Il litorale caspico presso Bandar-é- Torkaman

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Bandar-é-Torkaman, villaggio in prossimità delle coste sud orientali del mar Caspio, vicino a Gorgan, popolato soprattutto da turkmeni. E' centro di produzone del caviale iraniano

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Bastam

Damghan

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in Isphahan al ponte Si-o-Seh

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Nel Nord-Est dell' Iran, da Mashad a Isphahan

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scritto in Khermanshah,

" My God, mi chiedo sempre, perchè mi hai fatto nascere in un Paese come l'Iran", sospirava al ceruleo cielo delle cerulee acque del Caspio, in Bandar-é-Torkaman, lo studente turkmeno che aveva voluto accompagnarmici da Gorgan, inoltrandomi dal villaggio sino al molo distante.

Gli edifici in rovina vi avevano termine in alcune casipole in riva al mare, ch'erano state attrezzate .come case da te e quali ristoranti, soprattutto per le coppie di sposi che vi sopraggiungevano con i loro cortei matrimoniali.

Sulle acque che l'apparire del sole tra le nuvole rendeva luminescenti, dei gitanti si avventuravano in scafi che finivano irresistibilmente per gareggiare in rush finali, all' arrivo ove le acque si distendevano nella baia, senza flutti d'onda, assumendovi verdi tonalità lagunari.

" Come posso credere in Dio, dopo avere conosciuto le prigioni iraniane", in Isphahan mi diceva ieri al Gh**i, mentre ci confrontavamo nella sala da the del ristorante di lusso in Chahar Bagh, dove mi aveva distolto dalle chykhuné del ponte Si-o-Seh in cui ci siamo ritrovati.

 

salam ghazali!

 

 

 

 

In galera lui vi era rimasto per due mesi, a causa delle sue idee politiche, e per due mesi nelle patrie prigioni anche il giovane studente turkmeno-iraniano aveva sofferto un'esperienza indelebile, colpevole per la magistratura iraniana di avere avuto un rapporto sessuale con una prostituta

E era era stato sorpreso in flagrante, per una soffiata, all' interno di una casa di appuntamenti.

Ed in quella estrema propaggine dell' Islamic Iranian Republik prima delle steppe turkmene, ove gli iraniani coesistevano con i turkmeni ed i kazaki, quel giovane studente d'inglese che padroneggiava magnificamente la lingua che veniva apprendendo all' Università di Teheran, ora in ogni ragazza che intravedeva sul molo in vistosi abbigliamenti turkmeni, o nell' austero nero sororale iraniano, non scorgeva che un essere che avrebbe soltanto voluto e gli era impossibile fottere.

E non v'era bellezza maschile e femminile che ravvisasse, o cui si riferisse, che non fosse tale perché gli evocava archetipi occidentali.

" Non somiglio io stesso a Roby Baggio..."

Ed in effetti...

(Intanto) Invece al Gh*** in quel sontuoso restaurant di Isphahan, la domenica seguente, addebitandomi la mancata comprensione del suo presunto "inglese", seguitava a scrivere quanto veniva dicendomi in fogli su fogli, che traeva dal quaderno ch' era stipato negli scomparti della sua cartella, in un disordine non meno caotico di quanto lo era l'interno alla rinfusa del mio zaino, o lo trascriveva su dei pezzi di cartoncino che avevano contenuto pacchetti di Marlboro, fogli e pezzi di cartoncino che sistematicamente finivano accartocciati nelle sue tasche, non appena ne avessi decriptato il contenuto, per riapparire di lì a poco sul tavolo a cui eravamo, ed esservi riusati, una buona volta che egli era riuscito così a simulare per le telecamere, nascoste dentro la hall, che li avesse appallottolati per farne carta straccia.

Tutta questa pantomima ha avuto corso fin che non siamo usciti di nuovo, lungo il Chahar Bagh, ed abbiamo raggiunto un ponte su di un rivo d'acqua, dove quei brandelli egli in effetti li ha fatti finire definitivamente a pezzi.

"E' pericoloso per voi, per me, recare addosso questi scritti".

Vi era detto, tra l'altro, che la sua vita era niente e che non vi era niente di buono, vi era detto della galera che gli era stata inflitta e perchè vi era finito, che l'autore del libro su Isphahan, che mi aveva appena mostrato, due mesi dopo la sua pubblicazione era stato assassinato dalla polizia iraniana.

Ma come poteva dirmi che nella sua vita non c'era niente di buono, se dal nostro primo incontro, l'anno scorso, mi ha rivelato che ha scritto ben cinque libri...

allo scatto della foto, in imam square, in Isphahan

Il giovane studente turkmeno, a dispetto della sua volontà ospitale, in taxi aveva potuto accompagnarmi al molo solo a mie spese, e nell' una, poi nell' altra chaikunè, si era sentito umiliato nel non potermi offrire neanche il the che gli chiedevo di ordinare per entrambi, giacchè in tasca si era ritrovato con solo 500 tuman, poco più di mezzo dollaro, e dal cugino non aveva potuto rimediare la motocicletta per accompagnarmici, mentre non avevamo ritrovato in casa l'architetto presso il quale faceva dei lavori, dal quale aveva voluto che passassimo perché gli doveva dei soldi., con i quali avrebbe voluto spesarmi la sosta in Bandar-é-Torkama.

E Gh**i, per 50 dollari al mese, ora lavorava presso degli uffici ministeriali.

" Fosse almeno l'Iran un' Islamic Republik... Qui di islamico non c'è niente. Alla malora gli imam..." , aveva inveito contro le sue guide spirituali il giovane studente turkmeno, usando un' espressione ancor più virulenta di quella che gli attribuisco, " venga, venga pure Mister Bush con i suoi bombardieri fino a Teheran.. .a finirli tutti, come Saddam..." manifestando lo stesso livore d'odio con il quale, in un negozio fotografico di Isphahan, un ragazzo che vi era un accolito sarebbe entrato con me in confidenza immediata, il che gli è valso il consenso unanime degli astanti.

" Gli imam vogliono che il popolo abbia una testa piccola, gli succhiano anche il sangue, to the iranian people, ..." costui mi avebbe detto facendo l'atto di prelevare l' "iranian blood" da una vena immaginaria.

Per rigetto dell' islam si era fatto cristiano, mi confessava, mostrandomi nel laboratorio il crocefisso che portava sotto un medaglione.

in imam square, in Isphahan

Sono "the iranian people" i " miserabili" cui si riferiva l' uomo di affari italiano che ho incontrato in Shahrud, sulla via di Damghan, nell' hotel dove ho rifiutato di alloggiare per 75 dollari, essi predestinati, in Iran, a rimanere oppressi senza possibilità di riscatto almeno per secoli ancora, stremati da classi dominanti altrettanto corrotte che incapaci, il clero sciita e la piovra dei menager ai vertici dello stato iraniano, per lo più dei reduci della guerra con l' Iraq di Saddam Hussein, promossi per meriti politici agli incarichi che rivestono scleroticamente.

Di tale miseria chi più aveva da soffrirne, conveniva, erano i giovani nati da povera gente che avevano avuto accesso agli studi ed alla conoscenza, ai quali il senso occidentale della libertà, che avevano così acquisito, aveva ancor più acuito il senso della propria mortificazione .

Quel mio connazionale non aveva potuto offrire alcuna risposta confortante nemmeno all' interrogativo che gli ponevo, in ragione della sua esperienza, se in Iran almeno fosse conveniente investire ed intraprendere per lo straniero, e dunque non accadesse che costui avesse la peggio, come mi aveva denunciato che succedeva in Uzbekistan il ristoratore italiano che ho incontrato a Tashkent, dove aveva avuto la temerarietà di tentare di aprire un esercizio:

" Dapprima ti agevolano, ti facilitano ogni cosa, poi ti rendono impossibile tutto, sicchè l'accesso si rivela lo strangolatoio di un cappio, da cui non puoi più liberarti che lasciando tutto nelle loro mani, che poi lo disfanno..." .

" Appena possono ti pugnalano alle spalle...", iraniani od uzbeki, secondo l'identico dire di entrambi.

Così al giovane Niloof, il bel ragazzo che per me aveva fatto da interprete presso la fidanzata, nel laboratorio fotografico di Shahrud, quando mi ha chiesto se "l' Iranian people" fosse " good", il giorno seguente avevo risposto che forse era buono nei miei riguardi, in quanto in Iran ero semplicemente un visitatore, laddove se vi fossi un businessman, che abbia a che fare soprattutto con chi è ai livelli più alti ...

Non devo essergli parso particolarmente scortese, se l'indomani ha insistito ad accompagnarmi, in motoretta, al miserevole hotel da cui ripartivo per Isphahan, e si è premurato di mettermi in guardia dai "cattivi iraniani", offrendosi di regolare la risoluzione del mio rapporto con i gestori dell' hotel, qualora alcunché fosse rimasto sgradevolmente in sospeso.

Eppure gli avevo appena raccontato di come in Damghan il giovane accompagnatore del custode della antica moschea, la Tarikuné, si fosse offerto di condurmi in motocicletta sino alle fascinose rovine di Tepe Hissar, fuori dell' abitato, e sotto la fersa cocente del primo meriggio vi avesse lungamente indugiato nelle mie peripezie sull' acrocoro, e vedendo che ero timoroso di non potere rientrare a Sharud in tempo per l'autobus delle cinque, diretto a Isphahan, mi avesse riportato poi in centro fino alla stazione dei minibus per Shahrud, da cui ero appena rientrato, senza accettare da me un solo ryal di ricompensa.

Ma gravato da cosi tanta oppressione e miseria dei miei interlocutori iraniani, rivedo ora l'Iran con gli occhi smagati con i quali ho rivisitato in Isphahan gli splendori della moschea di Lotfollah, o dell 'Imam, senza più lo stupore incantato della prima volta, magari ravvisando pur nel mirabile portale della Moschea dell' Imam una certa freddezza esecutiva.

Lo stesso stupore si è comunque manifestato, esaltandomi di nuovo, quando nella moschea del Venerdì ho trovato l'accesso alle innumerevoli campate cupolate ed alla sala Nord, alla quiete contemplativa ch'era mirabilmente infusa dalla sua sobrietà architettonica, ornata solo della propria perfezione formale ascensionale.

E se in Bastam, una delle mete della mia sosta in Shorud, dopo Gombad-e-Kavus, del complesso di Bayazit mi ha abbagliato solo la cangescenza del blu che ne ornamenta il portale, insieme con gli stucchi e la pietra, nella vicina Damghan mi è parsa incantevole la profondità accesciuta dei rilievi dei minareti, dell' XI secolo, rispetto all' intaglio degli antecedenti minareti gasnavidi, o dello stesso Aramgh-e-Pir- Almadari, di qualche anno soltanto precedente.

La moschea Tarikhuné di Damghan, la moschea originaria dell' arte islamica iraniana, risalente all' VIII secolo, era invece stupefacente quanto lo è ogni esordio compiutamente perfetto, tale e tanta intensità spirituale la luce e l 'ombra addensavano nel suo colonnato, così grandiosamente semplice nella stessa grevità proporzionale delle sue ribassate colonne.

La moschea del Venerdi di Isphahan è una ricapitolazione ed una prefigurazione del decorso dell' Arte islamica dell' Iran e dell' Asia centrale . Vi ho potuto ritrovare, nelle tante campate cupolate intorno allo Shan, i colonnati raccorciati e ingrossati di Damghan e di Nayn, le coperture a spirale di Sangbast, le mattonelle con l'inserto chiasmico del caravanserraglio di Ribat-e-Sharif, l'anticipo degli archi incrociati ed intersecantisi nei pennacchi dei tamburi o nell' armatura delle cupole dei taq e dei tim dei suk di Bukara, delle architetture a volta timuridi, espressioni di civiltà centroasiatiche di cui gli scantinati rammemorano le iurte, non che degli archi delle volte degli ivan e delle cupole della moschea concittadina dello Scia.

(Alla luce del' intero mio viaggio, la moschea del Venerdì di Isphahan si è quindi elevata a ricapitolazione e da prefigurazione del decorso dell' arte islamica dell' Iran e dell' Asia centrale . Vi ho potuto ritrovare, nelle tante campate cupolate intorno allo Shan, i colonnati raccorciati e ingrossati di Damghan e di Nayn, le coperture a spirale di Sangbast, le mattonelle con l'inserto chiasmico del caravanserraglio di Ribat-e-Sharif, l'anticipo degli archi incrociati ed intersecantisi nei pennacchi dei tamburi o nell' armatura delle cupole dei taq e dei tim dei suk di Bukara, delle architetture a volta timuridi, espressioni di civiltà centroasiatiche di cui gli scantinati della moschea di Isphahan rammemorano le stesse iurte,- non che degli archi delle volte degli ivan e delle cupole della moschea concittadina dello Shah).

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