In Algeria


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Miseria algerina

 

In Souk Aras, oggi mi aggiravo già esausto della miseria algerina, ed in Tebessa ora scrivo in una fogna d'albergo, benchè con tanto di viale d'ingresso di pini e ginepri, e sia da duecento dinari per notte, ove sporchi risultano i lenzuoli come le federe e l'asciugamano, il water è incrostato di merda antecedente, lo scroscio della doccia ridotto alla sola tubatura, e in panne è il condizionatore d'aria, cosicché ho dovuto distendere un mio lenzuolo e un cuscino gonfiabile sul materasso, e inutilmente ho steso un velo d'alluminio sul fondo della vasca prima della doccia, dato che non scroscia acqua da nessun rubinetto, nella camera che è la migliore che mi ha offerto il migliore albergo della città...

Mi ci ha guidato il direttore scolastico con il quale ho viaggiato in taxi da Souk Aras, assumendo con lui a un certo punto, come più persuasivo, l'impeto che mi é oramai desueto di un antiamericano, che conviene in queste contrade, che dopo la disfatta dell'orgoglio arabo nella guerra del Golfo non si rassegnano.

Ma che cosa per loro è altrimenti auspicabile che l'occidentalizzazione economica, se il socialismo algerino

ha sortito la mortificazione più desolante, che non dissimulano di certo le avenues e i centri monumentaleggianti, quando ogni magasin serra la gola al solo entrarci per tutto ciò che vi manca.

Lo stesso insegnante con il quale ho viaggiato, mi ha chiesto franchi francesi, al cambio non ufficiale, per poter andare in Tunisia ad acquistare un pezzo di ricambio per la sua auto ventennale...

" E dire che abbiamo coste ed altopiani, gas e metano e fosfati,

ed anche l'alfa della steppa..." si esacerbava scuotendo la testa

" E' la pianificazione che non funziona..."

E in tanto niente materiale, a che cosa potrebbero mai votarsi, che non sia la preghiera, quei giovani di Tebessa, che in un discoclub, a una televisione ancora in bianco e nero captavano i miraggi consumistici di canale " Cinq"?

La videoteca non ostentava al suo interno che i film dei più sanguinolenti giustizieri occidentali,  da Charles Bronson a Silvester Stallone;  e già  nei cinema di Siria, forse in tutto il mondo arabo, sui cartelloni furoreggiavano i soli film di violenza e di arti marziali.

Mi sono allora chiesto se lo stessa idolatria della figura di Saddam Hussein, la cui immagine, come nel Nord Ovest della Tunisia, qui è una reliquia di bar e negozi, in lui non veda (esalti) che il nerbo di un Rambo arabo (alla riscossa).

Tanto fervore di queste genti ora mi esalta ora mi invelenisce; mi esalta quando il vecchio tassista di un aspetto sordido, come è accaduto stasera arrivando a Tebessa, mi fa chiedere se in Europa avessi mai incontrato Dio; mi invelenisce quando l' agente di polizia alla dogana, come quel giovane finanziere tunisino, controllando ogni interno e risvolto del mio zaino, e rinvenuto in italiano il testo del Corano, mi discetta che il suo messaggio di salvezza non può sussistere (consistere) che nella lingua araba; sicché, mentre al primo ho pregato di rispondere che Dio l'ho ritrovato nella legge morale, nella volontà di fare il bene contro la carne ed il proprio interesse, al secondo non ho di certo formulato risposta, ben soddisfatto, purchè cessasse di investigare ogni bustina e tubetto, del mio destino alle fiamme eterne che mi preservava.

Intanto, qui in albergo, l'acqua a mezzanotte ha cominciato a venire (scrosciare), ed il problema è ora il rubinetto che non si chiude.

Mi ha comunque divertito, sotto il getto d'acqua fredda, fare il bagno sulla carta stagnola, e potabilizzare l'acqua con le pillole e il reattivo chimico di riscontro, anche se l'ok della tintura violacea dell'acqua è ancora lungi dal verificarsi.

E sul cuscino gonfiabile ed il mio lenzuolo igienico, così mi ristoro come su una zattera di salvataggio in un mare tifico.

 

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I nuovi Romani

Tebessa, 5 agosto

 

Come possono mai pensare questi genti di uscire dalla miseria, se non in rapporto con l'Impero americano e la sua periferia europea (occidentale)? or ora mi dicevo riguardando in Tebessa i fregi pregevoli della porta di Caracalla, dopo avere visitato le magnifiche rovine della basilica paleocristiana, che costituisce la più splendida ripresa del tempio pagano africano, così come include lo sviluppo dell'atrio in una corte porticata.

E mi ritornava alla mente come al direttore di scuola algerino, in taxi, riprendendo i suoi discorsi in arabo con il tassista sui Romani che qui dominarono, ove sorgevano i regni di Numidia e le antiche Madaura e Tagaste, glieli avessi illustrati con teatrale sarcasmo come "gli antichi americani", vaticinando che (come) le rovine di Roma sparse per queste contrade, non potessero prefigurare nel tempo che la fine inesorabile anche dell'Impereo yankee.

Ma " maintenant", qui volevo concludere,"il ne faut pas (les) sataniser les Americans, comme il a fait Saddam Hussein, il faut s'adapter à leur domination pour s'en avantager", con lui avvalorandomi del mio passato di comunista, e dunque della succube impotenza dell'antiamericanismo di cui ero memore, per cui ora assisto in quest'area del mondo arabo per l'integralismo, alla medesima disfatta del comunismo. Ossia come il farsi realtà sia pure tragica della ragione politica, anche qui in Algeria nei fatti di sangue di giugno di cui tutti tacciono, abbia impossibilitato nuovamente la presa del potere del fondamentalismo.

E la catastrofe di Saddam Hussein, e l'interventismo americano  da lui provocato, che si viene radicando tra le forze arabe alleate, tanto più nella diffusa rassegnazione rabbiosa dei discorsi e dei toni che capto, anche qui viene significando, per il mondo arabo, ciò che più aborre la prostrazione generale (dei più): ciò che per l'Europa occidentale è stato l'esito della seconda guerra mondiale: e così non può più essere che irreversibilmente, se la stessa immaginazione che  esprime l'antagonismo, ricorre a modelli di forza occidentali, e il sogno della miseria della gioventù del Maghreb, come per la gente dell'Est, non è che il nostro consumismo.

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In El Oued

 

Da Tebessa ad El Oued, nel corso del viaggio via Bir el Ater, si assiste progressivamente a come nel tempo sono avvenute la disgregazione e la sommersione del suolo, quando ai declivi già mammelluti della Nementcha, e all'estremo sfacimento dei microcanyons liminali, subentra il terreno ancora compatto del solo regno dell'alfa, finchè i rilievi, e le ondulazioni distanti, si rivelano già le dune del mare del Souf.

Tentando, era già sera, di risalirne un profilo alla sosta per una gomma bucata, gli insulti rivoltimi, di merdoso francese, mi facevano supporre che stessi valicando in quella duna un muro di cinta, fra l'arcuarsi di profili affilati nell'ardore incenso del tramonto.

Tra un tripudio di oasi di palme sommerse, a tarda sera sono così sopraggiunto nell'incanto silenzioso del mercato di El Oued, tra la sua miriade di cupole ora ardenti nella calura meridiana, (mentre) da quattro ore (sono) qui in attesa del taxi per Ouargla, scostandomi con l'ombra dall'uno all'altro muro, come la gente in attesa o senza niente da fare che qui bivacca.

Stamane ho profittato di non avere altro in programma che vagare per El Oued, per inviare infine a Djalil, a Tamanrasset, l'edizione che gli avevo promesso l'estate scorsa, e che avevo acquistato già a settembre, della " Coscienza di Zeno" in lingua francese,e ho poi indagato in un'ulteriore vidediscoteca  quale siano i gusti filmici degli algerini.

Vi ho scorto, quasi esclusivamente,  la vista orripilante dei titoli di film di orrore e di violenza, e con mia non più stupita sorpresa, idoleggiati l'uno accanto all'altro Silvester Stallone e Saddam Hussein, più di tutti grandeggiante, tra dei titoli che esaltavano la " preuve de force" e "le rétour de l'héros", o come si diventi eroi imparando ad uccidere, un poster di * Schwarzenegger, esibentesi in tutta la sua muscolarità, contro la forza negativa del pensiero.

Con la sola eccezione intelligente di "Y love You" di Marco Ferreri, il cinema italiano non vi era presente che con "Culo e camicia" e con "Miranda", ossia in tutta la muscolatura  di Bud Spencer, in coppia con T. Hill, e nella pornografia ginecologica di Tinto Brass, le pornovideocassette d'importazione costituendo ancora la sola possibilità, qui in Algeria, di vedere così rappresentata la sessualità, come mi diceva poc anzi il bellissimo giovane dagli splendidi occhi, da ore attardato qui al muro a partecipare a che accade.

" Gli algerini vogliono solo dormire..." mi ha sorriso in risposta, quando, nell'allacciare discorso, gli ho raccontato ridendone come ogni volta io abbia chiesto a un algerino se c'era un taxi o un autobus in partenza per la mia destinazione, l'immancabile risposta sia stata sempre di questo tenore:

"No, domani. E perchè volete già partire? Voi vi cercate una camera in albergo, vi riposate, mangiate, e poi domani partirete presto... "

Peccato che di li a poco, quando mi sono spazientito di non vedere ancora venire un taxi per Ouargla, lui stesso mi abbia ripreso la medesima solfa...

Con lui ho  ironizzato anche sul fatto che in Algeria, e non solo in Algeria viaggiando nei paesi arabi, si debba prestare fede piuttosto al contrario di ciò che ti si dice, sulle possibilità che ti si presentano di partire, perchè è la volta buona che parti di li a poco con un taxi fino a destinazione, quando ti dicono che non ve ne sono o che devi attendere l'indomani, e devi stare in aspettativa almeno qualche ora, quando ti si assicura che è questione di pochi minuti.

Ho tentato quindi di chiedergli della decapitazione del FIS.

Lui mi ha risposto che la politica è un affare di quelli delle città del Nord, che qui siamo nel Sud, che ne é isolato.

E più nient'altro.

Intanto medito di separare i miei destini, da quelli dei due soli turisti stranieri che finora ho incontrato in Algeria: la coppia di un giovane uomo e una ragazza di Monaco, diretti anch'essi a Ouargla, ai quali ho proposto di seguitare insieme in aereo per Djanet, per costituire una comitiva e potere così compiere una escursione guidata nei siti delle pitture rupestri.

" Peut etre", ne è stata la vaga disponibilità concessami. Troppo poco, dopo l'irrepitibile scacco dell'anno scorso.In Djanet non torno che se ho l'assicurazione assoluta di potere vedere graffiti e rilievi.

Ancora non sanno se non resisteranno al caldo o se andranno fino nel Mali! Auff! Meglio mollarli, per tempo, benchè per me simpatizzino in tutta evidenza! " Ce n'est pas pour vous", lui mi ha detto, che vagheggiano e sono restii.

Certo la mia acquisita esperienza mi fa essere più risolutivo e insenziente, come ieri pomeriggio a Tebessa, quando a vari sfottii alla stazione dei taxi, mi sono estraneato in una tale concentrazione aliena nel mio sforzo sotto lo zaino, che uno di loro ha avuto a cuore di soccorrermi come fossi un extraterrestre sgomento: "Monsieur, nous sommes des hommes comme vous..."

Una cordialità che è bene io non dimentichi, quando di loro non tenda(erò) più a considerare che lo sporco.    

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Il giovane di Ben Isguen

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"Encense contre les ésprits", indicava la targa del piccolo barile tra gli altri di droghe, di noix de galle, di coriandre, di tyme, di camomille, di globulaire e di clorophille,in bella evidenza  nel negozio di erboristeria nei pressi del mercato di Gardhaia.

Il mercante arguto e scarno, fattosi sull'uscio, è venuto sorridendo argutamente, alla mia miscredenza nei poteri dell'incenso contro i djinn malefici, soggiungendo che ci sono degli uomini che già di per sé sono dei cattivi spiriti. 

Io ne profittavo dell'affabilità, per chiedergli qualcosa di più immediato sulla attualità algerina.

Con conforto e con sollievo, l'agiato mercante mi ha parlato di un'evoluzione che continua il suo corso, celebrando  l'ouverture et la dialogue, con spirito universalistico consensuale.

Poi all'angolo meridionale della piazza del mercato,  era il giovane slanciato di Beni Isguen, che mi si accostava ed entrava in contatto, dialogando e facendomi compagnia sino a pomeriggio inoltrato, allorché dalla frescura della sua dimora interminata nel palmeto, mi riconduceva all'inizio di Ghardaia.

Slimane, così si chiama, mi ha insegnato, ancora non l'avessi inteso, che l'islamico più intransigente non è per questo il più intollerante.

Cittadino mozabita e dunque berbero di Beni Isguen, che si riconosce finanche nell'imposizione alla donna di disvelarsi un occhio soltanto, è stato ad ascoltarmi più che a rispondermi con generosità ridente per tutto il tempo, attento a ogni mia ragione occidentale che senza reticenze gli comunicavo.

E' nei confronti degli arabi, piuttosto, che ha manifestato un vivo odio razziale, allorchè, pur ammettendoli, ha condannato i matrimoni misti tra mozabiti ed arabi, insistendo come gli arabi profittino delle loro mogli, per divorziare appena le hanno del tutto spremute, e le donne arabe rigettino i loro mariti da vecchi, quando non sono più buoni a fare i soldi.

Era in lui ancor vivo il ricordo di quando cinque anni fa, gli arabi che nella piana della pentapoli hanno sconfinato sino alle soglie di Beni Isguen, assalirono case e negozi e torturarono un vecchio per una questione di terreni.

" Noi abbiamo una tradizione religiosa più antica della loro, e il FIS non è sorto che da qualche anno....- mi ha detto nell'illustrarmi le ragioni per le quali ne respinge l'integralismo- " si deve proporre, non imporre..."

Sulla guerra del Golfo, ha assunto le distanza da entrambi i contendenti, cui si è atteggiata la generalità delle popolazioni berbere:

"Noi siamo per la pace, non siamo stati né per Bush, né per Saddam", " entrambi hanno fatto la guerra solo per il petrolio".

E quando chi ho chiesto delle vicende di politica interna, mi ha ribadito che si ha timore a parlarne per paura della polizia.

Come accade ogni volta che ripropongo a un mussulmano la differenza, secondo le parole di Galileo, tra il Libro della Natura e il Libro della Scrittura, tra le verità morali di fede dei Sacri Testi e le verità naturali dell'osservazione scientifica, si è tacitato nell'ascolto come se gli parlassi nella dimensione mentale di un altro universo.

E quando, nel Cafe-Restaurant, si è appellato al Corano per l'obbligo del velo alle donne, gli ho replicato richiamandomi alla distinzione, nelle esegesi cristiane, tra verità eterne ispirate e storicità di usi e costumi nei dettami biblici.

Mi ha allora obiettato che la donna senza veli può indurre e cadere a sua volta in tentazione uscendo di casa; ed io, che mi attendevo immancabilmente tale giustificazione "araba" della gelosia virile, gli ho insinuato  quale mancanza di fede dell'uomo nella sua sposa, e quale limite  oscuro del suo amore, attestasse il timore che lei manchi appena esca esponendo le sue fattezze.

Così forse avrò conseguito, almeno, se non di seminare in lui l'insostenibile fecondità del dubbio, di intenerire l'ammirevole scorza ora del mio giovane corrispondente da Beni Isguen.  

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In Timimoun

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Sono da due giorni a Timimoun, senza più che residui di energia , giuntovi stremato alle fascinose soglie dell'Erg occidentale, a profilarsi oltre la depressione della sebka e il folto delle palme, nell'inarcuarsi all'infinito delle dune fulgide.

E nell'acqua che bevo e mi scroscia dalla doccia dell'albergo, cerco in stanza di seguitare un ristoro ch'é di lieve sollievo.

Ieri sera, in testa a una comitiva di suoi connazionali ancora in sesto, ho reincontrato lo spagnolo che l'anno scorso, in Djanet, conduceva quel gruppuscolo di spagnoli allo sbando, la cui abulia ha frustrato le ultime mie speranze di vedervi in comitiva le pitture rupestri.

E' grazie alla sua intercessione che ho consumato una cena di ottimo cuscous,( e) melone e vino, sulla terrazza di un venditore di prodotti di artigianato locale, che ci ha offerto comunque la più squisita ospitalità.

Grazie al mio fare timido e goffo, per il quale mi sono fatto costantemente pregare (costantemente invitare) a mangiare di tutto, ho potuto occultare loro la mia avidità rabbiosa, esasperata dalla lunga attesa e maleincrociato al suolo,  nell'osservanza del turno, - ognuno con il proprio cucchiaio nello stesso couscous.

Tanta incontinenza era tuttavia stimolata più dal timore della debilitazione fisica che poteva ingenerare la mia inappetenza, che dall'ingordigia di un'avida fame.

(E' stato poi per) Solo il puro dovere dell'ospitalità, mi ha poi costretto lungamente a intrattenermi sull'Islam con il fratello del venditore, - il cui ardore di fede non era che l'ipostasi della sua bestialità maschile.

" La donna è un terreno da seminare, ora buono, ora cattivo...", mi diceva impregnando di suo la Sura della vacca,( al passo che afferma " le vostre donne sono come un campo per voi, ...), cosi da santificare della donna l'inseminazione senza ritegno prolifico o riguardo di sorta.

A un identico fuoco, l'Ultimo Giorno,  con le nostre coppie ritentive nel coito, veniva poi destinando la sterilità celibataria a lui sospetta del suo stesso ospite. Con identico  sprezzo, rigettando la legislazione (occidentale) che affida la prole alla donna in caso di divorzio.

L'umore cordiale, nella fisicità del disdegno, così sempre più mal ne ratteneva gli estri (affilati), balenanti nello sguardo, di un odio nemico di chiunque non è a suo modo arabo e islamico,  di quant' era la virulenza (taurina del razzismo religioso) religiosa che trasudava,(taurinamente protervo), come allorchè, al pari di quel mio commensale tunisino nel corso della festa araba, mi ha esaltato l'integrità eugenetica della razza araba, che l'osservanza delle norme islamiche salvaguarda dalla nostra degenerazione;  l'animalità della sua esaltazione fanatica così sublimando il Corano, nella sua parola divina, a preservativo da Aids e da pédés, dalla sterilità di coppia e dalle malattie veneree più sconosciute al mondo arabo....

Forse il risvolto per me più amaro del suo discorrere, è che in lui, con la mia disposizione al dialogo nel corso del viaggio, mi ero condannato all'ascolto della (di una) mentalità generale, dell'(che è l')opinione reale di ciò che è popolo e massa a ogni latitudine e longitudine, di un verbo che è lo stesso pregiudizio di ogni nostra Chiesa, dell'orrore da cui, anche in Occidente, sono solo libero di segregarmi in solitudine.

A deturpamento ulteriore della felicità del mio viaggio, mi è venuto accompagnando fino all'hotel, seguitando - ludibrio della sorte-, a enfatizzare il dialogo fra le culture, benché, è beninteso, non seguitasse per lui ad essere vero che quanto faceva dire al Corano.

Ed io per contentarne la celebrazione interminabile del Libro, ne ho magnificato (rammemorato) il passo ove è scritto che da Allah non viene che il bene, mentre ogni male viene da noi stessi.

Era la mia cortesia di riguardo, e una inutile lezione, da lui nel congedarmi con infinito sollievo.

Forse anche un richiamo, volto a me stesso, che il suo orrore non era che un demone della mia impotenza.  

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Nel territorio di Gourara

 

Che magnifica giornata, ieri, nel territorio di Gourara!

L'assenza la sera di un autobus per Beni Abbes, mi ha consentito di inoltrarmici con maggiore libertà di tempo, a dispetto del vento levatosi nella mattinata, che mi essicava la gola di arsura e di sabbia.

In autostop, su un camioncino rovente ho raggiunto Ighzer che non era ancora mezzogiorno, svigorito e fascinato, alle sue soglie, del silenzio del villaggio sotto le rovine dello Ksour,

La fortificazione, rosseggiante, era  dello stesso pietrame dei picchi e delle falesie, tra la sabbia ocra fulgida lungo i declivi, sicchè gli spezzoni rocciosi vi seguitavano indiscernibili nelle muraglie diroccate; sottostanti, nel fondovalle, sotto le falesie dirupate nelle stesse accensioni( di toni) roventi, delle oasi di palme (verdeggiando) al limitare della depressione incombente ( della sebka).    

Ma inoltrandomi verso il villaggio, mentre sentivo già le forze mancarmi, prima sparuti bambini, poi un'intera turba di piccoli questuanti veniva animandolo incontro, con le vocianti richieste di " stylo", di "bonbons" e di "un dinar".

La petulanza dei piccoli era (è seguitata) incessante, mentre il respiro mi diveniva sempre più affannoso, ho seguitato ciononostante a procedere, dopo essermi riposato (avere cercato breve riposo) al limitare del pronto soccorso, ed una breve sosta, per un pò di refrigerio, nelle latebre della grotta all'inizio dell'abitato, ove degli uomini del villaggio riposavano supini, o s'aggiravano entrando ed uscendo dall'ombra del fondo.

Ma nel seguitare verso una duna oltre il villaggio, mi sono ritrovato i bambini ancora alle calcagna, senza che dessero segni di desistere o recedere.

Ho ghermito e sollevato allora in alto il più insistente, e con piglio l'ho scosso più volte, riproponendomi così (nell' auspicio così) di impaurirli e di disperderli tutti.

Al rientro fra le case, loro fuggiti (scappati), non potevo che accettare, mancandomi lo stesso respiro, a un angolo l'invito di un uomo a sostare presso di lui, per cibarmi almeno di acqua e di datteri.

Egli mi faceva così entrare in una camera adiacente la sua casa, e riservata agli ospiti, dove sotto l'aliare delle pale di un ventilatore, agganciato ad un soffitto di legno e di fasci di palme, potevo ristorarmi della calura su cuscini e tappeti.

E l'acqua portami in una brocca metallica, sorbita a piccoli sorsi, mi restituiva a poco a poco l'energia, unitamente  ai datteri granulosi di sabbia dentro il vassoio, accanto alla ciotola per i nespoli che venivo risputando.

Recuperate così le risorse per alimentarmi più ancora, con l'uomo potevo spartire anche un saporito couscous, e gustare deliziato il suo te alla menta, ristorato e reintegrato appieno nelle mie forze.

Con l'uomo, che lungo le antiche rotte di scambio con il Marocco commerciava di Elettronica, quindi concludevo quanto gli occorreva concludere, e riempita di nuovo d'acqua la bottiglia

termica, era in uno stato esaltante di leggerezza fisica, che nella calura cocente seguitavo il percorso nel fondovalle,

sotto le falesie al diradarsi delle ultime palme, mentre il profilarsi dei rilevi che intendevo raggiungere, appariva più lontano via via che avanzavo lungo l'asfalto, solo nel deserto con la ritrovata energia, e già l'acqua da graduare nel bere, i punti di riferimento, di ombre e di ksar, sempre più distanti dietro i miei passi.

Un'ora, due ore di marcia ad un passo spedito, sospinto da un'euforia che si veniva trasmutando in ( si intrinsecava di) vaga apprensione, al dubbio (o timore) che l'energia d'un tratto venisse a mancarmi senza soccorso, nel silenzio del vento tra ciotoli e sabbia,

Intanto cessavano gli ultimi cespugli dopo le ultime palme, sotto la sferza del sole accecante nella vastità deserta, ( seguitando) lungo rettilinei che si facevano interminabili nel loro svolgersi, finché, iniziata l'ascesa, la profondità delle distanze si raccorciava, e il valico tra i rilievi dirupati era (traguardato) raggiunto.

A dire il vero è stata un'avventura reale e insieme simulata, perché ero pur sempre solo lungo un percorso, ed un autostop, ad un furgone infine di passaggio, mi riconduceva in un'ora a Timimoun.

Vi avevo appena messo piede che già mi succedeva (riaccadeva), rilassatasi la tensione, di sentirmi prostrato anche al solo ripercorrerne tutta la piazza.

Ho dovuto così nuovamente forzarmi per raggiungere l'hotel, dove ho sostato ancora  a lungo per reintegrarmi, prima di accingermi all'autostop per Beni Assen in mancanza dell'autobus.

Non era forse meglio, mi ripetevo intanto, sostare ancora un giorno nel miglior hotel del Sahara algerino, visto che non scarseggiavo nè di tempo né di dinari ?

E partire piuttosto con l'autobus dell'indomani per Bechar?

A risolvermi in tal senso senza più esitazioni, era il ritrovare nel traffico, della piazza al tramonto, la coppia di Monaco che avevo lasciato a Ouargla, con i quali la compagnia era immediatamente ristabilita.

Se ora penso a come ho lasciato perdere le tracce dello spagnolo e della sua troupe, e la chance, da loro offertami, di raggiungere agevolmente Tamanrasset e il transito per il Niger, come mi appare vero, nel ritrovarsi e nel perdersi, che si danno addii e reincontri che non sono stati mai tali, poiché tutto congiura a sventare che ci sia per sempre perduti (gli uni per gli altri), o a vanificare la chance, una per infinitamente infinite di verso contrario, che nello stesso momento ci fa ritrovare nello stesso punto del Sahara e del mondo. 

Con la coppia di tedeschi, festeggiatici, ho quindi trascorso l'intera serata, cenando dapprima frugalmente al Restaurant dès amis- del resto non v'era che una sola pietanza-, ove due negri camionisti costituivano l'occasione ambigua che lasciavo perdere, di avventurarmi con loro sino a Niamey.

Solo poco prima di venire a sapere della loro destinazione, eppure a malo modo avevo redarguito uno dei due, il più tentante, per avere bevuto a collo dalla bottiglia che gli avevo porto, pregandolo di( attingerne l'acqua) servirsene con un bicchiere.

Il tedesco ne era rimasto stranito, se non sconcertato.

Gli ho allora propalato la mia ideologia a riguardo, che solidarizzare con gli africani per me non significa

bere nello stesso bicchiere, che l'integrazione culturale non significa diventare partecipi dei loro virus...

e gli ho  esposto le norme  a cui mi attengo, accettando i loro criteri igienici quando le circostanze mi inducono a bere da un loro contenitore, richiedendo il rispetto delle mie norme quando sono io invece a offrire dell'acqua, su loro richiesta, sempre che non sia possibile velarne la pratica, che può risultare offensiva, ricorrendo a qualche espediente, come l'offrire da bere nella propria tazza, riservandomi di bere a collo dalla   mia borraccia termica.

Quindi li ho invitati a seguirmi in albergo, dove  riprendevo alloggio, e dove dalla terrazza hanno potuto assistere a un magnifico tramonto (sull'Erg).

Pur se ero poi io ad offrire loro un drink alla buvette, mi era

bastato quanto mi avevano più che alluso sul quartiere di Monaco dove risiedevano, per non lasciarmi trarre in inganno dalle loro apparenze, che se pur viaggiavo con uno zaino più attrezzato ed ingente del loro, ed alloggiavo in un buon hotel in luogo del loro miserevole, ove tutto era surriscaldato e l'acqua mancava , ero io, dei tre, chi impersonava il salariato povero che ha bisogno di fare un poco il ricco almeno nel Maghreb, nel concedersi gli agi che non può consentirsi nel paese d'origine, mentre loro due erano chi, benestante d'origine, vuole sperimentare la povertà per il solo corso della durata (dell'avventura) di un viaggio.

Per questo mio ostinarmi in un agevole percorso pur con i mezzi locali, definivo loro una piccola avventura questo mio viaggio, di cui ho tratto l' itinerario da una continua polemica con me stesso, ad ogni mio accanirmi di nuovo in inutili stenti, la cui memoria, come a seguito dei disagi in cui mi sono ostinato negli altri tours, ha poi angosciato e inibito ogni partenza ulteriore, il ritentare l'esperienza del viaggio per analoghe contrade.

( nel ritentare l'esperienza terrificante di analoghe contrade)

Ad animarmi in tal senso è pure il dissidio succube con quanti, ch'io conosco, anziché l'esaltazione e le vicissitudini dell'Africa e del deserto, il contatto con l'arabo di un'altra cultura e con ogni miseria materiale, preferiscono piuttosto, fra teste coronate di identici privilegi e superiorità indiscutibili, riecheggiando i pregiudizi e le menzogne che più convengono,   ritrovarsi nella benestante frescura di verdeggianti Islande, o nella confortevole quiete di Canada boscosi,immersivi e immedesimati l'un nell'altro dallo stesso bla bla.

Magari persuasi perché sono giovani, o tra i giovani, di ritrovarsi in un universo più avanzato e libero...

S'io ora invece cercassi la vera avventura, il rischio reale, dicevo ai miei due interlocutori, dovrei orientarmi verso In Salah ed il Niger, anziché già risalire a Beni Abbes, lungo l'itinerario d'oasi più turisticheggiante, poiché il deserto e il Sahara hanno inizio dove incomincia l'eventualità di non fare più ritorno, e la partita è davvero fra la vita e la morte.

Invece il senso del mio ripercorrere il Maghreb, è di confortarmi che l'esperienza acquisita può consentirmi di rivisitarlo senza reali traumi, di sostenerne la miseria senza patirla; talmente ho interiorizzato angosce e ripulse del mio mondo ch'eppure disdegno.

E il periplo della mia rotta non può più volgere il corso.          

Cosi, ieri sera, ai miei due compagni di viaggio ritrovati,( momentanei), non mi restava che distillare il senso della mia esperienza del deserto: come occorra sempre graduare le mete alle forze del momento, e ridursi a fare solo lo sforzo sino al prossimo ksour, e lì arrestarsi, se le risorse fisiche non consentono di procedere oltre, attendendo che si ricostituiscano, senza sconfortarsi se ci si sente allo stremo; ed allora soltanto sospingersi (assai) oltre (più  lontano), cercando pur sempre punti certi di riferimento, per quando calino ( scemino) eventualmente le forze; comunque, alimentarsi anche se l'appetito manca, poiché poi, quando la fame si manifesta, si può essere troppo deboli per riuscire a cibarsi; ed in tal caso, nutrirsi a poco a poco, poichè può essere l'acqua o la sola frutta che si pasteggia, che assicura le energie che consentono poi di alimentarsi anche di carni.

Ma tanto più se si è spossati, sentenziavo, é bene solo sfamarsi; poichè le risorse che servono per assimilare un pasto eccessivo, sono quelle stesse che necessitano e che così vengono a mancare, per tollerare l'arsura e la disidratazione ('essicazione); e in tale evenienza ( in tal caso ) ci si può ritrovare con la digestione impedita (inibita) ( interminata) e prostrati dal clima.

Hum, che bla bla astenico venivo quintessenziando... E lui, come insisteva fastidiosamente a sdebitarsi...rifacendosi con l'offrirmi soda ed ice cream in continuazione. Ad un altro gelato sempre e solo alla crema, io poi che vaniloquiavo mai, sulla penuria algerina e sulla varietà dei gusti in Italia...

Meglio è finirla, quando più si chiacchiera più si istupidisce.

Ci siamo così salutati di lì a poco, ripromettendoci di reincontrarci presto a Monaco, con la sola mia clausola che non sia ( di non rivederci) per l'Oktoberfest. Falsissima pregiudiziale...

Oggi non so se li ritroverò in paese, quando ritornerò al ristorante prima della partenza per Beni Abbes. " Peut etre" come dei due lui particolarmente ripete nel suo stentato francese.

Intanto, prima di ridiscendere nella palmeraie, ad individuarvi meglio gli impianti idraulici delle antiche foggaras, voglio rimirare ancora la splendida vista, dalla terrazza, delle dune dell'Erg fulvide di luce, oltre falesie e palmizi e la vastità della steppa, in un lambirsi dei limiti incantato, ove quant'è l'Africa tropicale pare sospesa (riassumersi) (condensa) (riassunta).

Agli estremi contrafforti di un rampa verso il cielo infinito.       

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Zenagui

 

Ero intento a risalire la grande duna, quando lui è sopraggiunto con gli altri due giovani negri lungo la lamina che ne percorrevo.

A Beni Abbes ero arrivato ieri notte, l'Hotel a secco d'acqua.

Così ho rimediato( mi sono nettato come ho potuto) con le salviette, trovando il sonno nonostante l'accaldamento ancora in corpo, grazie alla ventilazione a ridosso  del climatizzatore.

Di tardo mattino, dopo avere oziato senza ritrovare il bandolo della cittadina, mi ero appena accinto (quindi) a risalire la duna.

Giunto sulla sommità, mi si è slargata la vista di un mare purissimo di sabbia, ove dune serpentinanti profilavano i flutti raffermi, di un'ocra che s'arrosava e si trasfondeva d'azzurro al limitare infinito.

Come ho offerto loro la mia acqua, i tre giovani mi hanno spartito a loro volta il melone che recavano involtato, dopo di che, scattata con la polaroid una foto che ho promesso a loro di inviare, con me è rimasto il solo Zenagui,  penando a guardarlo mentre mi parlava, per l'occhio senza più la pupilla che aveva perduto.

Iniziavano su quella duna le sue cortesie nei miei riguardi, in cui trasfondeva tale gentilezza sensibile, che l'interesse che vi trapelava non mi infastidiva.

Io volevo rimanere a Beni Abbes a rimirare le dune al tramonto,

e non mi allettava affatto di ritornare nel grande albergo desolante, niente mi faceva ostacolo ( mi impediva), pertanto, a che mi mostrassi disponibile alla sua offerta di ospitalità, anche se vi ho accondisceso con cautela, e gradualmente.

Così, a poco a poco, sono entrato nel giro confidenziale della sua esistenza, valicate le soglie della sua abitazione.

Nella afosa stanza degli ospiti ove mi ha invitato a distendermi,

congedatesi le donne, hanno seguitato a sostare( a stazionare) le sue sorelline e i fratellini più piccoli, le femminucce intente con lo sguardo alla mia seminudità essudata, mentre il giovinetto da una scatola di cartone, insieme a una carta geografica, mi estraeva le cartoline e le fotografie inviategli dagli altri turisti europei che aveva avvicinato e ospitato, di Tarbes, di Pau, di Nancy, di Roma e d' Ischia e di una cittadina di Germania.

Me ne lasciava leggere le varie missive, le esortazioni della signora francese che lo invitava a votare democraticamente nelle prossime elezioni, i cari saluti " en souhaitant de se revoir" della Madame di Nancy, che gli annunciava di avere fatto con il marito un felice rientro,e gli chiedeva se gli fossero piaciute le fotografie scattate sulle dune in sua compagnia, che gli aveva inviato allegate alla lettera .

Tra le altre sue immagini di com'era alcuni anni prima di perdere l'occhio, gracile di una sua acerba bellezza adolescente, mi serrava la gola, in quelle fotografie, vederlo insieme alla giovane francese con degli occhiali scuri che adesso non portava, mentre nel bere l'acqua alla stessa brocca e nel portarmi le mani agli occhi quando vi colava il sudore, mi allertava che potesse avere cagionato la sua perdita dell'occhio una malattia infettiva.

Lo guardavo pertanto così fissamente nel globo (nell'occhio) lattiginoso, che non ha potuto non riferirvisi, dicendomi che era stato un incidente: quando salendo su una palma, aveva provocato un insetto che glielo aveva punto.

Io ho insistito sui suoi termini perché mi ripetesse più volte che era stato proprio un incidente, allorché egli si è alzato e (controluce) mi ha mostrato alla finestra degli occhiali con lenti fotocromatiche (a gradazione solare), che gli aveva regalato il marito della ( di quella) giovane signora francese, ma che non poteva più portare perché si era fracassata una lente.

Ho capito da questo, e dal suo riferirsi a un modello con le stanghe larghe diffuso in Algeria, che desiderava che dall'Italia

gliene inviassi un paio, ma con le lenti più scure per mascherare la sua infermità oculare.

Benché il suo racconto non mi tornasse-  gli occhiali che aveva in quelle fotografie con la signora francese non mi apparivano gli stessi di cui era fracassata una lente-, gli ho assicurato e mi sono ripromesso di inviarglieli al rientro, con una tale fervore di slancio che lo ha indotto a chiedermi se non potessi mandargli anche gli auricolari per l'ascolto di una walk-radio, al che ugualmente ho assentito.

Poi, dispiegatala, sulla sua carta geografica dell'Europa ho cerchiato tutte le località di coloro che gli avevano spedito cartoline, cercando invano, tuttavia, la località del turista tedesco che in quella stessa scatola gli aveva inviato delle magliette.

Gli ho quindi regalato 20 franchi francesi, e alla sua richiesta di un cambio non ufficiale, che non mi occorreva, l'ho assicurato che preferivo inviargliene piuttosto altri cento gratuitamente dall'Italia.

Più che per la sua attenzione e le sue cure,nel rifornirmi di  cuscini o di asciugamani come gli apparivo affaticato e sudante, o di tè e d'acqua, e di couscous, come davo segni di avere fame o ancora sete, mi toccava per la partecipazione alla sua vita che mi largiva, nonostante l'(il suo) agire schiettamente interessato, anche se certi suoi atti mi stridevano (erano sgraditi), il modo, ad esempio, in cui si era disfatto dei due "noirs" con lui sulle dune, e ai quali avevo ugualmente promesso di inviare copia di quella foto,  dicendomi che non era il caso perchè erano poco "règlès"; così come mi aveva male impressionato il vedere il retro scrostato di certe cartoline che aveva ricevuto da stranieri, o gli indirizzi ordinati in un album in evidenza contabile.

Ma egli era lo stesso (Zenagui), che di lì a poco, si precipitava a prendere e a farmi vedere i suoi libri  di Scienze Naturali, e che al mio vivo interessamento al suo libro di studio della Lingua francese, per il suo orientamento che ne concretava l'insegnamento all'interno degli effettivi atti linguistici e delle effettive situazioni comunicative, me ne faceva subito dono, e che poi inviava una sorellina a recargli varie Rose di sabbia, perchè scegliessi le più belle.

Poi di nuovo usciva di stanza e ritornava con il suo zufolo per esibirsi, e tentava di coinvolgermi invano nelle sue mosse di Karatè. 

Era oramai scontato che sarei rimasto la sera, quindi é uscito al mio seguito nell'accompagnarmi a ritirare il mio zaino in hotel, e dopo avermi riaccompagnato a depositarlo a casa sua, mi ha ricondotto e si è attardato con me sulle dune, attendendomi nel campo di gioco sottostante per due ore.

Ma nel frattempo egli era stato lo stesso Zenagui, che chiedendendomela solo per mettersela indosso invece della pesante djellaba, si era regalato da solo una mia maglietta, la più dismessa che gli ho allungato, all'atto presagendone il seguito.

E' stato quel suo "mercì" d'imperio che ha rotto l'incanto, rovinando  superstite del suo affarismo insistito, la sua gentilezza che mi aveva aperto il suo mondo di vita.

Ho reagito ritraendomi in un egoismo sempre più sordido, sospettoso ed ingeneroso verso di lui e la sua intera famiglia, nonostante la sollecitudine prestatami con assiduo riguardo, nelle loro cure sovraintese dalla madre, di passaggio  nell'andito, che (retrostante ) così ispirava il figlio (lo ispirava) a prestarmi in sua vece.

Pertanto rimanevo volentieri da solo sulla duna, mentre il tramonto tramutava in toni d'incendio, sempre più accesi, la monocromia ocra dell'erg di un fulvo colore (marrone), eppure tra l'insistito disturbo di alcune bambine, che divertite delle mie vane minacce a intimorirle, ritornavano a risalire la china e a elemosinare bombons, in toni stizziti che venivano incattivendo solo per gioco, insistendo in certe loro provocazioni impertinenti, di cui comprendevo soltanto che mi chiedevano se non fossi anch'io per caso un Mister Bush, un tipo della sua cricca o della sua risma; finché Zenagui non è ritornato con il fratellino più piccolo a disperderle lontano, mentre le dune circostanti, incantevoli, divenivano l'arrampicatoio e lo scivolo di piccoli e infanti, in un loro saliscendi per le ascese "pénibles" di cui parla la guida.

Il mio tono si era così raffreddato, sbrigativo e scostante, che Zenagui non poteva non avere inteso che era avvenuto un distacco, eppure anche sul terrazzo ha seguitato le sue richieste oltremisura, chiedendomi senz'esito che gli mostrassi le lire italiane, poi dovendosi indispettire, in arabo, quando gli ho replicato che non avevo compreso che mi dicesse, quando mi ha domandato se i franchi che intendevo inviargli dall'Italia non fossero duecento, anzichè i cento che gli avevo assicurato, finchè, dopo che svagato avevo lasciato cadere nel niente la sua domanda di uscire nel centro, ( " Si vous voulez, moi je n'en ai pas envie..."), al suo pressarmi ulteriore perchè gli dessi i pochi dinàrs per le sigarette, come uno dei tanti mocciosetti che chiedono un bombon o un stylo, ho tagliato corto di netto, precisandogli che a tal punto forse mi conveniva tornare in albergo.

Allora ha capito fino in fondo che aveva ecceduto, e di nuovo mi ha solo chiesto sommessamente:" Je vous ai degouté?".

Al che é seguito nel silenzio la consumazione del pasto sulla terrazza.

Siamo scesi di lì a poco a dormire di fuori sulla sabbia- il caldo all'interno era soffocante-, scegliendo un piccolo slargo oltre la strada, non senza che il fratello maggiore, sopraggiunto mentr'io cercavo nel sudore che mi disfaceva di attivare l'alarm clock di un mio orologio al quarzo, per non risvegliarmi in ritardo alla partenza l'indomani alle cinque per Taghit, non mi chiedesse a sua volta se non intendevo concludere per quell'orologio un affare.

Zenagui, intanto, che non osava più chiedermi alcunché, si limitava a sacrificarsi sollecito a ogni mia ulteriore esigenza, come allorché si è adattato appresso ( d'accanto) a un giaciglio sassoso in pendenza per non scomodarmi.

Questa mattina si é alzato a sua volta alle quattro per accompagnarmi all'autobus, mi ha riempito di nuovo d'acqua fresca la bottiglia termica, e ha insistito per caricarsi in spalla il mio zaino più piccolo fino alla stazione, dove ha atteso che mi fossi bene accomodato, per salutarmi gentile e furtivo.

Poi un viaggio di tre ore, con a cavalcioni di un mio ginocchio un marmocchietto, per cederne il posto a un vecchio d'accanto con il suo bastone, finché mi sono ritrovato nell'oasi magnifica di Taghit,  tra dune così alte che sembra di esservi in una stazione innevata tra i monti.  

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Taghit

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Basta che le dune si sovrergano all'orizzonte, perchè il mare d'onde si commuti nei più puri rilievi incandescenti di luce.

Ed eccole che si sottendono in interminabili clivi e valloni morbidamente sinuosi, in vallecole d'ombra e di luce, ove s'acquetano i fulgori ocra monotonali, all'unisono con il variare infinito di sole forme di anse ricurve.  

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L'intelligenza araba

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Taghit 15/16 agosto 91

 

La paura della polizia, dopo le repressioni di giugno, nell'attuale congiuntura inibisce agli algerini di parlare di politica.

" Fra,un anno, forse", il giovane negro addetto alla réception, nell'hotel di Taghit, mi ha detto di potere riparlarne.

E il timore della polizia era presente nelle stesse parole del giovane Slimane e del giovinetto Zenagui.

Ma ciò che anche se il suo tono era sommesso, è apparso esaltare le parole e lo sguardo del commesso dell'hotel di Taghit, irresistibilmente è stato anche il solo alludere a Saddam Hussein.

Se é trascorso il momento della sua proclamazione sulle piazze, per questo non appartiene egli al passato, mi ha precisato, dove nella coscienza occidentale il vincitore già ha relegato il vinto.

Così come gli oltre centomila morti irakeni già sono stati insabbiati nel deserto.

" Saddam non è forse intelligente?" mi ha chiesto l'altro ieri lo stesso Zenagui, mostrandomi sul testo di Francese la bandierina dell'Irak che vi aveva disegnato a scuola, benchè la sua gentilezza sia aliena da ogni fervore esaltato, secondo una domanda che è una sorta di ritornello maghrebino,e analoga a quella che mi aveva posto lo studente tunisino di diritto islamico durante la festa araba, rivolgendomi l'interrogativo chi fossero gli arabi che stimavo più intelligenti.

Per un neofita di Sadi e della sua poetante saggezza islamica qual'io sono, è desolante il travisamento dell'intelligenza umana riposto in quell'interrogativo.  

Ogni volta ch'io ho chiesto al mio interlocutore perchè considerasse Saddam così intelligente, ne è stata unanime la risposta"Perchè ha osato sfidare il mondo intero".

Ho avuto ogni volta buon gioco, solo argomentativamente, controreplicando che invadendo il Kuwait e provocando la coalizione mondiale di ogni suo nemico, in realtà egli ha osato sfidare ogni legge dell'intelligenza politica.

In effetti mi ripugna, aspramente, che un rais che della sua gente ha fatto un popolo di morti, che ha garantito la vittoria di ogni suo nemico, che non sia il suo popolo superstite, che con le sue mosse ha destinato il Medioriente all'impero degli odiati americani, dagli stessi suoi soli alleati impotenti e inermi sia considerato un campione dell'intelligenza araba.

E' sconfortante tale primitivismo di giudizio, che disconosce nella saggezza e nel senso di responsabilità lo spirito autentico dell'intelligenza politica, elevandone a campione chi non si è dimostrato in grado che di sopravvivere alla stessa( all'estrema) catastrofe in cui ha precipitato il suo popolo.

Ma che ne è più, per tali accecati, della vittima certa di questa guerra? Del popolo irakeno, loro fratello, secondo il verbo della grande causa della grande nazione araba cui pure s'appellano celebrandone il satrapo...

O che vale pietà e considerazione delle sue sventure. se per costoro, secondo le parole dello studente universitario con il quale brevemente ho dialogato a Le Kef, ha forse il torto di avere resistito agli sforzi del loro rais per migliorarli?

Nelle  parole di quello studente, con la denigrazione di Gorbaciov e la riabilitazione di Stalin e del monopartito, e con la magnificazione di Nasser quale antesignano del sanguinario di Bagdad, così aggallava il primato funesto, proprio di ogni fondamentalismo, dell'ideale e della giusta causa sugli uomini vivi e concreti per i quali l'ideale deve essere, sino al loro massacro e all'olocausto se ad esso resistono.   

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Da che sono sbarcato

 

15/16 agosto 91

 

Una cosa é certa: che da che sono sbarcato a Tunisi, ignoro che siano tristezza e solitudine.

Che siano più acedia e malinconia...  

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La necessità in Algeria

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Appunti

 

 La necessità, in Algeria, non solo del capitale straniero, ma di maestranze occidentali, di un "neocolonialismo tecnologico- amministrativo chiavi in mano", a dirla schietta, se si vuole che vi avvenga ciò che un marxismo sofisticato definiva la sussunzione formale e materiale dei rapporti sociali alle tecniche di produzione e alla ratio della modernizzazione capitalistica.

 

Bomba demografica e integralismo razziale

 

Lo spaventevole, con il fondamentalismo, è che anche la coscienza islamica non integralista rifiuti di considerare la questione demografica come una questione economico- sociale, rimettendo la profilicità ad Allah grande e misericordioso.

 E l'Islam è vissuto, in odio all'Occidente depravato, come eugenetica razziale, come il preservativo più potente dai rischi di malattie sessuali e Aids e sterilità o pederastia endemiche.

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Ai rilievi rupestri

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"Il n'y a que cinq, cinq kolomètres et démi" confortandomi pur senza persuadermi eccessivamente, mi diceva l'uomo che mi ha assicurato dell'acqua presso il pronto soccorso, nel secondo villaggio raggiunto a piedi verso le incisioni rupestri.

L'itinerario complessivo era indicato di diciotto chilometri sulla guida, ed io non m'accreditavo di averne percorso più di cinque o sei.

Ed infatti la magnifica "palméraie" successiva, sotto lo stagliarsi delle falesie in cui m'ero addentrato valicando l'oued, verdeggiante rigogliosa contro il (i fondali del) fulgore delle estreme dune, ove (in cui) un solitario marabout biancheggiava tra le fulvide sabbie, per non meno già di altri sei chilometri, mi si svolgeva fino al villaggio susseguente, che avevo avvistato e poi perso di vista, mentre allo scarseggiare già dell'acqua ero confortato al rivederne lo ksour.

Vi chiedevo, alla prima persona avvistata, ove fosse il magasin di alimentation general, od un caffé, mi sono ritrovato invece condotto nel magasin d'artisanat di un possidente d'età media, che mi rifocillava solerte di acqua e di pane, mentre un bisogno opprimente lo pungolava ad indurmi, più che all'acquisto, al cambio non ufficiale o alla cessione di valuta o di beni.

" Monsieur, mi ostinavo a ripetergli, je ne suis pas venu en Algerie pour faire dès affaires", del tutto disinteressato a un cambio ulteriore sia pur del minimo importo, poichè sono oramai in uscita dall'Algeria, e devo fare affidamento sui soli dinàrs acquisiti tramite i precedenti cambi, così come li ho regolati con le divise straniere dichiarate, per non incorrere in dispiaceri con la polizia doganale.

Comunque, per compensarlo del suo soccorso, da lui ho acquistato un piccolo portafoglio, benché, come la generalità dei manufatti della bottega, fosse della più scarsa qualità, mentre gli occultavo il mio più vivo interesse per le punte di frecce preistoriche e le coeve amigdale che mi mostrava, rinviando al ritorno l'eventualità di acquistarle.

Così, nella calura meridiana, mi inoltravo lungo l'ulteriore percorso del tutto solitario, ulteriormente dubitoso, come mi era stato anticipato, che la sua lunghezza si riducesse a solo tre o quattro chilometri.  

Il suo nastro si snodava infatti ben più oltre, ed io all'angoscia della solitudine assetata che mi insidiava, cercavo soccorso distraendomene nello sregolamento.

Mi inducevo infine a reindossare almeno gli slip, quando la strada, dopo un estremo rettilineo immenso, aveva termine nella sabbia e nelle falesie circostanti, dove su una grande lastra nera infine si delineavano le incisioni rupestri.

Nella stilizzazione di figure corrispondenti ad incastro, erano leoni, bubali, elefanti, altri remoti animali scomparsi.

A un anfratto d'ombre, contro la solitudine assolata della deserta calura dell'Erg, denudatomi mi dissetavo e ponevo  fine gridando al mio sfrenamento, poi( mi rivestivo e) perlustravo i massi per avvistarvi gli ulteriori rilievi, ripetendomi di fare ben attenzione a ogni minimo movimento, poichè nes

uno avrebbe potuto nel caso( potuto) recarmi soccorso.

Ciò non mi impediva di rovinare fra i massi, ad un mancato appiglio per lo slittamento sottostante della sabbia, mentre la vena che si inturgidiva fra le abrasioni che medicavo e incerottavo, mi pulsava quale fosse stato il pericolo corso.

Per quanto la Polaroid di cui dispongo sia un attrezzo inadeguato anche ad una sola impressione meccanica di forme e colori, scattavo due istantanee che rilevavano comunque le incisioni della lastra principale, prima di tesaurizzare l'acqua residua nella bottiglia, e di accalorarmi (al ritorno) rispogliandomi in erezione ulteriore.

Iniziavo manipolandomi quindi il ritorno, mentre i rettilinei ripercorsi si facevano ancora più interminabili e stremanti, nello scarno conforto di rare ombre, i rari alberi fronzosi  della piana, fra le falesie e le dune, assunti quali punti di sosta e di ribeveraggio.

Ma la penuria dell'acqua, già scarsa, mi obbligava a farmi ancora più forza, a procedere oltre ogni punto di sosta prefissato,

salutando come un ristoro impossibile l'amena radura, distesa di strame, alla vasta ombra di una fronzuta pianta; nel silenzio del vento, ove un uccellino invitante era posato ad un nodo; finchè, ad una svolta, con l'acquedotto riappariva il palmeto del terzo villaggio all'andata.

Solo a tal punto ho rimesso i miei genitali dentro dei pantaloncini, la mia maglietta sulla pelle accaldata.

Giunto al villaggio mi sono riprecipitato di slancio dall' artigiano, che mi ha riofferto acqua e del te.

Il suo bisogno di valuta estera per espatriare in Marocco ed in Francia era così impellente, che lo sospingeva all'indiscrezione di scrutare nel mio portafoglio, per accertare con i suoi occhi che corrispondesse al vero, come gli dicevo, che non avevo con me che dinari algerini.

Mi ha poi condotto al "magasin d'alimentation", su mia richiesta, facendone alzare al proprietario prima del tempo ( in anteprima) la serranda, oltre la quale, sugli scaffali, per quanto il mio bisogno di rialimentarmi ne perlustrasse ogni ripiano, non rinvenivo che latte in polvere, succo di arancia e biscotti dei più farinacei.

Acquistavo comunque i biscotti e il latte in polvere, una lattina di succo d'arancia che mi sgolavo, mentre l'avidità delusa del mercante d'artisanat si faceva uggiolante, pungolandolo il bisogno senza che egli nemmeno più sapesse che cosa d' effettivo poteva chiedermi.

Così di mia iniziativa mi facevo da lui riferire nome e indirizzo, prospettandogli che dall'Italia, dove l'importo non mi era così necessario come nel corso del viaggio, e non corrispondeva che al guadagno di un giorno e mezzo di lavoro, i trecento franchi che gli occorrevano per espatriare, peut etre, forse glieli avrei inviati al mio rientro.

In cambio gli chiedevo soltanto, qualora avesse eventualmente ricevuto il denaro inviatogli, di mandarmi delle punte di frecce e delle amigdale di età preistorica per i miei allievi.

La sua emozione contenta era tale, insieme con l'intento di forzarmi a un impegno, che disvoltava un cartoccio e ne estraeva una punta d'arpione e un'amigdala di cui mi faceva dono.

Non so se fosse più per l'acqua e il nettare d'arancia che mi avevano ristorato, o per la soddisfazione contenta dell'atto ch'era intercorso, ma i miei piedi, benché cominciassero a vescicarsi, tale era l'empito entusiasta che non volevano più smettere di camminare, lungo il palmizio più ancora incantevole al tramonto, che intendevo ripercorrere fino al guado a secco nell'oasi nel villaggio intermedio.

Per questo, nonostante il loro malore crescente, mi imponevo di rifiutare di salire su una Toyota, il cui conducente si era arrestato ai margini per offrirmi un passaggio.

Ma giunto al villaggio, per rispetto del mio corpo e delle sue piante dei piedi, nel tardo crepuscolo intraprendevo l'autostop.

Si arrestava, di li a poco, e mi riconduceva a Taghit la confortevole vettura di un agiato algerino,il quale, tra le altre amenità, mi chiedeva s'io fossi in viaggio verso l'Afrique.

" Monsieur, mais l'Algérie où se trouve-t-elle?- gli ho chiesto scherzoso, pur sapendo benissimo che intendesse per Africa: il retroterra del Continente nero, dal quale (particolarmente le genti ricche) molte genti del Maghreb intendono staccarsi per proiettarsi in Europa.

" Quand meme, comme les Turqs sont euroasiatiques, vous maghrebins meme si europ(éenn)isès vous etes euroafriquanes", seguitavo a ribadirgli in tono scherzoso, per rintuzzarne l'impudenza che supponesse di estraniarsi dall'essere in Africa, in luoghi di una civiltà materiale di cui mi era appena capitato di intorcermi nel cordone ombelicale che la limita alle risorse dell'oasi.  

E la miseria di tale spregiatività, come del denegare se stessi e il proprio retaggio, non appena si acquisisce un pò di agi e privilegi, o non appena la sorte ci dà un attimo di tregua, mi ha rivoltato di nuovo la sera a quella tavolata di algerini e francesi, accoliti della sola fattispecie di ristorante di Taghit, all'infuori di quello dell'Hotel; con i loro antichi e perenni nemici, gli algerini tracannavano il vino interdetto, nella supponenza -  che mi appariva nei loro larghi modi ostentati e volgari- di rifarsi di se stessi e di accedere alle prelibatezze della materialità occidentale, tra un boccone e l'altro di un pasto, secondo un menu fisso, ch'è lo stesso di ogni giorno, e  ch'è identico a quello dell'hotel, con la sola variante della carne macinata anziché i rognoni, dopo un riso stracotto misturato con un'insalata di pomodori e cetrioli e peperoni e cipolle.

La stessa sera, poc'anzi, dopo che avevo già cenato nel presunto "fast food", secondo l'insegna del solo luogo di ritrovo di Taghit all'infuori dell'albergo, con che infastidita alterigia, come chissà quale maitre d'hotel, il gestore della bettola mi ha invitato  a pazientare, quando ha creduto che fossi rientrato nella sala di quell'andito, anzichè per ordinare un altro succo di frutta, per sollecitare la rapida cottura, nell'olio di tutte le fritture, di un'homelette che tardava da venti minuti.

E  dopo che avevo esaurita la possibilità unica di quell'unico menù per ogni giorno dell'anno,  credendo, sopraggiunto in ritardo, che limitassi a quell'homelette la mia consumazione, già con che sussiego oltraggiato, si era atteggiato (aveva accolto) con aria stranita a tale presunta pitoccheria.

Cosicché,  quando come tanti altri in questo magnifico sito,

che ti infastidiscono a chiederti un cambio non ufficiale fin sulle dune, mi ha inoltrato un' analoga richiesta, ho tagliato secco (anche a lui dicendo)dicendogli che non sono venuto di certo in Algeria per concludere affari.

 

 

Ultimi giorni in Algeria

 

La sera stessa, come sono rientrato in albergo dall'escursione ai rilievi rupestri, i piedi mi hanno presentato il loro dolentissimo conto.

Cosicchè, per l'indomani avevo in animo di protrarre di un giorno d'assoluto riposo la mia permanenza a Taghit.

Ma è stato solo quando, lasciate perdere entrambe le corse per Bechar, sono sceso nella Hall per regolare il conto dei giorni precedenti, onde verificare così quanto mi restava da cambiare

in banca per protrarre ancora la mia permanenza, e( per )giungere l'indomani con i soli dinari residui alla frontiera con il Marocco, che la sorpresa mi ha mostrato il suo volto smorfioso, nell'apprendere che in Taghit, l'"oasis de poche" del turismo più chic (in Algeria), come recita la guida, non esiste nessuna banca.

Volevo dunque proprio cambiare a uno sportello bancario?Andassi oramai chissà come fino a Bechar, a novanta chilometri a Nord, o me ne ritornassi a ritroso fino a Beni Abbes, se non volevo soccombere alla costrizione al cambio non ufficiale,

che pure la legge proibisce e non deve trovare riscontri nei controlli alla dogana di frontiera (al confine)...

E' da aggiugere che il giorno seguente, Venerdi, sarebbero state chiuse le banche in Algeria, mentre il Sabato e la Domenica avrei trovate chiuse a loro volta le banche in Marocco secondo l'orario occidentale...

Così, come troppo spesso mi accade, per eludere disonestà e stupidità brute pagando di persona, su due piedi mi sono messo in spalla i bagagli, e su quei due vescicatissimi piedi mi sono rimesso in strada per fare l'autostop, in giornata, sino a Bechar e alla frontiera.

Ma sospintomi, in stenti plantigradi, oltre le due salite- l'una di decimo grado-  che conducono al bivio che incrocia con la strada che viene da Beni Abbes, mi sono ritrovato fermo allo stesso punto dopo due ore, con il solo ristoro dell'acqua calda, nella borraccia, che a un mio cenno di arrestarsi,vi avevano versato  due giovani tedeschi diretti a Taghit, in senso contrario,- talmente, nella mia impuntatura avevo confidato nell'autarchia idrica del momento, da trascurare il rifornimento che mi assicuro ad ogni minima sortita nel deserto da un centro abitato.

Nell'impasse la ragione delle cose così aveva il sopravvento,

ricontavo i miei soldi e computavo che potevo farcela a pagarmi un altro giorno d'hotel, e l'autobus sino a Bechar e a Beni Ounif, semprechè rinunciassi a pasti o a cene.

Rientravo allora a Taghit, agevolato da un autostop sopraggiunto di li a poco, solo dopo che avevo così ritrovato la ragione.

L'indomani il viaggio senza problemi fino alla frontiera,

eccettuato il giovane doganiere che spera invano di trovarmi in fallo al riscontro tra le divise straniere accertate e dichiarate, per estorcermi ciò che ha avuto la( ritrosa) impudenza di chiedermi come bombon-in particolare l'orologio polifunzionale con l'alarm clock-,  poi ancora tre, quattro chilometri a piedi sino a Figuig, trovando entro le due il tempo, benché appiedato, per il visto d'ingresso presso la polizia, cambiare in banca l'occorrente, e sistemarmi in quello che nonostante tutto é il migliore hotel del piccolo centro,e che ho lasciato stamane con l'impressione ancora viva, oltrechè della cortesia affabile dei suoi gestori, di quel ripiano nel bagno, sudicio di peli e saponate antecedenti non discrostate.

Ed ora da Bourfa sono in viaggio per Er Rachidìa.  

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