticipante.

 

  

 

 

Brevior

 

Nell' autunno che dispiove caligine e barbagli

è uno lo schianto a dirotto di anima e cielo-

quando allo suo stacco dal dondolino

lo sguardo rimira nel volteggio

una viva e morta silhouette.

 

                           8 novembre 1994, martedì

 

Nell' autunno che dispiove

quando allo stacco dal dondolino

lo sguardo rimira nel volteggio

una viva e morta silhouette

 

 

O tu, Onnipresente

 

O tu, Onnipresente,

che al mio amorino volatile stai sospesa d'intorno,

e ne trami e sventi interminabili insidie (,)

con le mie stesse mani che lo sovvengono,

vivificalo quanto più a lungo ti è dato,

differiscilo fino al termine ultimo,

chè la vita e l'opera che mi  è lunga ancora davanti,

non può sostenere il perdurare oltre un battito oltre

la cessazione in un rifiuto corrotto della sua grazia,

nelle sue piume lui il quieto silenzio di un puro incanto

ove non palpita odio nè amore,

quando che più in lui non svoli l'ancestrale timore di un esilio animale

nel canto sospeso in un richiamo di stelle,

che s' impuntano palpitano in cielo come le sue vive pupille 

remote nella fissitudine intrepida di che solitudine (immensa),

da che perchè così fragile eppure indenne

non è che l'uccellino più comune che ho imprigionato al mio fato.

                                                 ( a me stesso).

 

 

Macchie oculari

 

Ora che non ho più che macchie oculari,

che sensori del vilipendio,

nel ripercorrere lo stesso tratto di mortificazione

fra i vigilantes, insonni,

anche sull' accorrere di sparuti uccellini

al mio balcone deserto,

desolata di ospiti anche la quella piccola ciotola,

eppure affranto dall'incombenza negli umani riguardi,

di schianto in schianto di esagitati affanni

nell'eccesso ferito sui doveri degli atti,

senza più rotte a uno squarcio di miraggi di varchi nei cieli,

senza più il lascito, ancora,

per ancora altri popoli e vestigia e miseria,

ricurvo, ogni giorno di nuovo,

su altri rifiuti e polvere di pochi metri quadri,

vita e morte, ogni splendore glorioso,

eppure risorgono in limpidità d'incanto,

sono la luce che sfolgora ancora nella magnificenza dell'alba, nell'alba che infresca,

madida di essa i suoi quegli atti dimessi,

non sono più per la mia vita che un canto volatile,

vita e morte riattinte oltre l'oltraggio e la vanità del tempo,

nel becchettio che ne sostenti il suo canto volatile,

nel nutrirlo ancora di miscelati grani

nell'esserino che è il tutto nella sua gabbia del futuro che resta,

per pietà chiedendo ancora all' Angelo soccorso di vita

finchè concorso di vita vi sia nel suo anelare alla luce nel canto,

nel suo trascorrere quieto di semente in semente indorato di luce,

soccorso di vita fino a quando, soltanto,

la mia sospensione del canto possa ancora confortarsi di suoi suoni d'acqua,

per pietà ma chiedendo allora soccorso di identici battiti di morte,

non un solo istante attimo, di più,

come quando il capo sotto l'ali in lui reclini nel sonno per sempre,

dispento l'esserino per sempre alla quietudine ed al moto.

Fino ad allora esaudendo(mi) il sostento (possibile)  della sua grazia soltanto, di quietudine e moto,

il mio cammino ancora di polvere e rovi fra gli uomini.

 

 

 

Macchie oculari

 

Ora che non ho più che macchie oculari,

che sensori del tratto ancora di mortificazione del vilipendio da cui difendermi,

nel ripercorrere lo stesso tratto di mortificazione

fra i vigilantes, insonni,

anche sull' accorrere di sparuti uccellini

al mio balcone deserto,

al balcone deserto,

desolata di ospiti anche la quella piccola ciotola,

eppure affranto dall'incombenza negli umani riguardi,

di schianto in schianto di esagitati affanni,

nell'eccesso ferito sui doveri degli atti,

senza più rotte a uno squarcio di miraggi di varchi nei cieli,

senza più il lascito, ancora,

per ancora altri popoli e vestigia e miseria,

ricurvo, ogni giorno di nuovo,

su altri rifiuti e polvere di pochi metri quadri,

vita e morte, ogni splendore glorioso,

eppure risorgono in limpidità d'incanto,

sono la luce che sfolgora ancora nella magnificenza dell'alba, nell'alba che infresca,

se madida di essa i suoi si riaccingono  quegli atti dimes/si,

non sono più per la mia vita che un canto volatile,

vita e morte riattinte riattinte, oltre l'oltraggio e la vanità del tempo, se madido ne è l' esserino inesausto di inebriarsi

che nella sua gabbia è quanto futuro ancora mi resta,

nel becchettio riattinte che ne sostenti il suo canto volatile,

nel nutrirlo ancora di miscelati grani,

nell'esserino che è il tutto nella sua gabbia del futuro che resta,

per pietà chiedendo ancora all' Angelo soccorso di vita

finchè concorso di vita vi sia nel suo anelare alla luce nel canto,

nel suo trascorrere quieto di semente in semente indorato di luce,

ma soccorso io di vita fino a quando, soltanto,

la mia sospensione del canto possa ancora confortarsi ancora

di suoi suoni d'acqua,

per pietà ma chiedendo allora soccorso di identici battiti, di morte,

non un solo istante attimo, di più,

come quando il capo sotto l'ali in lui reclini nel niente sonno per sempre,  per sempre

dispento l'esserino per sempre alla quietudine ed al moto.

Fino ad allora Esaudendo(mi) il sostento (possibile)  della sua grazia soltanto, di quietudine e moto,

il mio cammino ancora di polvere e rovi fra gli uomini.

Che resta, esaudendo il sostento della sua grazia soltanto,

in di quietudine e moto,

del cammino di polvere e rovi fra gli uomini. 

Esaudendo il sostento della sua grazia soltanto

in di quietudine e moto,

che mi resta del cammino di polvere e rovi fra gli uomini.  

 

 

Temi poetici

 

L' ardore di Ero e di Leandro, la spina nella carne di uno sposo divino,

che tramutò il derviscio in coppiere del proprio Signore ,

un /il vecchio decano nel trasfuga del nerbo,

che in una notte così o nel risveglio dell'alba

sognò mille e una altre notti incantesimali,

e presagì nell' allodola fugace solo la morte ad unirli,

ma per te ora al termine di tutto

ti è in una sera di voli il grano che rideponi con i sali

( a che siano) d'alimento a uno stupido uccellino che non varia

e ripete con il canto un il suo istinto di terrore,

di stupore a ciò che non sia il  moto e la quiete,

esultanza (canora) di canto o voracità di cibo.

Eppure, per te, qui è alfine con lui

pienezza e sazietà d'affetti,

respiro di vita, intimità d'accordo.

 

                                              24/5/95  

 

 

 

 

La poesia non salva la vita

 

Mèsdames et mèssieurs,

en me réferant pas à vous, icì élevès partecipiants, mais à la géneralitè maioritaire de mès connationaux, il m' embarrasse ( il m'est presque impossible) de parler de poesie ou quand meme de culture en italien à des italiens majoritaires. C'est le meme que de parler de l'humain à la generalité des hommes (etres humains).

Mais malheureusement je ne connais que quelque langue humaine, je ne connais pas le language des fleurs et des animaux, et mes pauvre mots, artificiaux, n'ont nì le charme choisì nì la naturalitè cultivée d' un  Harzel ou d'un Malinois, mais en ayant quand meme à vous parler, j'ai du rèplier sur la langue que je parle mieux àpres ma langue maternelle. la langue que je parle mieux àpres celle plus maternelle de mom patois.

 

 

Signore e Signori qui convenuti,

 

sfortunatamente, malheureusement, io non conosco che qualche lingua umana, io non conosco alcuna lingue animale, e le mie parole artificiali, per quanto da Voi onorate, non hanno nè il fascino squisito nè la naturalità coltivata, del canto di un Herzer o di un Malinois, ma dovendo ciononostante, ora nel parlarvi, convertire in alcunchè per voi di significativo ciò che resterebbe altrimenti una circostanza di rito, mentre Domine non sum dignus vado ripetendo a me stesso, E in termini italiani Et en termes français, sono qui semplicemente per ribadire, sommessamente, nonostante tutto, che la poesia che nella mia opera si magnifica e si celebra, eppure  non salva alcunché e la vita, che nessun atto di bellezza o alcuna forma estatica che sia stata messa in atto, può redimere l'orrore di inscenare la natura umana messa in atto.

Anche il verso più fascinoso bello che io possa avere composto espresso, non può che disperare di impotenza e nullità insignificante, di fronte a quanto costituisca anche  un solo atto di bruto scherno, che sia condiviso, della natura generale degli uomini che siano intenti a ribadirsi come tali.

Può essere, al più, per quanto si sia complici e implicati, dei succubi o dei riflessi dell'ostile, solo il grido di soffocazione o di una irriducibilità sensibile reietta, l'esibizione ferita di se stessa, di ciò che è sensibilità delicata e evasiva contemplazione di incanti o aspirazione ancora ad altro e ad oltre, al cospetto dell'abominazione imperversante di ciò che è genitalità mentale e abominio di soggezione e di potere.

E dunque, nel rinviarvi, di me, alle mie sole parole scritte in prosa e in versi, cui va espresso un vostro eventuale riconoscimento, anzichè alla mia infima e piuttosto altrimenti irrilevante larva irrilevante che soggiace all' attuale, ed ove per chi non sia interessato a ciò che vi è altrimenti più formale profondo, appare comunque prefigurato quale mio destino e d'altri, in questo tempo storico, l'avere a vivere nel farsi villaggio globale del natio borgo selvaggio, in un degrado che è oramai un "regresso a vita", per il quale non solo di questo Paese che come l'Austria di Bernhard, può apparire oramai " soltanto una rimanenza in liquidazione della storia spirituale e culturale" dell'Occidente, nella mia deposizione pertanto dunque di queste crisalidi che sono il lascito dell'uomo che sono stato, devo ribadire che per quanto il mio io scritturale sia mutato, eppure come quell'io che vi si muove estatico e sgomento, (in simbiosi con il mio io che ancora ha una biografia anagrafica,)  non può che consentire, unanime, col volo atterrito dell'uccellino che accudisco e che mi sfugge, poichè e non crede ad amore e cura e dedizione che gli porgo.

Troppo io difetto o sono stato indotto a difettare altrimenti di fede e speranza e carità, per avere altro da lasciarvi che qualche mio miracolo di eccesso mentale fuori del tempo e controsenso, che tale è oramai un atto estetico nel mondo.

E non vi sembri scortese, conclusivamente, se i miei versi, qui in Assisi, mi è grato saperli destinati alla fine destinarli, e saperli destinati, nonostante tutto, di innanzitutto a tutti i fiori e gli altri animali del mondo.

( Eppoi, parlare ancora di poesia in Italia e in italiano...)

E se li destino oltreche a voi e ai miei cari e defunti, più in generale, a ogni vittima del nostro essere qui riuniti e superstiti a vivere ancora.


 

 

La poesia non salva la vita

 

Mèsdames et mèssieurs,

en me réferant pas à vous, icì élevès partecipiants, mais à la géneralitè maioritaire de mès connationaux, il m' embarrasse ( il m'est presque impossible) de parler de poesie ou quand meme de culture en italien à des italiens majoritaires. C'est le meme que de parler de l'humain à la generalité des hommes (etres humains).

Mais malheureusement je ne connais que quelque langue humaine, je ne connais pas le language des fleurs et des animaux, et mes pauvre mots, artificiaux, n'ont nì le charme choisì nì la naturalitè cultivée d' un  Harzel ou d'un Malinois, mais en ayant quand meme à vous parler, j'ai du rèplier sur la langue que je parle mieux àpres ma langue maternelle. la langue que je parle mieux àpres celle plus maternelle de mom patois.

 

 

Citazione da Intransigenze, Nabohov, pg. 50 " IO so semplicemente che nella fase precoce di sviluppo di un romanzo..."

 

Signore e Signori qui convenuti,

 

sfortunatamente, malheureusement, io non conosco per apprendistato che qualche lingua umana, io non conosco alcuna lingue animale, e le mie parole artificiali, per quanto da Voi onorate, non hanno nè il fascino squisito, nè la naturalità coltivata, del canto di un Herzer o di un Malinois, ma toccandomi ciononostante, ora nel parlarvi, convertire in alcunchè per voi di significativo ciò ch' è cio che resterebbe altrimenti solo una circostanza di rito, mentre Domine non sum dignus vado ripetendo a me stesso, E in termini italiani Et en termes français, sono qui semplicemente per ribadire, sommessamente, nonostante tutto, che la poesia che nella mia opera pur si magnifica e si celebra, eppure  non salva alcunché e la vita, che nessun atto di bellezza o alcuna forma estatica, cui si sia pervenuti, può redimere l'orrore di inscenare la natura umana.

Anche il verso più fascinoso bello, che io possa avere composto espresso, non può che disperare di nullità impotenza e nullità insignificante, all' impatto anche di fronte anche a un di un solo atto di bruto scherno, condiviso, della natura generale degli uomini che siano intenti a ribadirsi come tali.

(Può essere, al più, per quanto si sia complici e implicati, dei succubi o dei riflessi dell'ostile, solo il grido di soffocazione, o l'autoasserzione, di una irriducibilità sensibile reietta, l'esibizione ferita di se stessa, di ciò che è sensibilità delicata e evasiva contemplazione di incanti o aspirazione ancora ad altro e ad oltre, al cospetto dell'abominazione imperversante di ciò che è genitalità mentale e abominio di soggezione e di potere).

E dunque, nel rinviarvi, di me, alle mie sole parole scritte in prosa e in versi, cui va espresso un vostro eventuale riconoscimento, anzichè alla mia infima e piuttosto altrimenti irrilevante larva che le ha secrete,  per chi non sia interessato a ciò che vi è altrimenti più formale pE dunque debbo così mestamente rinviarvi alle mie sole parole scritte, siano esse in prosa e in versi, cui va rivolto se ne sono degne cui va espresso il vostro riconoscimento, anzichè alla mia infima e piuttosto altrimenti irrilevante larva di persona, nelle cui tracce  per chi non sia interessato a ciò che vi è altrimenti più formale profondo, appare comunque prefigurato quale mio destino e d'altri, in questo tempo storico, l'avere a vivere nel farsi villaggio globale del natio borgo selvaggio, in un degrado che oramai vivo come un "regresso a vita", e non solo di questo Paese nel suo retaggio altissimo, che come l'Austria di T. Bernhard, purtuttavia, appare destinato a farsi, in un futuro prossimo e remoto," soltanto una rimanenza in liquidazione della storia spirituale e culturale" dell'Occidente.

Intanto che nel depositare nella mia deposizione pertanto editoriale dunque di queste crisalidi, che sono il lascito dell'uomo mentale e immaginale che sono stato, seguito a devo pertanto ribadire che per quanto il mio io scritturale sia mutato, eppure come quell'io che vi si muove estatico e sgomento, (in simbiosi con il mio io che ancora ha una biografia anagrafica,), lo scriba attuale egli non può che consentire, unanime, col volo atterrito dell'uccellino che accudisco e che mi sfugge, e non crede ad amore e cura e dedizione che gli porgo.

Troppo io difetto o sono stato indotto a difettare altrimenti di fede e speranza e carità, per avere altro da lasciarvi che qualche mio miracolo di eccesso mentale fuori del tempo e controsenso, che tale è oramai una forma artistica un atto estetico nel mondo.

E non vi sembri particolarmente sconfortante scortese, conclusivamente, se i miei versi, qui in Assisi, mi è grato saperli destinati alla fine destinarli, e saperli destinati, marcescente, nonostante tutto, di innanzitutto a tutti i fiori e gli altri animali del mondo.

( Eppoi, parlare ancora di poesia in Italia e in italiano...)

E se oltreche a voi ed ai miei cari, vivi e defunti, li destino più in generale, a ogni vittima del nostro essere qui riuniti e superstiti a vivere ancora.

 

Mantova, 1995


 

 

E tu, estatico uccellino,

 

E tu estatico uccellino,

che nella tua lievità animale sei tutto quello che può essere un

Angelo,

al tuo fissarti/mi ( fissare)  senza chiave di cifre,

enigma senza arcani, istintuale e puro,

(  nella tua grazia di intenti (e di moti) che volita in gabbia,)

(in quale tua grazia che volita in gabbia),

 

pure istantaneo ad ogni variare di stato

nel terrore tuo vago di ogni orrore in agguato

sei tutto ciò che può incutere un uomo,

 

nella mia cura che ti avvolge

la paura di me riflessa che così ci detiene,

l'uno la vita dell' altro,

 

nel chiaro di luna sul posatoio più alto il tuo nuvolio di piume

il silenzio immoto del tuo incanto assorto nel sonno,

che l'anima quieta nel divino

rapisce e rende alla lama che sgozza

(versus: oltre la lama che decapita e sgozza).

            

Padova 13/7/1995

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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