A Marib, Sa'ada

 

 

 

 

L'antica Mareb

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Sulla sommità di un altura di rifiuti, l'antica Marib è emersa contro il blu del cielo sempre più impressionante, quale una Berlino anno zero nella devastazione presso ché spopolata delle sue solitarie rovine, infertale dai bombardamenti nel corso della guerra civile.

Dopo essermi un poco aggirato tra le sue rovine, alla ricerca degli stipiti costituiti dal riuso di frammenti sabei,ne ho quindi lasciato il guaire di cani   e gli sparuti bambini che ruzzolavano nelle sue erte di letame, per discendere nel letto dell'uadi verso la mia destinazione templare, al di là del greto in secca la mappa localizzando i monumenti più rilevanti della civiltà sabea.

Ma nel letto dell' uadi, ove al riparo di un costolone di argilla l'urgenza impellente mi ha indotto a defecare, tra ossami di animali e il sopravvenire intorno di cani uggiolanti, ho iniziato quindi a perdere il senso della distanza e del percorso, anche per le indicazioni imprecise  riportate dalla guida pratica.

Con le mani, frattanto, avevo la cautela di sfiorare, soltanto, le larghe foglie carnose e i globuli vuoti dei frutti delle mele di Sodoma, che a perdita d'occhio ne gremivano il greto deserto.

Mi erano quindi rivolti solo vaghi cenni generici, al nome di Bilquis, dai contadini che interpellavo nei campi, come non mi precisava meglio, l'ubicazione dei templi, il giovane addetto al magazzino di alimentazione generale tra un nugolo di bambini, situato oltre l'uadi lungo la pista per un vicino villaggio, la cui avvenente esuberanza giovanile, riassopitasi nel sonno dopo la mia ordinazione di una soda e di un succo di frutta, la sorprendevo adocchiarmi provocatoria, stringendosi sotto la djellaba fra le mani il nerbo (membro), come mi riergevo per seguitare oltre. 

Ma in capo a mezzora,ero ancora nei paraggi intento a darmi dell'imbelle, ero ancora nei paraggi sotto il sole che  vi infierivo tragicamente su me stesso, (colpo dopo colpo,) con gli spezzoni screpolati di un suolo per fortuna di argilla, così scontando che secondo le indicazioni della guida, che le situavano due chilometri a sud-est dell'antica Marib, avrei pur dovuto rinvenire le rovine templari, quando uno yemenita in Toyota lasciava la sua pista da dove mi aveva avvistato per venire a soccorrermi, ed accostatomi su quei costoloni assolati di argilla dove mi desolavo, mi offriva un passaggio fino a destinazione.

La strada asfaltata, che seguiva un lungo aggiramento circolare, si inoltrava in linea d'aria ben oltre i due chilometri che potevo supporre secondo la guida, tanto che solo la vista dei cinque, fatidici pilastri, poneva un termine alla mia agitazione interiore, al timore che il mio soccorritore avesse inteso in termini errati le mie indicazioni, che gli erano risultate invece comprensibilissime, poichè finalmente mi ero deciso con lui a chiedere ove fosse localizzato in arabo il "* Bilquis", anzichè un fantomatico "Bilquis o Sheba Temple" in un fantomatico inglese.  

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Le rovine, di scarsa suggestione immediata e di assai ipotetica decifrazione visiva- erano altresì recintate, e avrei dovuto immaginarvi secondo le supposizioni del Manfredi* un tempio di perimetrazione rettangolare, aperto all'interno su di un vano centrale quadrangolare, che era recluso da un porticato di pilastri e con tre celle sul lato che fronteggiava l'ingresso- anzichè a indugiarvi a studiarle mi provocavano  piuttosto a cercare il conforto di un pranzo al sacco, con la scatoletta di tonno e insalata di fagioli messicani che costituiva parte residua del mio seguito alimentare, qui, nell'Arabia Felix, che mi porto ancora appresso dall'Italia.

Ripercorrevo così l'intera deviazione asfaltata verso il tempio, in cerca di un riparo ombroso che ritrovavo soltanto nell'alberello sotto il quale sedeva un giovinetto, tra le ammonticellature ed i canali di scolo dell'acque fertirrigue dei coltivi.

Dopo vari giri e rigiri che attiravano l'attenzione del contadinello, a poco a poco mi appressavo, lungo il camminamento di una ammonticellatura che come ogni proda o sponda su cui intendevo sedermi, appariva compattata di letame, sicchè, quando avvicinatosi a sua volta il giovine gli facevo cenno che intendevo sedermi all'ombra ove poc'anzi era sdraiato,

anche quella deriva risultava già di materia troppo vile per adattarmicisi.

Indugiandovi la scalfivo così a poco a poco con il piede, al che il giovine si illuminava e comprendeva tutto: e con un cenno d'intesa mi conduceva sino alla soglia della sua casa dove mi faceva entrare, nel mentre i suoi fratellini come uccellini apparivano e sparivano d'un tratto a curiosare.

Tutto l'interno era di fango, la soglia di cruda malta virgolettata, il lungo diwan di pareti di una malta translucida impastata di paglia: e in quell'interno che frescura e che nitore, che ammoliente ristoro d'ombra e di poggiali nella profusione di tappeti...

Il giovinetto, che non credeva al naturale svolgersi di un evento

ch'era per lui così straordinario, mi forniva di un vassoio e di pane fragrante di cottura, a una mia richiesta, di sua iniziativa corroborando il mio spuntino di uva e di banane e di thè squisito.

Purtuttavia la mia determinazione rendeva vane le sue richieste a gesti, accostando le mani al capo reclino, che restassi ancora   presso di lui a riposarmi nella calura estiva.

Così riprendevo il mio cammino ulteriore  verso le rovine sabee, ritornando al tempio " of the five pillars" quale termine di riferimento.

   

Vi ritrovavo alcuni bambini e ragazzi (che avevo già avvistato (in precedenza) ed) ai quali domandavo la via, utilizzando per ciò l'immagine dell'antica Diga ch'è nel testo " Architettura e paesaggio dello Yemen del Nord" del Manfredi-Nicoletti, (Laterza), e chiedendo ora in arabo del "Mahram Bilquis", del Tempio del rifugio di Bilquis di perseguitati e criminali, e non già del"Tempio del Sole" di *Awaani, secondo il suggerimento della mia guida che avrei dovuto seguire già prima ( che in ciò si rivelava davvero pratica).

Da dei loro vaghi cenni, intuivo in ogni caso ch'ero assai più nelle vicinanze del Tempio che della Diga nella direzione opposta, poichè i fanciulli mi facevano intendere che per giungere alla Diga dovevo sospingermi fino al "gebel", all'altezza dei monti in lontananza.

Ma il richiamo suggestivo dei resti dell'antica Diga era tale,

che comunque ritornavo sui miei passi per dirigermici verso, mosso dall'attrazione irresistibile ( fatale) di quanto ancora sussistesse di una delle più favolose meraviglie dell'antichità, dei giardini posti ai cui termini(,) si decantava che chiunque vi fosse entrato con un cesto, sortendone l'avrebbe ritrovato ricolmo di ogni sorta di frutti, pur senza toccare alcuna pianta di sua mano, e della cui costruzione si favoleggiava ( si favellava) che fosse opera della stessa Bilquis, regina di Saba, e che fosse stata l'ira divina contro i Sabei a provocarne (determinarne) la distruzione, per opera dei denti e degli artigli di un ratto denominato kholdm;  cosicchè la sua rovina, con il conseguente abbandono, venne significando la fine stessa di ogni antico paganesimo, e fu fatta dunque risalire all'anno fatidico detto dell'"Elefante", quando uno stormo di uccelli fermò l'avanzata dell'etiope Abbiah e del cristianesimo verso la Mecca, ed avvenne  la nascita al contempo di Maometto.

Così suggestionato, tra i coltivi finivo tuttavia per ritrovare soltanto i diruti basamenti di un antico tempio ( il tempio H dellla mappa sul volume del Manfredi-Nicoletti), sul cui crostone terroso salivo a leggervi, secondo le indicazioni planimetriche della mappa appresso, il profilarsi nella sabbia dei soli basamenti perimetrali di un sottostante pronao.

Poi nel greto dell'uadi i miei passi di nuovo si perdevano ( avevano di nuovo a perdersi) in terminali illusori, seguitando la mia ricerca secondo distanze che seguitavo illusoriamente a ridurre; pertanto, nella solitudine di quell'aridità screpolata, l'arsura della sete sopraggiungeva con la fine delle mie risorse di acqua, cosicchè i miei intenti si assottigliavano oramai a quello, soltanto, di raggiungere la strada che vedevo profilarsi a qualche chilometro, la stessa che a Sud-Est conduceva ai templi sabei, la stessa, a Nord-Ovest, di un ritorno fallimentare a Marib.       

Lungo tale strada trovavo comunque ristoro in due bottegucce al  bivio di transito, presso una delle quali stazionavano in sosta cammelli e autovetture.

Ma in me il fallito, il soccombente, che ingurgitando litri d' acqua già si accingeva a chiedere un passaggio per rientrare al più presto a Sana'a muovendo dalla nuova Marib, non aveva fatto i debiti conti pomeridiani con la determinazione dell'altro, il resistente tenace, che rivoltatosi indietro, riguardava le tabelle poste a quel bivio, ed oltre quella del (verso il) rassegnato abbandono, che non si riferiva che a dei lavori ministeriali che nei pressi erano all'opera, intravedeva quella che a destra, in bella evidenza, segnalava la deviazione verso la Diga.

La richiesta di un passaggio mutava il verso del mio andare  nella (in ) sua direzione, ed una Toyota che di lì a poco si arrestava, nell'esultanza della mia volitività ritrovatasi, mi conduceva giusto all'altezza della gola ove il sole illuminava i resti inconfondibili dell'antica Diga.

Mentre così discendevo e mi ci inoltravo oltre il greto dell'uadi, sopraggiungeva una teoria di pullmini turistici che mi tagliava la strada verso la stessa meta, al cui interno mi bastava intravedere le facce, dei toyotizzati, per  riconoscerle quelle inconfondibili di italiani più confortevolmente in viaggio.

Ah, gli evasori, gli elusori, qui in vacanza, mi ricantavo, i rivoltosi contro la voracità del fisco, eccoli qui in vacanza, gli onesti dell' ultima ora, quanti inveiscono contro i  corrotti che non assicurano più i favori del giorno prima, e eccoli qui in vacanza, che si godono l'avvalersi sul tuo sgobbo della loro impunità erosiva... il frutto del rendimento della conversione in buoni del tesoro, o cct, di quanto sottraggono al fisco

dello Stato, che se ne fa debitore, immiserendo la retribuzione e la considerazionme sociale che ti si riserva quale suo insegnante ...

Eccoli, gli sfrontati, del fottio e dello sfottio della tua servitù fiscale di insegnante di Stato ... in uno sciamannio senza alcun approntamento e cognizione (intelligenza)...  

( Nota sovraggiunta: Generalizzazione indebita, ovviamente, ma certo, tra di loro, c'era chi era della specie protetta, tra di loro s'annidava senz'altro chi è dei più...)

Accovacciatomi in bella evidenza così mi rileggevo, fronteggiandoli, al di qua dell'uadi le pagine illustrative del Manfredi-Nicoletti sull'antica diga, a viva voce ammirandone al seguito la magnificenza e la sapienza edificatoria, la traslazione in aspetto estetico del costrutto tecnico, quale la si poteva evincere, a saperla evincere, dalla uniformità dell'intaglio dei blocchi, così come l'animava luministicamente la scacchiera delle bugne, " a testa di scimmia", che ne raccordavano il "paramento lapideo" alla muratura a secco dell'interno.

Solo dopo che la teoria (il corteo) di Toyota si è allontato verso la nuova diga, ho ripreso in direzione della la strada il mio cammino, seguitato nei miei passi, nella vallata eravamo rimasti solo noi due, da un uomo che mi inquietava con il suo kalashnikov, sebbene nello Yemen anche i ragazzi e i bambini maneggino armi.

Giunti sulla strada, i nostri percorsi tuttavia si contrapponevano in direzione opposta, sul suo rettilineo, lungo il quale disdegnavo di chiedere inutilmente un passaggio alla teoria dei pullmini degli italiani di ritorno, mentre l'ottenevo agevolmente da  un' ulteriore Toyota, guidata da un patriarca locale insieme con la sua famiglia, con anch'egli il suo kalashnikov al seguito, il fucile accanto al cambio e all'immancabile fascio del qat.

Così mi riportavo al bivio iniziale, ove uno yemenita non ancora attempato con al seguito la moglie velata, mi concedeva un successivo passaggio che gli chiedevo vanamente fino al tempio del Sole, in quanto anzichè al "Mahram Bilquis", era di nuovo all'Arsh Bilquis, al Palazzo di Bilquis del Tempio della Luna che mi riconduceva; ove disceso, mentre lui restava perplesso se contentarsi di un "soukrane", più moralmente gratificante, in luogo della bakshis più materialmente soddisfacente che esitava a chiedermi, potevo rinvenirvi pressocchè sincrono, al loro arrivo, quei miei connazionali aggirantisi intorno.

" Ma... come avrà fatto? -si chiedeva una di loro alle mie spalle mentre ne superavo il viatico".

" Avrà avuto un passaggio..."

Al che distrattamente annuivo col capo.

Rimaneva ora il terzo ed ultimo degli obiettivi, il tempio appunto del Sole, verso il quale i turisti italiani erano già stati avviati dalle guide turistiche sui loro pullmini.

Sul come giungerci chiedevo indicazioni più precise ai ragazzi di prima: intendevo di nuovo, oltre alla direzione, che il tempio non doveva essere di molto distante, e che mi conveniva pervenirvi seguitando ad Est, fra i coltivi, anzichè ritornare sulla strada.

Con animazione affrettata tagliavo dunque il percorso dunque fra i campi, oltre le colture di capperi e i tracciati di piste, lungo i tratturi fra i coltivi e una distesa arida, covando lo spirito di un autentico trionfo, che si prospettava di lì a poco reale, quando ad indicarmi su un'altura già prossima l'ubicazione del sito del tempio, erano appunto i mezzi di trasporto inconfondibili di quei miei connazionali.

Che avevano così modo, con i loro conducenti stupiti, di vedermi risalire le rovine del tempio mentre ne ridiscendevano.

Tali rovine, nel tramonto incipiente, erano non solo di suggestione decadente.

L'ampiezza circolare della cavità templare divenuta una cavea di sabbia, i prospicienti pilastri che ne residuavano l'atrio d'ingresso, vi evocavano vestigia di una grandiosità tuttora superstite.

Poi al rientro in autostop a Marib, il fondouk ove risalivo a ritirare i bagagli, per una salita di gradini di solo cemento fra i filamenti di ferro sopraelevati all'aperto, sul far della sera mi appariva al suo interno analogo a quello di Jerrae.

Oltre la rimessa in cui avevo dormito, e da cui il giovane tedesco era partito, la vasta sala adiacente era divenuto un luogo di raduno ove gli uomini sulle alte brande fumavano con il narghilè, i più seguendo i programmi in onda di un televisore centrale.

E forse che era finita la mia giornata, alla partenza in taxi per Sana'a? Forse era così giunto, il felice epilogo di una felice giornata?

Nient'affatto, come dopo qualche decina di chilometri (dopo) avevo modo di accorgermi, quando il taxi d'improvviso si arrestava, al seguito di altri due che già stazionavano da tempo sul bordo della strada.

In lontananza, nella sera già scura, rumori e rombi di camion e svariare di fari.

Che un tragico incidente arrestasse il percorso? Nel quale fosse stato fatalmente coinvolto il tedesco partito prima?

Intanto che tardavo a capacitarmi di ciò che impediva il seguito del viaggio, gli altri passeggeri trasbordavano su dei Toyota che sopraggiungevano.

Il che era quanto mi invitava quindi a fare lo stesso tassista.

E come zaino in spalla avanzavo sulla strada, potevo capire l'accaduto: i miei piedi venivano infatti progressivamente sommersi dal deflusso delle acque di un uadi che era tracimato per la pioggia che lo aveva ingrossato, invadendo il tratto stradale con un' irruenza e fino a un'altezza insuperabili dalle vetture comuni.

Un Toyota, i cui fanali mi intercettavano, mi offriva un subitaneo passaggio quando io già facevo per ritornare indietro, e mi tragittava con altri passeggeri di ventura,  del taxi ma arrestandosi giusto a metà del guado, la vettura immobilizzata (di lì a poco) nel caos dell'ingorgo per un improvviso guasto all'accensione, finchè non si riavviava tra i mastondonti che nelle tenebra ci rombavano ai fianchi, mentre alta su di me nel retro, all'aperto, la luna fra le nuvole che si disvelava, era l'astro del mio fato, o di Allah, in cui riponevo una sorte che mi felicitava, esaltato delle vicissitudini, il cui flutto, seguitava a confortarmi e preservarmi a galla.

Come il Narratore delle vicende di Renzo Tramaglino o di Tom Jones, la simpatia residua che chi ora narra ha per se stesso, vorrebbe quantomeno che si stendesse un topico velo, sull' autentica infamia contro se stesso che poi ha perpetrata in Sana'a, ma onestà pur gli impone di narrarne, a compensazione, che potrà soddisfarli, dello scorno degli Italianissimi di Marib, che nel contempo fossero più confortevolmente rientrati in un hotel  a più stelle.

Così egli ora narrerà di come, giunto a Sana'a, benchè le sue spalle fossero dolenti perchè bruciate dal sole del deserto, eppure si sia sordidamente ostinato, heautontimoroumenos, a rifiutarsi di ricorrere a qualsiasi taxi, supponendo stolidamente di avere già perso fin troppo in dignità, per i settanta ryals, esorbitanti, che il giorno prima non si era rifiutato di pagare (aveva pur pagato) per la corsa (in taxi) dalla stazione di arrivo da Hodeida a quella per Marib, ma così perdendo più ancora in dignità, poichè, accanendosi nella sofferenza di trasportare il fardello di uno zaino immenso sulle spalle roventi, immiserendosi nella più stupida sacrificalità autopunitiva, si è negato anche i minibus collettivi, confortato altresì dalla presunzione altresì che Bab el-Shuab e il suo hotel non fossero gran che distanti, chissà mai perchè, dal tornante in salita lungo il quale egli non finiva mai di svoltare, con la conseguenza piuttosto, sotto il carico immane dello zaino che gli ribatteva sulla schiena ribattendogli il passo, di essere oggetto di scherno e di pena per i passanti, dell' invito a salire di tassisti interessati o sfottenti che declinava ugualmente, e quindi, poichè erano già passate le undici di sera, del fermo e della perquisizione dei propri bagagli ad opera di una pattuglia di polizia.

Ma infine era l'arrivo in hotel, e il mio ricovero mentale in un' ospitalità che mi è oramai domestica.                          

  

   

 

 

  A Sa'ada

 

 

A differenza di Zabid, l'antica Sa'ada che nei pressi del fortino (ora presso il (dal) fortino mi) vedo splendere a me sottostante nel sole meridiano, permane largamente intatta nel suo assetto ancestrale, sicchè le scarpate delle sue residenze, a forma di tronco di piramide, ne svariano integralmente il complesso centrale.

L'ornamentazione più sobria e concisa (sinteticamente composita) delle efflorescenze di Sana'a, ora è una glassa distesa su tutta la superficie (uniforme), ora la canditura del(oppure che ne candisce solo il) bordo superiore, delle( le) dentature e degli (gli) oculi e dei (i) pinnacoli delle logge aeree, o ne involucra altrimenti le sporgenze sottostanti a testa di scimmia, o  riassorbe in un unico pannello le finestrature, così come sono frastagliate in ogive pinnacolari e rettangoli e riquadri di cornice; sul fondo del rivestimento  di paglia delle murature di pietra o di un' argilla cui la paglia è stata mescolata, che vibra di un luminio intenso indorandone l'ocra.