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L’Autodeificazione in Cartesio e Spinoza

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I Miracoli  

 

 

Per Descartes, in merito alle possibilità dell’ uomo di deificarsi, va considerato che mentre  la perfezione divina si pone in un solo atto, immutabile,

( Si confronti quanto asserisce nella Lettera a Mesland del 2 giugno 1644. “ Il n’y a en lui qu’une seule action, toute simple et toute pure »),

nel quale volontà ed intelletto coincidono ( si confronti l’Entretien avec Burman, V), l’atto che crea le creature e le verità eterne, -contingenti rispetto alla Sua natura, in ragione della libertà del Suo arbitrio ( Si veda la Lettera a Mersenne del 15 aprile 1630)-,

nell’ uomo, invece, solo la volontà è infinita ed ampia quanto la volontà  divina, per la libertà assoluta che l’uomo ha di scegliere, di affermare e di negare, di fare e di non fare,  mentre la conoscenza umana è invece finita e procede gradualmente .

Inoltre, giacché la nostra volontà, per determinarsi, deve percepire qualche oggetto, ( Principia 1, 34), l’intelletto finito, che è dunque primario, subordina nell’ uomo la volontà infinita.

Pertanto, mentre la nostra volontà ci assimila a Dio

( Il n’y a que la seule volonté que  j’ expérimente en moi si grande que je ne conçois point l’idée d’aucune autre plus ample et plus étendue : en sorte que c’est elle qui me fait connaître que je porte l’image et la ressemblance de Dieu » ( Meditazione IV, a.t. IX), ( Confronta Le Passioni dell’ Anima, articolo 152),

la finitezza e la gradualità della nostra conoscenza, da cui la volontà dipende, rende vano il desiderio di farsi simili a Dio nell’ uso della Ment :

cause que notre connaissance semble se  pouvoir accroitre par degrés jusqu’à l’infini, et que, celle de Dieu étant infinie, elle est au but où vise la notre, si nous ne considerons rien davantage, nous pouvons venir à l’éxtravagance de souhaiter d’ etre dieu… » ( a Chanut, Lettera del 1 febbraio 1647).

Per Spinoza l’uomo può invece farsi simile a Dio sia nella conoscenza che nell’ agire, nell’ amor Dei intellectualis della conoscenza di terzo genere delle essenze singolari,quanto nella Fermezza d’Animo, e nella Generosità, con cui si fa partecipe della Natura divina, all’ interno delle leggi universali della struttura ontologica deterministica del reale, che dovunque e sempre sono le medesime manifestazioni della Sostanza divina.

L’uomo, in quanto vive secondo ragione, consegue il grado di perfezione necessario a deificarsi senza per questo mutarsi d’essenza:

Si deve infatti notare soprattutto che quando dico che l’uomo passa perfezione minore ad una perfezione maggiore, e viceversa, non intendo dire che costui muti da un’essenza o forma in un’altra, giacché il cavallo, ad esempio, si  distrugge tanto se si muta in un uomo, quanto se si muta in un insetto; ma intendo dire che noi pensiamo che la potenza di agire di tale individuo, in quanto è intesa come la sua natura, aumenta o diminuisce” ( Ethica, prefazione alla Parte IV).

L’uomo si deifica infatti non nella  sua essenza, ma nella natura o potenza del suo agire, in quanto, dall’ interno dell’ esistenza in atto nell’ ordine comune della Natura, egli ritrova, nella propria spontaneità assoluta, la causalità di cui si fa partecipe dell’ atto incondizionato con cui Dio lo pone come un’ essenza interna al Modo infinito immediato dei Suoi Attributi.

E’ questo lo stato di Beatitudine dell’ uomo,  ella sua potenza assoluta di agire, allorché si conosce nella sua essenza ed opera, partecipe della Sostanza, quale diretta conseguenza necessaria dell’ Assoluto divino.

In questo grado di perfezione l’uomo si eterna, poiché è in atto quale effetto immediato dell’eternità della Sostanza, ossia  della esistenza necessaria della Natura naturante divina.

Ma così come può deificarsi, od eternarsi, l’uomo può anche perdere la sua dignità, pur rimanendo pur sempre nella sua essenza un uomo, senza patire alcuna degenerazione in questa sua diminuzione di perfezione.

Ciò accade a causa del processo di identificazione dell’ uomo, in forza dell’ Amore o dell’ Odio, con  l’altro da se, di perfezione minore , che crede suo simile ( Ethica III, Proposizione 27[bn1]).

( In termini psicoanalitici l’uomo che perde la sua dignità èl’ente umano che non ha accesso all’ ordine simbolico, in quanto identifica il Sé con un oggetto esterno che no è suo simile.

E’ questo, per Spinoza, il significato del mito della caduta di Adamo-

Albrecht Durer  Adamo ed Eva.

Per la riproduzione si ringraziano gli autori del sito alla pagina:

karaart.com/udine/durer/ durer.i.html

 

 

 

“ Che dopo che ebbe creduto che gli animali gli fossero simili subito incominciò ad imitare i loro affetti ( vedi la Prop. XXVII della III Parte) ed a perdere la sua libertà, la libertà che poi fu recuperata dai Patriarchi condotti dallo Spirito di Cristo, cioè  dall’ idea di Dio e dalla quale soltanto dipende che l’uomo sia libero e che desideri per gli altri uomini il bene che desidera per se, come abbiamo dimostrato sopra (per la Prop. XXXVII di questa parte” ( Ethica IV, Proposizione 68, Scolio).

 

( SCHOLIUM : Hujus propositionis hypothesin falsam esse nec posse concipi nisi quatenus ad solam naturam humanam seu potius ad Deum attendimus, non quatenus infinitus sed quatenus tantummodo causa est cur homo existat, patet ex 4 propositione hujus partis. Atque hoc et alia quæ jam demonstravimus, videntur a Mose significari in illa primi hominis historia. In ea enim nulla alia Dei potentia concipitur quam illa qua hominem creavit hoc est potentia qua hominis solummodo utilitati consuluit atque eatenus narratur quod Deus homini libero prohibuerit ne de arbore cognitionis boni et mali comederet et quod simulac de ea comederet, statim mortem metueret potius quam vivere cuperet. Deinde quod inventa ab homine uxore quæ cum sua natura prorsus conveniebat, cognovit nihil posse in natura dari quod ipsi posset illa esse utilius sed quod postquam bruta sibi similia esse credidit, statim eorum affectus imitari inceperit (vide propositionem 27 partis III) et libertatem suam amittere quam Patriarchæ postea recuperaverunt ducti spiritu Christi hoc est Dei idea a qua sola pendet ut homo liber sit et ut bonum quod sibi cupit, reliquis hominibus cupiat, ut supra (per propositionem 37 hujus) demonstravimus

( per il testo dell’ Ethica confronta il sito:

http://perso.club-internet.fr/glouise/)

 

 


 [bn1]Confronta A. Matheron, 1969, pgg.143-150

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