Natale 2000
Domenica 10 dicembre 2000
" hmm, che buon odore c'è qui in cucina, mamma ... patate arrosto...
spinaci... sugo di gnocchi...".
Mia madre così potevo lasciarla ben contenta di essere una mia promessa
di felicità a tavola, mentre mi avviavo ad uscire nella mattinata, a recarmi al cimitero da mio padre a sua insaputa.
Ma per quello che ne è ora di lui, che costituivano ora le nostre pietanze? Mi
veniva di chiedermi lungo la via Emilia ed il suo traffico, dirigendomi verso San Cataldo?
Sono esse tra le poche delizie, autenticamente tali, che siano state
concesse a lui come ad ogni altro uomo prima di farsi la sola corruzione di un cadavere, o sono ciò per cui non ha più papille gustative la sua carne spirituale, ora che i suoi occhi non sono più occhi
terreni, e che il suo corpo è figura celeste.
Che avevo da dirgli se non era più niente, o che potevo rimettere al suo
ascolto ora che Egli è Spirito, io che ancora mi accostavo a lui in quella ch'era stata la sua miseria mentale terrena, come il figlio sofferente di tutta la stoltezza del suo fare ed agire, per colto che
io sia o che appaia al cospetto del Mondo.
Che potevo impetrare da lui, quale forza che mi evitasse di disperdermi in
vita, se in terra non mi aveva infuso che il tremore timoroso che mi angustia(va) tra gli uomini.
Avevo riletto le parole dell' apostolo, sapevo che se Dio esiste è perché mi
è lasciata la porta più stretta, quella di sopportare ciò che è ancora peggio per me che soccorrere i lebbrosi, chi è ricco di ogni possibilità di vita materiale che mi manca, e disprezza e non
se ne fa niente di ogni forma di aiuto che gli reca il mio insegnamento, irride ogni elevazione culturale, fa strame del tempo di vita e del talento che mortifico per adempiere al compito,
oppone il suo chiasso alle mie notti e ai miei giorni perduti per questo...
Che atrocità penare così tanto, e vanificarsi, per la loro esistenza di
ingiusti inconvertibili, che i neri li mettono al pendaglio nelle loro forche sulle lavagne, loro che sprecano fino in fondo ciò di cui i più abbisognano tanto, ciò che alle sterminate moltitudini manca
finanche per sopravvivere Quanto incrudeliscono contro i miserevoli ,nella loro stessa soddisfatta indifferenza...
e basta... basta...ora infierire di nuovo nel ricordare a me stesso a chi devo
soccombere... non è forse perchè sono così miserabili, loro che si credono così tanto ricchi nella loro pienezza materiale, che a causa di loro devo penare a sangue, così tanto... salvandomi
spiritualmente, mi promettono le Scritture, nel perdere per loro tutto di me stesso...non è perché per questo non basta la Legge, e occorre lo Spirito, che non mi sono più unito ad alcuna lotta
politica, talmente dispero che la mia inettitudine umana possa evitarmi, comunque, che la scuola e la società diventino e siano il mio inferno orrendo alle spalle, terrificante davanti, che ha
annientato la mia vita spirituale in ogni mia capacità letteraria...
Sintesi di che segue.
E' stato quando ho preso commiato dalla sua lapide in un ultimo bacio alla sua
effige,- mentre come vi sono giunto, nel ravvivare l'acqua in cui si erano estinti i fiori, che erano nel vaso lustrale di una memoria che nei suoi cari si era
rinsecchita con essi, ancora mi davo da fare nel sostituirli con altri in mancanza di parole da dire-, che nelle parole che mormoravo è echeggiato che poteva Egli ispirarmi: " Infondimi la forza che
mi manca, tu che mi torni a visitarmi con la tua debolezza che mi angustia tanto..."
Quando era la sua debolezza la mia forza mancante, la sua infinita capacità di
soffrire e soffrire e soffrire, di patire anche nostro allontanamento e disprezzo, dei suoi cari di quella sua lapide, quando era lui che ci assicurava di che vivere.
" Mi ha fatto piacere sai, che ieri notte ti sia sognato tuo padre",
poi mia madre, al ritorno, sul sofà, con il cane a noi affusolato di fronte.
Me l'ero sognato infatti, la notte avanti, che oltre le finestre della nostra
casa al paese, in una notte d'inverno, riceveva la festosità affettuosa di cui si rallegrava, di un enorme cane cui aveva offerto riparo in una cuccia.
Così si erano reincarnate, erano trasmigrate in lui ed in quell' enorme cane,
le vicende che avevo appena interrotto di leggere,prima del sonno, del vasaio Cipriano Algor e del suo cane, in " A caverna" di Saramago.
"
Di fuori all'improvviso aveva preso a cadere la neve nella sera, e l'anima
cantava di gioia da che poteva partire.
C'era la neve di Natale, e tu finalmente eri stato capace di telefonare per
l'ultimo treno possibile.
Tutto si compiva, l'Avvento era possibile integrale...
Quando solo pochi minuti prima, che sofferenza lasciare che il telefono
squillasse finche non ha cessato, quando ti eri volto finalmente ad accorrere.
Hai poi finito di trangugiare quella porzione di cibo divenuta un
incommestibile boccone, hai finito anche quel dolce, doveva essere quello tutto il tuo cenone, ti eri imposto, perchè la tua scelta ostinata fosse oramai irreparabile. Anche se ancora non ci volevi
credere, aspettavi un evento, un tuo, un loro intervento, un'estrema loro telefonata cui tu trovassi la forza di rispondere, perchè il sortilegio di quell'incubo penitenziale avesse finalmente
termine.
Perchè altrimenti, nel negozio di cineserie ti saresti fatto incartare
l'uccellino finto nella sua luminosa gabbia beneaugurale?
Nel tramarlo, quell' autoimpedimento, tutta la giornata l'avevi trascorsa di
fuori, per non sentire il telefono squillare e non dovere o non cadere in tentazione di rispondere.
Poi hai riposto gli avanzi, hai lavato tutto, amaramente, ( quindi) ti sei
steso sul letto, nella camera in ombra, ( e) hai guardato la radiosveglia, e ti sei costernato che oramai fosse accaduto, irreparabilmente, quello che avevi voluto causare ma che non avevi voluto, che
oramai non c'era più tempo per quello che nell' orario di cui disponevi era l'ultimo treno, secondo l'orario di cui disponevi.
Nella città che sotto la neve si veniva sfollando dell' animazione della
vigilia di cui tanto avevi desiderato e non avevi potuto come avresti voluto essere partecipe, cionostante, senza bagagli, hai raggiunto tra la soffice coltre la stazione dei treni, e oltre la soglia ti
sei rivolto al tabellone dell' orario dei treni di arrivi e partenze: dove, luminoso nelle sue cifre, figurava ancora un ultimo treno.
L' anima è risorta, ha esultato, anche per te era ancora possibile tra loro
Natale.
Natale anche tu con i tuoi cari...
Solo che tu avessi, come hai fatto, formulato il numero e detto:
Sei tu, mamma? Sono ancora in tempo per partire, sarà lì da voi alle dieci
sera. Scusa il ritardo, ma ho già cenato, non preoccuparti se arriverò tardi".
Così è stato, quando sei rientrato, poi hai preso con te libri e bagagli, in
felice fretta, e sotto la neve sei stato di ritorno alla stazione.
In che incanto poteva tramutarsi ora anche il tuo Natale, che già era la tua
felicità sognante ora in attesa.
Tutto si commutava e convertiva in luce, anche le pene di quei giorni, ogni
dovere e bene si adempiva.
In mattinata, il giorno dell' antivigilia, quando le vie della città erano
apparse finalmente luminose di un sole d' inverno, tu alacre, e infervorato dal freddo, eri riuscito in tempo ad acquistare le sementi per sfamare nel corso dei giorni festivi anitre e folaghe e il tuo
cigno malato a riva, e a essere di ritorno nel' ufficio postale per una donazione umanitaria natalizia a " Medici senza frontiere", e per spedire in Libano un biglietto di felicitazioni
augurali alla cara famiglia di Zahle, presso la quale la cagnetta Puskas è stata da te posta in salvo dal/ sottratta dal randagismo.
Niente di più fulgido, tornandoti alla memoria di che ti può essere occorso
nel corso dell' anno.
Poi quando il giorno, oltre la sera animata, si era tramutato nella nebbia notturna che era calata greve
, avevi invano cercato il cigno nell 'umidore del luogo che gli è divenuto abituale, prima che
nel freddo e nel gelo che ti increpava e sanguinava le mani irrigidite sul manubrio della bicicletta, fuori città, in quel sobborgo tu raggiungessi la palestra in cui era già in corso l' esibizione
spettacolare di arti marziali, per onorare l' invito ad assistervi che ti aveva inoltrato uno dei tuoi allievi per conto del suo gruppo.
Ma era intercorsa nel pomeriggio la telefonata di tuo fratello, che ti chiedeva
come potessi mancare alla riunione familiare," quando è tanto se ci vediamo una volta all' anno".
E all' aspettativa fervida era subentrata l' angoscia agitata.
Così non avevano mancato di farsi vivi, di richiederti la tua presenza, anche
se tua madre , all' inizio del mese, ti aveva preventivato che forse per questo Natale non si sarebbe fatto niente, e tu le avevi già anticipato i regali o un loro sostituto, un' offerta per ognuno di loro
all' Unicef, anziché sprecare i soldi in uno sciupio di regali( che sono) così difficili da reperire, che risultino graditi a chi li riceve, in una ricerca stremante dell' oggetto indovinato in cui
avresti usurato la tua attesa del Natale nei suoi sensi profondi, ancora consunto dallo sfinimento nervoso della tua vita di povera bestia scolastica, sofferente delle interminabili mancanze di riguardo
alla tua fatica e dignità di insegnante delle tue scolaresche.
Ma che dire, che discorsi scambiarsi, invece che regali, quando la nostre sorti
e le nostre esistenze sono diventate così differenti e contrastanti le une con le altre c
se quanto è indispensabile all' uno è superfluo o insostenibile agli altri?
Quando nella tua diversità tu ogni giorno incarni e conclami la pena cui ti sai già condannato dal loro conclave,
Eppure, sentivi di fare a meno di loro? Di potere fare a meno di avere in loro
una famiglia anche a tu a Natale? Di ritrovarti anche tu in un calore domestico?
Loro non ti sono comunque importanti? Non eri comunque per loro importante?
All' ultimo avevate potuto fare a meno l' uno degli altri, e gli altri di te?
No, No, loro ti volevano, era certo, e tu volevi essere con loro, uniti dal
vincolo dell' esistenza superstite di tua madre, presso la cui dimora era impossibile non ritrovarsi ed essere di nuovo insieme, rinnovare la fedeltà di un legame
che persisteva pur sempre e che non era solo di sangue, più tenace di ogni indifferenza e insofferenza e astiosità fra di voi ricorrenti.
Ma, con tutto quello che ti era covato dentro, con quello che ritenevi che
pensassero di te, in ogni caso, come potevi od eri in grado di sostenerne il rivedersi senza affrontarli?
Non bastava forse scusarsi? Temevi i loro larvati rimproveri, di essere
nuovamente ai loro occhi chi doveva giustificarsi per le difficoltà in cui ponevi gli altri, di essere accolto implicitamente in stato di accusa.
Anche di questo Natale, eri riuscito a trasformare in un dramma l' incontro
comune.
E poi, che dire, quanto ti avessero chiesto come stavi, cosa avevi in mente di
fare, come ti andava la vita...
Quando di te era tutto così orribile, tremendo....
Non saresti partito anche tu in viaggio, come ti saresti divertito per le
vacanze? .
Ma quando sei sopraggiunto, -e tu sei stato incapace di non essere scontroso,
di fronte alla tavola già disfatta di chi a sua volta non aveva saputo attenderti, e il tuo volto ha rievocato loro la disperazione cadavere di tuo padre, quando si confinava nell' angolo in cui si
sentiva l' escluso della nostra esistenza-, loro non hanno sopportato che tu ti spurgassi, deponendo ai loro piedi, anzichè doni, tutto l'orribile fardello della tua solitudine.
C'è chi se ne è andato, chi ha chiesto spiegazioni, chiarimenti, che non
manifestavano alcuna comprensione,.
Ma da tutto questo tu ne sei uscito risollevato.
Di nuovo a Natale non era vero, come avreste tanto voluto, che poteste essere
importanti gli uni per gli altri.
Che voleste saperne più di tanto gli uni degli altri.
Ti sei scusato o giustificato di esserti mostrato così avverso, e contrariato,
perchè, hai detto, volevi evitare loro ogni possibile domanda sulla tua miserabile vita.
" E ' così impresentabile,... è così irreferibile la vita che
vivo"
E di loro, anche sforzandosi, chi voleva saperne qualcosa?
Potevi forse deporre nel loro seno la disperazione della tua vita spirituale e letteraria, della perdita oramai definitiva di ogni tuo residuo talento,
nella mortificazione dell' insegnamento scolastico e del disconoscimento generale di che sei, di che puoi valere, quando proprio perchè sei il
fratello, il congiunto prossimo, non possono ammettere che tu possa essere di più di ciò che fai, nel tuo lavoro? Che proprio tu, di cui conoscono ogni
limite e miseria, possa incarnare ciò che solo chi è più in alto e distante e aureolato di successo e di fama, può costituire nella mistificazione della sua figura ideale?
La vostra esistenza essendo volta reciprocamente altrove, in ciò che per gli uni e per gli altri è differentemente indispensabile.
Loro, i tuoi semplici familiari, irrimediabilmente seguiteranno per questo a disconoscerti, come i tuoi colleghi a tollerarti unicamente come un caso,
come i tuoi studenti a vedere in te una patetica figura che non è di questo mondo.
Così come tu non hai congiunti di cui vuoi farti spontaneamente carico, colleghi di cui avverti con calore naturale il valore o la pena, allievi in cui
tu riconosca con slancio dei segreti discepoli.
Tu non hai nient'altro che la futura memoria di un pubblico di lettori fantasmatico, che non c'è oggi come non ci sarà mai, poiché tu solo puoi darti
la pena di affrontare gli scribacchiamenti in cui ti perdi e seguiti a perdere la tua esistenza.
Sull' indifferenza, l' indomani al risveglio, la cortina salvifica dell'
esteriorità.
Prima che senza più fratelli, e sorelle, o madri che ti possano accogliere
o cui tu possa muovere incontro per ciò che si è, senza dovere assumere festanti abiti festivi, un acconcio aspetto, tu andassi solo fosse il
ravvedimento degli atti che impone l'amore del prossimo. e ritornassi a loro ancora più solo dalla città, per gli atti d'amore che vanno comandati al risentimento e all' invidia, al disprezzo e
all' infastidito disgusto, di quando la differenza non può o non deve più fare differenza, nemmeno quella, tra congiunti ed estranei, di cui si è tentato invano che ha tentato invano di
ravvivare commutare le braci dispente commutare in un affettuoso ravvivato focolare domestico di affetti domestici familiari, e si è in ogni caso l'uno per l'altro , di
superiore a tutto, ciò che di nudamente umano detta la pietà, o la Legge che ci impone ancora l'ascolto.
Il verme rode anche quest'oggi,
(che intanto che guardi le stelle terminali di Natale)
che odori le essenze tarmicidefughe delle case dei vivi,
senti che è una spettralità risorta la luce del sole,
l'affetto rinato, l'uggiolio del cane,
(ma) (tu) eppure a una che quale scaturigine fonte, ancora
sorgiva,
attingendo i nuovi gli atti di amore comandati,
quando al rientro le chiedi al rientro,
se anche oggi,
le dolgano le vecchie ossa materne
di cui non senti il male,
anzi che persistere nel risentimento ossesso,
nella perdizione cieca dell' atrocità che sanguini,
(detergendoti(,)
di una vista stanca(,))
detergendoti in che cielo, di nudi rami,
in cui gli uccelli tornano al canto
nel freddo sole,
zampillano in volo, famelici esultano,
allo come non fosse lo oltre lo faville al cielo dello scandalo fradicio
accanto, Gesù mio,
di che povere ali cadaveri nel gelo del fango.
faville dello stesso selciato dello scandalo
fradicio accanto, Gesù mio,
presso allo scandalo fradicio accanto, Gesù mio;
di che povere ali cadaveri al gelo del fango.
Sei Tu disceso
anche per tutti
gli uccellini del mondo ?...