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Mio caro piccolo di storno |
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Mio caro Mio caro
piccolo di storno, perché dovevo ieri imbattermi nella tua
esistenza deperita, sulle soglie di casa, dopo ch'eri già caduto
dall' albero, appena in tempo per salvarti dal gatto che ti era già
sopra , nello stesso punto del selciato del cortile in cui mi
avvedevo a sera del rondone che non riusciva a sollevarsi in volo,
intanto che un altro gatto aspettava di ghermirlo all' estremità
opposta di un'autovettura, se tu, nella cui salvezza facevo più
affidamento perché allo stecco potevo alimentarti, e deglutivi, e a
lungo ti eri abbeverato ieri in gabbia, sei già morto così
orribilmente e con tanta tua pena, per mano e inavvertenza di me
stesso che ti avevo fortunosamente scampato e mi ero preso a cuore
di
soccorrerti, mentre il rondoncino, per il quale trepidavo tanto, -in
quanto che temevo che avesse un' ala rotta e non voleva saperne di
alimentarsi in cattività, appigliato alle reti della gabbia nella
sua integrità ribelle,- ha ripreso già stamane il volo dall' alto
ed è dileguato felicemente via. In
lacrime, alla tua morte, riordinavo la veranda che mi era stato così
gravoso adattare al mio vano sforzo di recuperati alla vita, vivendo
come un peso immane il dono del cielo così grande di poterti
soccorrere, l'incombenza che i miei giorni estivi fossero distolti da ogni mio
intento non più scolastico per trasformarsi nella sola tua
assistenza assillante, quasi che un'altra fosse oramai la mia
ragione di vita, che di soffrire e di scrivere per la meraviglia
continua della vita animale. Giù nell' aiuola grande in cui tutta
una mattina ieri avevi gridato, come mi hanno detto i vicini di casa, in
attesa vana che dai rami degli alberi i tuoi genitori ti venissero
in aiuto, un gatto mi
fronteggiava nell' ombra della verzura come un' ironia atroce,
sbadigliandomi in volto che ogni inutile precauzione per
sottrarti alla sua, alla loro insidia in agguato, si stesse tramutando
nella trappola mortale in cui chi doveva soccorrerti ha precipitato
la più penosa tua fine. Riponendo
le piante di basilico sul punto stesso della tua disgrazia finale,
tornavo già a ricostituire l'ordine che così brevemente, e già con
quanto mio affanno febbrile, tu avevi sconvolto nella mia quotidianità
domestica, solo per un giorno e niente più, ma che mi è bastato
per piangerti ed amarti come ho pianto, ed amato, solo i miei due uccellini
con i quali per anni ho convissuto, talmente dolce è stata la tua
remissione alle mie cure letali, il tuo abbandono a poco a poco alla morte, il tuo
fluire via in una scia di tenerezza che emanavi, nel trepidare,
ancora caldo, tra le mie mani che ti carezzavano il capo e il corpo
sempre più inani, mentre ti facevi sempre più docilmente disposto come al solo e
ultimo loro conforto paterno e materno, ad ogni mio bacio delle tue
povere piume, al mio vezzeggiarti la gola ed un capino divenuti incapaci di
vita e di cibo, due occhi il cui brillio disperavo che non era più
lume vedente. E
dire che ancora ieri, giù nel giardino, avevi gridato tanto
disperatamente, quando per l'ennesima volta ti avevo raggiunto per
riporti in una gabbia all' aperto, al punto che gli alberi, in uno stridio
atroce, erano risuonati della lamentazione riflessa dei tuoi
genitori e consimili. Ma
in
breve ti eri venuto adattando anche a quel congegno terribile, Non
eri più niente? Solo quei resti che mi fissavano ancora? E di te
che cosa singhiozzavo che mi aveva lasciato? Che in quell'
istante se ne fosse andato via? Ti
ho riposto, come Bibò, il mio primo canarino, sulle coltri del
mio letto nel tuo piccolo cadaverino , mi sono steso a te accanto e ti ho pianto a dirotto,
odorandoti nel tuo profumino selvatico mentre baciavo e ribaciavo le
tue care piume, ti carezzavo il becco illividitosi, con i bargigli
non ancora formatisi della tua precocità, per poi aprirne la cavità
che non aveva opposto alcuna resistenza al mio accanimento di
alimentarti, anche quando la poltiglia di omogeneizzati e pastoncino
ti era avanzata su quella piccola lingua, come tutto il tuo esserino
divenuta oramai inane anch' essa, al mio cospetto straziato di averti fatto
soccombere. Dio,
Dio, perchè farlo nascere a un destino così atroce, gridavo, perchè
Che
atrocità, poco prima della tua fine, che atrocità che mi
riassaliva nel pianto, quel tuo estremo grido di richiamo in cui era
tutto il tuo essere che si rivoltava riverso, in cui aprivi il becco in
un'articolazione fioca e roca che si perdeva rallentata nella sua
vanità estrema, e nella quale risuonava anche in te, -poco prima del
niente?, - il grido estremo di ogni disperazione vivente:" Padre
mio, padre mio, perché mi hai abbandonato?" Prima
che il tuo affievolirsi diventasse la tua rapida agonia, in gabbia a che
seguitavi a volgere lo sguardo, su in alto? Anche
quando improvvidamente ti ho poggiato sul ripiano del davanzale,
libero da sbarre, hai persistito a volgerti alla luce tra il folto dell' albero al
quale ti ho posto di fronte, perché al tuo richiamo, sempre più
debole, da esso potessero accorrere i tuoi genitori. L'
albero paterno così vicino, così irraggiungibile... IL
tuo capo poi dall' alto l' hai arrotato all' indietro, in un corpicino
incapace oramai di ergersi, che nemmeno era più in grado anche solo
di equilibrarsi, sicché ti porgevo l' ambito di raccolta della mia mano dove
spirarvi, tra
i miei sussurri e le mie carezze, per quello che potevano giungerti
a conforto. Per
la casa mi sentivi, poi,? come
vagavo sconvolto dal pianto e dal senso di colpa,
accusandomi che la tua morte fosse già una mia liberazione
dal fardello della tua pena, dallo sconvolgimento delle agonie che
vi avevo rivissuto dei miei altri uccellini, in preda allo identico
sconforto che anche tu, come loro agonizzanti, fossi finito tra le mie mani
incapaci di soccorso, ed
intanto riponevo il tuo esserino ancora caldo ora qui , ora là, in
questo e quel punto sulla tovaglia che maculavi, - come il rondone
l' aveva già sporcata dei suoi escrementi,- e ti risollevavo anche
di lì, inorridito dello spuntone a nudo del tuo sterno, -vi
restava una tua chiazza, scura, di sangue, la cui
scaturigine non ritrovavo all' esterno del tuo corpo, era
fluito invece dal tuo becco, da cui ne trapelava ancora un poco. Che
può importare al mondo, ad altri, che venissi così spiegandomi la
precipitazione della tua fine, il tuo piccolo caso di così poco
conto anche per i veterinari ai quali ho chiesto un aiuto,- tu
povero animalucolo il cui soccorso non è per loro remunerativo,- quel
sangue era il fiotto della rottura interna di qualche tuo organo che aveva
trasformato la tua crisi in agonia, quando a farti precipitare
riverso all' interno della veranda, era stato finalmente
l'accorrere al tuo richiamo di un tuo genitore. Vedendoti
già socchiudere
, per
arrestarti sullo stipite metallico della finestra, e lanciare di lì
il tuo
richiamo ai tuoi genitori. Già
avevi iniziato a richiamarli appena all' alba si è fatto giorno, e
l'albero si era riempito di voci e gridii, il genitore era accorso
ma aveva dovuto arrendersi alle sbarre della gabbia. Poi
,nel pomeriggio, dopo che pertanto ti ho lasciato così
esposto, non ho voluto assistere, per favorire l'evento, quando
dalla camera accanto ho intravisto il tuo genitore lasciare le fronde e
venirti in soccorso,- solo ho udito il rumore di un urto, di uno
schianto, ho guardato dall' interno della cucina e non ho più visto
alcunché, né te, né il tuo genitore. Che
tu fossi caduto nel cortile di sotto? No, che non v'eri, - che ti
avesse, fantasticamente, il tuo genitore ghermito e portato con sé?
No, purtroppo, ( così come mi avrebbe risollevato che fosse
accaduto),
ti ritrovavo invece miseramente al fondo della scatola in cui eri
precipitato, all' interno del davanzale, dal suo tratto in cui ti avevo
poggiato e ch'era l'unico che improvvidamente io, il tuo
soccorritore presunto, avevo
lasciato esposto ai rischi di una tua caduta. Ti
avessi messo solo un poco più in là, ove era addossato al davanzale il mobiletto su cui avevo collocato la gabbia, saresti
finito, nell' urto, al più contro di esso. Ed in quella scatola era collocato abitualmente, ma allora non c'era, il nido che avevo raccolto dopo che un temporale l'aveva fatto cadere al suolo, e che era stato già edificato dai tuoi genitori per una precedente nidiata. Era in esso che ora ti riponevo, dopo che avevo propiziato il colpo di
grazia della tua fine. Il
tuo cadavere ha ora trovato il refrigerio del mio freezer, divenuto
la cella mortuaria di ogni mio uccellino che ho che amato, dentro un
sacchettino ed una vaschetta per loculo. Il
tuo cadavere nel freezer, mentre la tua gabbia e la tua scatola con i buchi
le ho riposte via, così come il pastone per insettivori e le siringhe e ogni
bicchiere di plastica in cui avevo impastato il tuo alimento,-
in attesa che ciò
che di te si era compiuto per mano della mia disgraziata persona, si
commutasse in queste mie scritture. Come ogni giorno poi ho preparato di nuovo la pastasciutta con un poco d'olio soltanto per le mie anitre al lago, per me invece egli spaghetti al sugo di pomodoro, in luogo del panino al prosciutto che mi è divenuto immangiabile nella sua fetta di carne animale.
Oltre
l’argine già li vedo ora accorrere, i miei germani, che con gli occhi lucenti di
contentezza, si impediscono
a vicend , nell' affrettarsi verso il mais che dissemino intorno, al punto, che il mio
anitroccolo
diletto, spazientito, morde la coda al compagno che gli si frappone davanti. E
incalzanti riecco le folaghine, immancabili di corsa, oltreché la famiglia
dei quattro anitroccolini e della loro madre, dell'anitra
matrona e degli undici suoi piccoli, già cresciutelli, - da oggi sono anch'essi
da aggiungere a tavola, giacché non nutrono più timori che li
trattengano in disparte; prima ancora, che sempre più ricorrenti,
sopraggiungano dal largo anche dei cigni, attirati dalla ressa che
sentono a
riva. Così
rieccomi chino di nuovo verso l'uno e l'altro dei miei germani, che
distribuisco il mais residuo ai nuovi venuti, intento ora a gettare agli anitroccoli in acqua del
biscottino, ora a fare attenzione che gli uni e gli altri abbiano la loro parte,
sentendo quanto mi intenerisco, per l'anitra al largo con un solo
figliolino [1][1].
Ma
il tripudio di vita cui contribuisco nel parco incantevole, mi fa ancor più cocentemente piangere la tua
sventurata sorte, mia anima di storno,- ad ogni uccellino, ad ogni
altro storno che vi vedo, gridando " Vola, vai, innalzati al
cielo tu che lo puoi!". Abbandonarti
al tuo destino, è a quanto mi sono vanamente opposto, mio caro,
consegnandoti così a una morte ancora più atroce, facendoti
precipitare ancora
più giù, che dal tuo albero, da chi dei tuoi genitori ti era
venuto in soccorso, giù nella trappola di morte che ti avevo
allestito con ogni sollecitudine. Durasti
un giorno solo, ma è bastato a che ti ami per sempre, mio piccolo,
a che non veda altro paradiso, per me possibile, che di riunirmi
allora alla tua luce di dolcezza, come di ogni altro uccellino ed
umano che amai. O
altrimenti è bastato perché non veda altro conforto al niente, se è
soltanto il
niente che c'è, che di precipitarvi nel nulla in cui anche la tua
povera e meravigliosa esistenza è insostenibilmente svanita, tutta
la umiltà di incanto che tu fosti,- come lo è ogni uccellino, ogni
altro animale vivente. Ma a chi parlo ancora, in te, se fosse così vero? Mio caro, mio caro piccolo di storno, tra le lacrime che ancora ti piangono.
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