ODORICO
BERGAMASCHI
LA
PERDITA
E
ALTRI RACCONTI
ODORICO
BERGAMASCHI
LA PERDITA
E ALTRI
RACCONTI
MANTOVA ANNI NOVANTA
del
XX SECOLO
AI MIEI GENITORI
Sommario
Mio
segretario fedele
Riaperti
i legami dei fogli, passati più di vent' anni, dopo una prima pagina che ne
iniziava in una grafia intimidita l'intatto candore, alla seguente eccolo
allora già assumere, a suo segretario fedele, il caro diario così elegante e
prezioso, della mamma l'amatissimo dono per il suo compleanno.
"
Le mille e una notte", era invece del babbo il dono lì accanto.
"
Perché la tua solitudine sia incantata nel sogno", è la sua breve dedica
che vi legge al margine.
Ma
se è proprio il babbo a dirgli tali parole, è ahimè vero che nei sogni si è
soli come non mai; perché ogni qualvolta si è sorpreso in un incanto, è da
sempre nei più esotici mondi avventurato al suo fianco, insieme in foreste
equatoriali, o in infuocati deserti fra i turbini d'oasi, come fantasticando di
procedere trepidanti nelle più insidiose giungle, o in sconfinati spazi nel
Nuovo Mondo inoltrati, quali gauchos cavalcando in sterminate pampas, o intrepidi
cowboys tra i coyotes e i cactus del Gran Canyon, con lui al fianco non avendo
egli mere insidia alcuna.
Ed
anche nella fatica e nello sforzo, per suo figlio il babbo com'è sempre
affascinante, anche allora che il caldo si fa estivo, quando sotto la sua giacca
da passeggio porta aperte le larghe camicie; mentre la mamma seguita ad
indossare vestiti aderenti, di delicati colori rosa e azzurro acqua di mare.
"Ed
a me lei piace tanto proprio così... Anzi, se io fossi in lei, -ne scrive nel
diario,- mi attillerei ancora di più, con ancora più accessori...
Quando
siamo soli nella sua stanza, ed ella si veste per uscire, amorosamente glielo
suggerisco sempre...
Ma
ogni volta ella mi dice ridendo che non si deve essere eccessivamente signore;
e che la nostra è oramai la civiltà industriale.
Ma
io ugualmente, con il suo completo viola, mi metterei quel suo cappellino
delizioso con la veletta, che da anni ha smesso di portare, o l'ombrellino
giallo parasole, proprio come le signore nei quadri del suo pittore preferito.
Ed
ora alfine ti lascio, amico diario, ora che sul davanzale ed il giardino
scintillano le stelle, ed io andrò uscendo nell'aria profumata di questa sera
primaverile, ad ascoltare la voce della notte nel fondo dei campi. Che bello è
stato or ora confidarti quello che sento nel cuore. Con i miei amici di scuola
non posso vivamente parlare che di ciclismo e di calcio.
E
di altre cose ne discorrono in un modo così provocante..."
Il
primo di maggio
E'
il primo di maggio, il giorno seguente, ed in famiglia c' è discordia per la
festa del lavoro.
Il
babbo gli è apparso quella mattina sul tardi con un garofano all'occhiello.
Salutandola, all' uscire, egli ha detto alla mamma che i comunisti e i
socialisti proprio ora che sono stati sconfitti alle elezioni, occorre che
procedano a testa ancora più alta.
Il
nonno, in salotto, quando l' ha visto scendere le scale con quel suo fiore
all'occhiello, d'improvviso si è oscurato in volto e non l'ha salutato. Si è
poi lungamente rinchiuso nel salotto, per non avere così da parlargli e non
scontrarsi con lui.
Quella
giornata è intanto davvero splendida di luce e di sole.
Il
cielo è di un delicato azzurro trepido e tenue, ed i prati in fiore verdeggiano
intorno in una brezza soave, che gli reca in stanza il gridio degli uccellini
sugli alberi e fra le siepi di bosso.
Tra
gli steli, delle prode e dei campi, brillano le mille e mille corolle smaltate
dei ranuncoli regali, ove le umili veroniche già risaltavano tra le erbe più
basse, e tramando in volteggi le siepi, o appena radenti i cigli dei fossi, le
prime farfalle s'inebriano capricciose in voli di luce, mentre le rondini
sfrecciano più ardite nell'alto dei cieli, quasi a dirgli che anch'egli deve
spaziare su in alto, ove l'incanto terreno sia ancora più puro... quanto più
puro e più ancora sereno...
La
signorilità
Adorabile
papà! Contrariarsi così tanto, nell'uscire con la mamma a passeggio, perché per
il giacchettino non gli aveva ritrovato il fazzoletto in tinta, che si intonasse
a meraviglia con la riga color menta!
"
Ed io che volevo sembrare al tuo braccio un gentile signore cechoviano!"
Allora
la mamma, da lui rincorsa, gli ha sorriso dileguandosi nel folto degli alberi.
"Se
tu sei così leggero, io sarò di te ancora più lieve" pareva volesse così
sussurrargli come in un volo.
"
Decadente e comunista..." ha borbottato poi il nonno al loro rientro.
"Il
comunismo combatte lo sfruttamento, non la signorilità" gli ha replicato
tranquillamente papà.
"
Oh, non si può essere dei signori senza essere dei ricchi" è stata allora
la risposta pronta del nonno.
Al
babbo, ne era certo nel diario, davvero è parsa sin troppo facile la replica al
nonno, se si è limitato a ribattergli in tutta risposta con una scrollata di
spalle.
Quegli
incendi
Quel
pomeriggio ha accompagnato la mamma a dipingere in giardino, reggendole la
scatola di colori e a lei predisponendoli.
La
mamma vi ha scelto quale motivo le rose,-
ella, nel mentre, come Amore a Psiche
il suo sembiante, gelosamente proibendogli di guardarne l'opera.
Poi,
quale patto perché potesse vedere il dipinto appena lei l' avesse ultimato, gli
ha chiesto di comunicarle le emozioni che gli suscitava nell'animo.
Egli
intanto come un valletto devoto la sua regina, aveva seguitato incantato la
mamma in silenzio, intenta ella a dipingere assorta e quieta. Ma quello che gli
è apparso poi sulla tela, con suo vivo stupore, non era nulla affatto di calmo
e sereno.
Quelle
rose lei le aveva dipinte, in pennellate frementi, quali degli incendi che
avvampano senza mai consumarsi; i petali simili a mobili fiamme inestinguibili,
come lui tremante le ha mormorato.
La
mamma gli ha allora sorriso con stupefazione triste. Ed egli ha compreso, pur senza farne con lei parola:
"siamo io e lei, allora ne scrisse, quegli incendi di rose senza una
fine".
Sul
treno
Altrimenti
annoiandosi in villa, anche quel giorno, come il lunedì scorso, sul tardi si è
recato in bicicletta alla stazione, rifacendovi il biglietto di andata e ritorno
per il paese vicino.
Come
era delizioso, al finestrino, vedere il treno riavanzare fra i filari ed i
campi, finché, di lontano, oltre i casolari ed i rustici e i lavori nei prati,
si profilavano campanili e ciminiere, gli abitati cominciavano a succedersi
sempre più numerosi, ed ai filari, ed alle cavedagne, subentravano le strade e
i casamenti, ai campi verdeggianti gli orti e i giardini; il treno, allora pian
piano, iniziava di nuovo a rallentare, prima di arrestarsi ad un' identica
stazione ridente di gerani, ove per quanti vi facevano di nuovo ritorno, v'era
chi saliva per l' ulteriore città, sul treno che ne ripartiva, nuovamente, come
indifferente e fedele al suo servizio di linea.
A
un vuoto precipite
Si
tramuta poi il maggio nella pienezza di giugno, ed al traboccare del rigoglio
dei campi, nel vegetare della natura ovunque d'intorno, la sua anima si è
effusa esaltandosi in un fervore continuo.
Ogni
giorno vi ripercorre argini e strade, e non v'è ciglio, o riva erbosa, ove un
corteo interminabile di steli, di corolle, non saluti il suo smottarne la
ghiaietta brillante; ovunque a lui oscillante il saluto regale di fulgidi
petali, ogni erba ovunque nel colmo di un fiore..., nella sua gioia che se nei
pressi non ne è più che il pistillo, in altri cigli sfolgora ancora il
ranuncolo a splendere.
E
tanto suo tripudio nell'infinito stridere dei grilli incessanti, all'alternarsi
sui campi di soli e di lune, è l'identica festa degli identici fiori ovunque
sboccianti, l'identica sua gioia per l'umile forasacco e l'iris regale; lungo
il bordo quanto più ancora stupendo, se raro vi appare, d' un tratto è un non
ti scordar di me che pende sul cupo dei gorghi, occhicerulo ed immoto ad
incantarvi l'anima; e l'anima a quell'azzurro sul fondo sospeso, allora fino in
fondo a se stessa ritorna, chiedendosi, allora tremante, se anch'ella non vi
sia ad un vuoto precipite...
Finite
le scuole
Con
gli esami anche le scuole sono allora finite.
Dei
suoi voti, che gli importa, è che fanno ora felici i suoi famigliari, mentre i
suoi compagni li viene lasciando senza troppo rimpianto.
Quanto
poco, per essi, lo faceva troppo diverso e delicato! Le ragazze, poi...
Oh,
ignoravano, elle, che non avrebbero potuto mai fargli veramente del male.
Quel
suo amico soltanto ora rimpiange. Ma quand'anche l'invitasse in villa,
l'annoierebbe ben presto mortalmente. Lui non pensa che al calcio e alle
ragazze, ed i pomeriggi estivi preferisce trascorrerli al fiume a pescare e ad
esibirsi nudo...
Eppure
come sarebbe bello discendervi insieme, l'amico che agisce, e lui che lo
guarda...
Polvere
e oro
C'è
polvere e oro quel giorno nel sole. E i campi, rigogliosi di spighe,
s'accendono alfine del rosso di sangue di papaveri a chiazze. A tanto fulgore
la sua anima inebriata trabocca, e non vorrebbe più farsi, all' incanto, che
luce ed onda nella brezza dei campi. E' la Natura stessa, in simili istanti,
che gli appare viva e ardente come una creatura infinita, quasi ne sia l'
Anima, ovunque spirante, Iddio medesimo diffuso negli alberi e nei campi,
nell'aria e nell'acqua mormorante.
Dei
contadini che faticano distanti a mietere il grano, non è forse, l'ardore, la
medesima linfa vitale di fusti e di steli? Così in quelle pagine si chiede ed
immagina, " ebbro di vita come un uccelletto che trilli nel sole.
E
se attendo desideroso la sera,- vi si esalta-, è perché la sua oscurità mi
rechi l'incanto del fervore quietatosi, quando le lucciole accendono il loro
lumicino nel fondo del parco, si smorza l'ardore dell'aria, ed un venticello
alita segrete voci e sospiri e fruscii, tra il sordo gridio lontano di raganelle
e dei grilli incessanti...
Ed
allora lasciati la mamma ed il babbo, e gli ospiti in villa, è dolce perdersi
lontano, l'erba dei prati per guanciale, gli occhi, lassù, ad un cielo di
stelle sempre più splendide e fitte, e infine, così fragili e soli, nell'immenso
perdersi in pensieri infiniti..."
Al
paese, in quell' umida sera.
Di
quell' umida sera, cessato il piovasco, il diario gli riporta che si è recato
al paese in bicicletta. L'aria si era rinfrescata ed intenerita, dopo il
temporale, e la gente era già riversata nei caffè all'aperto, o passeggiava
lenta lungo gli argini, sotto il cielo più profondo sfavillante di stelle,
mentre delle donne, tra di loro raccolte, sedevano insieme a chiacchierare
sulle soglie in luce, i bimbi intenti a giocare lì accanto. Quanto avrebbe
allora voluto fermarsi ad uno dei caffè del paese, entrarvi ed accomodarvisi
quindi ad un tavolo, magari ordinando una granita od un sorbetto, ed intanto,
in disparte, come distratto per non farsi notare, ascoltare i loro discorsi
animati e le considerazioni e battute.
Ma
come i loro occhi gli si appuntavano addosso, ogni volta egli quasi mancava e
accelerava il passo, temendo ogni qual volta che loro lo deridessero, o che di
lui pensassero le atrocità più crudeli.
Così
la sua corsa si è tristemente conclusa al ponte della ferrovia, ove tra i
cespugli in tutta solitudine ha infine sfogato il suo pianto, intanto che la
sagoma oscura dei tralicci, e dei piloni, cominciava a suscitargli i primi
brividi; quando ad un fruscio, a degli strani rumori, d'un balzo è risalito in
bicicletta, di corsa trafelato ed eccitato insieme, pedalando fittamente finché
non sono riapparse, a tranquillizzarlo, le luci delle prime corti rustiche
lungo l'argine.
Ed
ora, al sicuro, che il vento dal balcone lieve lo bacia e gli ristora la
fronte, anche il suo dolore gli è un male più lieve.
Quel
fuoco
Allora,
cessate le scuole, ha ritrovato un luogo fra i campi meraviglioso, dove da
giorni beatamente si raccoglie a leggere nei suoi pomeriggi.
Tra
due canali di bonifica vi corrono lunghi filari di pioppi, ricreandovi il
tremolio riflesso di un magnifico incanto.
Il
vento, una brezza lieve quando respira, gli reca la fragranza di fieno e
nasturzi, e i soli rumori che vi ode, nella canicola, sono il gracidio della
rana ed il gridio fra le fronde degli uccellini, nel crepitio lontano delle
cicale e dei grilli.
Dinnanzi,
nel suo fulgore, la distesa dei campi sfavilla a perdita d'occhio, fino al
profilarsi, in lontananza, del campanile dell'abbazia e degli argini del fiume.
Nel
verde, fra le spighe, ora che nei campi è sfiorito il papavero, splendono le
campanule fragranti, per i loro calici svariando delle farfalle incessanti nei
voli, mentre più oltre, ad invasarlo, è lo sfavillio delle stoppie
scoppiettante d'ardore.
Intanto
che il suo cuore, nell'aurea luce di polvere, è un continuo incendio di visioni
carnali.
Ed
ancora a sera, nella penombra del parco, pure quando il sole già è declinato,
quel fuoco in lui seguita a bruciare inestinto.
In
barca sul fiume
Quando
con il babbo egli è uscito quel giorno in barca sul fiume, un'afa come di
polvere era sospesa d'intorno.
Le
acque alte erano grigie di fango e detriti, e papà, stordito dall'intensità
della luce, ripetutamente tra i canneti si è accostato a riva, cercando ove le
fronde degli alberi, curve sull'acqua, ad entrambi porgessero un ombroso riparo.
Alfine
l' approdo fra salici e pioppi, ove hanno sostato, era una vera oasi di pace.
Tra
il gridio degli uccelli e il mormorio dell'acque, si sono così immersi nelle
loro letture.
Ma
l'aspetto talmente triste del babbo, con l'indice fermo tra le pagine e lo
sguardo alle acque del fiume, lo distoglieva di continuo da che leggeva.
Quindi
egli ha colto, dalle sue parole, di quale pensiero lui soffriva.
E'
stato allorché, come a confidarglielo, è venuto soggiungendo che i proletari
non vedranno mai sorgere quel sole all'orizzonte.
Così
ha compreso che a dispetto di quanto polemicamente sostiene, il babbo non crede
più che in avvenire il comunismo si avveri.
Gli
ha allora chiesto perché gli sia talmente doloroso che non avvenga.
"
Perché il comunismo- gli ha risposto- è il sogno di un Paradiso sulla terra di
ogni oppresso. In virtù del quale soltanto, la loro intollerabile vita può godere
di un senso. Nel miraggio di quando ogni altro uomo, per ciascuno di noi, non
sia più un limite atroce o un dolore fatale".
Mentre
sentiva così trascorrere nelle sue le idee del babbo, gli ha evocato come il
nonno immagini invece l'Inferno nel comunismo.
"
Per il nonno è infatti un incubo ciò che per i proletari è un sogno, - ha
annuito papà- , la perdita con la sua ricchezza di ogni libertà. Egli infatti è
convinto che in nome degli oppressi assetati in realtà di vendetta, più che di
giustizia, i comunisti instaurino la morte della più tenebrosa dittatura di
sangue e di lacrime, e che il comunismo sia dunque l'inevitabile di un
interminabile orrore".
Le
acque del fiume gli erano ora livide e luminose, idee ed immagini sterminate
gli stordivano la mente, mentre schiere d'angeli e demoni vedeva affrontarsi,
intorbidare di sangue l'orizzonte...
Si
sono quindi inoltrati al di là dell' argine, a distendersi mollemente in un
prato.
Ove
il babbo seguitava a riflettere triste e sereno.
Quando
del padre era tale lo stato d'animo, egli era certo che ne
Un
refolo di vento, d' improvviso, ha preso allora a spirare più forte tra i
pioppi, ed il cappello del babbo è rotolato lontano fra le biade del campo.
Ma
papà indugiava a rialzarsi per andare a raccoglierlo. Egli si è così offerto di
riportarglielo, quasi per meritarsi le sue confidenze.
Il
babbo allora lo ha abbracciato sempre più forte, e intrepidamente gli ha
mormorato: - Ma la loro inesorabile forza, di oppressori, sarà spenta prima
della nostra luce!-.
Caro
papà, come tu stesso, per tuo figlio, ne eri luminoso nel sole calante!
Una
cura continua
Vi
ha riflettuto a lungo, anche quel pomeriggio, e dopo l'accaduto del dipinto di
rose crede di comprendere meglio, commenta nel diario, perché l'esistenza quotidiana della mamma sia
una cura continua di buone creanze, di regole e di convenienze da osservare con
scrupolo. E di se stesso non può più ignorare che l'emozioni tanto, quando tra
i canneti sogna l'apparire di nude visioni, nella carne frusciandone al
tremolio dei pioppi.
Per
sempre la loro vita così
Tenendosi
teneramente per mano, la mamma ed il babbo procedevano assorti nella radura. L'
uno all' altra accostati, eppure distanti e pensosi come due amici quietatisi.
Sulle fronde dei pioppi trepidavano tremule le foglioline tenere, nel loro
filtro di luce l'erba smagliante d'intorno.
Ed
egli guardandoli dall'alto del ciglio, avrebbe voluto per sempre le loro vite
così.
Un
infinito sgomento
Anche
la notte precedente si era svegliato agghiacciato, il vento che frusciava tra
le tende delle finestre aperte, di fuori la luna sospesa sul giardino ed ogni
cosa dintorno, mentre il suo cuore palpitava atterrito tantissimo forte,
essendosi appena sorpreso, nella veglia, già un cadavere freddo nel silenzio
profondo.
Si
è allora soffocato la bocca, per non gridare alla mamma, "disperato che né
io né lei un giorno saremo più niente.
Fossi
ancora bambino, correrei a perdifiato nella sua stanza e vi troverei conforto,
tra le sue braccia dolcemente assopendomi a lei d'accanto.
Ma
se ora io accorressi di nuovo al suo grembo, il mio terrore seguiterebbe a
sbarrarmi gli occhi, ed invano le sue parole mi cullerebbero a quietarmi."
Ed
oltre i vetri l'incantato firmamento di stelle, ora è per lui il brillio di un
infinito sgomento.
Le
nuove colture
Nel
parlare con il nonno delle nuove colture, quel pomeriggio il babbo è apparso
rassegnato, come a un destino superiore, alla sua scelta di spiantare i
frutteti ed i giardini.
Del
resto ogni protesta del genere, come
ripete spesso, la ritiene un inutile lamento; eppure la nostalgia del
volto d'un mondo che già va scomparendo, è in lui un'inconsolabile tristezza.
"
Che ti impedisce, mai, di sognare e di scrivere versi tra più macchinari e
letame?" gli è venuto intanto ribattendo il nonno, che le piantate e i
frutteti è ben deciso invece a sradicarli, per estendervi le coltivazioni di
barbabietole e mais.
"
E quindi soia, come nelle grandi aziende americane .
-
Ma io non posso non rattristarmi- gli ha soggiunto il babbo- che tali mutazioni
stiano desolando il paesaggio in cui sono cresciuto. Da quand'ero bambino e
ragazzo, come mio figlio, ho potuto bearmi del canto degli uccelli in folti
albereti, e in ogni podere, e lungo le vie, ho sentito fiorire le siepi più
odorose, alla vista abituale dei filari di olmi e di gelsi che tramavano i
campi, a maritare le viti, a primavera, con i ciliegi, contemplando fiorire i susini, e in ogni corte, d'estate, ogni aia rifulgere del
grano trebbiato; poi ogni autunno, a
inebriarmi, è stato il profumo espanso delle mele cotogne... Ma ora state
spiantando filari e frutteti, state spianando e livellando ogni terreno, e la
nostra pianura viene diventando una landa di soli foraggi. Mentr'io avverso che
insieme con l'incanto, la poesia deperisca nel rimpianto di un mondo perduto.
Io voglio invece sempre più ancora bellezza".
"
Più foraggio, più bestiame, più macchinari e più letame sparso dintorno,- gli
ha replicato di sé sicura la certezza del nonno-, significano innanzitutto meno fatica e più
ricchezza per tutti. .
Lo
sai bene, del resto, che i nostri non sono terreni per uva. E che c'è
sovrabbondanza di produzione di frutta. Frutteti e piantate, oramai, sono solo
la delizia di insetti e di uccelli e ragazzacci voraci.
E
nella meccanizzazione agricola e nelle distese di riquadri di foraggio, sei tu
che ci vedi bruttura."
Il
babbo alle parole del nonno sorrideva scuotendo il capo.
"
Ma io ugualmente ho una nostalgia infinita, di questo mondo che anche per tua
mano va scomparendo."
"Aah,-gli
ha risposto allora il nonno, con una smorfia, - un mondo di quanta miseria dei sottoposti
e di quanta comune fatica, dalla quale sono stato ben felice d liberarti
facendoti studiare! Credi a me, è come dico io che si procede per il meglio,
solo così, e non con le tue idee, ci sarà meno fatica e più ricchezza per
tutti!"
"
Per chi rimane nei campi e non se ne va a San Martino..."
"-Per
chi rimane e per chi se ne và. C'è oramai sovrabbondanza di proprietari e di
braccianti sulle nostre terre. Ma la vostra propaganda non vuole fare i conti
con le leggi economiche. Voi dite sulle piazze che mentre agitiamo lo
spauracchio dei rossi che levano la terra ai contadini, già stiamo levando noi
i contadini dalla terra. Ma queste battute non sono che propaganda fasulla.
Perché non può essere altrimenti che così".
Per
il nonno il mondo nel quale si vive, così arguiva il nipote, è evidentemente il
migliore e l'unico che sia possibile.
Mentre
per il babbo forse è impossibile sia accettarlo che mutarlo.
Per
questo, in quelle pagine, suo figlio crede che sia talmente malinconico, e che ami
tanto il sogno e l'arte.
Anche
se nella vita egli è capace di tutto.
Splendida
e triste
Anche
quel giorno, carezzandogli i capelli, è stato come se la mamma volesse in
lui addentrarsi soffertamente;
quand'egli non vuole immaginarla che gioiosa nella sua luce radiosa.
Non
già, sola fra i campi, così splendida e triste come oggi nel sole.
La
soglia
Intravedeva
oscura l'alta porta dischiusa; lei era in lacrime sulla sponda del letto, il
padre vedendolo distoglieva lo sguardo e taceva assorto, mentr'egli trepidava
oltre dicendosi muto: "E tu, anima mia, non varcherai mai quell'altissima
soglia".
Poi
in disparte, tra l'erbe e i fiori, entro il trillio degli uccellini sospeso
dintorno, intanto che tremula l'aria respira e ristora, sente che questa
solitudine fra i campi è il solo suo regno naturale, se altrimenti, appena
l'immagina, del cuore sfiorisce ogni incanto in putredine e lacrime.
Anche
nel matrimonio, il desiderio
Li
aveva intesi distintamente, dal corridoio, mentre allo zio arciprete così
replicava il babbo:
"
C'è un passo nei Vangeli che Vi richiamo, ove si dice che anche nel matrimonio il
desiderio è peccato."
Poi
al suo avvicinarsi hanno cambiato discorso.
Forse
ha compreso, a quelle parole, perché la mamma e il babbo a lui risplendano
diafani e tristi, come trasparenti di una morta luce.
Ed
anche quel pomeriggio, l'amico si è dileguato oltre i cancelli in un saluto
festante:
"
Vengo a trovarti senz'altro, uno di questi giorni..."
Ma
dopo che già più volte si è promesso e non è venuto, sa bene, oramai, quanto
sia ancora il caso di attenderlo in villa.
E
l'impiastricciatura del diario, a quelle righe sospese, è il segno ancora
residuo di quel suo soffrire.
Nel suo smarrimento
Non fosse egli stato presente a lei per mano, dove si
sarebbe potuto sospingere, toccandosi, quel giovane sfrontato a torso nudo?
"E poi, si disvelava nel diario, quel suo guardare ridendo ora me ora la
mamma, che cosa insinuava di malizioso e crudele? E che non lo sai, forse, tu
che nel suo trasalire tentavi invano di nascondere il tuo? Senza riuscire, da
quelle membra, come lei in tempo a
rialzare lo sguardo.…" Nell'ombra, al rinfresco del chiosco, la mamma ha
quindi cercato come uno scampo.[1][1]
Vertigine
paurosa
"E'
terribile, terribile," vi grida nel profondo del silenzio notturno.
"
Oh, il tempo senza fine dopo di me! Che vertigine paurosa, se appena mi
affaccio all'abisso di questa idea! Ma solo che riesca a levarne lo sguardo, la
luna è immota e ancora splendida sul parco, le nubi s'inargentano velandola,
tremulano al vento le foglie sommesse, la notte m 'inebria di fragranze e
sussurri."
Il
cuore dell'estate
Quel
pomeriggio, oltre i filari di pioppi, era il cuore dell'estate ch' egli cercava
tra i campi.
Il
prato di erbetta gli è apparso infine madido di sole, e la luce posarvisi senza
più attenuazione.
Là
infine si è disteso, come per sentirne i battiti intensi; ma ovunque egli si
abbandonasse, su di lui un' ombra calava invisibile.
E
i campi e l'aria parevano sgomenti come in un'attesa mancata.
Un'inquietudine
vibrava negli steli e nei rivoli d'aria, quasi un'oscura presenza vi fosse in
agguato.
Non
ha allora saputo resistere nella calura.
L'ardore
nella smania del sangue un'agitazione febbrile,
seguitandone
egli a bruciare anche se del tutto scoperto...
Ma
forse era preferibile quell'esasperazione, all'amarezza che in lui è poi
sopraggiunta, perché nello spasimo egli era partecipe del fervore dintorno,
mentre quell'ombra era discesa poi anche nell'anima, ed egli non vi era più
interno allo splendore del giorno.
La
sua anima triste, che ne scrive al rientro, ancora rabbrividendone al fruscio
del vento tra le tende notturne.
Autentiche
gioie
Non
è forse vero ciò che il babbo gli aveva detto in mattinata, richiudendo il
libro di quel filosofo tedesco? Che solo le gioie innocenti sono le autentiche
gioie? E che quei piaceri gli siano impossibili, forse è davvero un bene più
che un male.
Eppure,
era già dato ai suoi sensi di credervi?
Senza
respiro
No,
non esistevano, più per lui, i delicati piaceri innocenti che vagheggiava. Nel
seno della rigogliosa natura, o nella solitudine fra i campi, anche nell'erba
sentiva la carne. E nella linfa degli esili steli il pulsare del sangue.
Ma
tanto fervere con la vita dintorno, lo fa presagire poi infinitamente più
debole, mentre, di che sopravanza, le più desolate fantasie lo lasciano senza
respiro.
E
quell'estate che sembra non finire mai...
Anch'egli
fra l'erba matta
Quanto
lungamente, riattingendovi, si era illuso a quelle loro parole. Mentre ora
sapeva, con certezza, che anche tra suo padre e sua madre era ripreso tutto.
Come
dubitarne, ancora, dall'ardore con cui nel ballo egli l'ha stretta e l'ha
baciata! Mentre per lui che patimento, a quel punto, le felicitazioni volgari
dei suonatori, quei ridanciani commenti dei contadini; nella danza loro due
inebriati l'uno dell'altra,- lei, fra le sue braccia, come incurante di
apparire al figlio nel suo slancio una donna...
Ed
il babbo di lui a sorridere con i compagni, anziché farli desistere da quel
loro accanirsi sulle sue ritrosie.... Così, in quella notte, lui è triste e
solo come non mai, se anche a loro due, come ai loro compagni, è impossibile
l'essere comunisti e puri...
Fuori
ardono i fuochi di settembre, e all'odore secco delle stoppie riarse, la sua
amarezza crepita nel vento aspra e selvatica, smaniando di mischie di bava e di
sangue fra l'erba matta.
Domani
giù al fiume
Frenetico
come quando durante la ricreazione si scatenava, con che gioia, salutandolo,
l'amico lo aveva accolto per strada il giorno precedente.
Nel
mentre così facendogli festa lo sollecitava, eppure rivolto già ad altro con i
suoi compagni di fuori...
Al
che oscurandosi in volto, senza darlo a vedere, egli ha ben inteso, allora in
silenzio, che non sarà mai nulla della sua vera vita!
Ed
ora contro i vetri i suoi sassolini insistiti...
"
Vieni da me domani! T'attendo insieme giù al fiume!", intanto che la sua
voce si dilegua gaia in un riso, ai vani inviti della mamma a farlo salire. Ed
il cuore che già disperava! A quanta paurosa ritrosia!
Il
cuore sbranato
Sconvolto
e sfinito, senza più respiro, era giunto al casolare dell’ amico nella canicola
ardente, per chilometri e chilometri dopo avere sospinto a mano la bicicletta
sotto quel sole accanito,- appiedato, lungo l'argine, proprio nell'ora più
deserta, la bocca devastata dalla sete, la pelle bruciante sotto gli abiti
incrostatisi di sudore e polvere, il volto per l'arsura congestionato e
contratto...
Ma
chi era l'amico del suo cuore, non erano trascorsi neanche pochi minuti dal suo
arrivo, che già di fretta se n'era fuggito via, intento a rincorrere chissà quale
conquista...
Nell'ombra
della misera cucina invasa da mosche, la vecchia madre si dispiaceva intanto
della sua mortificazione, affaccendandosi confusa nell'offrirgli con il vino
delle ciambelle, ch'egli mordicchiava attonito tutto tremando, in quei bocconi
cercando di soffocare i morsi del più crudo dolore.
Ed
adesso, che ne scrive, dopo che i suoi familiari avvisati lo hanno ricondotto
in villa, e che ristorato si strugge nel fresco, che può ancora attendere il suo cuore sbranato.
L'autunno malinconico e
grande
E'
l'autunno in cui si muta l'estate, già malinconico e grande, di che poi
trepidava e immaginava nel diario.
L'ardore
del sole si è smorzato, e la sua luce tanto più le cose colora e ravviva,
quanto più languido si fa il suo bagliore.
La
natura, pervasa, è un fervidio quieto di colori fiammanti, divampano le foglie
e le frutta di giallo e di rosso, al pervenire ad una maturità che nel rigoglio
già si corrode, la ruggine
insinuandovisi che già le corrompe.
Ed
in tanta beltà così vivida e languida, lui sente ancora vivida e già languida
la sua giovinezza inoltrarsi.
In
un freddo respiro
Fra
i suoi nuovi compagni di scuola egli non si era fatto autentici amici.
A
loro non chiedeva che in classe un aiuto reciproco. La sua ricchezza e l'eleganza
dei suoi abiti buoni, che la mamma faceva confezionare secondo i modelli di
riviste di moda, voleva che servissero solo ad ottenergli rispetto e a
dissuadere le offese. Ma egli invece da loro, come si lamenta nel diario, non
raccoglie che malevolenze ed invidiosi dispetti, che i più crudeli mormorii
sulla sua natura più intima.
Egli
ha cercato di rimanere comunque superiore a quei loro modi maligni, senza mai
con alcuno insuperbire, ben sapendo quanto sia debole e vile nei loro riguardi,
e quanto freddo, ed ingeneroso, al fondo del suo rispetto di tutti intimidito.
Ma così atteggiandosi fra gli altri, sempre di più si raggela nella sua
soffocata miseria, e la sua anima si indurisce come il fondo cavo e secco delle
cavedagne novembrine, inaridisce in una malta ch' è arida di vita. Ed anche nel
suo insegnante di ***, che va mai cercando, si sottace, se non il riferimento
di una vita severa?
Ma
che modi incantevoli Lui usa con loro... Quale dolcezza è pure nel suo fare più
duro... ( omissis)
L'autunno
della semina e della raccolta
Ora
nel diario campeggia l'autunno della semina e della raccolta, quando nei campi
l'erpicatura infrange la zolla residua, i granai si colmano di mele, fermentano
i tini nelle cantine, le fascine e i ciocchi si stipano nei rustici; si
riempiranno poi le credenze di marmellate fragranti, e nelle più fresche celle
si allineeranno i salumi insaccati; chi è in stanza, o per le vie, predisponendolo il conforto di soprabiti ai
rigori imminenti.
In
stanza, nel tepore soffuso, egli dicendosi, allora, che è pur bello, così,
attendere alacri il gelo e le nebbie, se di tutto ci si può dare infine
ragione...
Il
bene
"Non
farei il tuo bene, se consentissi che i rapporti personali, tra noi due,
prevaricassero su quelli tra me quale tuo insegnante e tu quale mio allievo. E
se ti ho caro, mio amico gentile, è il tuo bene che devo volere. E' così che
deve essere, almeno finché ti sarò insegnante."
Egli
si era esaltato, sull'istante, che in tali parole almeno l' altro gli
comunicasse il suo affetto.
Lo
ha pur felicitato, nei loro accenti, sentire quanto gli è pur vivo di dentro.
Ma
ha poi avvertito, con repentino sconforto, come in tal modo l' altro stesse
consegnando entrambi, senza scampo, a quanto snervandolo già lo fa desistere
nell'impulso; e dunque, sconsolato, mentre nel ripostiglio la sua bicicletta
arrugginisce ad arnese in disuso, persiste nel rifuggire di lasciare anche la
stanza, per ingrigirvi tra i libri con l'opacità dei cieli, al loro farsi,
oltre i vetri, quella vuota sera tra la nudità dei rami.
L'autunno
malinconico ed esangue
Come
l'autunno veniva poi disfacendosi melanconico e esangue, poi che nelle sue pagine ne riesumava gli ori e i
vapori delle brume solari, le marcite di foglie e l'umidore fracido novembrino,
l'intirizzirsi allora dell'anima fra nude trame di rami; il loro raggelarla
dispogli, eppure il suo sentirsi fragile e eterna...
Oh,
non vuole morire la sua piccola vita, ella ama vivere anche così, in quale
vuoto rigore di solitudine e studi, se il solo calore fisico le basta, il
taglio dischiuso del riccio o il tepore del nido, per sentirsi di nuovo
disposta e riaversi nel gelo...
Letargia
esanime
Nonostante
le traversie che patisce negli studi, nel diario non si preoccupa della sua
situazione scolastica. Tale crisi per lui non è che letargia. Né i suoi
familiari lo assillano con l'ansia di volti crucciati.
La
mamma, ed il babbo, ch'egli più non osa rimproverare nell'intimo, con lui sono
più che mai comprensivi e fraterni.
Come
gli è cara la loro sollecitudine lieve...
Ma
da loro egli si fa sempre più intimamente distante, e intanto che il disco sul
fonografo gira, in se stesso risale sempre più addentro, di un palpitare sempre
più esanime nelle spire ravvolto.
Non
più incantesimi di parole
"E'
stato attraverso le mie concezioni politiche, che sinora ho vanamente creduto
di riuscire a vivere la vita dei proletari - il babbo gli ha confidato in
salotto il pomeriggio precedente.
"Ma
d’ ora in poi, in rapporto con gli altri, voglio vivere per ciò di cui al
presente effettivamente godono e patiscono, che intanto loro manca più di
tutto, o che consente loro nonostante ogni stento di seguitare a vivere.
Che
questa, e quella cosa, siano questa e quella cosa che sono qui presenti, è più
importante, credimi, che vaneggiare una futura umanità redenta o le antichità
favolose.
Credimi,
non c'è altro mistero, e redenzione umana, che non avere più bisogno di parole
e di sogni politici che incantano il mondo".
Ancora
più tristemente sereno di quanto l'avesse mai visto, il padre si è poi
allontanato per i campi in un tramonto più esangue.
Soddisfazioni
Il
nonno appariva allora quanto mai soddisfatto, che per il canale di bonifica di
cui lo scavo deturperà i tracciati dei suoi campi, le sue conoscenze politiche
gli assicurino un risarcimento ch' è esorbitante; mentre la mamma, da che il
babbo collabora di frequente a un foglio locale, si compiace di accogliere e di
essere bene accolta da più gente che prima.
Ma
il loro figlio e nipote, in disparte, si dice che in tal modo il loro grande
fiume in lontananza non sarà mai più un Missouri, né il nonno grandeggerà più
sui campi dell' infanzia, vigilandoli, quale un pioniere dall'aia di un ranch.
La
stessa mamma, esaltata che il babbo sia sempre più assiduo nei suoi riguardi,
non sarà più colei che sa sacrificare tutto per esortarne la lotta. Non di meno
si sconforta che il suo professore amato, per il quale l'attimo presente è
un'occasione già morta, per lui non possa mai essere l' uomo dolce, e forte e
grande, che gli possa insegnare attraverso la carne la vita e il suo ardore.
Dicendosi
che a sua volta lui non potrà mai essere, così, il solitario ragazzo che tenta
e sfida l'onore.
Immaginazione
deserta
Dicembre,
il silenzio gli è immenso in stanza; un soffice tepore lo annida fra le coltri,
ed oltre i vetri una nebbia umida, sospesa dintorno, lo isola remoto fra i
campi deserti. Non un passante, non un'autovettura nella strada distante.
Nell'umido biancore tutto di fuori è scomparso, mentr'egli, tra le coltri,
raccoglie amatissimi i suoi abiti morbidi; più accanto, sul guanciale, il libro
di racconti ove la sua fantasia divaga remota, di una città nordica aggirandosi
tra gli umidi selciati e le gelide arche, intanto che i campanili e le torri, a
una luna spettrale, vi celano le segrete di alchimie infernali...
Sulla
parete tetre sagome, congiuranti, di rabbini intenti che permutano cuori...
E
così evocando abomini di sangue, tra le coltri ancor più lo raggriccia la sua
immaginazione deserta.
Schiantato
dal fulmine
Nella
sua catastrofe di quel pomeriggio, il nonno gli si è come appigliato con le
residue forze, sulla poltrona dove l'avevano adagiato sbiancato e tremante.
"
Sono un olmo schiantato dal fulmine", gli ha mormorato a fatica, con il
volto impietrito, l'occhio sperso in un altrove che non era più terreno.
Poi,
come ha creduto di avere recuperato le forze, ha tentato invano di risollevarsi.
E'
stato allora, che colui che gli era già così forte e vigoroso nella sua annosa
vecchiaia, si è rannicchiato su se stesso in un irrefrenabile pianto.
E
le loro dita, rimaste accostate, per la prima volta si sono intrecciate
teneramente indugiando.
Era
il nonno, rimpicciolito e curvo, ora il bambino inconsolabile.Mentre quelle sue
ruvide mani, che già come una sola ricchezza gli ostentarono fango e letame,
ora molli e smarrite tentavano il buio.
Lieve
biancore
Dal
giorno precedente la neve cade incessante. Ed il suo ammanto, in quelle ultime
pagine, di una densa coltre copre ogni cosa dintorno, eppure lieve riveste
campi e cortili. I corsi d'acqua per il ghiaccio sono raffermi, giacciono le
strade sedimentate di un bianco spessore, ove minuscoli, imbacuccati, solo rari
passanti affrettano il passo, ravvivati a procedere dal gelo pungente. Per le
aie, dintorno, è intanto il farfalleggiare di falde e uccellini e bambini, i
piccoli avventurantivisi su per i cumuli di neve, od in improvvisati trabiccoli
di slitte, - intanto che la sua anima si fa anch'ella bambina, e torna ad un'
infanzia di segrete lagrime e di pochi giochi, i baloccamenti con la neve i
soli festanti.
Ma
i primi spalatori sono già all'opera, rivoltano e ammassano la neve, la
badilano e la infangano... Ah, gli uomini, che già non possono soffrire tanto
candore...
Da
egli come allora invocata, ma tu neve scendi, lieve biancore, scendi immacolata
e cara senza più fine, oh, tu sommergici e annientaci tutti!
Nel
farfallio
Il
carillon, la Signorinella di refe e la farfalla di tulle; il veliero immoto, le
automobili d'epoca intagliate nel legno; al solo esumarli, quella sua anima
bambina si incanta e batte le mani, non ode più intorno le grida e i rumori,
non esce nel sole se l'aria è più mite; ma in un dolce tepore ove il tempo è
cessato, si trastulla e balocca e non sente più nulla; al vetro della sfera che
ammalia, nel farfallio ella tremante e sognante di sè.
Una
fitta più acuta
Dopo
che il babbo, com' era sopraggiunto, aveva aiutato il nonno a salire di sopra,
la mamma sullo sdraio, avvoltasi in un plaid,
da lui ha voluto che diritorno rimanesse lungamente assorto tra le sue
ginocchia.
Trepidamente
carezzandogli i capelli, mentre annuiva ai suoi vaghi intenti di raccogliere
canti e tradizioni locali.
Il
babbo poi si è da lei congedato, con un bacio, per risalire in studio fra le
carte di famiglia.
Il
figlio frattanto, fingendosi intento sull'atlante, seguitava a divagare
nell'osservarli.
E
quando ha rialzato gli occhi sul volto di lei, nel suo sguardo immoto,
attonito, ha visto la fiamma erodervi un vuoto ancora più vasto, di prima che
il babbo sopraggiungesse a lei accanto.
Finché
gli occhi della mamma, stancamente, si sono richiusi in una fitta più acuta.
Vivere,
non scrivere
Le
piogge disciogliendo intorno le nevi, da giorni in quelle pagine infangano
tutto, mentre le cose di fuori illividiscono e immalinconiscono.
Ai
vetri lui segue le goccioline che rigano l'appannatura, vi precipitano e si
fondono nell'angolo, intento alla vista delle foglie che imputridiscono nel
parco.
In
stanza è diffuso un lieve tepore, ma l'interno è un vuoto dell'anima ove muore
ogni suo volere, illanguidendovi nel torpore di una malattia di tutto il suo
essere. Nella mente egli suscita le immagini di stelle palpitanti su caldi
deserti, di carovaniere e transiti per empori orientali; ma il sentimento del
fango, che lo pervade, le stinge in deboli miraggi evanescenti, e il solo
figurarle, pur sempre, incuba le visioni di una sua debolezza infinita.
Deve
vivere, deve vivere... oh, vivere, non scrivere...
Un
flusso esangue
Poi
seguono del diario le pagine bianche che ripercorre.
Ora
al termine di un giorno assolato di settembre, la finestra della sua stanza è
aperta alla frescura della sera. Da fuori gli giungono le voci degli uomini e
lo scrosciare di una fontana, intanto che sente la disperazione farsi il suo
sentire residuo. Le sue energie ignorano un ulteriore punto di applicazione,
nient'altro dintorno che il vuoto dei fatti, e tale trasparenza ch'egli avverte
di essere, ne ha fatto ciò che reputa un uomo qualunque. Così non è più per se
stesso che inesistenza superstite, e nelle medesime sublimazioni in cui
persevera, di etica e stile, la sua vita gli è pur sempre identica a quella
degli immutevoli uomini del bar sottostante, il cui vociare gli giunge
indecifrabile, o la stessa di Alì Abdennnour, riemergente ora ridente nel suo
ricordo, che ha la sua stessa età di allora, di lui aperta, sul tavolo accanto,
la lettera speditagli due settimane addietro dalla Tunisia, in cui gli annuncia
che il mese della raccolta dei datteri è arrivato, e gli chiede se si ricorda
ancora di lui, " il piccolo ragazzo che vi ha dato molte indicazioni sul
matrimonio che avete visto a Douz. Io sono Alì- gli ricorda ancora- che parla
molto della politica e dell'amore."
E
come Alì, già Mechlia Ridha, e Tria Abderrahman, gli hanno scritto al suo
ritorno. Egli si chiede, al loro ricordo, in quante cose debba mai credere Alì,
fidando in Allah, se così urgentemente, conclude la lettera, attende la
risposta di uno straniero che ha conosciuto nel corso appena di un'ora. Ma è
per questo che non lo dimentica.
L'immagine
del piccolo Alì, così lontano e così vicino, sfuma quindi in quella del volto
di ogni altro di cui si illuse un amico, mentre si chiede se di quanto insieme
con loro egli ha vissuto, gli sia sostenibile il ripetersi anche di un solo
istante.
Quali
rimpianti, davvero ? Quale parola ancora dicibile? Quali le maschere
riadattabili al volto?
E
a chi, mai, ha potuto recare soccorso? O in quale affetto trovare conforto?
Egli che tentando una doppia vita, il doppio registro di spirito e sangue,
nella parola pur ha presunto di elevarsi oltre il suo tempo, ora è per questo
una bocca di cui è morta ogni voce possibile, un uomo comune senza più soccorso
o conforto nella vita di tutti.
E
la sua perdita va divenendo un flusso esangue, finché il dolore espanso si fa
torpore, nella notte che lo assopisce infine nel sonno.
Fine
Pagine
distolte
Anch'io
un giorno,
Che
conforto, oggi all'aperto, gli era il verde calmo e compatto della distesa dei
campi di foraggio, al vedervi di nuovo, così al colmo, più che mai rigogliosa
la vita dintorno.
Eppure
è bastato che lungo una riva abbia scorto di un pruno un ramo stecchito, o che
abbia calpestato un'arida zolla, perché si sia sentito percorrere da un brivido
interno, dapprima nulla più che un presagio confuso, poi il rintocco del
richiamo affiorante che anch'egli un giorno, chissà quando lontano, dovrà
cessare e come ogni vita morire...
1.5.
I popoli dei campi
Era
come un popolo intento alla luce del sole, l'affollarsi di margherite fulgenti lungo
la proda del fiume. E già primule e violette, da lui predilette, furono i fiori
estintisi di quelle rive, mentre tra i tanti ranuncoli che vi succedono in
boccio, già languisce anche il dente di leone sfiorente, intanto che nuove
moltitudini di malve, e di salvia selvatica, infoltiscono l'erba di rosa e
d'azzurro. E pure se pensa al papavero imminente nei campi, la malinconia gli
intristisce la luce che cala dintorno.
Dal
cuore dell' estate.
*Dapprima
ha avvertito un senso di sgomento, come l'ombra è calata sui campi,
Poi
l'ardore nella luce, sempre più viva, è diventato una smania del sangue e
un'agitazione febbrile.
Seguitava
a bruciare anche se del tutto scoperto...
La stessa inquietudine che ora agita in stanza
la sua ( var:l') anima attonita.
Nella
calura
Non
ha allora saputo resistere nella calura.
Dapprima
ha avvertito un senso di sgomento, come l'ombra è calata sui campi, quasi
un'oscura presenza vi fosse in agguato.
Poi
l'ardore nella luce, sempre più viva, è diventato una smania del sangue e
un'agitazione febbrile.
Seguitava
a bruciare anche se del tutto scoperto...
Ma
forse era preferibile, quell'esasperazione, all'amarezza che in lui è poi sopraggiunta,
perché in quello spasimo egli era partecipe del fervore dintorno, mentre
quell'ombra è discesa poi anche nell'anima, ed egli non vi era più interno allo
splendore del giorno.
Nel
suo mancamento, ora rabbrividendo al fruscio del vento tra le tende notturne.
E'
la loro remota distanza, insuperata, che gli fa sognare Timbuctù e Samarcanda
quali favolose mete .
Impettito
"
Avessi io tanta grazia e bellezza, quale ne ha l'uccellino che si è appena
posato sul ramo del pero.
Aveva
tanto brio nel volo, che pareva un monello che dovesse nascondersi a chissà
quale birichinata...
Ha
poi rallentato in un battito d'ali, nel planare sul ramicello che ha preso a
oscillare,mentre il passerotto vi cercava un equilibrio che ha conseguito nell'
istante stesso che il ramo è rimasto fermo, già impettito e slanciato,
l’uccellino, come un elegantissimo principino del cielo.
E
non ha che la livrea del più umile servitorello...
Certo Diana, la mia canarina, così
elegantemente bianca ed armoniosa, come dice la zia Ersilia che per lei
stravede, sembra davvero una ballerina della Scala.
E
Bibi di cui lei è invano innamorata, nella gabbia accanto, quando la sera si fa
un silenzioso batuffolo di piume che ti fissa con due occhiolini incantati e
nerissimi, mi rapisce come se fosse un canarino angioletto.
Ma
un passerotto è ancora più bello, a mio vedere,
perché è già all’ istante ciò che
i canarini in gabbia sono solamente con tanta cura, perché è così comune ed è
già tutto ciò che loro diventeranno solo nel tempo.
L
'uno va e viene, intanto un altro sopraggiunge e vola via, poi scendi in
cortile e ne vedi una frotta che si intreccia e bisticcia, e così è sui tetti e
sui fili e radenti i muri, lungo le strade e fra le siepi e sugli alberi...
L'uno
muore e resta ogni altro uccellino, mentre se solo Bibì non canta più, o Diana
sonnecchia e arruffa le piume più del solito... ma Tu o Dio buono, e Tu angelo
custode dei miei uccellini, vegliate su di loro se mi sentite, fateli vivere
per quanta è la carica che li muove a cantare e volare, anche se lo so e mi
spezza l’ animo per quanto mi fa intristire, sapere che sono troppo giovane per
non dovere vederli entrambi prima o poi morire.
Aggiunta
E'
per questo che mi sono sentito stringere da un nodo in gola, quando la zia me
li ha portati lo scorso anno per il mio compleanno.
"In
ciò che scrivi nei temi tu mostri così tanta simpatia per gli uccellini, che ho
pensato che due canarini non potessero che rallegrarti e riempirti di
compagnia,in voli e canti...
Non
dovrai provvedere che a cibarli... Alla loro pulizia provvederà tua madre. Ma
tu mi sembri così pensieroso e in ansia...
“
E’
che non sono ancora passati due anni da che è morto Bill.
E
se penso ancora a che cosa ne restava, che non era più che una cosa di peli e
di carne di cui si poteva fare di tutto, a tutta la terra che è stata gettata
sopra i suoi occhi aperti e sul suo muso di cane ....
E'
poi vero che per noi uomini è tutto diverso? Che il buon Dio, come dice il
catechismo, ci ha creati per goderlo nell'altra vita in Paradiso?
Io
ci credo e non ci credo, io... io non chiedo di meglio che si possa poi vivere
di nuovo in cielo con la mamma ed il babbo, e tutti i nostri cari, io a tanto
ci credo, o voglio crederci, anche se per loro non è vero niente, ma
quand’anche la mia speranza non fosse solo un sogno, sento una tristezza enorme
che in me non si contenta, al pensiero che il paradiso non sia concesso anche a
Bill, e Bibì e Diana, alla mia micetta Caterina e al suo vecchio spasimante
Gedeone, di quand'ero bambino ...
Che
loro tutti quanti debbano marcire e non essere più niente, loro così cari e
buoni ed innocenti, il caro Bill che mi faceva tante feste ad ogni ritorno da
scuola, e la mattino mi svegliava affettuoso leccandomi il viso, e che solo noi
uomini possiamo salvarci, è una fine che trovo di un' ingiustizia inaccettabile
e dolorosissima, e allora preferisco che sia vero e giusto ciò che sostengono
il babbo e la mamma, quando facendolo tanto irritare, dicono al nonno che tra
il pollo che sgozza e la nonna che è morta ed è in cimitero, "non c'è
davvero nessuna differenza finale..."
Pagina
postuma
Dalla
torre campanaria
Solo
verso le sette di sera, ieri di domenica, sono riuscito a liberarmi degli
affanni domestici e a riprendere con la bici la via dei campi, lasciato Bibò,
nella sua tulle, alfine quieto al riparo da insetti e dal vento, mentr'io m' inoltravo lungo la statale e la strada
secondaria, lungo i rivi costieri del folto di un fossato continuo, in una
fragranza estiva di trifoglio e di borragine. E raggiungevo ed oltrepassavo già
la borgata di case, in prossimità della meta,
che l' insolazione estiva antiquava nelle rustiche pietre
canonicheggianti intorno alla Chiesa; nella pienezza estiva, della luminosità
intorno, mitici ogni siepe e calcinazione muraria, ogni solco di volto e ogni
rugginio d'arnese della mia Padanìa estivantesi, a ogni corte (esaltandomi in)
un un ardore luminescente, fuori del tempo, ( a) ogni giardino ( in) un fulgore
di rose e gerani, finché l'argine esterno si approssimava profilato di pioppi,
e la risalita mi immetteva in una sequela di parchi e di aziende agricole lungo
i declivi, di ingressi alberati e radure d' erba circostanti; e mi affacciavo
allo (nello) splendore solare dell' erba rada delle prode, delle balle
cilindriche di fieno nei prati soggiacenti, ferma accanto la rotopressa, prima
delle case basse del paese e delle sue locande, della pieve a ridosso dell'
argine e del fiume maestro...
Lì,
ad una panchina di cemento rivolta al corso del fiume, nel far del tramonto ho
concluso la mia corsa, ove nell' ansa, discostandosene, il corso del Po
rilascia sull' altra riva litorali di sabbia, per frangere ed erodere in
turbini d'acqua la riva erbosa sottostante, oltre i pioppeti posta al riparo di
massicciate arginanti. Radenti le acque, e in su sfreccianti, era un viavai
continuo di rondini nel cielo, che a pelo dell' acqua si risollevavano per
riabbassarsi ad ogni increspatura e flutto, e divagare tra i pioppi e
traversare la strada d'argine fino ai campi e le case retrostanti, le più
giovani di esse le più inesperte e remiganti.
Poi
un aereo stormo di colombi ha planato lento e si è risollevato in alto in alto,
prima di riavviarsi alla torre campanaria in cui i colombi risiedono, agli
antichi coppi e colmigni e alla grondature della pieve che ne è l'ospizio, ove
altri colombi e tortore si crogiolavano nella smorzatura della calura e della luce
diurna, già quietandosi al riposo notturno.
Succedevano
ad essi gli storni volti al fiume o alla vastità pianeggiante, contro sera,
lungo i fili elettrici e i cavi telefonici sospesi in alto, quindi i passerottini che al mio
sopraggiungere s'infoltavano in un cespo arbustivo o in un intrico già ombroso
di rami, o i confratelli piccioni e le consorelle tortore, conurbate, ritti ed
erte sui fari luminosi dei viali di città.
Da
tanta beatitudine di vita volatile, finché al rientro in appartamento, acceso
il video, sul balcone ne era una eco l'ultimo canto di Bibò, prima che me ne distogliesse l' orrore
bosniaco riportato nei notiziari, le
ultime degli scudi umani e degli ospiti di pace dell' Onu, assunti in ostaggio
dai serbo-bosniaci, dei giovani morti di Tuzla dilaniati in una sera come
questa al caffè all' aperto, che quella notte sarebbero stati sepolti al riparo
dell' oscurità delle tenebre nel cimitero islamico.
Da
Mantova a Boccadiganda ed al ritorno.
Le
nuove colture
(Altra
versione)
Nel
parlare oggi con il nonno delle nuove culture, il babbo è apparso rassegnato,
come a un destino, alla sua scelta di spiantare i frutteti ed i giardini.
Del
resto ogni protesta del genere, come ripete spesso, la ritiene un inutile
lamento; eppure la nostalgia del volto d'un mondo che già va scomparendo, è in
lui un'inconsolabile tristezza.
"
Che ti impedisce, mai, di sognare e di scrivere versi tra più macchinari e
letame?" gli è venuto intanto ribattendo il nonno, che le piantate e i
frutteti è ben deciso invece a sradicarli, per estendervi le coltivazioni di
barbabietole e mais.
"
E quindi soia, come nelle grandi aziende americane .
-
Ma io non posso non rattristarmi- gli ha soggiunto il babbo- che tali scelte
nelle colture stiano desolando il paesaggio in cui sono cresciuto. Quand'ero
giovane, come mio figlio, potevo bearmi del canto degli uccelli in folti
pioppeti, lungo le vie fiorivano le siepi più odorose, e i filari di olmi e di
gelsi con i noci tramavano i campi, la primavera era il rifiorire tenue di meli
e di peri, a maggio con i ciliegi in ogni podere fruttificavano i susini, e
quando in ogni corte era l'estate, crepitava il fulgore nelle aie del grano
trebbiato; quindi d'autunno, a inebriarti, era il profumo espanso delle mele
cotogne . Ma ora state spiantando filari e frutteti, state spianando e
livellando ogni terreno, così la nostra pianura viene diventando una landa di
soli foraggi. Ed io avverso che tra i macchinari, con l'incanto la poesia
deperisca nel rimpianto di un mondo perduto. Io voglio sempre più ancora
bellezza".
"
Più foraggio, più bestiame, più macchinari e più letame sparso dintorno,- gli
ha replicato calma la certezza del nonno-, per me significano innanzitutto meno
fatica e più ricchezza per tutti. .
Lo
sai bene, che i nostri non sono terreni per uva. C'è sovrabbondanza di
produzione di frutta. Frutteti e piantate sono oramai solo la delizia di
insetti e di uccelli e ragazzacci voraci.
E
nella meccanizzazione agricola e nelle distese di riquadri di foraggio, sei tu
che ci vedi bruttura."
Il
babbo alle parole del nonno sorrideva scuotendo il capo.
"
Ma io ugualmente ho una nostalgia infinita, di questo mondo che anche per tua
mano va scomparendo."
"Aah,-gli
ha risposto allora il nonno, con una smorfia, - un mondo di quanta miseria e di
quanta fatica, dal quale sono stato ben felice di liberarti facendoti studiare!
Credi a me, è come dico io che si procede per il meglio, solo così, ci sarà
meno fatica e più ricchezza per tutti!"
"
Per chi rimane nei campi e non se ne va a San Martino..."
"-Per
chi rimane e per chi se ne va. C'è oramai sovrabbondanza di proprietari e di
braccianti sulla terra. Ma la vostra propaganda non vuole fare i conti con le
leggi economiche. Voi dite sulle piazze che mentre agitiamo lo spauracchio dei
rossi che levano la terra ai contadini, già stiamo levando noi i contadini
dalla terra. Ma queste battute non sono che propaganda fasulla. Perchè non può
essere altrimenti che così".
Per
il nonno il mondo nel quale si vive, così arguiva il nipote, è evidentemente il
migliore e l'unico che sia possibile.
Mentre
per il babbo forse è impossibile sia accettarlo che mutarlo.
Per
questo, in quelle pagine, suo figlio crede che sia a tal punto malinconico, e
che ami tanto il sogno e l'arte.
Anche
se nella vita egli è capace di tutto.
La perdita
Indice
1.Mio
segretario fedele
2.Il
Primo di maggio.
3.La
signorilità.
4.Quegli
incendi senza una fine.
5.Sul
treno.
6.A
un vuoto precipite.
7.Finite
le scuole.
8.Polvere
e oro.
9.Al
paese, in quell' umida sera.
10.Quel
fuoco inestinto.
11.In
barca, sul fiume.
12.Una
cura continua.
13.Per
sempre la loro vita così.
14.Un
infinito sgomento
15.Le
nuove colture.
16.Splendida
e triste.
17.La
soglia.
18.Anche
nel matrimonio, il desiderio
19.Nel
suo smarrimento, il tuo.
20.Vertigine
paurosa.
21.Il
cuore dell' estate.
22.Autentiche
gioie.
23.Senza
respiro.
24.Anch'egli,
fra l'erba matta.
25.Domani
giù al fiume.
26.Il
cuore sbranato.
27.L'autunno
malinconico ed grande.
28.In
un freddo respiro.
29.L'autunno
della semina e della raccolta.
30.Il
bene.
31.L'
autunno malinconico e esangue
32.Letargia
esanime.
33.Non
più incantesimi di parole.
34.Soddisfazioni.
35.Immaginazione
deserta.
36.Schiantato
dal fulmine.
37.Lieve
biancore.
38.Nel
farfallio.
39.Una
fitta più acuta.
40.Vivere,
non scrivere.
41.Un
flusso esangue.
Indice
Index
La
Perdita.
Indice.
Quando tra le altre fotografie che all'interno della scatola di dolciumi
stavano alla rinfusa, sua madre gli ha
porto quella che ha prescelto di lui piccolino, a sette, otto anni, più
precisamente non ricorda, un sommovimento lo ha riscosso: fra i campi, come al
suo osservatore di allora, forse suo padre dietro l'apparecchio, in quella
immagine gli è sorridente il più amorevole bambino, il suo sorriso soffuso di
una delicatezza dolcissima, gli occhi confidenti nella amabile grazia di una
vita ancora in boccio.
Dio mio, questo ero io? Sono io forse ancora lui? si chiede attonito per
lo sgomento, al punto che per evitare che sua madre colga il suo turbamento, le
riesuma le proprie mutazioni successive, quali sono rimaste impresse in altre
fotografie.
Ma in quella immagine
che sembra di un tempo che è fuori dei tempi, egli appare ancora un intatto
bambino, tant'è la felicità che gli arride nello sguardo; mentre poi, ne fa
parola a sua madre, le immagini immalinconite accusano le esperienze della vita
che era venuto già facendo, quello, che le tace, che di insanabile gli era
venuto accadendo.
Ma può essere vero, si
chiede perplesso, che quel faccino di una impertinente dolcezza, così
delicatamente sfumata, allora ignorasse ancora il dolore e l'offesa?
Allora... ma di quel Tempo che ne
ricorda, per davvero?- Ne è vero ricordo, o trasfigurazione postuma, il
sentimento vago che ne risale come dall’immemorabile era di un arcano passato,
in lampi di sensazioni indelebili quanto indefinite? Sono, che trapelano,
tracce sparse di memorie sopite e profonde, scaglie balenanti di solatii
pomeriggi solitari, o di cuori di giorni che sulle orme di altri, erano ebbri
di estasi per greti palustri, istanti perenni in cui definitivamente, una volta
per sempre, si apriva il suo sguardo all' esistenza.
Fittizio o veridico
che sia, ma è nel ricordo che ne persiste, nell' atteggiamento verso la vita
che ne risale, che quel bambino in lui è ancora superstite, è in tale memoria
che egli ne è la stranita sopravvivenza adulta, se benché la sua corporeità sia
divenuta altra in ogni suo atomo e molecola, pur qualcosa di quel bambino
sopravvive ancora in lui, a immemorabili distanze di epoche e tempi.
Ma nel ricordo che in
lui riemerge da quella vaga sua infanzia, a dispetto di quell' immagine di
bambino trasognante di felicità,
sopravanzano sconsolate lacrime e acuite
ferite, di cui egli, nella sua infelicità permanente, è il custode unico
che ne sopravvive. Per averlo appreso, ne ha certa memoria, quando non ancora
andava a scuola, già sapeva del peccato originale, della propria morte, che si
sarebbe verificata un inevitabile giorno, chissà quanto lontano, oltre il verde
dell' erba fresca della vita; l' estasi del giocare nel cui umidore fragrante,
è il ricordo confuso di ciò ch'era altrimenti la sua interminabile felicità
mattutina e pomeridiana, in quegli anni,
ancora senza tempo, di un eterno trascorrere di pomeriggi e mattini, di estati
brucianti e di algidi inverni; non fosse stato che facendolo urlare di paura e
dolore, già avevo visto suo padre fare piangere sua madre a pugni e schiaffi, e
si era avvertito un peso noioso per sua sorella e le sue amiche, i pomeriggi
senza fine in cui avrebbe voluto unirsi a loro nei giochi, lui che non poteva
immaginare, e tanto meno credere, che non ci si potesse volere bene e per
sempre in famiglia e in paese.
Eppure,( quando) già
che tormento, di cui non si capacitava il perché, in lui era l'angustia di
essere soprannominato e trattato ridicolmente da compagni e da adulti, vittima
del loro ostinato dileggio, il che intristiva un suo senso della vita già
afflitte, nella luce dei giorni, dal timor di Dio inculcatogli dai preti e
dalle donne di chiesa; pur se il fulgore dei campi di grano nei maggi solatii,
od il biancore abbagliante della neve nell'algore invernale, esaltavano tutta
la sua piccola anima.
E doveva già essere accaduto qualche
estate prima, ne è certo, che in quegli occhi di confidente innocenza
divertita, senza alcun senso alcuno di perversione, al mare si fossero impresse
affascinanti le figure di giovani corpi,
Ma in quel sembiante
ridente non ne trapelava nulla, appare
solo la felicità di vivere una vita che sta davanti interminabilmente luminosa,
come è rigoglioso il tripudio circostante dei campi.
" Mio Dio, -si
sconforta all' immagine,- ed io che ne ho fatto di quel caro bambino?
Nonostante tutto, vi è volto ad un sogno duraturo quant'è infinita la vita;
questa mia vita di mortificazione e di solo fallimento ,.... intanto che così
si deplora, discorre con la madre dell' abitino cresimale che indossa in una
fotografia devozionale, raccolto con la sorella in una posa edificante di
preghiera, entro una nicchia sorvolata da uno Spirito Santo...
" Me miserabile,
che cosa gli ho mai consentito di divenire, e di vivere, di quello che di
meraviglioso sognava allora? Che ne è più stato di lui in me stesso? Io,io ne
ho fatto solo un abietto repellente nella mia, nella sua vita sessuale, e l'ho
lasciato discendere negli abissi più atroci della disperazione gelosa, perché
la mia impotenza inerme lo consegnasse solo, e vilipeso, a patire l'abuso e
l'abbandono, io suo carceriere e torturatore, che non gli ha risparmiato
l'incrudelimento contro ogni più sacro legame, neanche l'inferno ributtante
degli stupefacenti, pur che non si riaffacciasse più al dolore conseguente
della consapevolezza, io, io che poi ho cercato di porre termine anzitempo ai
suoi giorni diletti....io che non sono stato in grado di dargli un solo amico,
o una famiglia...
Poi, per anni e anni,
caro piccolo delicatissimamente ridente, ammarandoti nelle secche inerti di mie
lunazioni depresse, arrendendoti alla mia incapacità di farmi e di farti
valere, quando venivo illudendomi che da ogni tua perdita di qualsiasi affetto
Ed io che non ti ho
consentito di affermarti e non ti sono valso a niente, ti ho solo lasciato
subire tutte le invalidazioni umilianti che tu già allora pativi per la tua
prodigiosità a scuola, o per i modi effeminati che venivi assimilando, sicché
di te ho fatto un invalido sociale, un inetto a ogni necessità meccanica, che
nemmeno è capace di saper condurre alcun veicolo su cui avventurarsi, o di
utilizzare utensili che di te facciano almeno un uomo pratico..."
E mentre si affligge di averlo talmente mortificato e
infelicitato, di esserne il fallimento, lì presente, si chiede che ancora, sia
di vivo, di quell' essere bambino che gli sorride immutevolmente nell' effige.
E in che rapporto rimanga con esso, mentre mostra a sua madre quell' altra
immagine di sè pubescente, con ancora i calzoni corti, che fu scattata nel
corso di una tediosa gita con un suo zio e la sua fidanzata, una fotografia che
gli fa ricordare, sia pure indeterminatamente, l'odio che durante tutto il
tragitto coloro esternarono verso la sua natura adolescenziale di cui non
capivano i modi restii, il riserbo effeminato ch' era recluso nella religione e
nello studio dei libri.
" Come posso
dirmi ch'io sono ancora lui? Non è vero, piuttosto, che egli è l'essere
scomparso ch'io ero da bambino? Dal quale sono mutato innumerevoli volte,
quante sono le volte che mi sono ricambiato nella mia costituzione fisica o
nella mia interiorità, o quante sono le epoche che ho vissuto e che sono
intercorse, degli innumerevoli esseri storici che sono stato... Oh, tu eri
davvero un grande bambino,- lo suscita a dire quel volto che gli arride incantato,-
ed io, sebbene sia un altro, eppure ho ancora vagamente i tuoi lineamenti, e la
mia vita, ininterrotta, conserva sia pure confusamente i tuoi dolori e le tue
sensazioni felici, vede ancora ciò che vedevano i tuoi occhi, ancora si ricorda
di certi tuoi eventi, come se io ne fossi e in quanto ne sono il solo custode testimoniale, incredibilmente qui, e
ancora vivo, vivo della tua morte, caro scomparso...
Son'io, per quanto sia
un altro, che conservo ancora la tua denominazione e la tua identità sociale,
come se io fossi te ancora vivo, a quanto suppone, od ebbe a supporre, ogni
altro che ti conobbe, mia madre, la stessa tua madre, mio padre tuo padre
defunto, volgendomi ora a te, in me presente e scomparso, che nella tua
immagine ancora mi parli, e che me bambino carissimo, tuttora mi chiedi che mai
ho fatto dei tuoi giorni, dei tuoi sogni e del tuo "vago avvenir che in
mente avevi".... dal tuo sfondo continuando a pregarmi, gentile e ridente,
di non perdermi più, di non perderti mai più... mIa eterna anima Bambina".
E' avvenuto nella libreria ove saltuariamente s'incontrano, lui e l'anziano professore ebreo di cui è amico da tempo, allorché, quella sera di dicembre, costui stava parlandogli dell'estensione dell'antico ghetto, e gli ha palesato che gli insediamenti ebraici, in città, dopo la dominazione napoleonica , e quindi al rientro degli austriaci, si erano venuti ampliando oltre i limiti del ghetto in cui egli presupponeva che consistessero, sino a sospingersi all'altezza del Rio.
" Viveva in quei palazzi Esterina Rebecchi, l'amica più cara di mia madre ..."
E' stato allora, nel riaffiorare improvviso, che un' emozione sottaciuta lo ha sconvolto.
" Zia Ester...", ha intimamente mormorato,
trasalendo, intanto che seguitava a conversare come sempre con il professore
erudito, chiedendogli delle vicende dei cabalisti della scuola di Safed.
Non si era dunque sbagliato, si ripeteva
estraniato, ad ostinarsi a non volersi
credere in errore , quando l'estate innanzi, prima di partire per il suo
secondo viaggio in Israele, nell' aggirarsi ove in prossimità del centro
supponeva che fossero situate un tempo le vie e le dimore ebraiche, era
là che si era fissato ad indugiare, come catalizzato dalla vista al sole di quell'alta veranda affacciata
sul Rio, dell'altana e delle logge ove ora la vita taceva, i rampicanti
che ne gremivano la calda pietra del cortile interno, sino alle dirute
statue del giardino
Quando poi aveva cercato di saperne di più, il palazzo
era risultato la sede di una galleria d'arte e di una delle tante finanziarie
moltiplicatesi in città, che vi aveva aperto da poco un suo studio di
consulenza, come egli aveva appurato addentrandosi nel Palazzo per una via
interna.
E non vi abitava più nessuno.
Zia Ester ora la rammentava più nitidamente, che
intenta al cucito non si stancava di rimproverarlo melanconicamente , pur con
tutto il suo garbo, del suo lasciarsi vivere sprecando ogni talento, che
vanificasse la sua avita ricchezza nell'ozio estenuato che le sue fortune gli
consentivano , per lasciarsi morire piuttosto che tentare di vivere.
Ora ricordava il salotto di noce, le spesse trine delle tende che filtravano ed attenuavano la luce, il piano alla cui tastiera egli aveva smesso di suonarle gli ultimi componimenti per la preghiera rituale del maestro Norsa.
E quando era
ritornato in via Massarenti, si era rammentato delle sere di nebbia in cui si
era stretto a ridosso di questo o quel portale, temendo che l'oscuro
passante gli recasse ciò che la legiferazione aveva tramutato in unanime
offesa.
Nello spiovere notturno della luce dei
fanali, come l'angosciava, inappellabile, ogni portale di cui non poteva
più appellarsi ai battenti, spentesi le illuminazioni dei negozi e delle
insegne delle vie circostanti, già animate, cui quei
palazzi umidi e alti si susseguivano intorno, raccogliendo in se una vita
cui non aveva più accesso...
Ed oltre i vicoli che deferivano al centro, rivede ora
l' orinatoio fetido dei vagabondi, demolito da chissà quanto tempo, il
sottoportico a ridosso della piazza della Basilica solenne, ove aveva guardato
a lungo in questa o quella bottega di oreficeria, per l'anello della sorella
che andava sposa.
Quella Basilica era stato voluta dai Principi umanisti
della sua città, ma ai suoi raffinati archi e timpani, rinascimentali,
nella vita di allora volgeva uno sguardo divenutole distante, riguardandone fregi e lesene,
in racemi e acanti, come una magnificenza che non poteva più costituire
la sua tradizione d'appartenenza.
Era stato che cosa, e quando? che gli aveva fatto
capire che la differenza originaria, da che ne era divenuto appieno
consapevole, solo per il fatto che l'avvertiva e che in sé la rifletteva,
oramai lo stigmatizzava come una dannazione eterna, che era bastato
che si fosse in lui insinuata indelebile la supposizione che chi
gli era di fronte, pur tacendo l'uno all' altro la cosa, potesse essere
divenuto ben conscio della sua origine, perché egli non
avesse potuto più avere fra gli altri che un'esistenza esteriore...
" E' anche solo il pensare che tu sia come noi, pur se sei diverso, che tu ti sia a noi assimilato in ogni tuo modo di fare e di essere, anche se la tua origine è un'altra, che per me fa di te una realtà che adesso mi turba...
Quale voce gli giunge , così parlandogli, mentre guarda oltre i vetri tra le torri gentilizie della sua città, e sente l'orologio della piazza battere un'ora lancinante.
E' un volto di amica caduto nel vuoto, intanto che lui
avverte, ineludibilmente, che colei si compiace del proprio finto tormento nell'abbandonarlo...
Non erano necessarie le nuove leggi razziali, perché
intendesse tutta la vanità della caduta napoleonica delle mura del ghetto...
Così era divenuto inutilmente ricco e versatile,
voglioso solo di ritrarsi nell'ombra e in un canto ...
Già la famiglia, con le sue fortune agrarie, gli aveva
trasmesso l' eredità mentale di un consolidato scetticismo.
Solo da bambino era stato nella scola, sgomento della
solennità arcana con cui raggiunto il numero per la preghiera, i grandi si
appellavano al tremendo nel nome di Adonai...
Riaffiora ora l'immagine dell'arca, dei rotoli esposti
e cautamente riposti, dello sciamare della gente sempre più poca al di fuori
della sinagoga....
e basta nel sospingersi oltre la città, a
settentrione, che dietro l' ostello medioevale scorga le mura del cimitero
israelita e la stella di Davide, all'ingresso, per rivederle e ricordarle, nel
gesto del velo, le donne della comunità che riprendevano la via della città
dopo i funerali del padre...
Furono ritardati per giorni, nel disagio del lezzo, giacché egli morto alla vigilia del dì ch'era interdetto alla sepoltura.
Quel pomeriggio incombeva un cielo
dibattuto dal vento in refoli freddi, pulverulenti, le foglie
vi turbinavano nei vortici di una costernazione tetra, sui suoi passi di
ritorno in una sterminata solitudine vuota, talmente vi si sentiva inane
a soccorrere e ad essere soccorso, angosciato al trapasso di lasciti, e
di incombenze paterne, che si sapeva del tutto inetto ad ereditare...
Era il 1939, quell'anno di sventure, e lui non resse
l'onere del capofamiglia, così alienò ai congiunti ogni bene e si sottrasse
infine anche a se stesso, confinandosi in fondo alla scala a chiocciola, nello
stanzino più in disparte, tra le cose vecchie ed ammassate della casa.
Ma fu in tal modo che sopravvisse a se stesso ed
alla guerra, la cui catastrofe per lui non fu che quel rumore di passi
sottostanti, l'aprirsi di colpo della porta sulle sue occhiaie attonite, che
apparvero alla milizia ormai vuote di senno, ...poi le grida, soffocate,
dei vecchi della comunità radunati nel cortile dell'ospizio accanto- in
lui sopravvive ora più che mai il ricordo di tutto, tale fu l'infamia che
seguitò a verminare dentro di lui, dentro a ciò che di lui restava
colpevolmente vivo, così come i tarli erodevano i libri ed ogni mobile
intorno.
Sopravvisse alla guerra ancora vari anni, nel dolore circostante di chi era scampato ed accudiva la sua miseria.
Sono essi che emanano l'alone ancora confuso, da cui
stentano a emergere, di quei volti sofferenti che su di lui avverte
soccorrevoli e chini.
Chissà quanto avevano compreso, quei cari, che si era
coatto all' impotenza, per tutta una vita, al solo scopo che la piaga
della sua ferita si incistidasse in un referto insanabile, pur di giustificare
così a se stesso, e consentirsi, tutto l'orrore ed il sollievo di non divenire
mai un uomo, la sottrazione e l'elusione mediante le quali eppure aveva retto
allo schianto, alla cui catastrofe un'intera stirpe ed i forti erano invece
periti...
Sentendone una più viva pena, nel cimitero ebraico ha
cercato, di lapide in lapide, i loro resti tra gli avelli di famiglia od i
tumuli traspostivi dalla provincia, ed ogni volto caro infine è
riaffiorato in un fiotto di lacrime, il sembiante del dottore di famiglia,
delle zie di Bozzolo, della mamma nella sua bellezza così nobile e triste, vi
ha ritrovato il fratello morto prematuramente, la sorella tanto
sventuratamente sfiorita a Milano in ogni sua esaltazione giovanile, via via
che si era imborghesita, e fatta sempre più avida e acre, nella sicurezza
agiata di un matrimonio contratto fuori della sua gente...
Care vite ed affetti di un'altra esistenza, caro volto
già amato di mamma, grembo di povere ossa in cui già si slanciò
In un canto del cimitero li ha ravvisati sepolti, e
dimenticati, prima che accanto in un'effige anonima e insignificante,
figurasse il suo volto sulla sua tomba, e vedesse incisi di sotto il
giorno e il mese e l'anno della sua morte, il giorno e il mese e
l'anno del suo possibile concepimento nella sua attuale vita...
Anche in questo giorno di questa sua vita, come nel
triste pomeriggio che il suo padre israelita fu sepolto , ritrovandosi al di fuori del cimitero, per il rientro
in città, a riprendere solitario la stessa via costeggiata dai filari dei
pioppi, fin che svoltata la curva, di lì a poco, oltre il lago di mezzo
l'intera città si distende a lui di fronte, nel suo profilo di palazzi e
di torri e di chiese e di tetti, che costituiscono le emergenze
superstiti di un suo passato remoto di capitale.
La distesa del lago smuore appresso in cheti
flutti di acque cineree, prima che fra
le antiche pietre, oltre il castello, egli si rinvenga rinserrato tra le vestigia che per
lui cessarono di essere, e non sono più, le forme sublimatrici
delle sue vicissitudini in nobiltà ideali.
Anche ora, come nella sua vita anteriore, vivendovi
nell'attesa che infine finisca la luce del giorno, e l'animo smetta
ancora di agitarsi vanamente di spettri.
Finché si persuade che non c'è alcuna opportunità di
fuori, dell'inutilità di ogni ulteriore incontro e discorso.
Che di nuovo non gli resta, nella sua vita ulteriore,
che la solitudine di musiche e pagine.
Eccola, qual' è adesso la sua piena cittadinanza, ora
che fa rientro in un suo appartamento perpetuamente solitario, in una città che
fu d'arte, ed ora è d'opulenza, ove non v' è pietra anche sotto l'artistico
ammanto, che non trasudi tutto il fango terroso del tramando dei padri,
ove egli non ha altri ricordi dei giorni trascorsivi, in questa sua vita,
oltre il tempo di lavoro e di sudato studio, che non sia di sacchi della spesa
da riempire e di immondizie da scaricare, che di sguardi da evitare e di parole
da non sentire, di incontri da mancare o da ridurre alla formalità di uno
scambio
E la sua vita vi è dunque rinata povera, e fuori del
ghetto, per respirare altrimenti tutta l'inutilità dell'aria aperta,
quando l'anima, che rinasce libera, si strema
nel flutto che torna a battere contro lo scoglio rimpiangendo l'Oceano, si fa
la sventurata che non cerca più l'ora d'aria, e lo svincolo, che per
rinserrarsi in un calco sempre più ferreo, nel conforto di quale che sia
l'impronta che le dia una forma, foss'anche il riutilizzo di ogni riavanzo, non
fosse che il vano repulisti da ogni lanugine o pelucco, fino a che
demorde dal patire di ogni suo inutile anelito, nell' inesistenza
del topo che sempre più si rintana pur di evitare l'aperto .
Mantova, 14 ottobre 1994. ( riveduto nel mese di dicembre del 2003)
Odorico
Bergamaschi nasce nel 1952 a San Giacomo delle Segnate in provincia di Mantova.
Si è laureato in Filosofia morale con Cesare Luporini, sostenendo una tesi su
Superstizione Etica e Politica nel Pensiero di Spinoza. Dal 2005 i suoi
itinerari di viaggio, esistenziali e spirituali, letterari e di storico
dell‟arte si sono concentrati in India, dove dal 2012 vive la maggior
parte del suo tempo residuo.
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Bergamaschi,