In Siria, nel 1988

 

 

 

L'avventurata partenza

 

Istanbul

 

Dopo la più avventurata partenza- il rigonfiamento in tasca all'avvio del treno che si rivela l'orario ferroviario anziché il portafoglio con i contanti e il biglietto, la discesa trasecolata alla prima stazione, l'autostop di fortuna sul camion diretto al magazzino ferroviario, scendendone per l'immediato deposito del bagaglio, con il taxi in attesa già risalendo in appartamento, per il mancato ritrovamento del portafoglio dove con tutta certezza ritenevo di averlo lasciato , e il fortuito rinvenimento nel luogo tentato solo per scrupolo dalla mia indagine in folle, (ritornando) in stazione in extremis giusto per la ripartenza con il treno successivo, il solo ancora utile in giornata per la coincidenza internazionale, il tutto entro le 12,48 e le 13,28-  dopo tale e tanta concitazione iniziale, così riepilogata, ogni cosa è quindi rientrata nello scartamento ridotto dei binari della ordinarietà regolare: con il visto, tutto O.K. per il transito per la Bulgaria,- bellissima l'antica Mesia ; nel tardo mattino, oltre i declivi di girasoli fulgenti della Tracia, quindi l'arrivo ad Istanbul come l'approssimarsi ad una desolazione crescente, nel più celere distacco da occasionali compagni di viaggio, per avventurarmi già da solo nella libertà sofferta da vincoli e impegni, e ritrovarmi così sublimato nelle moschee di Solimano e Bajazet, eppoi mortificato per il ponte di Galata, senza risolvermi a entrare, randagio, in uno dei suoi tanti restaurant per cibarmi di pesce, quindi insaziandomi in un'oscura lokanda di un'insalata lurida di terra, subito rigettata, e alfine deliziandomi nella frescura odorosa di narghilé del Medresen Olu Pasa, dove stamane sono qui di ritorno, nell'attesa dilungata di un altro squisito apple thea.

L'apple thea che ora mi è porto, l'angoscia e l'anelito ancora assillanti nella tremolante frescura.

 

 

Bursa, 29 luglio 1988

 

Poi la brezza nella pace fiorita di rose delle turbe di Murad.

 

 

Nemrut Dag

 

 Dopo Bursa, in autobus fino a Gaziantep via Ankara-Adana, e da Gaziantep quindi in minibus ad Adyaman.

L'alloggio che vi è squallente; la necessità di spendere ancora il meno possibile di lire turche, e la mancanza di alternative,

ogbbligandomi in quel sordido albergo, sordido soprattutto per la sudicia incuria degli uomini che lo gestiscono.

E oggi l'escursione organizzata da Kahta aòl Nemrut Dag, nella gradevole compagnia di una vivace famiglia di italiani di Ancona, oltreche di due taciturni tedeschi e di un ancor più silenzioso piccolo turco, figlio e assistente assente del guidatore.

Sempre più grandioso il paesaggio rupestre, già alla voragine diruta ed all'ansa dilagante a valle del Ninfeo, presso il ponte di Geta e Caracalla, eppoi, dal Nemrut Dag, le catene nei loro aspri rilievi sottostanti, a perdersi, all'orizzonte, sotto il dominarle nei secoli del tumulo di Antioco Epifane; ma il destino del Tempo, delle divinità rotolate volgendo l'espressione, sparse d'intorno, nel muto stupore della contemplazione della propria eterna rovina.

 

 

Due esseri

 

Due esseri,dei più delicati,che particolarmente mi hanno commosso: la signora rumena che in vagone da Trieste a Belgrado mi aveva eletto a suo difensore dagli infidi slavi, per poi assumere di un giovane macedone la tutela materna; in un terrore divenuto autoconvincimento (autopersuasione), che (la quale) si ostinava a ripetermi che è facile uscire dalla Romania verso i paesi capitalisti, bastava che degli stranieri lo richiedessero all'ambasciata rumena nel loro paese, bastava disporre di dollari e marchi per pagarsi il viaggio, bastava, come lei non sapeva, che i suoi amici in Italia insistessero per oltre due anni almeno presso le autorità rumene, senza mai scoraggiarsi e seguitare a garantire e assicurare, e poi, e poi...

E il piccolo bambino lustrascarpe che ieri lucente e magro come un gattino mi sedeva accanto in Adyaman; ottenuta la mancia, insistendo per avere anche il mio orologio; nel suo sorriso l'identica luce dei suoi mitissimi occhi pressanti; i suoi stessi atti, schivi e raccolti, esprimendomi la sua sorte, per un bambino, come il più naturale dei destini possibili.

 

 

Aleppo

 

 

In Alep

 

Da Gaziantep a Kilis vivacissima,  transitando la frontiera siriana in compagnia di un giovane tedesco e della ritrovata famiglia di Ancona.

In Alep risolvendomi di alloggiare nell'Hotel Baron, a compensazione della miseria in Adyaman, le punture d'insetto patitevi in quel giaciglio, infiammandomi più ancora acutamente l'articolazione del ginocchio.

Forse l'airan poi bevuto in Gaziantep, o prima ancora il bagno nell'acqua stagnante verso il Nemrut Dag, quindi provocandomi nella notte i più violenti disturbi intestinali, ed una febbricitazione nauseabonda tale da indurmi a provocare la vomizione di tutto.

E ieri è stato con il pensiero reclino sulla mia fisiologia alterata, che essudando a seguito (causa) dei farmaci mi sono inoltrato a fatica per i souk di Aleppo; tra le forre circostanti di luce, nel clamore assordante aggirandomi entro l'animato intrigo di una vitalità antichissima; nello spirito di esercitati mercanti di quegli uomini, come in sguardi rubati a bellissimi giovani e donne furtive, sotto il sembiante islamico apparendomi quivi ancora vivente l'uomo mediterraneo ellenistico, nella sua inestinguibile lussuria di vizi e di brame, forte di aromi e fetori nel proprio fiero sentore, la latrina delle tentazioni ed il lavacro ablutorio in contiguità di vicoli con spoglie scuoiate e ventresche  e liquami animali.

Pervenuto infine all'impervia inaccessibilità solare della cittadella, sostando a ristorarmi di fronte alla sua splendida duplice porta d'ingresso, perfetto connubio di una soluzione di forza e di grazia, nel comporsi delle forme arrotondate del primo portale con quelle squadrate del secondo, delle arcate ascendenti del ponte con lo scalare a riquadri della muratura di sostegno del primo portale di transito, e della imponente profondità della seconda porta d'accesso con la finezza delle trame dei rilievi scritturali, delle profilature e delle bande ornamentali.

Dopo avere quindi rimpianto l'ingresso impossibile nella moschea di Otruche, ritornato sui miei passi, solo al termine di un'insistita e fortunosa peripezia, dal pregevole Khan el Wazir ho raggiunto nel bagliore pomeridiano l'incantevole pace del Maristan Arghoun, ove tra il posare in alto di colombe e il crosciare di bacini e fontane, ho riassaporato il ristoro che anche ai dementi, tra quelle griglie e nelle celle lì attorno reclusi, l'acqua e la frescura riassicurano nella civiltà dell'Islam.

Ed è lo spirito, in ciò similare, della moschea quale casa per il (del) popolo di acque di vita, che vi ho magnificato ai due giovani siriani miei splendidi interlocutori, il più cresciuto, nella sua gioia di vivere, eludendo ogni mia domanda sullo spirito di guerra, secondo i nostri giornali, che infonderebbenei giovani la nuova Sparta del regime di Hassad.

E tanta sua gioia di vivere, come l'attaccamento ai piaceri della gioventù di Aleppo nella vita notturna, forse ancor più ad animarli era la paura stessa di nuovi venti di guerra, aleggianti nell'ufficialità delle musiche e dei programmi televisivi, dei quali che più mi inquietava, da quello che ne capivo nel tono, era lo spirito diffuso di devoluzione totale degli esseri a una causa suprema.  

 

 

Qalaat Seman

 

Ed ora come rievocare, qui in Homs, lo splendore l'altro giorno di Qalaat Seman, tra le luci al neon e le tavolate plasticate di questo caffè all'aperto? Fra i perticati brusianti, l'odore diffuso del narghilè nauseandomi più di quanto m'inebrii.

Quando in San SimoneVi ero fra i più splendidi resti superstiti di Chiesa paleocristiana, nella grandiosità delle prospettive profilantesi incorniciate od orbitanti l'una nell'altra.

Quale fine alternarsi, in altezza, delle aperte circolarità ricurve e del giro dei fregi che le ornamentano! In che pregevolezza d'intaglio, nei capitelli, e nelle girali delle trabeazioni.

E che sublimità termale d'impianto, nel voltare delle conche dell'abside e dell'ottaedro doppio centrale.

Il giovane austriaco, in mia compagnia, mi si è manifestato un'ininterrotta espressione dell'angst: torcendosi sul pullman nelle più incomode pose possibili di un manieristico Cristo, smaniando in un verso e nell'altro durante la visita, in assenza di autobus poi disperando di ogni possibilità di ritorno in Aleppo, cosi come al ritrovarci, alla stazione, della disponibilità di posti e validità del suo biglietto per Damasco; in tale gemellarità esemplare, la mia ansia placandosi nel più sereno e perfetto quietismo.

Il giorno seguente le grandi rovine di Apamea; stazionandovi fra le frammentarie successioni del colonnato del cardo, nel silenzio della solitudine assoluta; la luce inesausta nei marmi dei fusti, esaltando più ancora l'assenza di quanto fu un tempo a gremirla di vita.

Alcune ore innanzi avendovi ritrovate le due anziane signore italo-francesi, sollecitamente  cortesi, già incontrate in Alep all' Hotel Baron,( come già nel museo di Aleppo- incantevoli gli avori- avevo ritrovato i signori di Ancona nei quali mi ero reimbattuto alla frontiera, senza i loro due figlioloni, questa volta, come me caduti la sera innanzi in preda a vomiti e dissenterie e ancora febbricitanti), in Qallat Modalq dopo essermi congedato dall'ospitalità cordiale dell'arabo prolifico già di nove figli, di un altro in attesa, generoso nei miei riguardi di yogurt e pesce e pomodori e pinzimonio fragranti, generosamente esemplare della prodigalità con l'ospite che la gente di Siria mi testimonia continuamente.

Ed oggi da Homs al Crack des Chevaliers, ammirandone particolarmente l'articolazione delle torniture del castello, la dentatura delle torri e dei raccordi di guardia, nella rotazione immobile di una morsa muraria volta irresistibilmente a sporigionare e contenere assalti, il dispositivo imperniantesi nel cuore religioso della cappella e della grande sala.

Poi a Sud, sullo sperone che ne fronteggia la mole oltre il restaurant, mi sono dilettato a chiudere ripetutamente gli occhi dicendomi: " Ed ora, ecco che cosa ti appare come li riapri", per poi scattarvi, al clic, quale istantanea ininterrotta, a ripetizione, della più fantastica delle romantiche visioni cavalleresche.

 

Intanto il sistematico rovinio dei miei travellers cheques, per il fatto che ogni cambio di albergo mi costa l'importo di ogni mio solo assegno di 100 marchi, avendone al cambio il resto di profluvii inspendibili di lire siriane, mi costringe a tappe forzate a ultimare la Siria.

 

( Ieri sera, in Homs, è da supporre che volesse concludere l'affare del secolo,  il raguseo arabo che mi ha richiesto l'ammontare al cambio di 300 dollari per una confezione di carta igienica).

 

 

Palmira

 

 

Ed ora in Palmira che riguardo in trance, come tutto ciò che mi incanta, che mi turba e distoglie dalla vista lo sguardo.

L'azzurro implacabile, di un cielo di zaffiro, fra le alture desertiche sembra suggellarne l'eterna condizione di un annientamento, quasi le colonne e gli archi fossero le vertebre e gli anelli superstiti di una spoglia desertica, il carcame di un'assassinata rovina lasciata da Roma, a perpetuo monito dell'empio orgoglio di chi disfidi( i poteri.)

E l'ocra del marmo siriaco è come la patina della fissione ( fissazione) a tale destino suggellato dal Tempo.

 

Poi il frusciarvi del (di un) vento, l'accensione solare più viva della fuga prospettica di colonnati ed archi, l'immortalata rovina un'eternarsi dal Tempo.

 

Ora il sole candisce e arrosa le pietre, più ancora sarchia i marmi, vertebra in spoglie le colonne, delle mensole denuda l'allinearsi privo di statue, il promanare monco eppure grandioso

dei tetrastili nell'abisso di azzurro.

Ed io qui sono nel mio ubi consistam.

 

 

Al limitare del tempio di Baal

 

O fronde che verdeggiate lucenti

della sua santa pace,

suscitate il Dio in quest'anima morta,

fugatela dagli usi del Tempo,

all'avvivarsi della luce nei marmi

sia lo spirare nel vento il Suo trascorrere ancora.....

 

Nel tramonto poi l'esaustione della pietra e del corpo.

 

 

Giovani

 

Quale curiosità, nei miei riguardi di italiano, manifestavano i giovani studenti damasceni che ieri mi hanno offerto un passagggio, di ritorno da Beirut a Damasco.

Una curiosità che la gioventù delle civiltà occidentali non ha affatto nei loro riguardi.

Nel loro sentire avvertendoli senza bisogno di mediazione alcuna.

A sgomentarmi sono state invece le ragazze in tenuta militareper le vie di Hama e di Homs.

E nel Crak mi ha sciolto la stretta il giovanissimo, che in disparte dal proprio gruppo, mi ha chiesto che cosa ne pensassi della questione palestinese.

In tutta sincerità gli ho risposto che sono con Arafat, non già con Assad.

Ma la stretta si è aggroppata di nuovo su quell'autobus a noleggio di giovani studenti e studentesse, come tutti i microbus siriani accincigliato a festa di luci e di brendoli come un Luna Park, eppure come un minisantuario placcato di scritte e di immagini devozionali islamiche e cristiane, nel pomeriggio carico di una gioventù divertita e malinconica o stanca, tra le linee e le strade che altri giovani in armi sorvegliavano fuori di pattuglia.

 

 

Damasco

 

 

In Damasco, la virulenza reinsorta dell'infezione virale mi ha prostrato sino al disgusto febbrile dell'esistenza fisica, e tale ritorcimento viscerale è la stessa mia stomacazione della vita in atto di Damasco; nell'impotenza di cibarmi e di godere del corpo, oramai ributtandomi ogni mortificazione islamica cui io continui ad assistere partecipe.

 

 

Giordania

 

 

Gerash

 

E ieri, in Amman, la macula di sangue nell'occhio destro ha intristito allo specchio la mia convalescenza.

Quanta luminosità ora irradiano queste convalli, di cui appieno vado gremendo(gremisco) lo sguardo, rimirando sottostanti il foro e la via dei portici dell'antica Gerasa, nell'intento di rianimare senz'esito l'occlusione che mi satura.

Anche alcune ore fa in pullman, nel mentre la pressione sanguigna mi urgeva nel volto,  ho rievocato il sublime pensiero di Epicuro- ritrovato nel testo di Hadot  che mi invita a considerare il luminoso splendore odierno quale l'incanto del mio ultimo giorno, sentivo riaffluire allora le immagini e i suoni dei piaceri agonistici del campionato di calcio imminente, la mia vanità mondana e le mie intime gioie domestiche, tutto il daffare che avrei a riprendere al rientro, il conforto dei miei giovani allievi con la loro fresca vita alla mia solitudine in putrefazione, e il mancamento è venuto così quietandosi nel ristoro di una riapertura di sguardo.

 

 

Petra

 

Ieri, al mio arrivo in Petra, la mia infelicità corporea mi ha trattenuto lungamente in stanza.

Il mio corpo nudo, prostrato e non più fresco di carne, i lineamenti induriti nella nausea e nella svogliatura dei sensi, la stomacazione degli appetiti, i capelli alle tempie infoltentisi sempre più bianchi, tutto di me stesso mi avviliva a languire nell'amaro del vuoto.

Poi la sera è avvenuto l'incontro, insieme con il suo amico, del tedesco con il quale avevo viaggiato da Gazantiep ad Aleppo, senza dirci oramai più niente nella locanda, seguitando io timoroso il mio digiuno, loro di quelle polpette, dell'homos e dei pomodori, saziandosene naturalmente affamati, naturalmente incontentabili di avventure e di vita.

Quindi in albergo tra degli italiani chiassosi nel divorare i pasti, allestita in cucina per giunta la cottura di chili e chili di pasta, ed io per troppa tristizia non ho saputo resistere, ed ho così rotto il digiuno con un abbondante pasto, superando poi la nottata e la processione delle fasi della digestione con una serie ininterrotta e angosciante di nauseati incubi.

Ma stamane ero come risorto alla pienezza fisica per visitare Petra, solo, di primo mattino, inoltrandomi al canto degli uccellini lungo le voragini sempre più strette del canalone,

nel mentre lungo le pareti rocciose sempre più enormi incombevano i monoliti e gli edifici tombali, tra il variare più stupefacente di colori e forme strapiombanti, ora della brezza millenaria del vento, ora di cartaligini e interiora fantastiche, apparendo la roccia la pietrificazione incombente, ora la dissoluzione di decolate colonne e fronti tombali, finchè in quel furore aorgico rappreso, il chiarore non è sorto, di numinosa politura perfetta, del sublime tempio funebre di Petra, a stagliarsi sul fondo, oltre le sabbie, in (quasi)tutta l'altezza della parete rocciosa.

Poi il dilatarsi e il rinserrarsi ulteriore di vertiginosi orizzonti, lungo l'antica città nabatea dei vivi e dei morti, lungo il cardo massimo dal teatro fino al tempio a Dushara, donde ho inbtrapeso l'ulteriore escirsione, tra lamelle e grumi e coli di glasse, scarnificazioni e disossamenti e intagli pietrificati dintorno, fino al rivelarsi tra i dirupi di El Dehir.

Sotto il cannicciato della locanda presso il Museo, tra le moltitudini attavolate di italiani ora siedo in attesa dell'escursione a El Khubtha, avendovi ritrovato di nuovo il ragazzo tedesco, ed anche il giovane austriaco Cristopatico di Qalaat Seman, or ora già appena levatosi.

 

 

In fuga

 

Poi è stata la fuga più precipitosa dalla Giordania, sospinto dal timore angosciato di un mancato rientro, oltrechè dalla insopportazione dei disagi e delle mortificazioni della Giordania islamica.

La sera, in Petra, con il giovane austriaco, patito di Strauss, dicendo che mi sarei consolato con l'ascolto della Salome della mancata escursione ai resti della reggia di Erode, così come alla desolazione depressa  del Mar Morto  nel fuoco mnestico, sui lidi suppositi( immaginati), della rovina  interiore  di Sodoma e Gomorra che ci adombrava entrambi.

Ma tantomeno l'acquisto all'aeroporto della guida amnplissima su Petra del Browning, mi è ancora valso a lenire il rimorso di essere rimasto un solo giorno nello splendido sito, l'alba di lunedi precipitandomi letteralmente verso Amman, per acquistarvi il biglietto areo l'indomani per Atene; desistendo così dal compiere anche l'escursione verso l'altare sacrificale e le tombe del soldato e del triclinio, dopo essermi smarrito esausto all'altezza degli obelischi la domenica sera.

La visita stessa lunedì pomeriggio della cittadella di Amman, e giuntovi in un magnifico volo aereo, mercoledì mattina del Museo dell'Acropoli di Atene, avendolo già visitato nello svagamento mentale anni fa, non hanno potuto affatto quietare la mia colpevolizzazione residua, che ancora mi rimorde qui in Amorgos, giuntovi stamattina presto dopo sedici ore di navigazione, mentre nell'azzurro purissimo del cielo cicladico, tra il biancore calcinato delle case e gli alberi della piazzetta su cui si affaccia il caffè Loza, l'agitazione incessante ancora mi erode, il vento agitando le fronde e sospingendo ravvicinate bambagie di nuvola, la salute fisica di nudità smaniando e di bagni di sole e mare.

 

 

 

Amorgos

 

 

Ora il viaggio volge verso Eleusi al suo solo epilogo.

E il tempo, in Amorgos, é il tedio se permango, la nostalgia più struggente nel distacco imminente.

E' il terzo anno che vi torno, per riattingervi felicemente la salute fisica e il riposo mentale, e al tempo stesso ritrovarvi la bellezza inesausta di ciò che più elementare, il mare liquido e fresco, l'aspro scoglio insolato di luce, il biancore calcinato di scalinate e muri, di contro all'azzurro più puro del cielo, tra biancore e blù allo squillarvi di persiane verdi fra oleandri fragranti, e girasoli e gerani reclini e fulgenti, della perfetta forma nell'immacolato bianco di una giara, al limitare di una scalinata o contro lo scalare dei frontali di chiese abbacinanti.

Ma anche la Kora l'ho disertata anzitempo, tra cielo e mare per anticipare di due ore nel porto l'arrivo del ferri-boat, consumata l'ultima moussaka e una bottiglia di retsina, come stamane gli ultimi splendidi versi di Ricardo Reis, nel confortevole interno indaco e bianco del caffè Loza, ritrovandovi l'antico spirito in cui sublimo immemorabile l'impotenza che vivo, il desistere or anche dal pensiero di vivere, per farmi a me stesso esteriore in onda e cielo e vento.

Nello scorciare il sentiero verso il mare, ridicendomi che io avrei invece implicitato nell'esoterico il discorso, così grandeggiandolo come il Foscolo in sublime.

 

Segue

 

Quando, Lidia, il nostro autunno,

....

 

Niente fra le tue mani,

....

 

La traccia breve che dall'erbe molli

....

 

 

Nel caffè Loza

 

E il pensiero, nel caffè Loza, mi ritornava di conforto, di come nel flutto dell'infinito annientamento, sia di infinito conforto trovare un frantume cui aderire, sia puranche la trance agonistica del gioco del calcio o la vanità della moda, il loro piacere al ritorno in me ravvivantesi, ora che ogni consuetudine ricomincia a settembre.  

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