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diario

 
 

 

 

 

Lei, su in alto

 

Lei, su in alto,

nell' incanto che volteggia (e si posa) nell' incanto

delle sue bianche piume,

intanto che lui giù al fondo , che al fondo,

nella pastura che lo/le intride

vi ci lui affonda nella morte.

 

 

Non ti sia gelido

 

Non ti sia gelido, caro,

il gelo che ti brina

a me preservarti.

 

 

Lo stesso conforto

 

Lo stesso conforto, che in un sorso di vino,

che ti inoltra già al di là della sua fine,

l' attesa e il desiderio, con la sua morte,

di liberarti alla vita per la vita bella che continua

di essere libero dall' assisterne la pena,

per la vita bella che continua,

ti conforta, che un giorno,

saranno a liberare di liberazione per gli altri il sollievo degli altri della alla tua fine.

 

 

E torna

 

E torna in sogno

beccheggiando:

" Nel tuo amore

tu mi lasciasti deperire

ah, maledetto!

maledetto! maledetto!"

me poverino... che (oh) poverino...".

 

 

Non canto

 

Non canto,

non musica, non voci,

dove cessata è la sua allegria di voli,

 

non il conforto di pianto

nella trafittura che a ogni respiro nella trafittura

ti è l' imperdonabile.

(nella trafittura  ad ogni respiro nella trafittura

dell' imperdonabile.)

 

 

L' evanescenza che disincarnano le rose

 

L' evanescenza

che disincarnano le rose,

la decapitazione[1] che tu spasimi tanto,

ne spasimi tanto che ne hai respiro,

nel gusto sapido che sopravanza,

all' affollarti che ti fa demente.

 

 

L' evanescenza che disincarnano le rose

 

L' evanescenza

che (ti) disincarnano le rose,

la decapitazione di che tu spasimi tanto,

tu ne spasimi tanto che ne respiri /ti è respiro,

al/nel gusto sapido che sopravanza

all' affollarti che ti fa demente ilota rigurgita.

 

 

Alla cessazione

 

Alla cessazione del suo battito di piume,

con il compiersi dello strazio

che in lui ne facesti

è la morte della grazia,

per tua colpa,

che in te sopravvive quale che sia l'istante.

 

ne facesti : strazio della grazia.

 

 

Alla cessazione

 

Alla cessazione del suo battito di piume

con il compiersi dello strazio

che in lui ne facesti

è la morte della grazia, che per tua colpa,

che in te sopravvive quale (che) sia l'istante.

 

 

Che spasimo, le fiamme

 

 

Che spasimo, allora le fiamme,

miei uccellini morti,

ad ardermi in sogno allora ad ardermi allora

con gli esserini vostri.

var: con i cadaverini vostri.

 

 

(Che spasimo allora le fiamme,/ Che spasimo, allora le fiamme,

miei uccellini morti,

ad ardere allora le mie/ ad ardermi

con le vostre carni/ salme/ spoglie.

 

varianti

miei uccellini spenti)

 

 

 

 

Per me ora tu sei

 

Per me ora tu sei

ogni cosa che non sei

(uccellino morto.)

morto uccellino...

 

 

Stanotte

 

Stanotte

 

Sei, della luna,

nel chiarore diffuso

mia anima morta.


 

 

Nella notte più limpida d'inverno

 

 

 

Nella notte più limpida d'inverno

traluce una croce in ogni stella

sulle soglie all' ansito di ritrovarti assente,

nel subentro del vuoto alle tue pupille

in che sereno lunare di invetriate lacrime

diradatasi la nebbia di infermità di affanni,

a che la marcita solatia, il gremitìo,

non siano su di te, sulle tue scarnite piume,

zolla su zolla del dimenticarti.

Qui, nello stesso alito, in silenzio,

del gelo del Cocito che ti brina i resti.

 

 

 

 

Natale 1999

 

 

 

 

 

 

 


 

 

Nella notte più limpida d'inverno

 

Nella notte più limpida d'inverno

cruenta[2] una croce in ogni stella

alle/ sulle soglie l' ansito di ritrovarti assente,

nel subentro del vuoto alle tue pupille

ch'è il sereno lunare di invetriate lacrime

ove in cui/ che dirada la nebbia di infermità di affanni,

(ove il sereno lunare di invetriate lacrime

dirada la nebbia di infermità di affanni)

fin che la marcita solatia, il gremitìo,

non siano su di te, sulle tue scarnite piume,

zolla su zolla del dimenticarti.

Qui, nello stesso alito, in silenzio,

del gelo del Cocito che ti brina i resti.

 

 

Nella notte più limpida d'inverno

 

Nella notte più limpida d'inverno

mi configge una croce cruenta in ogni stella

il battito di verificarti assente.

oltre le soglie il persistere di verificarti assente.

Nel subentro del vuoto alle tue pupille

(dove mi aggiro per le livide stanze)

al è il sereno lunare di invetriate lacrime

in che dirada la nebbia di infermità di affanni

(var: vanità/nullità insanità di affanni),

fin tanto che io resisto nel freddo

a che fin che la marcita solatia, il gremitìo,

non siano su di te, sulle tue scarnite piume,

zolla su zolla del dimenticarti.

Qui, nello stesso alito, in silenzio,

del gelo del Cocito che ti brina i resti.


 

 

Che altro io sono mai

 

Che altro io sono mai

vuoto il fondo del volto

che te che amai.

 

 

Disvela un raggio

 

Disvela un raggio

nel vuoto giorno che

io sono morto in te.


 

 

Ci sei, ancora

 

Tu ci sei, ancora,

se ti trattengo caro

nell' anima mia.

 

variante Ci sei, ancora

 


 

 

Senza più foglie

 

senza più foglie

gli alberi, la mia casa

senza i tuoi voli.

5/12/99

 

 

Come, non ci sei

 

Come, non ci sei,

se nel mio rimpianto

ti ho vivo tanto.

20 dicembre 1999


 

 

In quella foto

 

I

 

In quella foto

a che ti protendi

che non sai

 

 

Pochi giorni, poi

 

Pochi giorni, poi,

la luce che ti specchia

della tua morte.

 

Variante:

Di lì a giorni

la luce che ti specchia

dellatua morte.

 

 

 

 

 

Sinopia. A Francisco Sanchez

 

Carissimo Francisco,

ho ricevuto alcune settimane fa la tua carissima lettera, in un giorno uggioso e triste come questo che oramai è notte. si è fatto notte annotta finisce.

Infinitamente grazie, nelle lacrime che ho pianto, per quanto mi hai detto a conforto della morte del mio uccellino.

Che mi si poteva dire di più toccante e bello, per chi crede?

Come d' incanto Là l' ho visto il mio ninì, in un alone di luce  ardermi d'amore nelle sue pupille, il mio bambino, il mio fratellino, in un alone di luce il" mi querido...".

Avessi la grazia e la fede che mi soccorrano, nella mia vita che per me seguita solo a persistere.

Ma le tue parole delle quali ti rendo infinitamente grazie, eppure mi hanno toccato talmente raggiunto, come non  so immaginare quali altri accenti lo potessero altre parole, quali altre parole lo potessero ne fossero in grado, non posso, pur se debbo, nel dirti questo,che chiederti scusa della temerarietà di quanto ti ho chiesto, e tu ciononostante hai affrontato, di temerario, di dirmi una parola di consolazione conforto nella mia sconsolazine. smarrimento  mio mio dolore nel mio sconforto.

Anche in questi giorni, leggevo della fame nel mondo nel bel libro in cui Ziegler in cui il sociologo ne parla a suo figlio, assistevo agli ultimi giorni degli ebrei ad Auschwitz, nel film di Spielberg, ma  per mia colpa, io nelle parole che descrivevano le convulsioni atroci dei piccoli etiopi che muoiono di fame nei campi profughi, nelle immagini degli internati nei lager, gli "scheletri", che non avevano più nemmeno un corpo che potessero nutrire i soccorritori, era quell' esserino lui, nel suo deperimento, che vedevo spasimare per mia colpa in fondo alla gabbia, cui anch'io nell' errore che denunciavano quelle pagine,

cagionavo la morte nella pretesa che la sua vita all' estremo ingurgitasse cibo.

Eppure quanto Tanto più, nella mia afflizione, incapacità di consolarmi, mi ha (ugualmente) commosso sentirti dire quanto sei felice, come la vita, senza piani nella testa, ti sembra un dono bellissimo.

....................

 

 

Sinopia.

 

Carissimo Francisco,

ho ricevuto alcune settimane fa la tua carissima lettera, in un giorno uggioso e triste come questo. che oramai è convolato in notte.

Infinitamente grazie, nelle lacrime che ho pianto, per quanto mi hai detto a conforto della morte del mio uccellino.

Che mi si poteva dire di più toccante e bello... Come d' incanto Là l' ho visto il mio ninì, in un alone di luce ho ritrovato vivo il" mi querido...".

Ma nel sincerarti quanto le tue parole mi abbiano raggiunto, debbo chiederti scusa della temerarietà di quanto ti ho chiesto, e che pure tu hai affrontato, di dirmi una parola di consolazione  nel mio sconforto.

Anche in questi giorni, leggevo della fame nel mondo nel bel libro in cui Ziegler ne parla a suo figlio, assistevo agli ultimi giorni degli ebrei ad Auschwitz, nel film di Spielberg, ma nelle parole che descrivevano le convulsioni atroci dei piccoli etiopi che muoiono di fame nei campi profughi, nelle immagini degli internati nei lager, gli "scheletri", che non avevano più nemmeno un corpo che potessero nutrire i soccorritori, era quell' esserino lui, nel suo deperimento, che io vedevo spasimare per mia colpa in fondo alla gabbia, al quale anch'io nell' errore che denunciavano quelle pagine, cagionavo la morte nella pretesa che la sua vita all' estremo ingurgitasse cibo.

Tanto più mi ha dunque commosso sentirti dire quanto sei felice, come a te la vita, senza piani nella testa, sembri intatto un dono bellissimo.

Non sapevo, e ne sono rimasto più ancora ammirato e stupefatto, che tu già insegnassi e sapessi così tante lingue antiche, con l'arabo e l'aramaico anche l'ebraico... e con le lingue la letteratura dell' Oriente antico...all'università...

 

 

 

A Francisco Sanchez

 

Carissimo Francisco,

ho ricevuto  la tua carissima lettera alcune settimane fa, in un giorno uggioso( "tedioso") e triste come questo.

Infinitamente grazie, nelle lacrime che ho pianto, per quanto mi hai detto a conforto della morte del mio uccellino.

Come d' incanto Là l' ho rivisto il mio ninì, in un alone di luce Vi ho ritrovato vivo il " mi querido...".

Ma nel sincerarti che le tue parole mi sono state toccanti, debbo chiederti scusa della temerarietà  di quanto ti ho chiesto, di potermi dire una parola di consolazione  nel mio sconforto ( "desconsuelo").

Oh, che sia vero ciò che mi dici, se è vero, secondo le parole di  Georg Buchner, che " il minimo fremito di dolore, fosse anche soltanto di un atomo, apre uno squarcio(" desgarro") da cima a fondo ( "de arriba abajo")  nella creazione".

Anche in questi giorni, leggevo della fame (" hambre") nel mondo nel libro in cui Ziegler ne parla a suo figlio, assistevo agli "ultimi giorni" degli ebrei ad Auschwitz, nel film di Spielberg, ma nelle parole che descrivevano le convulsioni atroci dei piccoli etiopi che muoiono di fame nei campi dei profughi, nelle immagini degli internati nei lager, gli "scheletri vivi", che non avevano più nemmeno un corpo che i soccorritori potessero nutrire, era quel mio esserino, nel suo deperimento ( è il " debilitarse"), che io vedevo spasimare per mia colpa in fondo alla gabbia, al quale anch'io, nell' errore che denunciavano quelle pagine, cagionavo ( cfr." causar") la morte nella mia mano, per la pretesa che la sua vita all' estremo ingurgitasse cibo.

Il suo stesso scarnito petto ( "Pecho") sotto le piume...

Tanto più mi ha dunque commosso sentirti dire quanto sei felice, come a te la vita, senza piani nella testa, sembri null' altro che un dono bellissimo.

Non sapevo, e ne sono rimasto di te più ancora ammirato e stupefatto, che tu già insegnassi e sapessi così tante lingue antiche, con l'arabo e l'aramaico anche l'ebraico... e con le lingue la letteratura dell' Oriente antico...all'università...

Sei molto contento di tutto...della tua nuova casa, di quant'è bello il tuo studio, benché sia piccolo, e sembri temere solo l'inverno di Castiglia...che bello, per te, per entrambi al sentirtelo dire.

Se con  la mente travalicando ( cfr."sobrepasar") le terre e i mari che si interpongono, cerco di vederti in Madrid, per ciò che mi dici e che di te suppongo, dentro il tuo studio ti immagino in interni confortevoli e caldi, pur se ristretti, tra mobili semplici, elementari, ma dove è sistemato e riposto tutto quanto ti occorre, - oh, non serve che tu in Aleppo, ti sia professato a me l'ultimo dei medioevali, ti ci vedo nel carapace high tech di  homo digitalis a tutti gli effetti...- il personal computer collegato in internet, con stampante e fax ed e-mail, il lettore di compact e cd rom con le pile di dischi su dischi, integrati nella scaffalatura ( " surtidos") tra le tante carte universitarie, le tesi e tesine e corrispondenze in cui sei sommerso, e i soli libri indispensabili, e in corso di lettura, che ti sei portato appresso da Toledo.

Vi ti immagino lì, non so a che piso, ma in prossimità dei cieli più che della calle, di rientro la sera più di quanto tu vi stia di giorno, da solo, inevitabilmente, in una solitudine dotta o in fantasticherie romantiche,- non c'è su una poltrona ( "butaca") accanto un tuo morbido gatto?-, mentre, forse perché non riesco a riflettermi che nella mia solitudine senile, avverto che resta al di là della tua soglia ( "umbral") ogni relazione che ti piace talmente intrattenere, ma che non trova un seguito ( " continuacion"), poi, nella tua intimità più raccolta in quelle tue stanzette .

Ma davvero sei senza progetti? E che cosa insegni di letteratura orientale? Che hai trovato fra gli antichi manoscritti che vieni catalogando? A che cosa conti in Siria di poter ritrovare un seguito?

Il mio inverno, casto e solitario, scorre invece pressocché tutto nel cielo che intravedo fuori dei vetri (" cristal de la ventana" pl.), nel suo grigio piovoso ( "lluvioso") che mi è divenuto così vuoto ( "vacìo") tra i rami degli alberi, o in quant'è la poca  natura che scorgo di sfuggita ( cfr."huir") tra le macchine e gli autobus, quando ansioso e convulso mi reco a scuola con la mountain bike, in perenne ritardo come in ogni cosa della mia vita, o poi ne faccio ritorno stremato ed esilarato ( " como una bebida cordial desvanecida"...), nel freddo piovigginoso ed umido che mi intirizzisce( cfr." aterir"), più di rado nella luminosità dei giorni di sole remoti, per me non più di un richiamo ( "llamamiento") fugace che cade smarrito ( "perdido").

All' interno di queste stanze deserte, quando ho iniziato a scriverti questa lettera, settimane or sono, mi era un po' di conforto, nella solitudine quotidiana, anche la sola presenza superstite del ragnolino ( una aranita) che si è insediato ( cfr." tomar posesion") nell' angolo basso di una finestra ( "ventana"), con la sua ragnatela, dentro la cameretta ch'è così bella della mia biblioteca.

Ogni giorno io vi passavo e ne sfioravo( cfr."rozar") la trama, per il piacere di vederlo animarsi e correre in un moto di all'erta.. Chissà mai come vi sopravvive, mi chiedevo, in un universo che mi sembra sia il solo regno spirituale dell' inorganico, tra calcinacci salnitrosi e la sola umidità dei muri, i tanti libri e le sole immagini fotografiche di una natura viva.

Poi si è immobilizzato con un altro ragno, nelle filacce, e non so dirti se sopravviva in letargo o se siano già deceduti( " fallecidos") entrambi ("ambos").    

Solo una sera ho voluto uscire ( "salir") veramente per le strade ( "carreteras") della mia città antica, talmente mi era irresistibile, già in cortile ("patio"), la suggestione che vi era sospesa nell' aria della densa nebbia ("niebla") calata per le sue vie.

E' il fascino che d'inverno rende magiche la mia come le altre città, quali Ferrara, che nella nostra pianura ( "llanura") siano prossime al corso del Po e dei suoi affluenti .  

Ogni rumore vi si attutisce ( cfr." se atenuar"), si silenzia, e l'aria si addensa nel chiarore lattiginoso del fondale cieco di ogni via, in cui le luci artificiali si fanno aloni (" halos") diffusi in un clima di mistero fantastico.

Vai allora per le vie, e sotto i portici( "soportals"), fra i negozi( "tiendas"), senti smaterializzata ogni volgarità e mondanità d' interessi, tutto pare esibirsi piuttosto nella sua corporeità di bene di uso tramandato nel tempo, e nell' umidità ti sembra che trasudi la sedimentazione storica d'ogni pietra o marmo, la stagionatura ( "sazon", " madurez") d'ogni arte e mestiere ( "oficio", "profesion") di cui vedi allestiti i prodotti.

Le persone che dileguano al tempo stesso in cui ti appaiono, non sono che ombre o presenze fugaci e discrete, e tra le volte e i palazzi che svaniscono nel niente del biancore, devi accostartene ( cfr "acercar") ai portali, sotto i balconi, se vuoi vederne le cornici ( " las molduras")  dei tetti, e le gronde (" canalon del tejado" pl.), sconfinare fantasmatiche nella cancellatura del cielo.

Purtroppo è la stessa nebbia in cui sulle autostrade del Nord Italia le automobili piombano ( cfr." derumbarse"?,"caer")l' una a incastrarsi nell' altra in incidenti strazianti, che rallenta ( cfr."aminorar") e inibisce la mobilità.

Ma nel mio caso non è certo per la nebbia, o per le trascorse piogge, non è per il freddo che morde un po' di meno che nelle settimane scorse, se da quando sono rientrato dalla Siria io non mi sono mosso, da dove vivo, che per recarmi( "ir") saltuariamente ( "en modo saltuario") da mia madre a Modena, in Emilia, - il solo ambiente caldo della mia esistenza, in compagnia della sua vitalità vedovile ( "de viuda") e del cane ( "perro") boxer affettuosissimo -è di mia sorella- che con lei convive- ed ai primi di novembre, per andare a Venezia e rientrarvi in giornata, pur di vedervi una mostra eccezionale, assolutamente, sul Rinascimento veneziano e la pittura del Nord, ai tempi di Bellini, Durer e Tiziano.

( Ma anche se a me la nebbia non cela il volto presente della mia città, è invece a te, in quanto sei in Madrid, che è dato invece di poter vedere ancora il suo volto passato,- è così, in effetti, solo che tu ti rechi nella sala del Prado dove è "La morte della Vergine" di Andrea Mantegna: oltre i pilastri che ne incorniciano ( "enmarcan") il cordoglio, il suo volto passato puoi intravederlo nell' apertura su come appariva  nel Quattrocento, dal castello che si affaccia( cfr."asomarse") verso i laghi che la attorniano ( "envolven"), dove il ponte, allora fortificato, avviava a entrare e uscire verso Nord Est fra quello ( dei laghi) di Mezzo e quello Inferiore, il che accadeva attraverso il borgo turrito ( "arrabal), che più non esiste, che nella sua cinta muraria (" muro que rodea la ciudad") vedresti allora comprendervi delle chiese e una stazione di posta,( o un'osteria), oltreché delle corti rurali sparse fra il folto degli alberi e il rigoglio ( "lozania") del verde, nel tramonto ( "ocaso") raffermo sulle lente acque lacustri in cui sostano barche). 

Per il resto la mia prostrazione ( " abatimiento") è tale e tanta, ho un tale disgusto di sesso ed affetto/i, che non ascolto nemmeno più musica, nel vuoto ( " vacìo") e nel freddo che non riscaldo di queste stanze, e non ne esco in bicicletta che per le compere e la scuola, che per vedermi a una scommettitoria ( "agencia de apuestas") qualche finale di partita del campionato di calcio ( "futbol").

( oh, ho anche una vita esilarante ("hilarante"), ma è interamente da addebitarsi alla mia passionalità ossessiva di tifoso di calcio, alla irrefrenabilità del mio gusto di sfottere  (" burlarse de") i miei allievi che tifano per le squadre (  "equipos") che visceralmente avverso ( cfr."aversar"), alla gioia ("alegria") accanita( "ensanada") con la quale godo, " gufando", ( il gerundio significa  " hacer como el buho"), per le loro sconfitte ( " derrotas") , ancor più di quanto possa rallegrarmi dei rari successi (" exitos") della mia squadra beneamata,  nel calcio parlato ( "hablado") che in Italia è immancabilmente di risonanza iperbolica al calcio giocato,- al punto che questo è l'unico talento, o genio, che mi riconoscono i miei allievi quale mia dote fuori del comune.

Dopo l'ultima grave sconfitta della mia squadra che ne ha pregiudicato la lotta per il primato,  mi sono detto, e ho detto ovunque, che deve risiedere (" residir") in essa il "millenium bug", il baco del millennio, talmente fare dello spirito ( " decir agudezas, cistes"), era il solo modo di avere ragione della ricaduta immancabile nella depressione anche della mia  esistenza di tifoso.. ). 

Non ignoro, comunque, quanto alla mia vita predominante, che la mia afflizione persistente per la morte del mio uccellino, il registrarne ogni giorno l'assenza e averne pena, mi siano di rifugio inibitorio, così vivendo, da ciò cui sono affettivamente impotente, recludendomi nella mia incapacità a valere come in un presidio sacrale di che mi rimane di santo della vita, della luce di ogni giorno residuo ( al contempo che eppure mi dolgo e inveisco talmente, di essere tagliato anche dai miei congiunti fuori di tutto).

Mentre tra gli altri ho pudore a sillabare in un qualsiasi modo tale mio dolore, per non scadere( "menguar"? " decaer"?) per questo nel risibile, o nel patetico, e vado tacendo la pena della mia diserzione vitale, tant'è vergognoso anche il solo alludervi, ( " Ma non sarà mica ancora solo per quell' uccellino?..."), è in voci di altri mondi ed in altri orizzonti, di civiltà ed epoche per lo più morte, che mi sforzo di ritrovare la dignità, con le parole, d'essere fedele e di trattenere così vivo, almeno in me, quel mio piccolo e carissimo " waka".

Mi affido per questo alla lettura e alla pratica poetica degli haiku, alle ghirlande tibetane o all' elogio mistico del verbo degli uccelli del mirabile Attar, alla loro celebrazione materialistica del nostro Leopardi, nell' operetta bellissima che ne ebbe ad intessere, a quanto, in queste meravigliose pagine di Eduardo Galeano in " A testa in giù", ( "Patas Arriba", Siglo Veintiuno Editores, se ti interessa), a costui hanno ispirato i suoi antenati precolombiani, sulla parentela che sussiste fra ogni vivente.

" Siamo parenti di tutto ciò che sorge, cresce, matura, si stanca, muore e rinasce.

Ogni bambino ha molti genitori ("padres"), zii ( tios), fratelli, nonni.  Nonni ( "Abuelos") sono i morti e le colline. Figli della terra e del sole, annaffiati ( "regados") dalle piogge femmine e dalle piogge maschi, siamo tutti parenti delle sementi e del mais, dei fiumi (" rios") e delle volpi ( "zorros") che ululano ( cfr."aular") per annunciare come sarà l' anno. Le pietre sono parenti delle serpi e delle lucertoline ( "lagertijas pequenas"). Il mais e il fagiolo ( "judia"), che sono fratelli, crescono insieme senza picchiarsi (" golpear"). Le patate sono figlie e madri di chi le pianta, perché chi crea è creato.

Tutto è sacro, anche noi. A volte noi siamo dei e gli dei, a volte, sono semplici personcine.

Così dicono, così sanno,, gli indigeni delle Ande".

Ma anche nella cronaca del mondo ho potuto ritrovarmi nei miei sentimenti, come quando, qualche settimana fa, ho appreso che un indiano cherockee, che viveva in Italia, è riuscito a morire d'inedia per riunirsi a " Be All" il suo gattino ( "gato pequeno") meticcio, nelle praterie del Grande Spirito dove il micetto ( " micifuz") l'aveva preceduto.

Ma così, per quanto io posso, leggere bei libri mi piace ancora tanto, anche se al raffronto, con quanto ancora scrivo, la grandezza degli autori che leggo avvalora sempre di meno il mio sforzo sempre più precario di mantenere in vita un mio destino letterario, una sua decenza, di non lasciarmi sommergere, desistendo ogni giorno, dall' incombenza soverchiante ( cfr

" sobrepasar") dell' insegnamento, delle compulsioni ossessive della casalinghitudine( cfr." casero":" casertad"?) a cui sono coatto.

E come posso confidare, più di tanto, in ciò che può riservarmi l' insegnamento? talmente l' affetto e la simpatia, il bene che sento per gli allievi, confliggono con la doverosità ( cfr. "debido") di non accondiscenderli, con l'angoscia, in me incombente (" inminente"), che per l'insufficienza del necessario distacco finisca io per essere da loro sopraffatto ( cfr." atropellar"), (inferiorizzato dalla stessa generosità comunicativa del mio trasporto ("èfusion"), rispetto ai miei colleghi talmente minimali con essi).

E il timore e l' apprensione conseguenti, mi sovraccaricano ( cfr." sobrecargar") di tensione e di attenzioni disciplinari, mi assillano ad una vigilanza preventiva che si fa paranoica, istigandomi ad instaurare una assiduità di misure e di accertamenti ( "aseguramientos"), scrupolosi, che mi portano via un infinità di tempo, sicché io ne soffoco orribilmente nelle mie necessità di vita culturale e letteraria, finendo per ritorcermi, miserevole, in un astio ( "rencor") odioso nei loro ignari riguardi.

Anche il bene o l'affetto che avverto per loro,  mi si acuisce

(  cfr " se aguzar"?) pertanto in una spina atroce conficcata di dentro, solo che avverta che ne profittano, o che sprecano il dispendio ( cfr "derrochar") che giorno dopo giorno continuo per loro a fare di me stesso, secondo una mia disponibilità che ciononostante ne scaturisce ( cfr." manar") nello spasimo.

E tutto questo, mio caro Francisco, ti ho scritto solo per dirti che nel recesso ( "rincon") della grazia e felicità animale dei miei uccellini, io sono stato violato e violentato , con la loro morte, prima dell' uno poi dell' altro mio canarino, nel ""buen retiro" della mia vulnerabilità e aridità riguardo ai miei simili.

( Ma perché, ti chiedo, solo chi ha amato ed è stato amato può salvarsi in Cielo?)  

E a tal punto concludo, come pur devo, perché altrimenti, se seguitassi ancora a dirti ciò che non ho modo o che non mi sento di confidare ad altri, saremo già nel nuovo millennio da un bel pezzo ed io non avrei ancora fatto in tempo neanche a fare giungere a te, e ad ogni altra persona che ti è cara, dopo i migliori auguri di un Santo Natale che è già freddamente trascorso, quelli che ti ribadisco ( " confirmo") vivissimamente di un felice Anno Nuovo. 

                  Felices Fiestas

    con tutto l'affetto di cui è ancora capace                                     Odorico

 

Scrivimi liberamente come vuoi, in italiano od in spagnolo.

Se scrivi in italiano, gradisci che ti restituisca la tua lettera riveduta grammaticalmente?

Che tu ti sia impegnato a scrivermi nella mia lingua senza l' amor proprio di chi è inibito dal commettere errori, è uno dei pregi più nobili di quanto mi hai scritto ( E' meraviglioso, come così, io abbia potuto accedere per il tuo tramite al mondo in arabo della saggezza coranica o dei beduini.)

 

                           Ora, a chi è dei morti,

                          di farsi amico

                          della vita dei vivi.

     

                            Odorico Bergamaschi

                            Piazza d'Arco, 6F

                            46100, Mantova

                                   Italia

                           tel 0376 360396

 

 

A Francisco Sanchez

 

Carissimo Francisco,

ho ricevuto  la tua carissima lettera alcune settimane fa, in un giorno uggioso e triste come questo che oramai si è dileguato  in notte.

Infinitamente grazie, nelle lacrime che ho pianto, per quanto mi hai detto a conforto della morte del mio uccellino.

... Come d' incanto Là l' ho rivisto il mio ninì, in un alone di luce Vi ho ritrovato vivo il" mi querido...".

Ma nel sincerarti * che le tue parole mi hanno raggiunto, debbo chiederti scusa della temerarietà di quanto ti ho chiesto, di dirmi una parola di consolazione  nel mio sconforto.

Oh, che sia dunque vero ciò che tu dici, se è vero, secondo le parole di Buchner,( Danton,III,I ) che " il minimo fremito di dolore, fosse anche soltanto di un atomo, apre uno squarcio da cima a fondo nella creazione".

Anche in questi giorni, leggevo della fame nel mondo nel bel libro in cui Ziegler ne parla a suo figlio, assistevo agli ultimi giorni degli ebrei ad Auschwitz, nel film di Spielberg, ma nelle parole che descrivevano le convulsioni atroci dei piccoli etiopi che muoiono di fame nei campi profughi, nelle immagini degli internati nei lager, gli "scheletri vivi" , che non avevano più nemmeno un corpo che i soccorritori potessero nutrire, era quel mio esserino, nel suo deperimento, che io vedevo spasimare per mia colpa in fondo alla gabbia, al quale anch'io, nell' errore che denunciavano quelle pagine, cagionavo la morte nella mia nano, nella pretesa che la sua vita all' estremo ingurgitasse cibo.

Tanto più mi ha dunque commosso sentirti dire quanto sei felice, come a te la vita, senza piani nella testa, sembri null' altro che un dono bellissimo.

Non sapevo, e ne sono rimasto di te più ancora ammirato e stupefatto, che tu già insegnassi e sapessi così tante lingue antiche, con l'arabo e l'aramaico anche l'ebraico... e con le lingue la letteratura dell' Oriente antico...all'università...

Sei molto contento di tutto...della tua nuova casa, di quant'è bello il tuo studio, benchè sia piccolo, e sembri temere solo l'inverno di Castiglia...che bello, per te, per entrambi al sentirtelo dire.

Se con  la mente travalicando le terre e i mari che si interpongono, cerco di vederti in Madrid, per ciò che mi dici e che di te suppongo, dentro il tuo studio ti immagino in interni confortevoli e caldi, pur se ristretti, tra mobili semplici, elementari, ma dove è sistemato e riposto tutto quanto ti occorre, - oh, non serve che tu ti sia professato a me l'ultimo dei medioevali, ti ci vedo nel carapace high tech di  homo digitalis a tutti gli effetti...- il personal computer collegato in internet, con stampante e fax ed e-mail, il lettore di compact e cd rom con le pile di dischi su dischi, integrati nella scaffalatura tra le tante carte universitarie, le tesi e tesine e corrispondenze in cui sei sommerso, e i soli libri indispensabili e in corso di lettura che ti sei portato appresso da Toledo.

Vi ti immagino lì, non so a che "piso", ma in prossimità dei cieli più che della calle, di rientro la sera più di quanto tu vi stia di giorno, da solo, inevitabilmente, in una solitudine dotta o in fantasticherie romantiche,- non c'è su una poltrona accanto un tuo morbido gatto?-, mentre non so se sia perchè non riesco a riflettermi che nella mia solitudine, ma resta al di là della soglia ogni relazione che ti piace talmente intrattenere, ma che non ti tocca nella tua intimità più raccolta in quelle tue stanze ridotte.

Ma davvero sei senza progetti? E che insegni di letteratura orientale? Che hai trovato fra gli antichi manoscritti che vieni catalogando? Di che cosa conti in Siria di ritrovare un seguito?

Il mio inverno, casto e solitario, scorre invece pressocchè tutto nel cielo che intravedo fuori dei vetri, nel suo grigio piovoso che mi è divenuto così vuoto tra i rami degli alberi, o in quant'è la poca  natura che scorgo di sfuggita  tra le macchine e gli autobus, quando in ansia mi reco a scuola con la mountain bike, in perenne ritardo come in ogni cosa della mia vita, o ne faccio ritorno stremato ed esilarato, nel freddo piovigginoso od umido che mi intirizzisce, oppure nella luminosità dei giorni di sole remoti, per me non più di un richiamo fugace che cade perduto.

All' interno di queste stanze deserte, quando ho iniziato a scriverti questa lettera settimane or sono, mi era un pò di conforto, nella solitudine quotidiana, anche la sola presenza superstite del ragnolino che si è insediato nell' angolo basso di una finestra, con la sua ragnatela, dentro la cameretta ch'è così bella della mia biblioteca.

Ogni giorno io vi passavo e ne sfioravo la trama, per il piacere di vederlo animarsi e correre in un moto di allerta.. Chissà mai come vi sopravvive, mi chiedevo, in un universo che mi sembra sia il solo regno spirituale dell' inorganico, tra calcinacci e nitrati vari e la sola umidità dei muri, i tanti libri e le sole immagini fotografiche di una natura viva.

Poi si è immobilizzato con un altro ragno, nelle filacce, e non so dirti se sopravviva in letargo o se siano già deceduti entrambi.    

Solo l'altra sera ho voluto uscire veramente per le strade della mia città antica, talmente mi era irresistibile, già in cortile, la suggestione che vi era sospesa nell' aria della densa nebbia calata per le sue vie.

E'il fascino che d'inverno rende magiche la mia come le altre città, quali Ferrara, che nella nostra Pianura siano prossime al corso del Po e dei suoi fiumi.  

Ogni rumore vi si attutisce, si silenzia, e l'aria si addensa nel chiarore lattiginoso del fondale cieco di ogni via, in cui le luci artificiali si fanno aloni diffusi in un clima di mistero fantastico.

Vai allora per le vie, e sotto i portici, fra i negozi, senti smaterializzata ogni volgarità e mondanità d' interessi, tutto pare esibirsi piuttosto nella sua corporeità di bene di uso tramandato nel tempo, nell' umidità ti sembra che trasudi la sedimentazione storica d'ogni pietra o marmo, la stagionatura d'ogni arte e mestiere di cui vedi allestiti i prodotti.

Le persone che dileguano al tempo stesso in cui ti appaiono, non sono che ombre o presenze fugaci e discrete, e tra le volte e i palazzi che dileguano nel niente del biancore, devi accostartene ai portali, sotto i balconi, se vuoi vederne le cornici dei tetti, e le gronde, sconfinare fantasmatiche nella cancellatura del cielo.

Purtroppo è la stessa nebbia in cui sulle autostrade del Nord Italia le automobili piombano l' una a incastrarsi nell' altra in incidenti strazianti, che rallenta e inibisce la mobilità.

Ma non è per essa, di certo, se io  da quando in queste stanze non c'è che il vuoto, (nemmeno ascolto più musica, non nemmeno più esco più in bicicletta se non per le compere e la scuola), da che

( Ma anche se a me la nebbia non ne cela/vela più il volto presente,e' invece a te, se sei in Madrid, che è dato di vedere ancora il suo volto passato, è così, in effetti,,solo che tu ti rechi nella sala del Prado dove è la morte della Vergine di Andrea Mantegna: oltre i pilastri che ne incorniciano il cordoglio, puoi intravederlo nell' apertura su come appariva Mantova nel Quattrocento,  dal castello che si affaccia verso i laghi che la attorniano a Nord,dove il ponte, allora fortificato, avviava a entrare e uscire verso Nord Est fra quello di Mezzo e quello Inferiore, , per il borgo turrito, che più non sussiste, che nella sua cinta muraria vedi allora comprendervi chiese e una stazione di posta, (un'osteria e) delle corti rurali sparse fra il folto degli alberi e il rigoglio del verde, nel tramonto raffermo sulle lente acque lacustri in cui sostano barche *** sottolineato perchè in  nota). 

Ma nel mio caso non è certo per la nebbia essa, o per le trascorse piogge, non è per il freddo che morde un pò di meno che nelle settimane scorse, se che da quando sono rientrato dalla Siria io non mi sono mosso, da dove vivo, che per recarmi saltuariamente da mia madre a Modena, in Emilia, - il solo ambiente caldo della mia esistenza, in compagnia della sua vitalità vedovile e del cane boxer affettuosissimo di mia sorella che con lei convive-e per andare e rientrare in giornata ai primi di novembre a Venezia, pur di vedervi una mostra eccezionale, assolutamente, sul Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord, ai tempi di Bellini, Durer e Tiziano.

Per il resto la mia prostrazione è tale e tanta, ho un tale disgusto di sesso ed affetto/i, che non ascolto nemmeno più musica, nel vuoto e nel freddo che non riscaldo di queste stanze, e non ne esco in bicicletta che per le compere e la scuola, che per vedermi a una scommettitoria qualche finale di partita del campionato di calcio.

( oh, ho anche una vita esilarante, ma è interamente da addebitarsi alla mia passionalità ossessiva e alla mia identità sociale di tifoso di calcio, alla irrefrenabilità del mio gusto di sfottere  i miei allievi e colleghi che tifano per le squadre che visceralmente avverso e detesto, alla gioia accanita con la quale godo, " gufando", per le loro rare sconfitte, rare ancor più di quanto siano numerosi i successi  sofferti per i quali esulto della mia squadra beneamata, nel calcio parlato che segue ed è di risonanza iperbolica al calcio giocato,- al punto che questo è l'unico talento, o genio, che mi riconoscono i miei allievi quale mia dote fuori del comune.

Oh, ho anche una vita pazza, che mi sorprende già ogni volta che vedo qualcuno usare per strada il telefonino, e immancabilmente sento l'istinto di strangolarlo... o come quando seguito ad ammattire, ad uscire di testa, se anche all' azienda comunale del gas, per quel che di me li riguarda, non si riesce ad  ammettere la mia diversità necessaria di costumi e di vita, per il fatto che consumi talmente poco non accendendo i termosifoni d' inverno, e quando all' ennesimo acconto oneroso che mi è addebitato, per dei consumi che solo fra qualche anno avrò raggiunto, cinque anni sonono il quintuplo di quelli effettivi, e che devo pagare mentre seguito a rimanere a un freddo di cui ho fatto virtù , telefono perchè mi abbassino i consumi preventivati, coloro in tutta risposta mi mandano al tempo stesso  un tecnico a sostituirmi il contatore, convinti che il precedente fosse in difetto od io in dolo...la fola di sempre se non si è come gloi altri.. )     

Non ignoro, per quella che è comunque la  mia vita predominante tornando al mio registro serio, che la mia afflizione persistente per la morte del mio uccellino, il registrarne ogni giorno l'assenza e averne pena,  mi siano anche di rifugio conforto/confortorio inibitorio, così vivendo,  quanto che il suo lutto mi ritrae nel ribrezzo e nell' orrore di ciò cui sono affettivamente impotente, in ciò che è affettività sessuale per gli altri umani, e  che mi reclude nella mia incapacità a valere, come in un nel in un presidio sacrale di che mi rimane di santo della vita, della luce di ogni giorno residuo ( al contempo io stesso che eppure mi dolgo e inveisco talmente, di essere tagliato dagli altri fuori di tutto).

In questa nostra civilizzazione culturale,in cui non posso nemmeno sillabare il mio dolore, senza scadere per questo nel risibile, o nel patetico, vado tacendo devo così tacere la pena della mia diserzione vitale, tant'è vergognoso fra gli altri anche il solo alludervi, ( " Ma non sarà mica ancora solo per quell' uccellino') a che cosa sia ciò stesso che mi sospinge a voci di altri mondi ed orizzonti,  di civiltà ed epoche per lo più morte, per ritrovare la dignità e le parole d'essere fedele e di trattenere così vivo, almeno in me, quel mio piccolo carissimo " waka".

Così Mi affido per questo alla lettura e alla pratica poetica degli haiku, alle ghirlande tibetane o all' elogio mistico del verbo degli uccelli del mirabile Attar, alla loro celebrazione materialistica del nostro Leopardi nell' elogio bellissimo che ne ebbe ad intessere, a quanto, in queste bellissime pagine di E.Galeano *in " A testa all' in giù",  gli ispirarono i suoi antenati incas sulla parentela fra ogni vivente.

Una settimana fa, a toccarmi, é stata Oppure è quant' apprendo, la notizia di cronaca la notizia di cronaca che un indiano cherockee, che viveva in Italia, è riuscito a morire d'inedia per riunirsi a " Be All" il suo gattino meticcio, nelle praterie del Grande Spirito dove il micetto l'aveva preceduto.

Ma così, per quanto io posso, altro, leggere bei libri mi piace ancora tanto, anche se al raffronto, con quanto ancora scrivo, la grandezza degli autori che leggo avvalora sempre di meno, nella pochezza di ciò che  quanto, salvaguarda, il mio sforzo sempre più precario di mantenere in vita un mio destino letterario, una sua dignità, di non lasciarmi sommergere, desistendo ogni giorno, dall' incombenza soverchiante dell' insegnamento, delle slavine e valanghe di compiti da correggere che mi ostruiscono l'accesso e il rientro a leggere e scrivere, delle compulsioni ossessive della casalinghitudine a cui sono coatto.

E come posso confidare, più di tanto, in ciò che può riservarmi l' insegnamento, talmente l' affetto e la simpatia, il bene che sento per gli allievi,confliggono con la doverositàdi non accondiscenderli, con l'angoscia che per l'inesistrenza del necessario distacco, finisca per esserne sopraffatto, inferiorizzato dalla stessa generositàcomunicativa delmio trasporto,,rispetto ai miei collegfhi minimali con essi.

E il timore e l' apprensione per questo,mi sovraccaricano di tensione edi attenzioni disciplinari, mi assillano in una vigilanza preventiva che si fa paranoia, e diventa l' assiduità di misure e di accertamenti che soffocandomi nelle mie esigenze di vita culturale e letteraria, si ritorce e mi abbassa in un astio o un odio miserevole e angosciato nei loro ignari riguardi.

Anche il bene , o l'affetto che avverto per loro, mi si acuisce in una spina atroce conficcata di dentro, come avverto che ne profittano,o che non se ne avvalgono sprecandomi, nel dispendio inutile che insegnando, così giorno dopo giorno seguito a fare  di me stesso, senza venire alla luce, della disponibilitàche ciononostante ne scaturisce nello spasimo.

Mi si dica o solo mi si lasci intendere che sono buono, e la bestemmia o la maledizione della mia natura mi viene alla bocca.  

E così concludo e passo, come pur devo, perchè altrimenti, se seguito a dirti e dirti  ciò che non ho modo di dire ad altri, saremo già nel nuovo millennio che non avrò ancora avuto il modo di fare giungere a te e ad ogni altra persona che ti è cara, i migliori auguri di un Santo Natale e di un felice Anno Nuovo. 

                  Felices Fiestas

                                 Odorico.

 

 

A Sosi

 

Cara Sosi,

ti scrivo per ringraziarti per iscritto di quanto di sfuggita, qualche sabato fa, mi hai accennato che hai fatto per i miei raccontini.

Ho poi scorso in libreria qualche libro edito dalle " Tre lune", e mi è parso davvero soddisfacente la loro veste tipografica.

Particolarmente nella copertina e i caratteri dei volumi della collana Asteres, o in quelli dedicati ai Saturnini.

Mi è stato e mi può essere davvero di conforto, immaginare di potere finalmente così dare alla luce editoriale qualche mio scritto, tale e tanto è lo stato di prostrazione depressa in cui verso, già per il mio senso congenito di impotenza e di isolamento, e tanto più dopo, che due mesi or sono, la desolazione vuota in cui abito si è fatta ancora più deserta, con la morte penosissima del mio amato uccellino.

E tu ben puoi immaginare, per ciò che di me sai, quanto fatichi a sobbarcare e a preservare un mio destino letterario, una sua dignità, e una mia dignità letteraria, come mi mia arduo restarne all' altezza, a e non già anzichè finire per non lasciarmi sommergere, desistendo ogni giorno, dall' incombenza grama e soverchiante dell' insegnamento, attività di insegnante, delle compulsioni ossessive della casalinghitudine a cui sono coatto, per supermarket e magazzini generali.

Soltanto questo vorrei chiederti: potresti far sapere agli editorialisti delle " tre Lune",  che ignoro che siano, come rintracciarli, della mia disponibilità e reperibilità, solo che cerchino il mio nome sull' elenco telefonico?

Per quanto attiene a quei raccontini, ho solo una lieve modifica da apportare alla " Breve storia di mia madre e la sua gatta", ed avrei da rivedere " Il giardino pubblico", per levarne il surplus di saccenteria. 

 

                  Ringraziandoti con affetto

                   di lontano     

                                   Odorico.      

 

 

A Sosi, redazione finale.

 

                                  Mantova, 30 novembre

Cara Sosi,

            

             ti scrivo per ringraziarti di quanto di sfuggita, qualche sabato fa, mi hai accennato che hai fatto per i miei raccontini.

Ho poi scorso in libreria qualche libro edito dalle " Tre lune", e mi è parso davvero soddisfacente la loro veste tipografica.

Particolarmente nella copertina e nei caratteri dei volumi della collana Asteres, o di quelli dei Saturnini.

Mi è stato e mi può essere davvero di conforto, immaginare di potere finalmente così dare alla luce editoriale qualche mio scritto, tale e tanto è lo stato di prostrazione depressa in cui verso, già per il mio senso congenito di impotenza e di isolamento, e tanto più dopo, che due mesi or sono, la desolazione vuota in cui abito si è fatta ancora più deserta, con la morte penosissima del mio amato uccellino.

E tu ben puoi immaginare, per ciò che di me sai, quanto fatichi a mantenere in vita un mio destino letterario, una sua dignità, a non lasciarmi sommergere, desistendo ogni giorno, dall' incombenza soverchiante dell' insegnamento, delle compulsioni ossessive della casalinghitudine a cui sono coatto.

Soltanto questo vorrei ora chiederti: potresti far sapere agli editori delle " tre Lune",  che ignoro chi siano, e come rintracciarli, della mia disponibilità e reperibilità, solo che cerchino il mio nome sull' elenco telefonico?

Per quanto attiene a quei raccontini, titolo a parte, ho solo una lieve modifica da apportare alla " Breve storia di mia madre e la sua gatta", ed avrei da rivedere " Il giardino pubblico", per levarne il surplus di saccenteria. 

 

                  Ringraziandoti con affetto

                        

                                   Odorico.      

 

 

a Claudio Magris 1999

 

                                   Mantova, 31 dicembre 1999

 

 

Caro Magris,

 

anche il mio secondo uccellino, poverino... Debbo dirLe questo nel trasmetterle questi miei scarni testi, perché è Lui, il mio diletto, che commemora il corpo delle poesie che Le invio.

E' dunque destino che le vicende letterarie dei cantori delle mie contrade, come  dal compianto di Ser Blacatz trassero origini neoromanze, trovino una fine di millennio nel mio compianto del mio canarino, per quanto io posso avere in esse voce in capitolo.

Se può andare a ulteriore memoria di quel caro esserino...

I mottetti di Bach che per Santo Stefano sono andato ad ascoltare in una chiesa della mia Città, è la prima musica che ho riudito da che non c'è più.

In quanto esprimo, in tali componimenti, mi è grato, almeno, di continuare il sentire d' un grande poeta mio conterraneo che è deceduto quest'autunno, Umberto Bellintani:

 

                    Qui è l'inferno

              

Ho sentito un passero stridere

ghermito da una civetta

e ho maledetto Dio con tutta la mia anima

 

Gesù Gesù perché sei crocefisso?

Perché io sono nato?

Qui è l'inferno.

                                 ( Da " Canto autunnale")

 

Se uccidi un grillo, quale strada

può accogliere il tuo piede, quale cielo

il tuo occhio?

......................( ibidem, da " Continuare")

 

Del poeta anziano può vederNe l' immagine nelle scene conclusive di " Voci nel tempo", il gran bel film di Franco Piavoli.

Il raccontino che allego, " Storia di una morte", è invece uno dei primi che ho composto, nello scorso decennio, e l' ho "rivisitato", con non molti aggiustamenti, per un premio al quale non manco mai di concorrere inutilmente, siccome gentilmente i suoi organizzatori mi rinnovano ogni anno l' invito a parteciparvi.

Spero davvero così di recarLe il piacere di qualcosa di vero e di intenso, in questo fine anno imbalordito di millenarismi vaneggianti.

                             

 

      Comunquesia le mie più vive felicitazioni augurali

                              

                              Odorico Bergamaschi

  

                               Piazza D'Arco 6F

                               46100 Mantova

 

 

                         

 

 

Buchner

 

" Il minimo fremito di dolore fors'anche soltanto in un atomo, apre uno squarcio da cima a fondo nella creazione".      

                           Buchner, ( Danton, III, 1)

 

 



[1]Vedi Attar

 

[2]insanguina: soggetto l'ansito, complemento oggetto croce

 

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