all' indice delle opere degli anni 1997-2000

Venerdi santo

   
   

 

Il Venerdì Santo

 

                    Venerdì Santo

 

Di rientro nell' appartamento di mia madre dai negozi del centro,  dove allo store della Levi's mi ero acquistato , allo store della Levi's, un pullover bianco(,) di quelli da tennis tennistici(,) è bastato che quando mancavano ancora alcune ore  alla mia partenza a sera, le leggessi in soggiorno alcune pagine da "Le Ceneri di Angela" sulle condizioni di vita igieniche del protagonista e dei suoi familiari superstiti, allora dei diseredati del sottoproletariato irlandese al tempo della seconda guerra mondiale, perché la sua memoria e il colloquio la comunicazione tra me e lei tra noi si riattivassero, al ricordo che le sopravveniva di come anche per lei, nella nostra famiglia, sussistessero si desserero condizioni analoghe nel successivo dopoguerra indigenze similari, se non così infime,- quando, quel Venerdì Santo, ancora prima che uscissi e nell' immediato rientro, - in scrosci di pioggia il cielo diradatosi  della nuvolaglia che incombeva sui giorni pasquali- mi aveva angustiato che ad avvivare la nostra conversazione e a renderla al contempo banale fossero state la lettura , su una etichetta di bottiglia, delle indicazioni di che cosa le avrebbe consentito di realizzare in cucina il reperimento del vin cotto nei mercati coperti di Modena del vin cotto, o l'assaggio delle pagnottine al rosmarino che le avevo portato in offerta perché potesse ritrovarle nel supermarket vicino. , così come lo yogurt di importazione dalla Grecia con il 10% di grassi residui, che le avrebbe consentito di preparare lo tzatziki allo /per l' amico greco di mio nipote, il figlio di mia sorella, quando fosse ritornato a trovarci anche d'estate.

Ma non erano forse tali in discorsi di questo genere, per quanto per entrambi fossero animati e piacevoli a farsi, che si esprimeva quella la strettoia della miseria contraria in cui adesso io ed i miei familiari ci dibattiamo riduceva la contrapposta miseria che è per noi sopravvenuta, con il miglioramento materiale, con l'avvento del miglioramento materiale delle nostre condizioni di vita, e in cui si è invertita essata invece di quella invece della penuria limitazione e dei disagi sanitari igienici fisici che avevamo patito anche noi un tempo, eccome, e che ci riesumavano ci evocavano, appena cominciavo a leggergliele, ora quelle pagine umoristico- tragiche di Mc Court, ora che la pena incombente è l'incapacità di riuscire ad avere altro da fare, e da vivere, che sia l' assillo della cura igienica e dell' aspetto della propria persona e della propria abitazione, della propria alimentazione e del proprio regime dietetico?

E mia madre, scoraggiandomene il seguito, aveva ripreso meccanicamente, con voce atona, quanto le avevo detto del mio canarino superstite, quando le ho raccontato dopo una prima, anche una seconda volta, che involontariamente l' ho ammaestrato, pochè al mio "op" inizia puntualmente a saltellare di trespolo in trespolo.

La raffreddava ch'io così le parlassi di come verso il mio uccellino  superstite reincarno si viene reincarnando l' amore, inestinto, per l' altro ch' è sconsolatamente inerte nel freezer, come la raffredda ogni mia sensibilità ed emotività affettiva, loro non vogliono affatto sentirne o averne a che fare, lei appena ravvivandosi, compiaciuta,  solo quando ho preso a magnificarle il nuovo piumaggio delle tortore assidue che per il becchime sono assidue sul suo davanzale.

E come era mai possibile parlarle invece di politica con un esito che non fosse frustrante, visto che se ne sento devo sentire parlare tra gli altri insegnanti che mi sono colleghi, posso sopportarne le  privazioni ulteriori senza più vie d'uscita che vi si preannunciano, solo con l'animo di me ch' è morente, del mio Io che si dà pochi anni ancora di vita e di lavoro e di tormento, invece che con quello che insiste ancora, in ciò che non è che tentativo e ostinazione votati al fallimento.          

Nei giorni precedenti a riesumarmi la a farmi riandare con la mente alla  miseria della nostra vita di allora, nella lettura del libro, e che intendevo ora rievocare con lei a quelle medesime pagine alla lettura, è stata la pena che mi è sovvenuta in  mente, a un certo punto del libro, quando gli eventi che vi si raccontavano mi hanno ricordato il tormento che ha funestato il mio villaggio, allorchè tra alcune persone anziane ed adulte si è diffuso un  focolaio di infezione tubercolotica.

Ad uno ad uno furono costretti a lasciare il paese per mesi e mesi di isolamento in un dispensario di Parma, nel terrore successivo, al rientro, che ogni loro posata o tovagliolo o indumento potesse trasmettere il male ai propri congiunti, ai propri figli additati dalle vociferazioni, vergognosi che l' infezione fosse addebitata a una loro sporcizia," quando- mi ha detto mia madre, la Bruna - una delle donne colpite di loro- era una donna che ci teneva talmente ad essere ordinata e pulita".  

Le pagine che per lei ho prescelto, e che venivo leggendole,  descrivevano invece i patimenti di Frank McCourt ancora bambino e dei suoi familiari quando ogni giorno, mattina e sera, le persone dell' intero vicolo di Limerick, in cui vivevano, andavano a scaricare i secchi di merda e piscia nel cesso che avevano di fronte all' uscio di casa. Ch'era il cesso di tutte le undici famiglie del vicolo.

" Mamma dice che non è lo Shannon a farci morire ma la puzza di quel cesso" finivo di leggere. E già a tal punto per mia madre, benché noi si vivesse in una frazione di campagna, anziché in un quartiere di città, per mia madre era esattamente così anche da noi.

" Ti ricordi in fondo alle case, quel cesso che c'era in prossimità della fossa biologica? Due assicelle nel casotto sulla buca collegata a quella massa?

Dopo la guerra era per più famiglie il solo cesso di cui si disponeva, e tutti ci si andava a fare i propri bisogni, a scaricarvi gli orinali, solo che a volte l'accumulo era tale che si correva il rischio di toccarne il culmine quando ci si chinava. Si preferiva allora andarla a fare in campagna, pulendosi con delle foglie di vite o dei fogli di giornale."

Tacevo o era inutile dirle, che a differenza dei Mc Court il cesso non l'avevamo di fronte alla cucina, e che la nostra situazione, per quello che mi ricordavo, era più simile a quella che per i Mc Court loro è sopraggiunta quando, sfrattati, sono andati a vivere presso dei loro parenti meno miserabili, in quanto che, quando ero bambino, potevamo già da tempo disporre di un nostro cesso familiare, anche se era anch'esso fuori di casa, all' estremità dei fabbricati di cui divenne possessore unico mio zio paterno, a seguito della divisione insorta tra le nostre famiglie. allorchè quando le nostre famiglie si divisero.

Nonostante l'opposizione di mia nonna,  che mia madre *mi riferiva ricordava ancora fremendone, anche la famiglia di mio padre ne ebbe allora uno analogo e proprio, edificato più vicino nel garage, e il cui ricordo in me si era venuto sovrapponendo a quello del precedente, anche perché, poi, quando mio zio venne arricchendosi prima di noi, se ne edificò uno più interno, e più civile, e quel camerino venne trasformato in un bagno dove d'estate si faceva la doccia.

Noi seguitavamo intanto, secondo l'usanza generale precedente, a fare di giorno i nostri bisogni nel cesso esterno, mentre di notte ricorrevamo ognuno al nostro pitale, ma solo per orinarvi dentro, tranne in caso di emergenza, tenendolo nel ripostiglio del comodino - " era fatto appunto per questo", ha puntualizzato mia madre- da dove lo prelevavamo ogni mattina per allinearlo  con gli altri lungo le scale del granaio.

Dove le donne di casa ogni mattina andavano a prenderli, per svuotarli nel cesso esterno e riportarveli disinfettati con il cloro.

( Mia madre si è ricordata, a proposito, dell'incidente divertente che il giorno delle nozze di mia sorella è capitato a una sua più anziana cugina di città, ancora vivente, che dopo avere riposto come lei le aveva detto,- dopo che si era inurbata non ricordandosi più e non si ricordava più che in campagna così si faceva,- il pitale nel granaio, non trovava più il modo di uscirne, e  per l'imbarazzo non si attentava a chiedere soccorso).

Ma quel comune cessetto fetido all' aperto, dell' intera corte, eccome se anch'io lo rivedevo ancora, vicino alla massa, dal fetore e dalla belletta livida della quale, e dalla vista del pollame e dei tacchini che vi finivano dentro, seppellendovisi, ho appreso che non era necessario proiettarsi con l'immaginazione nell' Africa di Tarzan e delle sue liane salvifiche che mi apparivano in *tecnicolor sugli schermi, per avere di fronte delle spaventevoli e ributtanti sabbie mobili.

Era proprio in quei pressi dove poi nessuno non andava quasi più,  che nella bella stagione erano avvenute poi alcune trasgressioni di noi piccoli, che di nascosto vi fumavano dei sigaretti fatti con foglie di vite.

/ L'uso notturno dei pitali/ Le mosche, i mosconi e i topi/

Nell'Irlanda dei Mc Court accadeva invece che col bel tempo fosse peggio ancora, a seguito di quel cesso, perché allora l' odore si faceva più forte, ed arrivavano le mosche, i mosconi e i topi.

Già, le mosche, di cui le anticipavo quel che sostenesse il padre dello scrittore, nella pagina seguente, quando commentava che gli faceva schifo pensare che fino a un attimo prima la mosca della zuccheriera stava sulla tazza del cesso, o quel che ne rimane.

" Ci si faceva caso anche allora, cercando di non pensarci...

" Mi ricordo l'uso del flit...-le davo la stura.

" " quello che mi faceva anche allora senso, era che proprio vicino a dove si mangiava si tenessero le moscarole... erano dei recipienti di vetro con del vino addolcito di zucchero, dove le mosche finivano per infilarsi senza riuscire più a venirne fuori... all'ora della cena se ne contavano delle decine, morte e raccolte lì vicino alle pietanze...

Poi si sono cominciati a usare lo zampirone, le carte moschicide,

... le strisce di plastica e i cordami pesanti agli ingressi delle case", memore, io a questo, dei pomeriggi d'ozio di me bambino, in cui con le palette seguitavo a schiacciare mosche contro i muri, o attendevo che gremissero le carte moschicide, per staccare tali nastri di vittime ed andarle a bruciare nel loro friggio generale.

" Erano i pavimenti di allora con il terriccio e l'umidità che restava nelle fessure, che favoriva la nascita delle pulci*-secondo mia madre.- Mentre eri lì che lavoravi in casa, in certi punti sentivi che ti salivano lungo le gambe...

Allora cominciavi a schiacciartele addosso...

E i pidocchi, nella testa dei bambini, o quando ti coricavi in certi letti o ti mettevi certi abiti... Proprio come nel libro che tu leggi..."

A dispetto della volontà di mia madre di rinvenire trovare situazioni simili identiche,  identità di situazioni quando non v'erano secondo me che pur rilevanti comunanze analogie tra la nostra povertà in famiglia e la miserrima miseria irlandese dei Mc Court, seguitavo a leggerle di come accanto a quel gabinetto dell' intero vicolo di Limerick, figurasse anche la stalla di un grosso cavallo, la cui puzza si riversava nella casa di Mccourt bambino insieme a quella dei gabinetti.

" Oh, era proprio così anche per noi...-invece lei trovava il modo di dire e di sorprendermi- Prima che tu nascessi e quando c'era ancora tuo nonno, si teneva in famiglia un cavallino, per quando si doveva andare a fare le compere per il negozio nei paesi vicini. E la sua stalla dava proprio a ridosso del cesso in fondo ai fabbricati di tuo zio. Accanto c'era pure il porcilino, dove si teneva il maiale che si faceva accoppare..."

E per parte mia potevo ricordarle che all' esterno defluiva uno scolo a cielo aperto, dove i nostri terreni confinavano con quelli di una famiglia di coltivatori diretti.

" C'era sempre una puzza.... -lei riprendeva- Me lo ricordo bene perché era lì vicino che si andava a lavare, ove sotto la tettoia dei nostri edifici di fronte,- ora la rivedevo anch'io com'era prima che i pilastri franassero- c'erano una tromba e una vasca per l'acqua....  

" La massa, gli stallini, i porcili, con i cessi di fuori anche in paese, sotto casa, ...per questo lei ne conseguiva commentava che c' erano allora così tanti tafani e mosche.

E lì vicino, prima dello stallino e del porcilino e del cessetto, le ricordavo a mia volta che c'erano i depositi della farina del forno di mio zio, dove chissà che scorribanda facevano i topi...

E dicono di un  tempo! di com' era tutto più sano e più integro una volta, quando solo che mi ricordi/ ricordassi, se mi ricordo, anche poi, *ugualmente, di quanto mi costava fatica lavarmi e tenermi pulito...

Specialmente Quando d' estate, ed ero quando ero già un giovane, quando per fare il bagno occorreva accatastare la legna delle cassette, far fuoco sotto la fornacella, aspettare che l'acqua nel paiolo fosse calda, riversarla nella tinozza bacinella per poi lavarsivi e farla uscire,.. alla fine si era più che lavati se ne usciva più che lavati ma affumicati...

" E quando io vivevo in campagna, -mi ribatte mia madre-, che il bagno andavo a farlo nella stalla..., ci si lavava, sì, ma se ne usciva che si se ne *sapeva una puzza..."

D' inverno il bagno lo si faceva invece in casa, ricorrendo alla stufa, e prima ancora, quando eravamo ancora riuniti insieme, nello stanzino ch'era accanto al forno... Anche lì, quando per lavarsi tutti quanti, occorreva seguire un'ordine di precedenza... Primo tuo zio e la signora tua zia, quindi i tuoi cugini, perché di loro era il forno, e poi tuo padre e la sua famiglia... Tua nonna, poi, per quel che si lavava..."

Non è certo che il ricordarne quanto la puzza che sapeva anche in negozio, io penso, che possa offenderne la memoria, io penso,

e lascio che lei ne parli, impietosa nei suoi riguardi, e senza ripensamenti, ancora vent'anni dopo ch' è morta...

" Allora nessuna donna della sua generazione portava le mutande...e la sua camicia di sotto, non esagero,

quando se la levava restava in piedi da sola...

Si puliva con la veste quando andava al gabinetto,- mi precisa-

e restavano i segni davanti e di dietro...

mi viene in mente lascia che ti racconti- come se fosse la prima volta, mentr' io ma io  dal riso divertito ed accanito con cui me ne parla, so già che cosa mi viene raccontando, pur se i particolari di quell' accadimento li ho dimenticati-, di quando si è pulita con i soldi. Infatti lei li teneva infilati in una tasca nella camicia di sotto, dove aveva messo quel giorno anche la carta per pulirsi.

Per sbaglio ha usato gli uni invece che l'altra.

E' stata tua zia ad accorgersene...

E allora, con un legnetto... li ha poi lavati e rilavati...

sperava già di poterci comperare un cappotto per i tuoi cugini...

Ma tua nonna come si è resa conto di averli smarriti, i suoi soldi, ha anche capito come poteva essere stato.

Ha cominciato a fare ritorno nel cesso, a scrutarvi dentro, dove dovevano essere ma non li ritrovava immaginando che vi dovessero essere ma non ritrovandoli dove li cercava.

Tua zia ha visto tutta la scena, lei che vi andava avanti e indietro senza darsi pace, e sapendo il perché di che si trattava, seguitava a chiederle che avesse, che cosa continuava a cercare tanto,... ma tua nonna non faceva parola taceva, non si attentava a dirle la ragione di che si trattava, finché per l'attaccamento a quei soldi interesse a quei soldi non è stata più in grado di resistere non ha più resistito e le ha detto il motivo.

" Sono questi?" allora glieli ha sventolati davanti (tua zia), nel consegnarle quei soldi a malincuore.

E tua nonna li ha presi e non ha neanche accennato non ha avuto la minima grazia di a ringraziarla.

" Se penso, mi diceva sempre tua zia, che se le tacevo potevo comperare un cappotto ai miei figli".  

"Ma perché mia nonna doveva tacerle di che si trattava? Non era una colpa se..."

" Ah, lei non poteva ammettere anche solo di sbagliarsi, era infallibile lei...E poi sapeva che tua zia avrebbe raccontato il fatto a tutto il paese...".

Non è stata la sola volta che le è accaduto capitato, mi ha raccontato.

E' capitato, ancora, che una sera lei li abbia messi a differenza del solito sotto le lenzuola, e che poi, quando invece gli altri giorni era l'una o l'altra nuora che doveva farle il letto, sia stata lei a rivoltarlo, a riversare allora le lenzuola alla finestra, sparpagliando tutti i soldi per strada.

In un' altra circostanza come al solito tenendoli in grembo, non si è accorta che nel chinarsi le erano caduti i soldi fino in fondo alla scatola delle scarpe, senza più ritrovarli, per giorni e giorni, finché a rinvenirveli è stata mia madre.

Li aveva dati subito a mio padre per riconsegnarglieli, e mia nonna lei quando li ha riavuti, in tutta risposta, " sapevo che qualcuno li aveva presi", aveva detto prima ancora o invece di felicitarsi che felicitandosi.

Non penso che lo credesse ritenesse davvero per davvero, cerco di dirle per alleviare attenuare il suo risentimento tuttora intatto verso mia nonna morta,- se ha allora detto una tale enormità l' enormità di quello che ha allora detto, attenuo pur la cosa,- ed è per questo, in effetti, che ritengo che mia nonna abbia allora parlato in tal modo,- sta nel fatto che non abbia esitato non esitando ad accusare qualcuno anche se sapeva pur sapendo che non era vero per niente, per l' ha fatto pur di non sfigurare,  pur di non risultare lei, per quanto incolpevole, la responsabile  dello smarrimento dei soldi",.

**La miseria che ora ritorna  nella mente di mia madre, assediandola, non consentendole tuttora di esserle superiore, è quella della sua oppressione condizione di oppressa in quella casa, che in lei rivive inalterata dal tempo e dal suo mutamento di stato, senza che abbia potuto lenirla, nemmeno dalla la morte di chi l' affliggeva e di chi ha mancato a quel tempo di soccorrerla.

Ciò che la mentalità vigente allora le si imponeva allora di subire, senza potervisi opporre, senza che potesse che sentirle, senza farsene consapevole, quali e quante erano le sue ragioni e la ferocia  della privazione di voce ,le ragioni che aveva e le crudeltà che pativa, è un tormento che le è rimasto acuito dentro, e che divenuto consapevole delle sue ragioni, ora non la risparmia lascia anche ora che è vedova, e superstite, con solo i suoi figli dei familiari d'allora, impedendole di lasciare compassionevole i morti ai morti*.

" Di notte, poi, mi sogno ancora di essere in famiglia, di esservi ancora dentro e di dovere ancora subire senza sapere che dire e che fare, come oppormici e reagire... E mi risveglio ancora agitata e ferita...

Non si poteva dir nulla, o fare niente in proprio con tua nonna, era lei alla testa di ogni cosa, e occorreva chiederle il permesso di tutto, per qualsiasi compera o necessità, anche se si fosse dovuto chiamare il medico.

Quando tu avevi già più di un anno e già camminavi, *che è stato necessario ingessarti per la lussazione alle anche, ho dovuto ricorrere allo zio Gino, perché almeno lui facesse venire a casa il dottore.

Camminavi sbilanciato ora su una gamba ora sull'altra, avevi bisogno di tenere in mano qualcosa per non oscillare, oh, ti rivedo ancora, che per stare diritto tenevi in mano un peperone...

E quando il medico è venuto- lei, " Chi è che sta male? Chi è che l' ha chiamato?- tua nonna gli ha inveito contro rabbiosa.

Era poco prima di Natale, e mi ricordo ancora come se fosse adesso, che cosa poi mi ha detto, dopo che il dottore ti ha inviato dallo specialista e se ne è andato via: " Almeno tu avessi aspettato che fossero passate le Feste!...".

Capisci, quando io, come gli altri, ti vedevo camminare così male, ed ero talmente in angoscia...

Ed in città ho dovuto andarci da sola, della famiglia, in compagnia per mia fortuna della merciaia.

Sembrava dapprima che tu non avessi niente, poi le lastre, al pomeriggio, hanno confermato che ti si doveva mettere il gesso quando già camminavi.

Come urlavi dentro alla sala quando ti hanno divaricato le gambe, l'ortopedico ti ha anche dato una sberla, sentivo ho sentito tutto stando di fuori...

Ed adesso come faccio mi sono detta, quando mi sono ritrovata con te che avevi tutte e due le gambe ingessate. Come ci arrivo alla corriera? E come ti potevo trasportare così a casa?

 La merciaia che è venuta a vedere come procedevano stavano ( andavano ) le cose,  com'era la situazione mi ha detto allora di non muovermi, di aspettare lì, che lei sarebbe tornata a casa in corriera prima di me, e avrebbe chiesto in famiglia che venissero a prendermi.

" Ma come si fa?" mi ha detto.

E solo allora si è mosso tuo padre, ha ricordato mia madre tacendo ogni commento, e l' ho visto infine venire a raggiungermi con la Topolino".

Sei mesi ho portato il gesso. Poi il mare e la sabbia di Riccione

hanno reso rapido il recupero.

Così dicendo, mia madre non riusciva a cessare di avversarla, mia nonna,  seguitandova a detestarla, e a patirne le imposizioni, anche vent'anni dopo che era morta, mentre di mio padre la poneva a disagio ricordare ricordava con disagio la condotta di allora, nella sua perdita ancora recente.

" E' ancora come se tutto mi fosse presente- ha seguitato a ripetermi- come se fossi ancora in famiglia a dibattermi, me lo sogno di notte e la mattina sono tutta in tensione...".

Quella pagina di Mc Court avevo appena finito di leggerla.

Papà Mc Court - terrorista così come mio padre era stato un partigiano-, finalmente si era deciso ad andare era andato in comune a protestare per il gabinetto, lamentandosi che la sua pestilenzialità, in famiglia, avrebbe potuto sterminarli tutti.

Siamo in tempi pericolosi, aveva riconosciuto il tizio del comune.

I miei invece sono dei tempi, *sono venuto pensando andandomene via, in cui così cerco almeno, nel mio estremo ritardo, sulla vita, su ogni mia attuazione, cerco almeno così in spirito di verità  di ravvivare il possibile tra me ed i miei familiari.      


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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