di rientro da  Israele

 

11 Agosto

 

Già sull'autobus che mi portava alla stazione centrale, ieri ho capito che era giornata di attitudini ed aspettative sacrificali, quando ho rifiutato di sedermi comodamente a un posto lasciato vuoto nell'affollamento, per ridurmi piuttosto in stato di costrizione in un angolo, prima di retrocedere verso la portiera di uscita quanto mai vergognoso della mia stupidità afflitta.

Era uno di quei giorni, ieri, che invece di passare ci si arresta anche col verde; così, quando sono arrivato di transito a Bet Shean, con il mio grande zaino in spalla, doveva essere impossibile, ad ogni costo, che il Parco archeologico non fosse oltremodo distante dalla stazione degli autobus(,) dov'ero sceso, e che non intendesse irridermi l'uomo del chiosco, dicendomi che non si trattava che di duecento metri; e più di duecento metri sono diventati di parecchio, perchè anzichè procedere diritto ov'era prossimo l'ingresso, ho svoltato chiedendo informazioni che ho supposto dubbie, ho insistito a dubitare che il sito fosse distante pur dopo che sono transitato di fronte ai miseri resti dell'anfiteatro, e solamente quando mi sono ritrovato sull'aperta strada per Tiberiade, ho finito per scegliere effettivamente, come mi era stato detto, la prima strada che pulverulenta svoltava a sinistra, finendo così, dopo tanto autodepistaggio per entrare sì, nel Parco archeologico, ma dall'uscita delle escavatrici.

Dovevo dunque ripercorrere a ritroso tutte le rovine prima di ritrovare l' ingresso, e fare il biglietto e depositarvi lo zaino,  dopodichè finalmente iniziata la visita, ho rinunciato a vedere ogni altra cosa a Bet Shean, finanche nel vicino Museo  il mosaico nilotico di Leontis, pur di aggirarmi per ore in quel meraviglioso sito archeologico, nonostante i cantieri e i divieti di accesso al transito, postivi( fra le rovine) dov'erano in corso gli scavi; non senza provvedere a ristorarmi ogni tanto,  della calura, sorseggiando l'acqua freschissima di una fontanella all'ingresso, e a ventilarmi poi sul tell, sovrastante, per asciugarmi la maglietta che ne trasudava.

Dalla cui altura era magnifica la vista, sul complesso urbanistico dell'antica Scitopolis: 

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il teatro prospiciente la via di Palladio e i suoi colonnati, il seguito dell'arteria pavimentata in basalto sino a che svolta sottostante oltre l'odeon, ove ai basamenti di un tempio succedono i resti del Ninfeo e di una basilica, per incrociarvi una via che risale al tell e l'altra che si diparte ad Oriente, verso la via bizantina dei negozi e le antiche colonne superstiti dello stoà.

Disceso dal tell e risalitone più volte, prima di avviarmi ho indugiato ancora a lungo tra le rovine sottostanti, e nella cavea del teatro romano, ove già mi ero felicitato di avervi subito identificato tra i vomitori le presumibili camere acustiche, atte secondo i precetti di Vitruvio a potenziare le voci degli attori, e a consentire armonie e consonanze quali la quinta, la quarta e l'ottava.

Allorchè,  quella sera, in autobus via Afula raggiungevo poi Haifa notturna, i miei piedi dolenti e vescicati, e discendevo dal mezzo pubblico giusto nella via sottostante quella ov'erano i due hotels di ultima categoria indicati nella mia guida, m'illudevo ancora invano, di poter prendere confidenza con la sorte;  entrambi infatti, mi risultavano oltremodo esosi, e per il prezzo e per ciò che per il prezzo mi garantivano: in shekalim, invece che in dollari, mi sarebbero infatti venuti a costare quasi il doppio dei miei albergacci in Gerusalemme, per non offrirmi l'uno che una camera senza doccia che non ho nemmeno inteso vedere, o l'altro una camerucola in cui era come essere in strada nel suo assordante fracasso.

Girovagavo così a lungo, dintorno e circolarmente e vanamente nei paraggi agli hotels, in cerca nel viavai di un altro alloggio di fortuna, sostando infine per capacitarmi presso la cabina alla fermata degli autobus; ove decidevo di sottrarmi in ogni modo alla mia sorte di randagio, e mi veniva a poco a poco l'illuminazione schiarente: a un giovane, prima scostante e poi interessato, chiedevo se a quell'ora così avanzata (tarda) ci fosse ancora un autobus per la vicina Akko, la mia meta, ove sulla guida era indicata l'esistenza di uno Youth Hostel presso le antiche mura, sì, giusto il 225 (251), mi diceva, ma era ipotetico che transitasse così sul tardi, erano già passate le ventuno, comunque era più avanti la fermata, " tu andred tuenti faiv", scandivo insistentemente a memorizzare il numero, che vedevo di lì a poco sulla fronte dell'autobus che mi filava davanti, " è tra un'ora che ne passa un altro", quel giovane mi commentava il fatto, ma io non demordevo, per questo, discendevo la china della via e mi attestavo alla prima fermata per Akko, dove un altro di ulteriori (altri) quattro autobus di linea che vi erano destinati, oltre il 225 (251), si arrestava e mi ci conduceva.

Piccolo era il riquadro di Akko inquadrato dalla mappa, ma assai più largo della sua cittadella era il sito reale della cittadina: delle vie pur ampie, dove transitavo, sulla mappa non v'era affatto traccia.

Quel viatico dolorosissimo per i miei piedi doveva dunque seguitare per qualche chilometro ancora, prima che ad un incrocio ritrovassi delle vie indicate sulla cartina (mappa), e grazie alle indicazioni di un'anziana coppia di ebrei emigrati da Orano oltre quarant'anni fà, per il percorso più facile raggiungessi lo Youth hostel.

Dove è da ieri sera, che in un antico e confortevole edificio sono alloggiato e scrivo magnificamente ed economicamente, in vista del mare più azzurro e calmo. E finalmente di primo mattino ho terminato di scrivere, e riposatimi intanto i piedi, andrò finalmente a visitare la città del Macellaio. 

     

 

 

13 agosto

 

Che spirare fresco dell'aria nel National Park di Bet Shearin, tra i melograni e i cipressi collinari.

La giornata d'oggi, qui e poi a Megiddo, si preannuncia più ricca che ieri e l'altro ieri in Akko e a Cesarea; ma devo ora scriverne assai brevemente, se attardandomi nella narrazione non voglio invece perdere il vantaggio che ho nel tempo di poter essere a Gerusalemme prima del Sabbat.

Forse prima di recarmi nel Negev e nel Sinai, scartando Tiberiade e Gerico, Qumran e l'Erodion.

Se io sia avventato o meno nel prefiggermi anche questo tale seguito, con il denaro che mi si volatilizza in tasca, non so; io sono pur sempre lo stesso giocatore, che l'altra sera, da solo,  sdoppiandosi nei due avversari di due partite a dama sulla tastiera magnetica, e dei due accalorandosi in riconoscendomi in chi perseguiva l' identica distruzione del giuoco avversario, nell'un caso all'avversario ho impedito ogni mossa, nell'altro invece ne sono stato annientato.

Ritornando ai giorni intercorsi ( frattanto a quanto é intercorso), Akko mi ha suscitato inizialmente impressioni esaltanti: il mare, le mura possenti con i forami di vedetta sulla celestialità salmastra, quindi l'addensarsi della cittadella in suk e minareti e caravanserragli, entro il rinserrarle circondariale dei bastioni, quasi a detenervi ristretta ogni suggestione arabo-turca.... Eppoi sovrastante la città settecentesca di el Jazzar, nelle cui pietre islamiche furono convertiti ospizi e monasteri cristiani, sottostanti le rovine della città crociata divenute fondamenta, le sale di congregazione e le basiliche profanate a cisterne...

Ma basta scostarvisi dai camminamenti turistici, per ritrovarsi fra cumuli di macerie e rifiuti, sovrastati da loculi e loculi di abituri in cemento.

Quasi fosse impossibile scontare altrimenti l'addensarvisi vivissimo della popolazione araba e più povera di Akko, come del resto a Cesarea, dove i resti dell'acquedotto ne sono degradati 

a pisciatoio e a discarica.

Di Cesarea non intendo soffermarmi oltre sulle sue desolanti attrattive, il teatro romano del tutto artefatto, l'ippodromo che non ho rinvenuto, la cittadella crociata che non riserva un interno che assecondi (lo spettacolo del)la sua cerchia di mura, nei possenti terrapieni ( bastioni) di rinforzo che le risalgono dal profondo fossato.

Ne dirò soltanto che anzichè tentare l'assurdo di recarmi dal suo capolinea in autobus a Megiddo, lo stesso giorno, quando erano già le 15,30, me ne sono riconfortato, per (di) ciò che riservava, tuffandomi nei cavalloni marini oltre l'arco di spiaggia tra le rovine romane.

Mentre ora che serenità quietante infondono, qui in Bet Shearin, le catacombe ove gli ebrei seguitarono a seppellire i morti dopo l'interdizione romana del Getsemani, quale certezza consolante suggellata dall'arcatura distesa dei suoi portali ribassati, che i suoi morti, santificati, già riposano nella pace promessa.

Quando ieri a Cesarea, finanche mi disinteressavo di interessarmi e vedere.      

 

 

In Megiddo

 

"Outside", l'uomo della biglietteria seguitava a ripetermi, parlando distrattamente con degli altri addetti del National Park di Megiddo; ed io "outside"" ho collocato lo zaino, oltre il muro che separava quella sala d'ingresso da un corridoio, nell'attiguo stanzino fresco già ripieno di apparecchi acustici, che sembrava proprio per il mio zaino il ripostiglio ideale.

Mi restavano- dopo essermi affrettato a più non posso lungo i due chilometri dal bivio ove mi aveva lasciato l'autobus-, soltanto 35 minuti prima che alle 16, essendo Venerdì, il Museo chiudesse anticipatamente di un'ora.

Con l'ansia in gola e stentando ( nello stento di) a riconoscere i monumenti- la visita procedeva da Nord a Sud, secondo un orientamento contrario alla mappa dei siti- in ogni modo comunque mi inoltravo affidandomi ai più vistosi cartelli.

Ecco quella che doveva essere la tenaglia della porta d'accesso di età salomonica, più oltre una vasta cavità, a sinistra, che doveva pur contenere i templi e l'altare cananeo che non vi intravedevo, quand'ecco, sospingendomi oltre, giusto al centro del percorso guidato, visualizzarsi il silos con la duplice rampa a non incontrarsi, rilevantesi nell'ammasso delle pareti della sua vastità circolare, del VII secolo a.C., e risalendo sino alla terrazza panoramica, sconfinare allargarsi la vista dai monti del

Carmelo a quelli di Gilboe e della Galilea, ove cercavo di individuare la forma certa del monte di Tabor, oltre la vastità verdeggiante della piana sottostante di Yizre'el, di cui l'immaginazione, ripercorrendola, riesumava s'agitava al sangue che sapevo versatovi in battaglia, da sterminati eserciti, per controllare l'accesso al mare di quelle amenità spazianti. Egiziani, Hiksos, Assiri, Babilonesi, Greci e poi Romani, Arabi e Crociati, Napoleonici e Israeliani e ancora Arabi...

Il sentiero ghiaioso ch'io ora in senso contrario percorrevo con ansito, doveva pur tagliare le scuderie e il palazzo di Salomone, ma di certo la voragine che si apriva in fondo, straordinaria, era (doveva pur essere) il pozzo scavato già dai Cananei nell' Età del Bronzo, che intanto discendevo nella per la sua profondità di 35 metri, per inoltrarmi nell'umidità del tunnel susseguente, un nudo incavo muschioso, nella roccia, fino al sito della sorgente cui i cananei attingevano, fuori delle mura, allorché (quando) Megiddo fosse stata presa d'assedio.

(Allorché ho ripercorso) Quando ripercorrevo a ritroso il tunnel, il guardiano era già sopraggiunto a chiuderlo con il mazzo di chiavi. Col fiato sempre più rotto in gola risalivo anche il pozzo, era già quasi l'orario di chiusura, l'indugio di pochi minuti soltanto nel ritornare sui miei passi verso l'uscita, per una digressione sulla destra, giù nel divallamento, e sino al belvedere, ove certo, non potevano essere che quelle due aree immediatamente sottostanti con intorno i basamenti circolari di colonne, le sale dei tempi cananei dell'età del calcolitico, risalenti addirittura alle prime (alle primissime) età del bronzo, mentre il cumulo di pietre adiacente assumeva tutta la nettezza di una forma circolare, sì, delle sembianze del grande altare cananeo antico quanto le Piramidi, che già vi avevo ricercato prima invano, con anche acciotolati gli scalini (circolari) d'accesso, a oriente... Che emozione archeologica palpitante!           

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E sottostanti, secondo il cartello ( "We are here"), vi erano pure due megaroi e i basamenti di un tempio, più ancora antico, che veniva fatto risalire (ricondotto) al 3.000 a.C....

Mentre dovevo pur distogliermene per ridiscendere verso l'uscita- erano da tre minuti senz'altro passate le quattro- vedevo avanzare ancora verso le rovine due visitatori ritardatari, sicché supponendo un posticipo della chiusura, profittavo ancora di un pò di tempo, non più di tanto, senza per questo riuscire ad individuare il più antico dei templi cananei.

Era in ogni caso il mio bagaglio di cui iniziavo allora ad allarmarmi; e se dagli altri addetti, all'infuori del guardiano, la sola via d'uscita fosse stata lasciata aperta?

E così era, infatti: e dunque con la morte nel cuore, riuscendo solo ad esalare le mie parole, mi afferravo al guardiano, un vecchio arabo, " my luggage... in the ticket office... have bee cloosed" farfugliando, " can you with the keys?...", con i miei gesti che intanto sagomavano il bagaglio e giravano una astratta chiave, per fargli intendere che mai ora da lui volessi di così decisivo per le mie ore future, costernato con le mani fra i capelli, " I have nothing, with me..."

Era disperazione reale, che mi toglieva la voce e sfaldava le parole in un rotto singhiozzo...

Lì, sino all'indomani, di sabato, quando in Israele non circola un autobus...E se domani fosse poi stato ancora giorno di chiusura?...

E quel vecchio arabo, burbero, con un'occhiata torva volta a me, e l'altra alterna indirizzata ai due anziani turisti israeliani cui aveva concesso una proroga, che avrebbe dovuto essere di pochi minuti mentre quelli ancora non facevano ritorno, malaccondiscendeva alla mia costernazione, rientrando sospettoso e sprezzante nella hall di ingresso, ove rilevava da una guardiola un mazzo di chiavi.

" Anche questa volta è fatta..." io intanto venivo confidando.(mi venivo dicendo).

Egli aveva iniziato così a provare e scartare una chiave dopo l'altra, tornava sui suoi passi, io a ridosso il suo segugio, per prendere un altro mazzo e concludere che non c'era quella che apriva lo stanzino.

" Tomorrow, mister, tomorrow..."

Al che io balbetto, quasi piango, ad una fontanella mi piego su me stesso per trarne sostentamento,  da un altro sorso, supplico che riprovi ancora...

e conto gli shekalim, cinque al massimo, che sono disposto a dargli di mancia perché ritenti meglio..

Sono a vedersi la mancanza più completa di dignità...

" Dunque, mi dico, stanotte, qui, tutta la notte, fino a domattina costretto nei paraggi, quando stasera avrei già dovuto essere a Gerusalemme per Elat e il Sinai..."

Ma quel vecchio non mi vedeva più nemmeno, con quel "Tomorrow", infatti,  per lui era già chiuso e saldato definitivamente il conto nei miei riguardi.

Seguitava iracondo solo ad inseguire con lo sguardo la signora ed il signore israeliano che infine si facevano in vista.

" Five minutes" a loro aveva pur detto...

Ed erano già più di dieci minuti...

Io balbettavo, le mani nei capelli, gli ultimi conati straziati...

Lui impassibile, che richiudeva anche l'ultimo cancelletto e in auto filava via...

L'anziana coppia che lo seguiva sulla propria vettura.

Quando mi rialzavo dal verde dell'erba ove m'ero abbattuto, tempestando il suolo di pugni, quasi che alla mia disperazione prostrata i due coniugi israeliani fossero indotti a indurlo ( ne fossero impietositi tanto da indurlo) a recedere e a riprovare con le chiavi, così mi ritrovavo invece solo e chiuso dentro i cancelli.

Al che intendevo ( realizzavo) che mi restava oramai solo da raccogliere una dignità che tanto così vergognosamente avevo afflitto, e l'adattarmi a quanto mi attendeva di incombente: passare lì rinchiuso la notte, fino all'indomani, e poi a Gerusalemme di sabbat, in autostop...

Oh, ne avevo ora del tempo davanti, per vedere e rivedere l'apocalittica Armageddon..

Mi guardavo allora intorno per accertare  ciò che mi offriva la situazione circostante: l'uscita dal parco non appariva certo impossibile, bassa era la siepe di recinzione, pur se occorreva seguitare la sortita tra intrichi di cespugli spinosi sino alla strada.

E così confinato nella piazzola oltre il viale d'accesso, in quel Limbo tra il mondo esterno al Parco e i locali di servizio e le aree attrezzate al suo interno, era verso quest'ultimo che cercavo un varco. Un cancelletto con su scritto "No entry", mi sollecitava ad accertarne l'invalicabilità. L'invito-divieto, così perentorio, in effetti era in ragione della irrisoria facilità con la quale poteva essere eluso, facendo scorre la barretta del cancelletto nella rientranza scalfita nel muro; e potevo dunque verificare al di là, che cosa quei locali ed aree mi lasciavano a disposizione: una pineta con panche e sedili, una fontanella d'acqua a cui bere, ulteriori tavole e sedie il ristorante, mentre un furgoncino scassato nella radura di fronte, quando risalendo verso le rovine lo riosservavo, trovavo un cane lupo a fronteggiarlo; ma il timore che vi fosse a guardia mordace del tutto, era fugato quando il fissarci l'uno negli occhi dell'altro, si risolveva in una sua ritirata di sghimbescio.

Era il via libera anche verso le rovine, ove pure seguitavo a ritrovarlo d' improvviso più in alto o a incrociarmi il cammino, dal quale appena avanzavo si ritraeva per disperdersi e riapparire di nuovo intento a scrutarmi.

E quando poi collocandomi in una nuova visuale, individuavo infine lo zoccolo dell'altare e i presunti pilastri del più antico tempio calcolitico, rivolgendo lo sguardo verso la sommità del colle, mi sorgeva incontro un'altra apparizione: due giovani fanciulle e un uomo paterno che ne guidava il passo, tre visitatori sopraggiunti chissà come e da dove.

All'incontrarci reciprocamente inattesi, ci scambiavamo il saluto rituale,  si confondevano insieme i nostri percorsi, e parlottando loro mi disvelavano la loro identità etnica: erano ebrei dell'Ex Unione sovietica, di origine russa l'uomo e la più intensamente bella e coinvolgente delle due ragazze, estone l'altra, più ritrosa, Katerina, dei tre lei sola di cui ricordo il nome.

Potevo però comunicare con loro soltanto attraverso l'altra ragazza, l'unica del terzetto che parlasse propriamente inglese, poichè aveva avuto modo di soggiornare in Canadà per studiarvi.

Non sono riuscito a chiarire altro della loro vita e dei loro rapporti, mentre non mi è occorso molto, per quanto mi atteneva, per fare almeno intendere a loro in che inghippo mi fossi cacciato.

E da/el mio caso si sono sentiti immediatamente coinvolti.

Ciononostante Sommaria procedeva intanto già al termine la loro visita, anche se il padre, come poteva, si sforzava pur di dirmi che dell' Armageddon dell' Apocalisse si trattava, ed all'orizzonte mi localizzava il Monte Tabor.

Di lì a poco discendevamo, Katerina irritata dei millepiedi che insidiavano il suo cammino, io per mostrargli( a loro) dove e come fosse detenuto lo zaino, loro come fossero agevolmente entrati per due smagliature campali della siepe di recinzione.

Era quando( allorchè) così mostravo l'esterno del ristorante e come fosse mio, re per una notte, che tra le sue sedie sbucava e si defilava la terza delle apparizioni nel Parco: un gatto, sinuoso e lesto, che mi sfuggiva eppure seguitava i miei passi.

Passavamo successivamente davanti all'ingresso, allora scorrendo il tariffario dei biglietti di ingresso dai tre così bravamente eluso, -" Then shekalim"-, con sprezzo sarcastico ironizzava il russo.

Mentr'io restavo con le incantevoli fanciulle, lui si indirizzava verso la loro auto e la conduceva presso l'ingresso al Parco per accompagnarmi al vicino Kibbutz e chiedere per me ospitalità per quella notte ( se potevano offrirmi ospitalità per quella notte).

Niente da fare, secondo la custode alla sbarra d'ingresso. Perchè era già il sabbat?

Mi recassi ad Afula, se volevo dormire in Hotel.

L'ebreo russo si offriva di riportarmi con lui ad Haifa ove ricercare l'alloggio. Rifiutavo ( Declinavo l'invito): potevo seguitare fino a una destinazione solo seguitando a dormire in ( ad alloggiare) in youth hotel. Di tornare ad Acco, manco a pensarci.

Così mi accomiatavo definitivamente da lui e dalle due ragazze sulle soglie del Parco,, risalendo l'erta della mia china notturna, mentre la fanciulla russa, nel salutarmi con intenso calore, " porta via il tuo bagaglio sfondando la porta",  mi suggeriva.

Era quanto avrei fatto, senz'altro, solo se e se solo fossi stato sicuro al cento per cento della riuscita. Per il rumore  dello scasso non c'era problema, chi (nessuno) avrebbe potuto sentire? Solo che la porta dello sgabuzzino ov'era il mio zaino era inaccessibile, all'interno, e non aveva finestre che non fossero protette da inferriate profondamente infisse.

Non mi restava piuttosto che fare il punto della situazione, passando in rassegna tutto quanto nel Parco avevo a disposizione: dunque dell'acqua, illimitatamente, tutte le panche e le panchine e le seggiole che intendessi utilizzare, un tavolato con sopra il telo di una tovaglia, fresca erba rugiadosa, pini balsamici e sovrastanti rovine, la compagnia intermittente di un cane e di un gatto randagi, il canto di piche e di gazze.

Nella mia sacca tutto l'occorrente per disinfettarmi e incerottarmi i piedi che cominciavano a piagarsi in più punti, la provvidenziale scatoletta di tonno che per l'emergenza avevo preservato della quantità di provviste acquistate in Italia, e del tutto inattese, due serie di wafers di una confezione acquistata il giorno avanti.

Mi sono recato a perlustrare anche quel furgoncino scassato, preso il capanno dov'erano gli attrezzi della manovalanza; non vi ho rinvenuto che un banco frigo chiuso a chiave, ed anche i sedili anteriori vi erano inservibili, tant'erano lerci e logori.

Quando prima del calare della sera sono risalito alle rovine, il cane è riapparso sulla soglia della porta d' accesso senza interdirmi l'ingresso; ma nell'oscurarsi della chiaria diurna, era il sortire dovunque di processioni di millepiedi e scolopendre, che mi faceva recedere dal procedere oltre ( avanti).

Così avevano inizio ( cominciava) la sera e poi la notte, le ombre si facevano dense ed ogni cosa si confondeva dintorno, si accendevano le luci dei boxe shop della gioielleria interna, irradiava le sue bluescenze al neon un istecchitore di insetti volatili; nella cui luce violacea quindi all'interno del ristorante, appariva una stupefacente figura femminile, reclusa immobile; solo un'immagine pubblicitaria di una giovane, preservatavi perennemente ridente.

Con le ombre e le tenebre precipitevolmente diffusesi intorno, * tutto quanto vi era nel Parco veniva già estraniandosi, ed anche ciò che in un angolo riconoscevo come una carriola, diveniva una sagoma allarmante, mentre si restringevano gli spazi in cui mi attentavo intorno al solo tavolato su cui mi stendevo sotto i pini e le stelle, cercandovi il sonno al più presto.

Ed ecco quanto riporto di ciò che allora sono venuto scrivendo tracciandolo al buio, per vincere prima del sopraggiungere del sonno la paura incombente.

 

" Scrivo a sera già fonda sotto le stelle fra i pini fragranti di Megiddo, senza vedere ( più) che il bagliore oscurato del foglio davanti.

Ove ne è il ciglio, dei fari illuminano la rada sottostante del parco, sono più sotto(,) le automibili che sfrecciano all'incrocio della Galilea con la Samaria e trasmettono bagliori.

Prima mi erano di conforto i pochi animali che vi erano randagi,

un cane che è più spaventato di me di quanto io lo sia di lui, un gatto rimasto, che è la forma sinuosa che seguita a girarmi attorno; mentre i millepiedi, onnipresenti, sono i custodi vigili dell'inviolabilità notturna dell'accesso di Megiddo.

Ora ogni rumore e forma mi fa paura, io stesso (appena) come muovo i miei passi (se mi muovo).

E' l'immobilità soltanto, che rendendomi invisibile mi acquieta.

Anche se so benissimo anche quel gatto che mi seguita e fugge, se io cessassi per sempre di muovermi che cosa ne farebbe di questa carne e i miei ( questi) occhi.

- Intanto il pallore del foglio è sempre più tenebroso.-

Anche il pallore del foglio sempre più tenebroso, mi fa paura  perchè potrebbe rivelarmi mi incute paura, così come ho avuto paura ad espormi alle luci al neon contro gli insetti rimaste accese nel ristorante, alle quali mi ero accostato pur di leggere, o di accertare se è decifrabile quanto a me ora invisibile vengo scrivendo.

Eppure (appena) di sotto s'incrociano il traffico di Galilea e Samaria, solo che ridiscenda dal tell vi sarei addentro.

Dei fari costanti (,) (ne) striano i fusti del pino e il rilievo del tell.

Mentre i millepiedi sono i guardiani ovunque avanzantisi, a invincibile, invalicabile  guardia della città di Armageddon.

Quella falce di luna, sulle palme fra le rovine sù in alto.

Che bello, é stare qui sotto le stelle fra le trame degli aghi dei pini, che frescura odorosa di resina.

Ma ora lo sfogo verso il nero del sonno."

 

Quando riemergevo dal sonno, o dal decorso dei miei pensieri in esso internatosi, era già quasi mezzanotte.

Mi facevo più coraggio e ritornavo ad essere avvistabile nella luce al neon del ristorante, al suo alone mi sforzavo di rinvenire ed individuare sul foglio i caratteri difformi che vi avevo tracciati, cercavo e trovavo un sonno meno disagevole del precedente, sul tavolato rivestito di quella rosa tovaglia davanti al suo ingresso, riemergendone fino a svegliarmi del tutto verso le quattro.

Cercavo allora che il tempo scorresse attraverso il riordino della mia persona e dei miei effetti nello zainetto a ridosso: seguitando soprattutto ad applicare e incrociare cerotti che invariabilmente se ne scollavano sui miei piedi ulceratisi, dopo che la mia imprevidenza mi aveva lasciato senza calzini che non fossero putridi, sino ad impestare le calzature di un sentore insostenibile di acido fenico.

Finchè il chiarore non s'irradiava, ritornavano visibili la valle di Yzre' el e i monti che le sorgevano attorno, e riavvistavo su in alto le rovine e il cane che vi vagolava intorno, ove risalivo prestamente, riscontrandovi già diminuiti già molto di numero i millepiedi all'aperto, in un angolo due che ancora erano intenti ad attorcersi, in un congiungimento sessuale nel sole sorgente.

La riconduzione dei resti gli uni agli altri e a questo o quel periodo, al regno di Achab o di Salomone, a seconda che fossero fatti risalire a questo o a quello strato, al quinto oppure al quarto, al quarto a o al quinto b, mi intrattenevano consentendomi il trascorrere del tempo, sino a che si schiariva del tutto nel giorno.

Avevo allora cura di riordinare tutto e di fare sparire ogni traccia della mia permanenza all'interno del parco, richiudevo il cancelletto " no entry" come se per esso non fossi mai transitato, rivalicavo il varco per il quale il russo e le due fanciulle erano entrate, e mi disponevo ad attendere lungo il viale esterno al parco i suoi custodi ed addetti.

Che arrivavano giusto alle otto.

Prima il vecchio arabo, poi degli altri su di una Toyota, infine l'addetto al Ticket office ( alla biglietteria).

Quando attese cronometricamente le 8,22 sono entrato e mi sono a lui rivolto, lasciandolo solo per questo perplesso, poichè evidentemente si ricordava di avermi già visto il giorno prima, ho quindi aggiunto un ancora più grande sconcerto al suo sconcerto, quando gli ho detto le ragioni per le quali ero di nuovo lì presente di primo mattino come il pomeriggio prima.

Eppure gliene avevo parlato come del più usuale incidente.

Allora dallo stesso sgabuzzino cui si era rifatto il vecchio custode arabo, riprendeva egli gli stessi mazzi di chiavi, e con una delle stesse chiavi che l'altro aveva già usato ma con una più solida scrollata, mi schiudeva la porta e mi consentiva il ricongiungimento con il mio zaino agognato.

Scollinavo il tell in un gaudio che mi metteva le ali, fino all'incrocio divenuto nella celestialità del mattino poco distante, dove avevo poi ben da attendere verso la sua terra il Buon Samaritano, nella pretesa di raggiungere Gerusalemme lungo la via più breve che passa per Jenin e Nablus, toccando anche Sebastye ove volevo visitare l'antica Samaria.   

Dopo oltre due ore, non una macchina che si fosse arrestata in quel mattino già cocente.

L'uomo che gestiva all'incrocio il capanno di un misero spaccio, mi consigliava e mi persuadeva piuttosto di tentare lungo la direttrice più lunga per Tel Aviv.

Ed infatti, prima di mezzogiorno, in tale direzione un giovane mi concedeva un passaggio fino ad Hedera, alla cui autostazione accertavo che dopo le quattro, finito il sabbat, riprendevano le corse degli autobus.

Ed anche se in me v'era un singolare soggetto che per la concessione di quel passaggio aveva già preso gusto di nuovo all'autostop, e che si rammaricava di non essere rimasto sulla grande strada per Tel Aviv, lo stato rovinoso dei miei piedi mi imponeva l'assennatezza di rimanere nell'autostazione di Hedera ancora quattro ore quatto quatto, riordinando i miei bagagli e le cronache.

Ma dall'autobus che alle 16,30 giungeva puntuale, rischiavo (tuttavia) di rimanere poi escluso dopo averlo atteso per quasi cinque ore, poichè essendomi messo decisamente in coda e per ultimo con i miei bagagli ingombranti, al conducente- che in Israele deve allo stesso tempo guidare e fare l'esattore dei biglietti secondo il tabellario e il tariffario dei vari tagliandi corrispondenti, con le varie sottostanti pile dei vari tipi di monete- risultavo l'ennesimo che si presentava con un biglietto di 50 shekalim.

Solo perchè non mi decidevo a scendere e la generosità di altri passeggeri me li scambiava con altri biglietti di taglio inferiore, la cosa si risolveva a mio vantaggio.

Quindi a Tel Aviv, nella stazione centrale, l'autobus per Gerusalemme che sarebbe partito solo dopo le venti, sicchè vi rientravo in taxi collettivo, per qualche shekalim soltanto in più.

Giunto in Jaffa Street, pensavo bene di attenermi ai suggerimenti del giovane di Zurigo che aveva con me alloggiato nell'ostello di Akko, e ho cercato e trovato ospitalità presso lo Youth hostel Luterano, di cui mi aveva magnificato il bellissimo giardino in cui ritornava a bearsi ogni giorno.

Ove ho soggiornato più giorni benchè abbia di gran lunga superato il limite massimo di accoglienza di trentadue anni di età, come rivelavano i miei capelli bianchi che infoltiscono, e che il berretto si sforzava di nascondere sotto le mie apparenze altrimenti di un giovane uomo.

E ove ora termino queste note di primo mattino, dopo essere stato ieri a Qumran ed a Gerico,- ma di questo nella prossima cronaca- nella perplessità più totale su come ora orientarmi: se per il Sinai e la sola conclusione in Israele della mia visita di Gerusalemme, o per il seguito del viaggio in Israele soltanto, e allora recandomi anche a Tiberiade e Sebastie.

Bastano mai i soldi? A questo punto è più uno spreco non profittare del fatto che sono già in Israele, o invece ricorrervi? Nel patema e l'incognita, al fondo di tutto, di dovermi mettere in lista di attesa all'aeroporto per il volo di ritorno, "full" ogni giorno per Atene. Mah, che decida alfine il seguito degli eventi, nel dipanarsi l'uno dopo l'altro del loro groviglio.

       

 

 

 

 

 

 

 

 

          

       

 

 

  

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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