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La morte di mio padre

 
 

La morte

   
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A che punto?

 

6 agosto.

 

Mentre un' infermiera gli cambiava i cerotti sanguinolenti degli innesti a rubinetto  per le trasfusioni e le fleboclisi, accertava se la pillola /di morfina/ era stata ingerita sotto o sopra la lingua, perchè indugiavo presso di lui ancora con tale indiscrezione, intanto che l' autobus nel piazzale del policlinico era già in partenza?  Forse per rivelargli in qualche forma la gravità del suo male, consentirgli la rassegnata consapevolezza di una morte più dignitosa, una qualche forma di accettazione e di consolazione meditativa? No, indugiavo ancora lì su di lui, per dissuaderlo soltanto dalla persuasione che possa uscire domani, perchè si rassegni al protrarsi della degenza, e anch' egli, come gli altri pazienti, si lasci munire della cuffia e del televisorino, che ieri ha rifiutato gli venissero installati, dopo averne accettato l'offerta di mio fratello.

Ognuno di loro allineato nel suo letto verso la morte, col suo monitor acceso al capo del letto.

L' aveva rifiutato, mi è venuto dicendo, per il timore di disturbare gli altri degenti, di recare fastidio, per la stessa insofferenza, in effetti, con cui di malanimo sopporta di essere assistito e di ricevere cure, e piuttosto patisce il dolore in silenzio anzichè accusarlo perchè gli sia lenito, contrariandosi dell' assistenza assidua non già per essere lasciato in pace solo con il suo male ad affrontare la morte, ma perchè quanto più è prossimo alla fine, - oramai le cellule cancerogene gli divorano un litro di sangue al giorno,- illuso dai sedativi sempre più potenti e dalla vitalità artificiale delle trasfusioni di plasma, tanto più si presta a credere di potersi ristabilire, non vuole ritrovarsi in ospedale, non medita che l'ora di esserne fuori, di ritrovarsi a casa a vedere nella sua camera la televisione, i campionati mondiali di atletica o l' Inter di Ronaldo e Kanu.

"E il nostro cane?  Ho già tanto voglia di rivederlo.."

" E i tuoi nipotini che hai a casa mia?-gli ho chiesto, riferendomi ai miei canarini che ha ugualmente in simpatia.-

Ti salutano, sai?-

Quando l'hanno ricoverato, con il piede destro tumido dal gonfiore, si è irritato che mia madre non avesse preso con se i suoi pantaloni e le sue scarpe.

E stamane, prima di entrare, in quel negozio di effetti personali che precede l' ingresso al Policlinico, nel visionare le pantofole che vi erano in vendita perchè mio padre gliene ha richiesto un paio, quando ha voluto chiederne il prezzo faticava a dire alla esercente perchè non poteva indicarle che numero mio padre potesse più calzare.

" Quando ti ho confuso con tuo fratello, sono contento, mi sono detto quel giorno, perchè lui sa guidare, e nel pomeriggio potrà portarmi in giro".

" Dove finisce tutto il sangue che mi mettete in corpo",

l' altro giorno ha chiesto ad uno dei medici, senza che venga a capo per questo della sua situazione effettiva.

Rifiuta di vedere e sapere diagnosi e prognosi, quello che registrano le tabelle in capo al suo letto, ove ogni due giorni la sua pressione sanguigna risulta precipitata ai valori minimi.

E così anch'io io stesso, oggi / ieri pomeriggio, in quei minuti finali,  ho ultimato di cedere e consentire,- non ho saputo resistere nelle parole che mi si infracidivano nel dirle,- a che la sua morte, a seguito della sua mente che  non vuol sapere, degli altri suoi famigliari che non vogliono farglielo sapere, della menzogna che gli ordiscono infermieri e dottori, gli sia sottratta via che viene morendo, in una linea della morte sinusoide che ad ogni trasfusione, ad ogni anestesia del male, avvicina la ineludibilità della sua fine quanto più sembra dileguarla volatilizzarla, rimuoverla, allontanarla e rinviarla, la fa parere remota quando la fa imminente, il male, la sua morte, sempre più incombente e sempre più irrealizzata, sempre più impensabile e recitata e detta come una banalità, in discorsi e nell' allestimento di palliativi, che il male lo istupidiscono come lo istupidiscono gli antidolorifici, quant' è stupida la vita cui lo teniamo attaccato, quanto sono futili gli appigli che insceniamo.

L' assiduità delle cure al suo capezzale si è fatta tale, per sventare ogni sintomo, ogni inquietarlo del male, così snervante in questo è diventato l' assillo continuo di mia madre, che di fatto, a lui che ignora che cosa le cure gli differiscono o sopiscono, tale assistenza continuativa rischia di farglisi molesta quanto e più del suo male.

Mia madre è divenuta talmente protagonistica in ogni evento  di mio padre, che solo quando si fa tragicomica può recargli conforto. deve avere sempre qualcosa da fare per lui, non deve mai lasciarlo in pace per sentirsi lei un poco in pace, e quando non sa che altro fare, inizia a smaneggiare le manopole del suo letto per sistemarlo meglio, sortendone le giaciture per lui positure più torturanti spossanti.

Ad un certo punto lo si è visto con la testa e i piedi sopraelevati e il bacino e la schiena infossati, reclino nella cavità del letto quasi che vi fosse imbarcato.

Nemmeno quando per fargli piacere, per lenire un trauma del nostro passato comune, ho detto a mio padre che ho ripreso i miei giri in bicicletta, lungo il Pò, e gli ho chiesto di reinsegnarmi come si fa a montare una camera d'aria, ella ha rinunciato fastidiosa ad entrambi ad intromettersi, a volere dire la sua a sproposito su palmers e copertoncini e camera d'aria, ella che deve sempre presumere di potere dire la sua in ogni circostanza pratica.

Così facendo ha reso più ancora difficoltosa a mio padre la pronuncia delle parole che gli si faceva stentata, stenta non ha alcun riguardo nell' assillarlo, senza più la avvedutezza di  scongiurargli alleviargli la pena che tutto quanto fa in sua vece sia per lui divenuta una sua impossibilità vitale, per provvisoria che ancora la speri/creda .

Fossi mio padre, a tale insistenza egoica esasperante credo che preferirei l' assunzione nei miei riguardi dei rimedi drastici adottati per quell' uomo, nel letto di fronte, che dava in smania con familiari e medici e infermieri, esagerando il male che l'affligge: ora non più, da giorni, da che l' hanno sottoposto alla cura intensiva del sonno.

O può essere che infine che non si rabbonisca all' idea di farsi concedere un televisorino, se quando vi è in ascolto mia madre può desistere da lui.

Tutto questo, ancora per quanto?

Come se mi costasse di più, come se la cosa che mi è davvero intollerabile, fosse al presente sacrificare l' estate per una sua morte chissà quando di là da venire. rinviata.differita.              

 

 

Prima che...

 

9 agosto

 

Ma , l'altro ieri, quando sono accorso all' annuncio della sua crisi e del suo shock che ha patito di notte,- che gioia, nonostante l'aggravamento repentino ritrovarlo ancora consapevole e vivo, potergli ancora dire, per ringraziarlo così implicitamente della bici di corsa che mi ha regalato, e tentare di redimermi di averlo fatto talmente patire un' estate scorsa per quel suo dono, che mi recherò i prossimi giorni in cicloturismo sul lago di Garda, fino a Riva, più oltre verso Pinzolo e la Val di Genova, e vedere che è che è ancora memore, ha ancora affetti, che si ricorda ancora la località precisa da cui hanno inizio le difficoltà per chi affronti la costa bresciana della Gardesana.

E ieri il telefono di mia madre che non rispondeva staccato, l'affanno, le pillole, il calmante che si fa sonnifero e mi impedisce di potere essere sveglio all' ora che partono gli ultimi treni utili, io che mi rimetto a ciò che ne sortisce, e non sforzo i miei complessi per trarmi dalla confusione e partire pur nell' abulia, nella giornata che finisce tra i laghi e al sole ove il verde a riva è splendido di luce, in prossimità di  quegli atleti canoisti che si denudano al cambio degli indumenti e mi invasano di carnalità maschile e di desiderio inesausto, che si protrae di notte, fra le coltri, in un desiderio implacato di vita e di sole e di sesso, nel primo mattino in un piacere come gli altri di gremire la piazzetta, di esservi a prendere i pasticcini e il caffè, nell' angolo riparato e fresco e stagionato del bar consueto, in una soddisfazione nel sentirmi alacre e capace di questo, che era già oltre la pena e la morte di mio padre, che stanotte è peggiorato ancora di più, al quale, mi comunicava mio fratello, hanno dovuto applicare anche la bombola dei medicinali per fronteggiarne in tempo il dolore acuitosi più insostenibile e ultimativo.

    

 

.........e l'appetito e la vitalità incessante, vorace degli uccellini, la luce e l'afa della calura, di primo mattino, nello strazio della fine di mio padre  e dell'attesa di liberarmi della sua fine, che sia così e non altrimenti che così, che solo oltre l' andirivieni dal suo capezzale d'agonia, possa riattendere al sole e al piacere di quel poco di estate che mi resta, ed essere libero di rintracciare quel giovane che ha così fede nella sua attività pittorica, e con il quale ho goduto e mi sono estasiato tanto, per ritrovare in lui l'aiuto solidale che ho perduto e già cerco, con mio padre, nel povero mio padre,

" Poverino", così di lui già mi diceva mia madre, quando tra mercoledì e giovedì ha vomitato, si è orinato addosso, è rimasto sotto shock,

" Tu che lo puoi fare!..." il giro del lago di Garda in bicicletta, che gli ho ripromesso che avrei ripetuto, poi...

 

Quando sono entrato nella sua sala d'ospedale, avrei voluto che tanto dolore, lo spasimo che contorceva in una smorfia e in un ansito di sofferenza il suo povero, caro volto,  fossero solo lo spasimo e il dolore del suo corpo, che oramai, in quegli occhi persi, la sua mente non ci fosse più, che non mi stringesse le mani, e seguitasse a restare che restasse inerte ad ogni sollecitazione d'affetto.

Ed invece quando le sue mani hanno cominciato a contorcersi, invocando lenizione, a dibattesi nel vuoto, e l'infermiera per fargli l'iniezione ha sollevato le ossa disgiunte/infrante dei suoi arti, il suo sguardo, i suoi occhi, tutto il suo essere è emerso alla luce della coscienza nel grido soffocato, perchè inarticolabile, di un dolore che lo straziava oltre ogni immaginabile soglia, atterrito da tanto male possibile, puro, assoluto, nello sguardo che si scrutava intorno, che è lo stesso dell' animale sgomento che il dolore, per intrusione altrui, possa ferirlo a tal inimmaginabile punto sin nel suo essere più profondo.

L' iniezione lo assopiva di nuovo in un dolore sedato, in cui i suoi lineamenti si distendevano un  poco, in una parvenza di sonno incosciente, sin che riprendeva a sbuffare, ansimante, lo storcimento di una bocca essicata invocava ciò che lo stomacava in una smorfia acre di rigetto, come soltanto inumidivamo la bocca, e le mani iniziavano a dibattere un dolore già insostenibile, gli occhi mostravano di individuarmi e di perdersi nell' atrocità del fondo.

Che potevamo fare noi suoi figli, che stringergli con affetto la mano, infondere nel suo freddo un po di calore, detergergli la fronte madida di sudore , baciarlo e ribaciarlo, dirgli e ripetergli " poverino, caro, sappiamo quanto stai soffrendo, ti fa tanto male, lo vediamo..."

Quando ho potuto restare con lui da solo, avrei voluto sanare il mio rimorso, dirgli che quella mattina la bici da corsa che m'aveva regalata l'avevo rilucidata nel garage, ma nel suo dolore atroce, che poteva più importargli di me, di noi altri, si sfigurava ogni affetto e sentimento, ogni nostro volto che ravvisasse di fronte alla tenacia di un  dolore che si faceva di nuovo una mostruosità insostenibile.

Sopraggiungevano il fratello più anziano, suo figlio, la moglie  dell' altro, ed era allora che il suo povero corpo stremato eruttava un' atrocità fetida, di cui le infermiere accorrevano a ripulirlo, senza che la soglia del dolore si attenuasse, anzi, la sua recrudescenza lo faceva insofferente anche dell' appiglio della nostre mani, conferiva dava uno sguardo e una vista ai suoi occhi che parevano vacui, faceva emergere dallo stupefacimento la coscienza e la voce, in un grido che si articolava in parole ripetute con insistenza straziante " dio mio quanto sto male, dio mio quanto sto male, mio dio cuma a stagh mal, mio diu cuma a stagh mal...", mentre il capo gli si dibatteva senza pace possibile, la bocca impastoiata in una fetida arsione.

E le infermiere che chiamavamo istantaneamente, insistentemente, ritardavano per attenersi alla sola consegna di somministrargli una pillola" No sopra, sotto la lingua, così...".

Ed egli aveva la forza ancora, e la lucidità, da quella cavità orale ch'era una strettoia insormontabile di solo dolore, di rigettarla con schifo nauseato.

" Non sono capace- an son mia bon- protestando col suo residuo di coscienza nauseabonda.

Mia sorella era già accorsa a chiamare invece il medico, per un' iniezione che da troppi minuti differiva intollerabilmente.

A poco poco si ricomponeva, riprecipitava nell' incoscienza apparente, mentre un gorgoglio veniva accompagnando il suo respiro,- io ho pensato soltanto, con sollievo, che si fosse così ottenuta una tregua provvisoria del male, avvertivo i parenti che erano rimasti nella sala d'attesa che potevano rientrare, scendevo al ristorante del Policlinico ad ordinare un cappuccino,

sgomento, se sotto lo stupefacimento dei farmaci mio padre non era in coma, di quanto potesse protrarsi quella atrocità d' agonia.

Si, come aveva detto mia sorella ai medici del policlinico, erano valse sino all' altro ieri, le chemioterapie ad assicurare a mio padre una vita vivibile, ma quel suo patimento in corso da ieri...

Era già morto, quando sono rientrato nella sala clinica.

Sì, alla sepoltura a Modena, non valeva la pena di ricondurlo al paese d'origine.

Le locandine, nella polisportiva ciclistica, al centro ricreativo della via dove abitavano e vissero prima i miei genitori.

Qualcuna, certo, anche nel paese d'origine.

Occorre che ci rivolgiamo solo a coloro che gli vollero bene e per lui ebbero affetto.

Provvederò io, a che il decesso sia comunicato anche tramite il giornale della nostra città che acquistava ogni giorno.  

Tacerò, per il momento, che significhi che mia sorella abbia trovato sorprendente il mio agire di ieri, mentre è stata sua libera scelta, che mio nipote sia partito comunque per la Grecia, rendendosi irreperibile nella isola di Milos, disattendendo anche i suggerimenti che restasse nel Peloponneso.

Lascerò che si sfoghi nel mio pianto in solitudine, quanto ha creduto di dire a conforto mia madre, nel farci presente con quanta dignità mio padre abbia saputo affrontare il dolore.

Se si pensa, che per non recare disturbo, non infastidire i medici e il personale assistente, ha resistito in silenzio a dei dolori già tremendi a sopportarsi, - più fiale di Feldene un calmante avevo dovuto somministrargli un medico curante quand'era ancora a casa, per calmare un' insorgenza del male che tratteneva in se, respirando in un certo suo modo-, poverino, in che dolori per lui inimmaginabili, l' ha inoltrato il viatico alla morte per farlo dolere cosi illimitatamente.

Ho contenuto il pianto, sul treno, perchè il dolore restasse solo mio.

Benché mi fossi isolato in uno sguardo volto oltre i vetri, a metà del viaggio un giovane straniero avvenente, dalla pelle oscura, mi ha considerato e chiesto di " Pego-gn-aga."

Gli ho detto che avrebbe dovuto scendere alla fermata seguente e prendere un altro treno.

Ma come se d' improvviso non se ne fosse dato per inteso, per il modo in cui l'ho guardato, mostrandomene attratto, mi si è seduto nel sedile davanti atteggiandosi cordiale, sorridente.

Che la sorte dovesse farmi già trascorrere dalla morte al sesso invitante?

Era indiano. Ah come non capirlo dal suo indian look, gli ho detto, accennando ai suoi pantaloni rigati in simil- seta sgargiante.

Era di Bombay, Calcutta? No, di Nuova Delhi, quattrocento chilometri distante.

E come si trovava in Italia? Bene, solo che era senza lavoro. Misteri, che ci si possa trovar bene in Italia senza lavoro.

Come era strano, che mutando destinazione ora mi si dicesse diretto nella mia città, che non gli importasse più nulla di Pegognaga.

Ed io che facevo? L' insegnante, ero uno statale, che dipendeva dallo stato.

Potevo dargli venti, trentacinquemila lire?

Era chiaro adesso che meditava assai parecchio. No, anche se ne avevo, non ero disposto a dargliele, gli ribattevo..

Tacendogli che non ero disposto che a stare solo, la sera in cui è morto mio padre.

Rimuginavo che avrei potute dargliene diecimila, solo che fosse stato diretto a Pegognaga. 

Intanto lui aveva cessato di sforzarsi di corrispondere al mio sguardo, di simulare alcun interesse per la mia persona.

" Se sei diretto a Pegognaga, ti ricordo che è alla prossima stazione che devi scendere.

... E' questa la stazione in cui devo cambiare se vai Pegognaga.  . Eccolo il treno diretto a Ferrara su cui devi salire per arrivarci. E' la prima fermata Pegognaga".

Ed egli, senza alcun cenno di commiato, mi ha assecondato ed è sceso per tale destinazione.

(Chissà, mi viene solo ora da pensare, talmente senza slanci o entusiasmi è sceso dal treno, che la scelta più virtuosa o la meno viziosa non fosse invece per lui quella del mio domicilio.)

Al primo piano condominiale, quando sono stato di fronte alla sua porta, non ho potuto tacere della morte di mio padre alla signora Wanda, alla quale aveva fatto ricorso mia madre per contattarmi al telefono.

La dolcissima, buonissima, gentilissima, soavissima signora Wanda, di parole delicate di conforto cristiano.

"Io spero tanto -lei dicendomi-, di ritrovarci uniti un giorno, con coloro che abbiamo tanto amato e con i quali abbiamo condiviso tanti dolori terreni.

Anche se cristianamente non avrebbe dovuto pensarlo, e auspicarlo, confidandomi quante volte ha pregato per altri agonizzanti che la morte sopraggiungesse come una liberazione, quando si perviene a soffrire quanto ha sofferto mio padre.

Sono salito di sopra mentre mi preparava da bere un gingerino, per recarle le foto di mio padre .

" Che bell' uomo. Ed anche sua madre.Che bella donna..."

Le ho taciuto che ciò che invece sento si sperare, è che la morte sia giusta, nell' annientarci tutti di una identica fine comune.

Nel corso del divenire ove tutto passa, mio padre, come chi lo compiange, e sarà domani come lui rantolo e putrefazione.

Ma quando mi ha compianto come figlio bravo e buono, avanti e indietro a recarsi a trovare suo padre morente, no, non ho potuto invece tacerle, che non sono stato quel bravo figlio che diceva di me.

E lei non mi ha smentito, lei che aveva intercettato troppi appelli a me volti, di mia madre, per non ravvedersi di questa mia immagine edificante di figlio.

 

So di avere mancato tanto verso mio padre, nel consentire durante la sua malattia ed agonia, che contrarietà, ossessioni e compulsioni, rancore o risentimento verso i miei congiunti per i quali anche quel poco che facevo e che ho fatto di bene per mio padre non era mai niente rispetto al loro apporto contributo, e non mi era mai riconosciuto ed apprezzato, che la sequela tutto quanto della mia desolazione e mortificazione scolastica di insegnante che mi faceva più desiderare e invocare la mia morte che temere e dolermi per l' imminenza di quella di mio padre,  che tutte quante queste sordità mi tenessero da lui distante tanti di quei giorni, in cui avrei potuto essergli di conforto o compagnia.

Siano di impossibile ammenda queste parole. Il senso di colpa

vorrebbe che io espiassi morendo con un cancro simile al suo.

Purché il male mi lasci solo il tempo di riordinare ciò che lascio, per me così sia, anche tra poco.

 


 

 

Locandina funebre

 

A coloro ai quali è stato caro,

si comunica che il giorno 9 agosto è mancato all' affetto dei suoi cari

                        Carlo Bergamaschi

                          di anni 75

Ne danno il doloroso annuncio la moglie Niva, i figli Marzia, Odorico, Andrea, il nipote Nicola e i parenti tutti.

 

La cara salma riposa nel cimitero di San Cataldo di Modena.

Modena, San Giacomo delle Segnate il ******


 

 

Quel che non ho...

 

Solo mentre lunedì mattina mi avviavo alla stazione per essere in tempo al suo funerale, dopo avere acquistato ad ogni edicola di passaggio copie del giornale locale con la sua locandina funebre, ho avuto l' idea di quanto avrei potuto sottoscrivere al suo nome sull' inserto funerario:

                      Carlo Bergamaschi,

                        di anni 75

                  ciclista, partigiano, alimentarista,

                            sportivo interista,

                    coniuge e padre rimpianto.

 

Fino alla consegna all' addetto stampa della Gazzetta, nemmeno mi era sorta l'idea di intervenire personalmente sul testo preimpostatomi dall' addetto delle aziende funebri, tutto preso dalla fretta e dalla furia di arrivare comunque in tempo per trasmetterlo alle stampe, quando per non perdere il penultimo treno utile ho lasciato che di me dicessero ogni male di dio gli amici di mia sorella che avevo lasciato al chiuso dell' ascensore, fuggendomene via senza recare alcun soccorso evidente o diretto, con la sola assicurazione, trafelato da sei rampe di scale che avevo ripercorso in un baleno, che avevo dato tutte le disposizioni del caso a che telefonassero ai vigili del fuoco, a mia madre e alla sua dirimpettaia troppo oberate dai chili di peso, per scendere fino da loro a liberarli; intanto che il consorte della dirimpettaia da solo non ce la faceva, per la ragione colpevole di quel contrattempo, per il fatto che ben in cinque erano saliti in  sovraccarico, a far rigirare in senso inverso i tiranti dell' acensore nella canina sottotetto in cui era salito.

A un giovane parente di mia madre che era venuto a porgerci le sue condoglianze, ed al quale per potere attendere quegli amici di mia sorella mi ero affidato perchè mi desse un passaggio fino alla stazione dei treni, alla quale sarei arrivato in ritardo per la corsa che dovevo prendere se vi fossi giunto a piedi dopo avere atteso illoro arrivo, prima che mi facesse scendere davanti alla stazione ugualmente chiedevo di telefonare ai vigili del fuoco, preoccupato che il vocio e il gridio delle imprecazioni rivoltemi contro, potesse lasciare soprattutto le amiche e consorti in debito di ossigeno, prima dell' arrrivo dei soccorritori pubblici e privati.  

" Cinque/ sei  funerali e nessun matrimonio " ridacchiavo tra di me in treno nel fugare l'apprensione crescente, il timore che ilmio decisionismo fosse stato avventato/ sconsiderato.

" Ed evitate di sprecare ossigeno nell' insultarmi troppo, nello strillare cos'ì tanto, anaerobizzereste l' ambiente suicidandovi lì dentro, entrereste in Bod, che cos' è? eh? il Debito di Ossigeno, nel rapporto di scambio tra aria ed acqua, tra l' ossigeno residuo dei vostri polmoni e ... capito? Evvia, non è la prima volta che succedono disgrazie simili, anche sulla Gazzetta di Giovedì, si dava notizie di marito e moglie morti in un incidente mentre andavano a un funerale, eh, ne succedono di disgrazie del genere, l'importante è di stare a seguirle qui dall' esterno, respirando ancora a pieni polmoni da semplici spettatori..."

Ben stava a mia sorella, che quando sono accorso lungo le scale, " C'è tuo fratello e il suo amico?-ha subito chiesto, dubitando che potessi fare alcunchè di pratico o di efficace.

Ma quando, immediatamente come sono arrivato un' ora dopo a Mantova ho subito telefonato, era lei a rispondermi ed a rassicurarmi gentile che era tutto finito bene.

Un signore di un  piano di sotto a quello dei miei genitori, dopo essersi lungamente dilungato a deprecare la dabbenaggine dei rinchiusi in ascensore, è bastato che dicesse che azionassero due levette su in alto ai lati dei portelli della cabina, perchè d' incanto l'ascensore si aprisse e i detenuti dentro ne sortissero all' istante fuori, previo un salterello.

Ma quello che m'importava comunque sapere era se sarebbero comunque arrivati i vigili del fuoco, se comunque non avessi disertato il campo d'intervento, e invece l' avessi lasciato dopo avere dato tutte le disposizioni utili a trarli comunque in salvo, gli sventati.

E solo al rientro dal funerale, mia madre mi avrebbe confermato che sì, così era stato, che a liberazione avvenuta avevano dovuto ritelefonare ai vigili del fuoco, che già si erano avviati a intervenire, per farli rientrare perchè tutto era già stato risolto.

Mentre al funerale mi ci avviavo ripensando a quella peripezia, a come la vita ricominciava anche con essa, mi è parso bene non aaver fatto alcun intervento d'autore, tra quegli altri inserti mortuari ove ugualmente il deceduto era" mancato all' affetto dei suoi cari", e che ne differivano solo perchè vi era "triste", l' "annuncio" che noi cari davamo invece come "doloroso".          

Così doveva essere, dovendo io fare da espressione ed interprete  ed estensore di un cordoglio comune familiare.

In luogo del ricordino funebre, ho lasciato all' ingresso della camera mortuaria, quei giornali, per coloro che avessero voluto conservare con esso copia dell' avviso funebre che vi era stampato.

All' ingresso, vi erano il fratello e la sorella che solo la pietà di fronte alla morte avevano rappacificato con mio padre.

L' avessero visto soffrire, nella sua agonia, oh, avrebbero sentito che un solo istante di quel dolore sarebbe valso da indulgenza plenaria per tutto il male che il loro fratello avesse potuto commettere verso sua madre, all' atto del presunto abbandono di cui lo avevano incolpato.

E mentre le mie lacrime non potevano trovare conforto nelle preghiere funebri, ovesi invitavano gli angeli ad accompagnarne l'anima al cospetto dell' Altissimo, mi impressionava e mi s'infiggeva l'idea cristiana di quale potesse essere stata la colpa, male per male, che in quella sua atroce agonia il fratello " Carlo", resosi a Dio in tutto ciò che egli era stato, avesse dovuto espiare tanto atrocemente per essere puro e santo al suo cospetto.

Ed io che avevo ispirato in lui ed in mia madre la colpa, assistendo alla sua morte ne ho contratto il senso, mi sono venuto confermando, perchè solo al cospetto di tanta atrocità, ho inteso il mio identico abbandono, la mia identica diserzione del suo capezzale, io che differivo o posponevo o mi indispettivo fino a pochi giorni prima dell' incombenza di andalo a trovare, per quanto lo amassi.,mi fosse caro vederlo, convincendomi d'essere anch'io in lotta con la morte, nello sforzo che non potevo ritardare oltre di passare alla stampa , alla scrittura finalmente, della mia congerie di opere ed opere che sono ancora sui dischetti tracce virtuali.

Dovevo pure, almeno quelle pagine, dell' incontro di medenine con quel funzionario tunisino, inviarle per iscritto a questo o quel critico, smaniavo, è un tale azzardo la mia vita di artista, così avanti negli anni e senza nulla di ancora pubblicato, non potevo e non volevo finire come Fenoglio, cche mirava a farsi scrittore a sessant'anni, ed è stato straziato dalla morte che il meglio di quanto aveva scritto era ancora incompiuto, ( vedi M. Corti, Beppe Fenoglio. Storia di un continuum narrativo, se ben ricordo), mi sembrava che la lezione che dovessi trarre dalla vicenda di mio padre, fosse che non dovevo e che non debbo farmi fregare dalla morte, e che per questo dovessi scrivere e scrivere e cercare il sesso ogni pomeriggio possibile nei solo possibili recessi fluviali, fin che ancora ho qualche attrattiva ed è estate e i luoghi d' incontro all' aperto sono ancora frequentati, intanto che lui veniva morendo e io venivo rarefacendo per questo i miei incontri con lui, le occasioni di confortargli gli ultimi giorni di vita...

Quando ho ripreso poi il treno verso casa, eccoli che strazio, oltre i binari, in lontananza, vedere profilarsi gli azzurri spioventi del cimitero di San Cataldo ove in un loculo è murato il suo corpo, ripensando che ogni volta che sarò di ritorno da Mantova, rivedrò quel suo cimitero e ripenserò alle interminabili file di loculi e loculi ove il suo corpo è uno degli innumerevoli morti sempre meno visitati, sempre più in abbandono, è tutto quanto di miseramente oscuro e là solo e murato, oltre il nostro amore e ricordo resta di lui.

Oramai non vedo più il suo volto in agonia.

Per i giorni di vacanze che restano non andrò in alcun luogo.

Non voglio, affatto, che la sua morte diventi la condizione perchè possa tornare a godere e divertirmi. 

 

E oggi pomeriggio nell' uccellino che ho ghermito, per tagliargli le unghie, ho sentito riurlare la pena di mio padre mentre lo ghermiva la morte.

Poi, per mio sollievo, il piccolino si è fatto calmo nella mia mano e mi ha lasciato scorciare.

 

Domani, che sarà il rientro nella casa che fu sua, nelle sue stanze, se mia madre e mio fratello se ne saranno già andati?

 

 

Per conto suo

 

Vi sono rientrato ieri di nuovo, nella sua casa , tutto solo nelll' ordine vuoto e senza più nessuno dei vani, nella sua stanza ricercavo e ritrovavo ripristinato il vecchio letto, come già era avvenuto il giorno seguente i suoi funerali, ogni cosa che vi era rimasta disposta come quando lui vi giaceva, sul suo capezzale i miei steli di lavandsa che lo commemoravano.

Solo in soggiorno avevano mutato la disposizione dei mobili.

Io mi sono attenuto a tutto quanto vi ho rinvenuto, nel  frugare in una scatola sul comò, tra le cassette registrate,  per cercarvi se vi era un' altra copia dell' intervista che avevo fatto a mio padre sulla storia sua di partigiano e di ciclista e su quella di campione sportivo di mio zio, per accertare con il radioregistratore se non fosse contenuta tra quellae senza titolo,  e scoprirvi che quella che io possiedo, e di cuoi ho fatto copie su copie, è l'unica che può consentire il miracolo di riudire la sua voce, di risentirlo e di riaverlo tra noi com' era egli da vivo.

Dovevo adesso aprire le finestre- verande che davano sulla città, sul suo cimitero, per innaffiare cone avevo promesso a mia madre i suoi vasi di piante e di fiori, prima di fare ritorno sulla tomba di mio padre, per vedere la lapide che vi hanno postas, porvi i fiori di lavanda che avevo strappato da un' aiuola come quando lì venivo a trovarlo, a suggello di una memoria che non volevas cedere di amarlo, di averne cura.

I miei congiunti sono già partiti tutti per altre destinazioni, senza curarsi im morte, come in vita,  della ricaduta della fine di mio padre sul mio destino.

E dunque se io solo dovevo rimanere a casa, perchè non voglio che la morte di mio padre sia l'occasione per cui tutto immediatamente riprende, e si ritorna a vivere e a svagarsi, perchè anche se qualche giorno di vacanza vorrei farlo prima della ripresa mortificante della desolazione scolastica, non ho a chi affidare senza timore di sorta i miei canarini, se dunque io soltanto dovevo restare, che almeno, mi sono detto, ribadisca la infima vita sociale e senza più mobilità effettiva cui adesso sono confinato, consegnandomi anche alla salvaguardia dei loro fiori e delle piante in loro assenza, visto qual'è l'idea e la considerazione che hanno del mio talento e del mio destino.

Ma ieri mattina, tra quelle pareti, non c'era acrimonia in quel che facevo,  mentre iniziavo a riempire l' inaffiatoio e a travasarne l'acqua in serbatoi piccoili, e scoprivo ch'erano decine le piante e pianticine di mia madre, c'era l'adempiere a un rito, a un dovere nei riguardi di mio padre, mentre dalla terrazzina mi riaffacciavo sulla finestra a lato dello stanzino ove si erano compiuti gli ultimi giorni di mio padrte, ne fissavo l' anonimia delle tapparelle abbassate tra le tante altre dei palazzi condominiali e delle case circostanti, e un nodo iniziava a serrarmi la gola, nell' avvertire a dispetto delle cure che ci parevano interminabili, quanto la sua situazione ci era penosa, intollerabile la sua sofferenza, come la vita si fosse rapidamente sbarazzata di lui, e benchè sapessimo certa la sua fine, e che si era protratta oltre ogni termine natuirale se non fosse stato talmente assistito, come egli ci era, mi era mancato,

infinitamente prima di quanto potessimo accettarlo.

Se davvero la sua vita non immaginavo che potesse giungere sino a domenica scorsa, perchè mi ritrovavo ora in tasca per andare al suo cimitero ov'egli era già sepolto e murato e provvisto di una lapide, i biglietti che avrebbero dovuto servirmi per il viavai ancora dal Policlinico?

Come poveretto ci aveva liberato in fretta di tutto il peso che costituiva per ogni nostro egoismo, e mi si rivelava niente tutto quello che io potevo avere fatto per lui, ogni sacrificio o differimento, a fronte di tutto quello cui avevo ceduto per ritardare o diradare di andare a trovarlo, a fronte, in quelle stanze, sul suo capezzale, del vuoto che ora era subentrato al suo posto, del niente che era subentrato per lui alla vita, in quella casa vuota di lui che non poteva più goderne gli agi e la vista, le cibarie in frigorifero o l'appoggio a questo o quello schienale, l' ascolto degli apparecchi spenti o il riposo in un letto.

E cos'avevo inteso, di che cosa mi ravvedevo o pentivo, se ora non potevo, prima di recarmi sul suo cimitero, non scendere al supermercato sottostante, per comperarvi quelle lattine, quei succhi di frutta, quegli alimenti nient'affatto indispensabili di cui scarseggiavo nel frigo di casa, e che come mai avrei potuto andare ad acquistare di sabato pomeriggio in quello ch' è vicino a casa mia, se intendevo perchè altrimenti come avrei potuto rientrare al più presto, e destinare l' intero pomeriggio a ricercarmi ancora un pò di piacere sessuale in qualche incontro fluviale?

Vi ho acquistato anche le tre bottiglie dell' aceto che ho lasciato a mia madre, per averne le tre prove d'acquisto che mi servono per concorrere per la vincita di un telefonino, dopo che quello che ho acquistato mesi or sono per essere in contatto  con i miei congiunti sul decorso della malattia di mio padre, l'ho restituito esasperato dalla sua inaffidabilità tecnologica,.

Potrebbe pur sempre servirmi per le chiamate dei numeri di urgenza, come, mi sono detto, potrebbe servire a mio fratello, sapere per il suo regime dietetico che l'ossessiona, o a mia madre per fare più presto in cucina, questo o quell' altro espediente che non detto, che ho appena appreso, la cui impellenza di comunicarsi, o di dirsi, nella sua insignificanza era rimasta inalterata o inscalfita dalla morte di mio padre, e si riproponeva in tutto il suo assillo smanioso di comunicarsi mondanamente.

Tralascio e rinvio per il momento di annaffiare le piante, faccio le compere e risalgo e ridiscendo verso la stazione degli autobus, prendo il numero 5 che passa dopo pochi minuti, ed arrivo al cimitero quando ne è già avvenuta la chiusura.

Come è stato quante volte, prima, ho iniziato a supporlo solo troppo tardi, non è bastato che già lo sapessi, quando mi sono sovvenuto che non alle dodici e trenta, o all' una, ma alle 11,30 quando vi eravamo andati invano l'altro mattino io e mia madre e mio fratello, era fissato il termine ultimo del mattino.

Ritorno a piedi, riproponendomi di stravolgere i miei piani, di sacrificarmi per quel giorno, di restare nel pomeriggio e di tornarvi a visitarlo, chiedendomi se ne valga la pena, è poca la distanza effettiva che imparo per la prima volta tra l'appartamento e il cimitero, eccola in distanza la loro casa precedente, oltre l' incolto speculativo che la nasconde sulla destra, ed eccolo di fronte, già ùin prossimità, oltre corso Italia, il palazzo che nasconde retrostanti i loro vani, nel ricongiungersi alla vista del periplo che il destino  ha tracciato alla sua ultima esistenza incapace di opporsi, le dimore dove il suo corpo di inurbato ha conosciuto un agio crescente, prima di finirvi malato, e di essere trasportato provvisoriamente e poi definitivamente nel Policlinico, e patirvi il decesso, ed essere ora la salma che è stata condotta e trasposta dietro quella lapide, in quel loculo, ove quel cadavere che non sente più niente di niente e adesso ignora tutto di tutto, al quale non può importare alcunchè di onoranze e di fiori, che io vi sia andato o ritorni a casa senza averlo visitato, è tutto quanto di freddo e maleodorante resta di mio padre.

Ma quando riapro la loro porta di casa, di mio padre e mia madre, rientro nella sua stanza, mi riaccomodo sulla poltrona da cui gli parlavo, lì in quel letto cui mi inginocchio in lacrime, è lo spirito di mio padre che giace malato, che mi ascokta e cui imploro perdono, fra quelle coltri su cui mi distendo, da cui mi risollevo per rispettarvi chi vi giace.

Mi è di conforto nelle lacrime, nei sussulti, sentirlo che di nuovo è vivo in me, che tanto ancora lo desidero e lo amo, io che credevo fino a poco anzi di non essere più capace di piangerlo, e che nelle parole fredde in cui giovedì ne avevo parlato con la proprietaria del mio appartamento nel versarle l'affitto, mi dolevo di riuscire già a farmi così tanta forza, a farmene quella ragione che lei mi diceva che dovevo farmene, poichè per quanto me ne facevo una ragione, riuscivo a parlare come niente fosse della sua agonia, lo sentivo già irrimediabilmente morto dentro di me, che ne avevo e ne ho già perso irrecuperabilmente l'immagine di sofferente terminale.

Ma in quel conforto non tarda a sopravvenire si fa di nuovo varco, ed è il vuoto inconsolabile, che raffrena le lacrime, la consapevolezza della disperazione che a niente e a nessuno posso più tendere le braccia, che non c' è più niente e nessuno che corrisponda a mio padre, cui possa chiedere e ottenere perdono, presso il cui amore su di me chino dolce e sconfinato, la mia colpa trovi espiazione e rimedio.

Non mi resta, e non posso fare altro, così costernato, che destinargli da morto in quel pomeriggio di sole, quanto non seppi sacrificargli da vivo, sacrificargli quanto e trascorsi altrimenti e lontano da lui morente, attendendo (e attendere) nella calura ferragostana, della città spopolata, che si facciano le tre del pomeriggio, per esservi alla riapertura del cimitero.

Non reca ancora la sua immagine la lapide murata, solo il nome e cognome, le date di nascita e di morte, la scritta "I tuoi cari posero", una croce e una lampada e un'urna per i fiori.

Li risistemo, ponendo dinnanzi quelli ancora freschi, inserendovi i miei steli di lavanda.

E bacio irresistibilmente quel marmo, e tra le lacrime che riaffluiscono sento schiudervisi le sue labbra avide di affetto, ogni volta che ricambiava il mio bacio di saluto, costretto in un letto sempre più penoso.

Non ha senso che abbia irrorato d'acqua ogni pianta e pianticina di mia madre, e che l' acqua non la ricambi in quel suo vaso.

Una signora mi indica dove è una fontanella con un rubinetto, da cui attingo più durata per quei fiori.

E anche se è volto a ciò che non è più che una salma, e nessuno, mi è dolce e caro in un ultimo bacio suggellare in quel marmo, chi è mi è stato il più dolce e amorevole e caro dei padri.

           

 

 

Di come mio padre sapesse

 

Mio padre negli ultimi giorni aveva ripreso coscienza di stare morendo.

Quando due giorni avanti, a seguito del primo contraccolpo, parlandomi piano e riferendosi a quanto aveva patito la notte,

mi aveva detto " o che dolore alle gambe, e in tutto ilcorpo, che trambusto", nei suoi occhi esterefatti era decifrabile che " se l'era vista brutta", si era sentito perduto.

A mio cugino a riconferma ha confidato il giorno seguente" Domani è più facile che sia di là che di qua".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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