Il mio primo viaggio in Algeria

 
 

seconda parte

 
 

Poi il deserto infinito e totale

 

Qunidi in Melika ho visitato lo sterminato cimitero di pietre e cocci, nel vento che sollevava turbini tra le miriadi di frantumi, due all'altezza dei piedi, uno della testa del defunto, ma che pure bastavano ad individuare in grandezza e distanza le differenti sepolture di piccoli e di adulti, e dopo il centro religioso di Ghardaia, di nuovo con un'immancabile guida religiosa,in El Atteuf ho visitato la deliziosa moschea di Sidi B.*, ispiratrice presunta della cappella Ronchamps di LeCorbusier, che nella sua minimalità è commoventemnte esemplare per come risolve( senza canoni) in minimi spazi le sue funzioni religiose, in due ambiti circolari, sotto e sopraelevati, segregando la partecipazione delle donne alle funzioni dell'attigua sala di preghiera, mentre le incavità plasmate nelle pareti  adempiono a (sono le) nicchie per i libri devozionali, e prese di luce sparse irrorano la chiarità celestiale di una luce assorta, preservandone la frescura di una quiete diffusa.

Poi il deserto infinito e totale, nelle emozioni vivide ( dei)di toni brucianti nell'afa stremante, a seguito della (dopo la) ('estrema) miseria di vita patita in In Salah, ove sono giunto in autobus nel cuore della notte, oramai al limite estremo delle risorse fisiche, dopo giorni di denutrimento per l'impossibilità di masticare.

Nell'attesa del giorno, lungo le sue strade,mi sono sistemato con il sac à dos come schienale contro il pilastro di un viale, mentre la gola era riarsa dall'essicazione, nel gorgoglìo incessante di una scaturigine d'acqua che non mi attentavo a bere.

Poi, alle prime riaperture, chiedevo qualsiasi alimento avessi la forza di sorbire, l'acqua benchè calda di un fornaio, un omelette e due bottiglie d'acqua naturale presso un  ristorante, dove con il caffè cercavo invano di smaltire la pastoia essicante di un dolce lasciato nel piatto.

Finchè non si apriva il piccolo mercato vivace, fra la cui penuria eppure trovavo di che nutrirmi nella polpa di due piccole angurie, che sbocconcellavo una dopo l'altra fino a riprendere forze.

Potevo così consumare a mezzogiorno un pasto, nello stesso ristorante dove l'omelette mi era stata (aveva fornito) un primo alimento, i giovani che gestivano il quale mi avevano consentito di depositarvi lo zaino, e se lo volevo, di dormirvi con altri in un misero vano climatizzato con un ventilatore.

Sotto altre  pale  (le pale di un altro (refriferatore) apparecchio ), sulle tavole fra le quali mi sistemavo  a mangiare stava una distesa continua di fette d'anguria e di coste d'agnello, sgranate od erose e lasciate a colare e a sbrodare sulla tovaglia marrone, tra innumerevoli bottiglie di plastica e quanto pane sbriciolato.  

Recuperate integralmente le forze, potevo sospingermi nella calura meridiana più torrida sino alla stazione degli autobus, che distava alcuni chilometri nell'assenza più implacabile di una sola ombra, fra gli edifici, in stile sudanese, roventi di luce e di colore nella luce abbagliante.

Giuntovi per recarmi a Tamanrasset, eppure senza chenella tensione una sola stilla di sudore fosse colata, dovevo apprendervi che per quel pomeriggio, contrariamente a quanto mi era stato detto, nessun autobus era in partenza per la mia destinazione, non solo, ma che mi sarebbe toccato di attendere per altri due giorni sino al martedi pomeriggio, se volevo recarmici in autobus. Potevo tuttavia tentare l'autostop, attendendo però un'ora più propizia al transito dei camion.

Lo scoramento, che mi invitava a desistere e a ritornare a Ghardaia, era superato comunque dall'intento di procedere oltre, disponendomi a chiedere il passaggio ad ogni automezzo in transito che sostasse alla stazione, dove peregrinavo intanto tra i negri stesivi nell'atrio, o che nel salone cavernoso del suo ristorante erano in ascolto di una televisione salmodiante, in rassegnata attesa, chissà quando, di partire a loro volta per Tamanrasset.

I più erano stati in autobus forse i più fortunati compagni di sventura, la notte innanzi, dei negri del Mali clandestini e profughi, che con loro avevano viaggiato in autobus da El Golea sino alla caserma  di polizia di In Salah, ricacciati indietro secondo una consuetudine acquisita, verso una povertà ancora più povera di quella algerina. 

Più volte, sul suo motore, vedevo intanto svariare attorno al distributore un tipo dalle incerte parvenze italo-francesi, come se fosse al seguito di qualche vettura.

Lo interpellavo pertanto, seguitando entrambi a parlare francese anche dopo che mi aveva detto che era di era Cagliari, e che viaggiava al seguito di due francesi, un uomo ed un giovane su due Peugeot, i quali si erano offerti di trasportargli i bagagli, di tratto in tratto, sino l'indomani fino  a Tamanrasset. Sopraggiungevano, li interpellavo, ed il passaggio per Tamanrasset era assicurato!

Partivamo il giorno dopo all'alba lungo la Transahariana, di una infinita bellezza nel succedersi interminabile dei più vari rilievi, i pendii sommersi di sabbia come altissime dune di ondulati e purissimi orli, di un giallo fulgido e fulvo nel blu immacolato, poi le più impervie montagne sgretolate in nere gole, rilievi tondeggianti come sassi massicci, tra gli sfacimenti, in pinnacoli e creste, delle ultime falde dei rilievi di un tempo, o di canyon erosi sino allo stremo, oltre i quali erano le cupe petraie, e i picchi impervi, di monti lunari senza più forme di vita, le ulteriori piane battute dal vento da cui emergevano, arcane, grigiorosee falde di catene d'incanto, montagne-palazzo, castelli montuosi, tavolati dirupati quali relitti od isole superstiti, quasi che una fata Morgana, sulle sabbiose distese o le morte pietraie, avesse sedimentato eterni miraggi...

Intanto, nel corso del viaggio, appuravo che l'uomo ed il giovane francesi, com'io stentavo a credere, non erano padre e figlio, e che erano entrambi diretti in Nigeria per vendere per il decuplo del loro costo le due Peugeot, con il ricavato così ripagandosi a dismisura le spese del viaggio.

L'uomo, in particolare, un meccanico elettricista, appariva di una fermezza e di una sicurezza oltre i limiti dell'ostentazione,

per come determinava i tempi e i modi e l'organizzazione del viaggio, costringendo fra l'altro il giovane italiano(,) al seguito in moto, in Arak a riprendere la strada nelle ore più torride,  eppure dopo avere  lungamente indugiato all'aperto sotto quella tenda, nell'estasi dei sensi di un languore affocato, insieme con l'incantevole coppia, che avevo già incontrato in quel ristorante di In Salah, di un giovane e di una ragazza francesi splendidi entrambi, con al limitare i due tuareg ed il voluttuoso cane da guardia, lentamente e lungamente sorbendo the alla menta e l'acqua della ghirba, ad ogni posarci riabbandonandoci sulle stuoie sotto il graticcio, desistendo dal senso e dall'angoscia del tempo...

Quando il seguito del viaggio, cessato dell'estasi l'incanto, ci riavventurava nel dramma e nella verità sconvolgente. A riconferma che vivo  l'autentico viaggio di un'avventura reale.

All'inizio della lunga pista successiva, forse per un eccesso di ostentazione e di sicurezza, spavaldamente il meccanico( l'uomo ) francese, sulla cui autovettura io viaggiavo, accelerava eccessivamente in prossimità di una altura, sparendo così completamente alla vista del suo giovane compagno di viaggio, che si inoltrava su un diverso percorso di cui non vedevamo alcun seguito. E ciò (così poco) è bastato perchè ci perdessimo definitivamente nella pista e nel deserto, e si sprigionasse( nell') l'angoscia sempre più disperata e incontrollabile del meccanico francese, che così (perdendo) smarrendo ogni risolutezza e sicurezza, mi disvelava la natura interiore del suo rapporto con l'altro.

La sua angoscia fluttuava sempre più tesa tra il ritornare indietro, agli inizi della pista, o il seguitare ancora avanti, scrutando, innanzi o alle spalle, ogni indizio polveroso di un'autovettura nella vallata, intanto che eppure il procedere oltre, poichè ci arrestavamo ( comunque arrestandoci )di continuo, rendeva sempre meno eventuale un ricongiungimento, qualora il giovane, credendoci oltre, avesse deciso di proseguire sempre avanti.

Scoperto che il percorso intrapreso dal giovane aveva un seguito,

io orientavo l'uomo  ad andare sempre avanti, seguendo i tracciati che risultassero più a destra, poichè a destra si era inoltrato il giovane, e a destra egli gli aveva già consigliato di seguitare comunque le piste in caso di smarrimento.

Intercettavamo quindi un furgone, il cui conducente ed i viaggiatori al seguito ci assicuravano che il giovane era più a valle, ancora non molto lontano.

Ma tale certezza non bastava al francese, che seguitava ad arrestarsi scrutando ogni orizzonte. Nemmeno lo confortava che altri due conducenti di altre due autovetture confermassero la testimonianza del primo, l'ultimo precisando che il giovane sostava al termine della pista con un altro su di una moto.

Il francese, incrociato prima un camion e poi un convoglio militare, li arrestava per rivolgere ai vari autisti di nuovo la sua disperata domanda, e si lasciava raggiungere da dei militari appiedati distanti, che evidentemente avevano da chiedere

 più che da dare, cedendo loro l'intera sua scorta di pacchetti di sigarette, in cambio di assicurazioni più mentite che reali.

Ed io, che assistevo a tutto, mi limitavo ad ostentargli la mia assoluta certezza del ritrovamento, come se fossi distrattamente indifferente a tutto quanto poteva ancora succedere.

Fintantoche al termine della pista non li ritrovavamo, il giovane francese e l'italiano in moto lì fermi in nostra attesa.

Ma proprio quando, così, la tensione del meccanico avrebbe potuto disciogliersi, le parole fredde del giovane, di dura autodifesa e di indiretto rimprovero a lui rivolte, lo facevano precipitare nella crisi finale.

Rimessici in marcia, le sue imprecazioni risentite si facevano i singhiozzi di un pianto irrefrenabile, ad un'andatura in testa sempre più lenta, mentr'io cercavo di distogliere gli altri dalla sua vista, sinchè non si irrigidiva e scartava con l'auto arrestandosi ai bordi, solo appena prima che si verificasse lo schianto.

E in tale deriva nel deserto ci siamo arrestati, trascorrendo lì all'aperto tutta la notte.

Purtroppo io soltanto potevo comprenderne il dramma, non già chi egli avrebbe voluto, che (il quale) si limitava a chiedergli se voleva un'aspirina.

" Monsieur, il est un jeune homme, il ne peut avoir votre sensibilitè où la mienne, Soyez heureux qu'il est venu avec vous dans le Sahara et que vous l'avez rétrouvé".

Intanto gli serravo tra le mie le sue dita, accompagnandolo nel pianto fino in fondo del suo dolore.

Quando poi, dopo un breve sonno da cui si risvegliava in un pianto ulteriore, di nuovo potevo parlargli, " Et que dit-il?" era la sua domanda continua, intanto che pur di non prendere atto del ritrarsi dell'altro dalla verità che gli stava davanti, che l'amore ne era la scaturigine del pianto, di fronte all'evidenza di come il giovane non fosse in grado nè di comprenderlo nè di sostenere l'intensità di tali manifestazioni del suo sentimento), si ritorceva in autoaccuse le più dure ed ingiuste, esasperando il suo dolore feroce, di non essere stato all'altezza di ciò che avrebbe voluto rappresentare per il giovane che amava. Poichè questi non lo riavvicinava, benchè in disparte mi avesse già chiesto che cosa l'uomo avesse compiuto nel ricercarlo, raggiuntolo di nuovo, lo esortavo a sua volta ad essere più ancora  sollecito verso il suo amico più adulto, pur presagendo che ogni sua parola, ed ogni suo atto, a costui avrebbe potuto ancora più significarne l' incomprensione  assoluta del suo impossibile amore.

Assopitosi infine il dolore del francese, poi soli nel silenzio del deserto, sotto il firmamento più incantevole di stelle, io e l'altro italiano abbiamo seguitato a conversare a lungo senza più sonno, sconcertati di come il caso ci avesse singolarmente assortito, combinando, di età differente, due francesi, (lavoratori manuali,) che combinavano (coniugavano) a un traffico d'auto, con due italiani,  pressocchè coetanei e quantomai diversi (ed eteroversi,)( entrambi laureati e professionisti,) l'uno che perseguiva l'ulteriore simbiosi (asociale) con la sua moto nel deserto, l'altro, incapace della guida di ogni mezzo meccanico, che della propria inettitudine faceva tesoro per tentare l'avventura ed affidarsi alla gente straniera.

Tra le innumerevoli cose di cui abbiamo discorso, ci siamo confessati come nell'Africa del deserto dove la natura primeggia, benchè atei entrambi, l'avventura del viaggio in cui eravamo arrischiati,che commutava il volto della sorte ad ogni circostanza ulteriore, tramutando ogni sicurezza nell'incidente e nel rischio, come l'eventualità più remota nella possibilità liberatoria della soluzione immediata, ci convertisse (l'animo) alla fede dell'abbandono nell'infinito potere di Allah.

Poi già al risveglio nel giorno seguente, il meccanico francese con la sua sicurezza riassumeva la maschera, riabilitava così ogni equivoco ed incomprensione, e relegato in coda dalla crudeltà giovanile degli altri, nello stesso volgere di tempo riassumeva decisamente la testa, ed in capo a due ore noi eravamo riordinati e più tranquilli in Tamanrasset.

 

 

In Tamanrasset

 

Da quattro giorni sono in Tamanrasset, finita l'escursione nell'Hoggar, persistendovi nel solo miraggio di potermici recare a Djanet.

Già il primo giorno, l'inaffidabilità controversa del viaggio ha assunto i connotati dell'addetto dell'Onat, che ti assicura il giorno prima ciò che il giorno dopo si rivela impossibile.

Il primo giorno che mi sono recato in ufficio, al suo cospetto magro e dinoccolato ed espressivissimo, egli aveva in un battibaleno già prestabilito ( programmato) la mia rotta aerea sino a Roma via Djanet e Algeri, mentre il giorno dopo risultava aleatoria anche la sola partenza per Djanet (da Tamanrasset), tout complet,ed era una azzardo anche solo acquistare un biglietto senza l'Okay, un rischio senza speranze, mentre invece risultava certissimo arrivarvi via Ouargla, il percorso di linea sul quale mi dirottava immediatamente insieme con il mio nuovo compagno di viaggio, il giovane psicologo spagnolo al quale mi sono dovuto unire per l'escursione all'Assekrem, noleggiando in comune un fuoristrada scassato con il conducente, non rimanendo altrimenti che l'andarci a piedi per poterla compiere.

Corressimo dunque entrambi alla Banca per il cambio corrispondente all'importo dei biglietti, egli ci caldeggiava, intanto che durante (nel frattempo dell')l' escursione poi lui avrebbe predisposto tutto.

Ma al rientro del tour anche tale possibilità risultava vanificata, oramai neanche si poteva più acquistare il biglietto, tout fermé, chiusa ogni Agenzia di viaggio nell'imminenza del Venerdì, giorno santo, mentre invece sicurissimamente saremmo potuti partire il sabato per Ghardaia, da dove era poi agevole raggiungere Ouargla per imbarcarci per Djanet.

Ed oggi, nonostante tutto, io ed il giovane psicologo spagnolo abbiamo acquistato tale biglietto aereo, con la sola sicurezza di partire solo con il volo di martedì prossimo per Ghardaia, mentre per oggi sono dell'80% le possibilità d'imbarco che ci sono state garantite.

Frattanto siamo ancora entrambi in attesa del nostro fantomatico Djalil, così egli si chiama, che per il tramite anche di un meccanico dell'aeroporto, di sua conoscenza, l'altro ieri, a casa sua, ci ha ulteriormente assicurato per oggi l'imbarco.

Eravamo già stati da lui nel primo pomeriggio, poichè essendo arrivati in ritardo, dato che per due volte la jeep aveva forato al ritorno dall'Assekrem, i miei bagagli erano così rimasti presso la sede dell'Onat oltre l'orario di chiusura.

Egli ci ha accolto apparendoci nella sua magrezza allucinata in soli pantaloncini corti, cordialissimamente ci ha allora sollecitato a sedere ed a ristorarci nella stanza d'ingresso, alle cui pareti, con alcune grucce, apparivano sistemati solo gli scaffali della sua libreria, che si caratterizzavano per la sola presenza di libri di cultura tuareg ed europei, tra i quali figuravano Sodoma e Gomorra e L'Uomo senza qualità, accanto ad ulteriori testi in tedesco, lingua che Djalil conosce assai bene  e di cui ha una buona conoscenza etimologica, se la sera stessa è risalito alle radici germaniche del mio nome, comparandole a quelle arabe corrispondenti e straordinariamente somiglianti, nella loro significazionbe comune di "terreno fertile".

E la sua prodigalità di ospite si è profusa nell'imbandirci angurie ed omelettes, gallette e pane con marmellata e burro e caffè, ogni cibaria che aveva in casa.

 

 

 

 

 

Djalil

 

Djalil è un'umanista innanzitutto, come egli stesso si è professato, nè islamico, nè cristiano nè  buddista, ma che di ogni religione rivelata intende discernere ( rilevare) il meglio, è di una cultura varia e sterminata, cosicchè la sua conversazione, in breve volgere, trapassa dalla citazione di Goethe, che asseriva che il poeta del futuro per essere tale deve conoscere ogni lingua, alle reminiscenze di Akenathon, alla lettura a voce alta dell' Invito al viaggio di Baudelaire.

Egli vive nelle limitazioni del deserto (vive) assolutamente consapevole delle diversità di vita  e di possibilità delle metropoli occidentali.

" Per voi questa forchetta non è soltanto uno strumento, ne ricercate il design, voi non mangiate solamente per mangiare, qui invece ci si nutre soltanto per soddisfare un bisogno, e non esistono le ore e i minuti.

I soli momenti del giorno sono il sorgere del sole e il suo tramonto, tra le dieci quando si finisce di lavorare, l'ora del pranzo e della preghiera pomeridiana.

Nel deserto l'uomo qui si ritrova solo con se stesso, l'uomo che nella città vive di continuo nell'artificio."

" E mentre il tempo qui è sempre eccedente, noi invece in Occidente nella complessità crescente non abbiamo mai tempo, gli ho soggiunto, presi nel dispendio continuo della realizzazione di ogni nuovo  possibile."

Ed alla sua domanda su quale fosse il termine della mia scelta tra Oriente ed Occidente, gli ho risposto che vivo nella tensione dei due estremi, nel continuo richiamo dell'Oriente dentro le metropoli occidentali, tentato dal continuo fascino di perdermici, mentre in Africa, o in Asia, sento il rimpianto dello stesso benessere organizzato della mia civiltà d'origine, nell'assenza lancinante di ogni possibilità di lettura o di ascolto delle opere della sua tradizione.

" Nella mia vita occidentale, nonostante le possibilità materiali in continuo aumento, non mi accade mai niente effettivamente, non esistono più eventi, mentre ogni avventura quì invece è possibile. E questo mio viaggio ne è stato il seguito continuo."

La gentilezza sollecita di Djalil si è fatta intanto sempre più partecipe e intensa nei nostri riguardi, invano ha cercato di convincere un suo amico ad includerci in un tour in partenza ieri mattina per Djanet, poi mi ha aiutato a scrivere un vano avviso

( da appendere al) per il tabulato dell'Hotel Tahalat dove mi ha ritrovato, e domani o la va o la spacca per la partenza in aereo per Djanet.

Il tour dell'Assekrem, che è stata la meta di questa mia sosta prolungata in Tam, ha costituito un'autentica sofferenza meccanica, lungo le pietraie scoscese inerpicantisi tra i picchi ed i massicci, che un giorno brumoso e senza sole rendeva inerti e grigi.

Poi la pioggia è iniziata a cadere, e quando siamo arrivati all'Assekrem, io ed il giovane spagnolo ed il conducente cordiale nel suo sordido aspetto, è in'atmosfera inumidita e vaporosa che le sterminate creste, e pinnacoli e guglie, si sono profilati sorgenti da un evaporante incanto, quali forme primigenie ed ancora rapprese di pura energia, straordinariamente omeomorfe alle rocce primordiali dell'immaginario pittorico leonardesco.

E di fronte a quella meraviglia naturale io e lo spagnolo ci siamo inoltrati a discorrere dell'energia e delle sue forme, sulla necessità eventuale di un equilibrio nella coerenza di un ordine, finchè i rilievi intorno si sono intenebrati, e discendere dal rifugio del père Foucauld si è rivelato un inequilibrio continuo sdrucciolevole.

Nell'attesa di partire, ora intanto vegetiamo da più giorni in un bungalow del camping, confinati nella sua vacuità sempre più nauseolenta, per la penuria d'acqua che mi rende sempre più immondo e ritentivo, non potendo nemmeno lavarmi le mani se defeco, nemmeno farmi la barba in assenza di uno specchio se arriva l'acqua.

Via via che sono disceso nel Sud, sono divenute sempre più scarse le possibilità di scelta e di vita, e, come dicevo or ora al giovane spagnolo, mio compagno d'impasse, anche se si finisce per adattarsi a tutto e per desiderare altrimenti l'inaccettabile, il minimarket all'angolo ove ci si tormentava nelle obbligazioni all'acquisto di tutto, ( ove ci tormentava l'obbligazione all'acquisto di tutto), nel via e vai di una  pratica abortiva della luce del giorno, diviene qui il miraggio fatidico di un mal d'Europa di ritorno.

( Che è il sintomo più certo che non ho mai contratto un vero mal d'Africa, e che mi sono immunizzato da ogni tentazione di perdermi. Secondo i richiami alla Bowles, per intenderci.)

    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E l'avventura continua

 

E l'avventura continua, di questo viaggio incredibile e meraviglioso.

Solo ieri mattina ero ancora in Tam, sconfortato di tentare inutilmente la chance di partire in volo, ed ora eccomi già in Ouargla con la carta d'imbarco per Djanet...

Giorni e giorni di stagnazione nel camping nell'impasse sconfortata, ed ora nemmeno nell'arco di una giornata, eccomi proiettato, in due voli di linea, (nella ) in una triangolazione ( di un ) del percorso di oltre duemila chilometri...

Così come io stesso, ieri, ho risolto per una concatenazione fortuita l'impasse del giovane giapponese, già al seguito di quei due meravigliosi giovani francesi sino a Tam, che da giorni oziava nel sordido del camping, senza trovare il modo di proseguire il suo viaggio per la Nigeria.

Al tavolo del caffè all'asperto, in Tam, ove ieri mattina indugiavo scrivendo in solitudine i miei appunti, si è seduto il più magnifico esemplare tuareg dal sorriso smagliante, il quale nel suo smagliante sorriso mi ha detto di essere un camionista diretto in Nigeria quello stesso giorno...

" Fosse qui quel giapponese, " tra me mi sono detto nel rispondergli, incantato non di meno chge dalla sua felina bellezza, dal sortilegio che irretiva in un incastro errato di coincidenze noi viaggiatori solitari...

Quando, ritornato all'Onat, non vi ritrovo di lì a poco il giapponese stesso invano in cerca di un aiuto dell'Ente.

Lo impatto all'istante e lo sospingo a seguirmi fino nella piazzetta del precedente intorno, dove non già al tavolo, già imprecando, ma lì accanto in un gruppo d'uomini ritrovo il camionista, e combino per il giapponese l'esito felice del suo viaggio.

Mentre invece un esemplare avvilente della mortificazione di ogni chance nella stagnazione in Tam, era la professoressa italiana opulenta nei suoi foulards, che ho incontrato all'Onat il secondo giorno, sprofondata nella poltrona tra una sigaretta e un turpiloquio e l'altro, così come nella varietà di escursioni nei dintorni di Tamanrasset, dove da oltre dieci giorni soggiornava irretita nell'acrimonia del suo sconforto che le precludeva cecitandola ogni via d'uscita, inasprendo fino alla virulenza razzistica il suo atteggiamento verso la gente del luogo: " Tutti i voli sono già completi. E chi ti prende su se fai l'autostop? Oh, io non ho certo l'intenzione di partire sul camione locale per in Salah, tra questa gente con il loro fiato addosso ... cazzo..."

 

 

Ancora Djalil

 

E nell'attesa ritardata di partire per Djanet, ripenso con gratitudine e stima infinita a Djalil, che si è rivelato un individuo  straordinario...

Tra una sua attività e l'altra ha trovato anche il modo di assisterci in tutto e per tutto alla partenza, io e lo spagnolo, prima assicurandoci il diritto d'imbarco, e poi verificando il compiersi di ogni operazione di ceeek-in.

La sua mente è di un'apertura integrale.

Dice che gli uomini non tollerano di essere usciti dal ventre di una donna, e che per questo vogliono dominsrle.

Dice che i mozabiti di Ghardaia sono destinati ad aprirsi all'esterno o ad autodistruggersi endogamicamente.

Eì appassionato di ogni forma di cultura.

Sa anche del caffè Liocorno di Praga ove si recava Kafka.

Che il cognome Bekir svela toponomasticamente l'origine iraniana dei mozabiti.

E mi ha chiesto della P2, confessandomi di non riuscire a capire e ad interessarsi della politica italiana.

Gli ho detto di comprenderlo benissimo, perchè la politica italiana è il bizantinismo al suo grado estremo, ma non mi è riuscito di chiarirgli come chi governa vi sia all'opposizione, e il principale alleato il principale nemico di ogni forza partitica, in un gioco di veti incrociati che paralizza il potere politico, e lascia il campo alle forze private e al potere illegale, cosicchè il potere reale non è quasi mai il potere legale.     

Ne parlavamo, come dei differenti modi di vita dei giovani in Europa e in Algeria, durante il pranzo che egli ci ha offerto al ristorante prima di partire.

E quando ci siamo salutati, i suoi occhi verdi erano smaglianti di una luce commossa, della gratitudine del reciproco riconoscimento umano nell'universale che unisce.

Mentr'io e lo spagnolo avevamo ben oltrepassato la iniziale strumentalità  del nostro uso della sua cordialità generosa, ancora prevaricante quando lo avevamo lasciato giovedi sera, a casa sua, mentre egli avrebbe voluto interminabilmente intrattenerci, dicendo che se già ce ne fossimo andati gli avremmo fatto una cattiva impressione.

Addio, caro Djalil, o arrivederci, in Italia o in Algeria ancora, o nella gloria infinita dei cieli, se una beatitudine eterna esiste anche per gli atei.  

 

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