Alla ricerca dello stupa perduto: in Bharuth, Maihar
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dicembre 2013 |
E’ la strada per Umaria, quindi per il parco di Bandhavgarh, la stessa che da Satna reca prima a Barhut , poi a Maihar, e da Maihar a Marahi, lontanandosi da Satna per la sua periferia polverosa.
S’infoltano gli alberi come il viluppo stradale si sbroglia nella direttrice risolutiva, mentre a manca e a destra si disegnano rilievi , sin che un grande cartello segnaletico , dopo 15 km , in concomitanza con l’apparire di un monte di altezza imponente , sulla sinistra, avvertono che svoltando nella sua direzione, a non più di 6 chilometri di distanza vi soggiace Bharhut, il sito archeologico di uno degli stupa capitali del buddismo indiano, insieme con quelle di Sanchi, di Sarnat, di Amaravati nel Sud dell'India, risalente nella notte dei tempi all epoca Shunga, nel secondo secolo prima di Cristo, forse fondata dallo stesso Ashoka, e che nessun testo di storia dell’arte indiana può consentirsi di ignorare. A onore del vero, il sito originario dello stupa è talmente considerato irrilevante in ogni guida e manuale, rispetto ai resti mirabili delle sue vedika che si possono vedere nei musei di Kolkata, Delhi, Allahabad o in pochi frammenti residui, della vicina Ram van, che figurano tra i primi esemplari dell’arte indiana, inconfondibili nella forza icastica del taglio ligneo con cui sono stati scolpiti, che nel lasciare Khajuraho a meno o poco più di 150 chilometri di distanza, dubitavo della sua stessa esistenza , o ne figuravo mentalmente la ricerca come la romantica quest del ritrovamento immaginario di un sito perduto, alle stesse parole di Tiziana Lorenzetti, che mi avvertiva che non c’era proprio nulla da vedere. "No antiquities exist at Bharhut now" recita la stessa voce Wikipedia. Che in Satna ci fosse un hotel Bharhut del Mp tourism, avvalorava l’ipotesi che celebrasse in loco la perdita assoluta di ogni vestigia in materia, dopo che le autorità inglesi ne decisero il trafugamento in Kolkata ed altrove di ogni illustre vestigia, dopo gli scavi condottivi nel 1874 da Alexander Cunningham, che era stato in Bharhut già l’anno prima, e seguitati dall'assistente Beglar, così come in Firenze ogni hotel o casa o statua di Dante non fa che esaltare ancor più il reperimento solo altrove di lasciti e salma del sommo poeta.
Né certo poteva fugare il mio scetticismo sull'esistenza tuttora di una qualsiasi Bharhut, il fatto che l’addetto alla reception del mio modesto hotel in Satna, tenuto pur conto del fatto che foss’egli di un ignoranza assoluta in materia di qualsiasi reperto monumentale, o del passato ne smentisse ogni esistenza, o alludesse a un Bharhutnagar ch’era un sobborgo attuale di Satna, nella cui denominazione soltanto, in memoria, dovevo rassegnarmi che consistesse ogni rimanenza in loco del giacimento un tempo di una stupa gloriosa, senza più alcuna traccia del suo passato, un po' come solo il toponimo Virgilio rievoca nelle vicinanze della mia città di Mantova che ci fu un luogo , nei suoi vaghi paraggi, che diede i natali al poeta massimo latino .
Non c' è da meravigliarsi che anche quando ho iniziato da umile pedonauta il percorso che sulla sinistra reca a una Bharhut così vistosamente indicata dalla segnaletica stradale indiana, con una simbologia inequivocabile sulla giacenza di un sito monumentale circolare quanto uno stupa, per chi fosse tardo a comprendere, mi ci sia inoltrato ancora agnostico del tutto, e che fosse un primo germoglio di una fede ancora scarsa, nel suo fioco lume, la conferma che si c’era alcunché corrispondente a una stupa, solo poco su, od oltre, rispetto al villaggio, di un lattaio in motocicletta che mi ragguagliava sulla effettiva distanza, scorciandola alquanto.
E
uno dei luoghi più comuni che si presume sia un detto
originale, che la strada è la stessa meta, ma il
percorso che reca a Bharhut si faceva e si presenta al viaggiatore
così incantevole, che può essere una
compensazione più che bastante del ritrovamento del nulla alla
fine. E come un sussidiario che squadernava via via l’abc
del mondo rurale indiano del Madhya Pradesh, prima un villaggio le
cui case i cui tetti ribassati declinavano sulle pareti di malta e le
soglie fumiganti nel folto degli alberi,
poi
, deviando sulla destra, per una scorciatoia, il
percorso che si faceva la più rimarcata delle
cavedagne tra i campi insolitamente aperti, senza
recinzioni di sorta, allora degli arativi o dei filari dei
primi germogli di grano, mentre tra i fiori di * e le fronde degli
alberi grandiosi, l’orizzonte appariva dominato dalla sagoma
sempre più incombente del rilievo di Bharhut,
la
Montagna Rossa. Un rivo
vi
è traversabile da un ponticello su cui può
essere dato di assistere al transito in bicicletta delle
ragazze che vi si recano a scuola,
quando
si è oramai nelle vicinanze del villaggio (di Bharhut,) e nei
campi che ancora si interpongono, è possibile
vedere all'opera tanto il trattore quanto l’aratro di legno
sospinto da buoi,
o nell’aia
rifulgere i pani di sterco con le sementi di legumi e la pula
pulverulenta, a seccarsi nel sole per farsi il nutrimento degli
animali.
Bharuth,
come già ci addentra, si rivela subitaneamente pari ad ogni
più illustre sito dell’India che corrisponda al suo
glorioso passato, poco più di un pugno di
case, una viottola che ne è la decorrenza e
a cui affluisce una ancora più esigua, prima di ritrovarsi
nell’aperto di una radura che conduce a casolari sparsi,
ad
un altro raggruppamento di case,
di
cui alcune, in numero di quattro, presentano un corpo
centrale i cui tetti spiovono su quello che fa da bordo sottostante,
come più a Nord Est, nei distretti montani di Rewa prossimi
oramai ai confini con l’Uttar Pradesh. Poco oltre è dato
di ritrovarsi tra i coltivi in un un folto d’alberi,
grandioso e ombroso, di un tale rigoglio di fronde e foglie che
assorbe il respiro, tra cui fanno la loro comparsa incantevole
due tempietti o edicole remoti.
Poi
il folto degli alberi si schiarisce in coltivi e radure, in
prossimità del manto stradale che si è lasciato per la
scorciatoia, o da cui si giunge a sinistra in Barhut, oltre il quale
il farsi declivio del suolo precede i cancelli e il filo spinato
d’ingresso a ciò che oramai, indubitabilmente, al di la
della stessa fede che fin qui ha guidato i nostri passi, è
la certezza assoluta che siamo prossimi al sito della stupa di
Barhut, in virtù della sua presenza reale che così ci
si manifesta,
Spero
che il visitatore incallito trovi accompagnatori meno stolidi dei
giovani che si sono uniti al ragazzo che mi accolse
all’ingresso del villaggio, per i quali non fu certo
un motivo di mia gloria il fatto stesso che a piedi, e in stato
trasandato dal viatico, avessi raggiunto un sito così
inusitato e sconosciuto a chi non sia del luogo o dello stretto
circondario, senza mostrare propensioni al fumo o
all’alcool o a gutka di sorta, e nonostante
l’handicap dell’artrosi e il retaggio di un corpo
appesantito dalla sua senilità, che mi impediva di
sforarlo insieme con gli abiti nel traversamento cui mi invitavano
del filo spinato, in assenza del custode di turno. Ma anche
nell'India più primordialmente al passo con la modernità
dei tempi esistono le anime gentili, e al mio appartarmi
schifato ed autistico per diradarne il seguito, sopraggiungeva
l’angelo provvidenziale di un giovinetto , forse avvertito dai
miei stessi precedenti accompagnatori così ravvedutisi di
quanto aveano inscenato, che si poneva in contatto telefonico con il
custode del sito, il quale sopraggiungeva alfine dopo
quasi mezz’ora. Avevo così accesso finalmente
al sito della stupa di Bharhut, poco oltre sulla destra: un sito
elisio, tra gli alberi che facevano corona o serto al
basamento circolare superstite del corpo circolare della stupa,
ai
brani del selciato del percorso intorno della pradakshina, a ciò
che restava degli stipiti iniziali di uno dei torana,
al
di qua di una recinzione che isolava la sacralità o
intangibilità dei reperti, sancita da una stele di uno
Yaksha
convertito
in un Hanuman dalla devozione locale,
adiacente all’area
depressa dello stupa, dai pascoli d’armenti immediatamente
contigui, negli avvallamenti che preludevano al monte di
li a poco sovrastante , a compimento della solennità naturale
dell amenità del sito. Ad avere il tempo e la voglia e le
gambe buone sul monte sono ravvisabili rilievi rupestri, un’
iscrizione antica, concernente lo stupa, come mi informavano la guida
inutilmente disposta a condurmici, il giovinetto che mi aveva accolto
all'ingresso del villaggio, e che avrei ritrovato dopo l’ospitalità
concessami da due anziani fratelli che vivono in uno dei casolari del
raggruppamento di dimore e rustici e stalle nelle vicinanze, e
che sulla sua motocicletta sarebbe stato ben felice di condurmi
all'incrocio di ripartenza per Maihar.
In Maihar, si situa oltre l’intero centro abitato la prima destinazione del nostro peregrinarvi, al di là della stessa stazione degli autobus che fanno capo a Satna, e vi ci avvia la stradicciola sterrata, sulla destra, che seguita il bordo di un talab, che occorre percorrere nei suoi miasmi per poi deviare sulla sinistra, volgendosi alla collina su cui biancheggia in lontananza il tempio della Sharada Devi. Ancora qualche centinaio di metri, e oltre le fronde degli alberi già appaiono l’amalaka scannellata ed il pinnacolo del Golamath, il purana mandir al dio Shiva eretto dai Kalachuri nel 960 dopo Cristo.
E'
un tempio vivente
ove
accorrono ben più fedeli che semplici visitatori, e lo
rimarcano la cinta muraria e il calcinati e tinteggiati di bianco e
di rosso,
in
strenuo contrasto con la finezza, che ne è ancor più
esaltata, della preziosità retrostante del decoro ornamentale
irrinunciabile, a quei tempi, del piccolo tempio che ne rifulge
nel portale d’accesso al santuario.
Ne precede la cella il portico d’entrata, enfatizzato
dalla gronda ricorrente
,
lo sovrasta un armonioso e fulgido sikkara,
che
le modanature di due kapota intervallate da una pattika sopraelevano
sul jangha dei fianchi del tempio, ove su un basamento dai forti
rilievi curvilinei ricorrono due ordini di statue,
nella
loro
natura individuale felicemente superstiti allo stucco di cui sono incrostate, alle tante ripassate sopra di esse di una devozione indifferente e indiscriminata.
Ritornando al portale d’accesso al garbagriha, cui nel portico è immancabilmente antistante un Nandi in adorazione del lingam, ne fregiano la trabeazione la serie superiore delle saptamatrika e quella sottostante dei nove pianeti, prevenuti da Brahma alla loro destra e cui fa seguito Vishnu alla loro estrema sinistra, mentre in posizione centrale si attesta la divinità di Shiva, quale destinatario del tempio.
La
banda laterale principale incolonna mithuna di coppie amorose sulle
divinità fluviali di Ganga e Yamuna, tra un’attendente e
d'un guardiano naga, mentre una mirabile cornice a volute arriccia ed
inflette ed inarca le sue spirali sinuose tutt’intorno al
portale. Non meno incantevoli sono le ondulazioni fluttuanti nei
pilastri che separano il vestibolo al di là del portale e la
cella vera e propria, ornamentati nelle testate dai motivi dei
ghata-pallava , i vasi rigogliosi dell'abbondanza e del kirtimukka,
al pari delle fluttuazioni delle navigazioni celestiali delle coppie
dei capitelli del portico.
L’apparato statuario che nelle loro proiezioni e nei loro recessi adorna le pareti laterali del tempio, nella fascia inferiore dispone come secondo copione le divinità guardiane dei punti cardinali, i vyala leogrifi e le ninfe apsaras, mentre nelle nicchie delle principali proiezioni solo Shiva uccisore del demone cieco Andaka è ravvisabile al suo posto dovuto, le altre statue postevi risultandovi illeggibili ed incongrue; appaiono invece di minori dimensioni le figure statuarie del registro superiore, tutte composte di coppie amorose.
Una
volta lasciato il tempio,
la
via lungo la quale ci si incammini poco oltre l’autostazione,
seguitando verso le alture conduce all’area di sosta e di
parcheggio degli autoveicoli oltre la quale occorre procedere a piedi
per raggiungere il Trikuta hill, dal 502 della nostra era il
monticello del tempio della Sharada Devi..
Confluiscono nel culto della Devi quello di Saraswati, Sharada Mata, la dea bianca dell' intelligenza, sia essa quella della musica, delle arti, o della scienza, sposa di Brahma, -in Maihar splendidamente manifestatasi nella impareggiabile scuola di musica classica indiana di Baba Alauddin Khan, e di cui Pandit Ravi Shankar, recentemente scomparso, e Ustad Ali Akbar Khan sono stati i più illustri discepoli, - e la tradizione mitica che vuole che sulla collina Trikuta sia caduta la collana( “har” ) di Sati, ( “Mai”, la Madre Dea) , quando il suo cadavere portato in spalla dal Dio Shiva furente per la sua morte per autoimmolazione, in reazione all ostilità del padre Daksha nei confronti del proprio coniuge divino, fu fatto a pezzi, 51, per l'esattezza, da Vishnu con il proprio chakra, pur di arrestare i passi della danza cosmica di Shiva, il Tandava, che stava annichilendo il mondo, sicché il Trikuta è uno dei 51 Sakti Pitha dell’India, luogo sacerrimo di culto, pur se mai quanto il sito dell’Assam dove della Dea cadde la vulva, nei pressi di Guwahati.
Sarà
una interminabile serie di bancarelle di oggetti liturgici e di
offerte votive, noci di cocco, dolciumi, drappi o coloratissime
polveri, o souvenir della Dea, giocattoli e capi di
abbigliamenti per ladies, un bazar religioso che per multicolore e
fragrante che sia, ci estenuerà sino allo spiazzo ai piedi del
colle,
dove
tertium datur solo se a tal punto si ritorna indietro, tra il
valicare la porta e iniziare la salita a piedi degli scalini
dell'erta, o retrocedere fino alla stazione della funivia per
ascendere in cabina. L’importo sarà minimo, ma una lunga
coda stremante è assicurata, data il suo ammontare, di 70
rupie “only”,
alla
portata di un'infinità di pellegrini indiani. Chi si reca a
omaggiare la Devi è comunque inserito in un pellegrinaggio
tecnologicamente avanzato che ripudia le forme estreme di sacrificio
cui si può ancora assistere nel perikrama di
oltre sei chilometri della collina di Citrakoot, dove trovarono
la loro residenza Rama e Sita, in esilio da Ayodya, e che delle
coppie terrene percorrono per l’intera lunghezza
vicendevolmente distendendosi e protraendo per tutta la lunghezza del
loro corpo la ciotola che si trasmettono l’uno l’altro.
Solo la ressa e la calca di lunghe file spossanti è quanto si
deve patire e a cui deve adattarsi, in Maihar anche chi claudica o è
ricurvo e piegato in due sulla sua schiena, sempre che non sia
possibile eludere la sequela ed abbreviare il tragitto.
A
chi sceglie di far prima a piedi vi sono invece da affrontare 1152
agevoli gradini - 1062 secondo un calcolo più accomodante-, al
cui termine dovrà condividere con chi è salito in
funivia la confluenza nell'accalcamento/ affollamento asfissiante di
una serpentina tra le sbarre,
che
prelude salmodiante alla darshan della dea.
La
vista può intanto essere risollevata dalla profusione di
ghirlande appese ovunque, dei filamenti votivi rossi e arancione che
cingono i tronchi degli alberi dello spiazzo del tempio, dalle serie
di campane
donate
dai devoti cui si scorre di lato
.
E
giunti che si è in cima della scalinata, la vista
preveniente di ciò che è riservato a chi si fa astante
alla dea, non può che diradare la maya di ogni illusione in
proposito, giusto il tempo di depositare l’offerta, che sia
raccolta senza il minimo garbo da uno dei pujari, cedendone una quota
di prasad come ricevuta in cambio, che l’altro ti sospinge già
via nei modi più spicci, attento a nient altro che a fare
scorrere al più presto l'afflusso ed evitare incagli. Resta al
postutto, di lassù, la gran vista della piana sottostante,
delle anse del fiume che vi scorre, degli specchi dei talab che
rilucono nella vasta distesa di filari di piante e di coltivi.