2, In Israele

Gerusalemme, 5 agosto

 

E' davvero mirabile il Nobile Recinto Sacro, nella sua fioritura calcarea di edicole e di turbe e di madrase, intagliantesi (stagliantesi) intorno alla smagliante grande moschea, tra l'arcuarsi nel cielo dei portici della Bilancia del Giudizio Universale: e se si scende nella cripta sottostante la Roccia, ov'è ancora l'impronta che l' arcangelo Gabriele vi avrebbe impresso nel trattenerla dall'ascendere in cielo con Maometto, ci si può già raccogliere nel luogo esatto, del Pozzo, ove quel giorno tutte le nostre anime si troveranno raccolte. E poco importa, che ad affievolire l'impressione già incantata, il tiro incrociato delle guide risulti impietoso, nell'accusarti della Moschea ogni inferiore rifacimento posteriore, così svelandoti che l'aurea cupola esteriore è stata in effetti rifatta in alluminio anodizzato, alquanto opaco, o che il rivestimento di maioliche vi è stato restaurato dalle autorità giordane durante il loro governo, e come dei rivestimenti interni, soltanto il mosaico del tamburo ( 1028) e delle arcate del deambulatorio ottogonale siano originari ( la mia guida francese, in particolar modo, si accanisce nel precisare pur anche come delle 36 finestre 20 soltanto risalgano a Solimano il Magnifico, denunciando- in meraviglioso linguaggio- "come le più recenti non pervengano a quelle misteriose sfumature che fanno di quei mosaici trasparenti un luminoso tappeto").

Ciononostante, nonostante altresì la grevità degli abachi sovrapposti ai capitelli nell'ottagono (ordine ottagonale), o del raccordo in ferro delle colonne del più interno deambulatorio circolare, pur attraverso i rifacimenti postumi vi ho ritrovato mirabile la guisa in cui le forme bizantine, desunte dalla Chiesa dell' Ascensione di Gesù Cristo per commemorare quella al cielo di Maometto, vi siano state islamicamente spiritualizzate, nei modi in cui la poligonalità ancora terrenamente spigolosa del deambulatorio ottogonale, rimarcata dagli sporti della sua trabeazione- la cui continuità interponendosi tra i capitelli e le sovrastanti masse già ne allenta ogni tensione plastica-, è traslata nella circolarità sublimante del volgere del deambulatorio più interno, sino alla smaterializzazione estrema

del turbine dell'empito mistico, nel vortice dell'oro ( nell'oro vorticante) della cupola.

Ero (Dovevo quindi) quindi obbligato a uscire dal Sacro Recinto per farvi ritorno alquanto solo più tardi, dopo esserne stato allontanato da un servizio d'ordine implacabile- sono giorni, questi, in cui si temono tensioni e tumulti, a seguito del rinnovarsi degli attacchi, dell' esercito israeliano, (israeliani) agli hezbollah e alle popolazioni civili del Sud del Libano,-, al rientro, per visitarvi la moschea ancor più sacra agli islamici, ma meno bella della Cupola della Roccia, di el Aqsa, "la lontana", al cui interno, nella navata centrale che a se subordina quelle laterali, o nel luminoso fregio ornamentale le cui ramagioni (i cui rami sacri) sovrastano l'arcone che dà l' (d')accesso al transetto, ne sopravvive ancora ad ogni rifacimento il retaggio bizantino, tuttora sostentatovi (tuttora) dalle inerti colonne, in marmo di Carrara, donate da sua eccellenza Benito Mussolini nel *1939.

Nel vicino Museo islamico quindi le fotografie, più che i resti, mi hanno rievocato lo splendore del minbar che devolse alla moschea Solimano il Magnifico, e che un fanatico cristiano distrusse nel 1969.

Mi sono affrettato infine a uscire, sperando, dopo essere ripassato per l'accesso dall'alto al Muro delle Lamentazioni, di essere ancora in tempo per entrare a vedere la chiesa di San Giorgio degli Armeni, prima di concludere tale visitazione caleidoscopica dei riti e delle fedi molteplici di Gerusalemme, con l'accesso sul tardi al Cenacolo e al Santo Sepolcro.     

Così sperando, in un' accelerazione immaginativa delle visioni di fede religiose, di stornare da me l'acedia e l'angoscia che benchè sottilizzatesi, eppure permanevano incombenti.

Ma per quanto ne ritrovassi l'accesso ancora aperto, il custode della Chiesa di san Giorgio mi imbastiva strane ragioni seminariali, per negarmi la facoltà di accedere oltre la corte interna delle tombe dei patriarchi, dalla cui ala sinistra avevo pur modo di vedere sortire donde era il raduno seminariale, due più allettanti giovani turiste in mini-short.

Non importava, mi attenevo (limitavo) comunque (ad obbedire) alle limitazioni impostemi limitandomi a notare in quella corte il motivo tipica dell'arte armena, il khat chkar, la croce di pietra nelle guise di albero della vita, e i nakus, i gong in legno e bronzo che annunciavano le funzioni, dato che dal IX secolo i mussulmani avevano impedito a tutti i cristiani di Gerusalemme l'uso delle campane,  tra me concludendo che quella stessa corte, il cui muro di cinta nascondeva il frontale della chiesa, presumibilmente corrispondeva all'architettura di difesa determinata dai progrom, ch'era stata assunta nel tempo dall'intero quartiere armeno, allo stesso modo in cui le porte delle abitazioni non danno sulla strada, ma su una corte interna cui si accede da porticine seminascoste.

Quindi ritornavo  sui miei passi fino alla porta di Sion, pur di vedere (il) e credere nell'autentico Cenacolo, dell'ultima Cena di Gesù, del XIV secolo dopo Cristo e in stile gotico; prima ancora di accedervi indugiando al piano sottostante, con dei fedeli islamico-ebraici, presso il cenotafio crociato che è tuttavia (la vera) lecito credere sia la tomba di Davide; e seguitavo verso la Camera dell'Olocausto, tra lapidi reali, e sostitutive, verso le immagini esse indissacrabili di atrocità strazianti: di mucchi di cadaveri affossati od accatastati, di altri ebrei impiccati in serie o appesi con le braccia riverse nei gemiti della tortura, di donne svestite presso il carnaio di morti nel quale (in cui) erano in attesa di lì a poco di finire anch'esse, intanto che l'aguzzino accanto che già ricaricava il colpo, di gemelli allineati in posa remissiva di fronte all'obiettivo(,) (solo poco) prima di essere sottoposti al dottor Mengele; su ognuno di quei volti una resa inerme, oramai incapace anche di odio e di paura.  

Uscendone, trovavo già chiuso anche il Cenacolo, come già San Giovanni degli Armeni, e non avevo modo che di sbirciarlo da una finestrella, così come all'inizio della via  Dolorosa, dove mi spostavo, trovavo già chiuso anche il Lisotroto, il luogo presunto o forse reale della Flagellazione di Cristo.

Quindi non mi rimaneva che di ripercorrere nelle sue varie stazioni la via Dolorosa, che si fa più erta in ascesa al punto esatto ove sarebbe stato il Cireneo a doversi assumere la Croce: quanto del resto sia attendibile tale localizzazione della via Crucis, quando è sufficiente spostare il sito del pretorio dall'area della cosiddetta Torre Antonia all'altezza della torre di David che tutto cambia, e quanto sia degno di fede tale itinerario doloroso, reinaugurato a ritroso e ribaltato più e più volte, variato nella sua lunghezza e nel numero delle sue stazioni per non deludere le aspettative e la sopportazione fisica dei pellegrini, - iniziava nel secolo VIII dal Getsemani- è per l'appunto solo una questione di fede: resta altrimenti la suggestione di rievocare le cadute e gli incontri del Cristo, con il Cireneo, la Veronica Maria e le pie donne, per quella rude salita tra i clamori e i traffici dei nuovi mercanti entro e fuori le mura del Tempio, in vicoli squadrati nel nudo calcare ora come a quel tempo.

Ma è stato quando ho valicato la soglia della basilica del Santo Sepolcro, che per me si è consumato il niente finale della via Crucis: poichè giunto al Golgota, sul luogo stesso della morte e della sepoltura e della Resurrezione del Cristo, la volontà di materializzazione di corona e chiodi e croce e lastra di imbalsamazione e pietra di sepoltura, cui così pedissequamrente m'ero attenuto, nella vis immaginativa ha annientato il divino medesimo che intendeva localizzarvi, e non ne è dunque sopravvissuta che la sola realtà naturale di un fatto storico, mentre la mente correva a chiedersi come potesse essere mai questo, il Santo Sepolcro che l' armi e il valore liberò di Cristo, donde il Cristo di Piero della Francesca sorse rustico e vincente.

O questo il Calvario di Giotto, di Masaccio e del Bellini, quella anonima lastra, la pietra di imbalsamazione del Cristo morto del Mantegna. (?). Prima ancora di apprendere dalla guida, per giunta, che era stata storicamente sostituita nel XIX (?) secolo.

Tanto più che il Luogo Santo per eccellenza della Cristianità,

si è rivelato al suo interno il nefandario di ogni più infima e grottesca espressione devozionale, quali lo vollero le incessanti contese tra le Comunità cristiane che vi furono  preposte(in picche e ripicche), cosicchè ciò che non poterono i Mussulmani, dopo i crociati vittoriosi poi lo poterono quei vari ordini cristiani, i loro veti e più pii intenti incrociati: chè già all' ingresso, a sbarrarti la vista e a impedire almeno di intendere il severo ordine crociato dell' edificio, ti fronteggia orrendo il muro della cappella greco-ortodossa, a sostegno dell'arco della navata dopo l'incendio del 1808: ferendoti la vista con il dolorismo schoking, roseo-violetto, di quella triplice rappresentazione di deposizione e imbalsamazione e sepoltura del Cristo, su cui anche gli angeli effigiativi chiudono gli occhi, a (per) non vedere lo scempio di quei corpi (inflessi e) accoccolati sino a diventare la curvatura della propria veste, la disarticolazione più invereconda delle teste dai corpi.

Quindi solo la devozione che profuma d'ungenti e sparge di rose la pietra dell'Unzione, attenua e impietosisce l'impatto.

Ma subentra allora (terminale) l'ascesa al Golgota , per ridursi a nient'altro che ad una scala a chiocciola che dà accesso al piano superiore, in cui giunti al culmine, è l'ammanco interiore di una duplice cappella nerolenta, ove ogni rito ha concorso nell'esternare ciò di cui è capace nell'infimo la devozione più accesa: sortendone un coacervo di anonimi mosaici paleocristiani, di viticci e racemi, cui se ne sovrappongono altri, primovocenteschi, le cui figure nonchè il proprio dolore, non sanno nemmeno esprimere alcun rapporto l'una con l'altra, di vignette della passione, e svolazzi d'angeli, che diresti usciti dal retrobottega di un Holbein il vecchio quali impresentabili scarti, e invece risultano il massimo di una celere vena greco-cattolica, di edicole di Madonne dal cuore gessoso ahimè trafitto in modo indolore.

Il tutto sovradominato, contro l'altare di fondo, da un Cristo e una Madonna e un San Giovanni metalfulgenti, sui quali più che il proprio dolore o l'assunto di redimere gli uomini ( un mondo), incombe l'onere impari ( improbo) (immane) di sostenere la cartastagnola delle (di) aureole e cartocci di ammanti( per tacere la tribolazione delle spinose corone d'argento).

Quando invece si discende successivamente nella cappella di Sant' Elena, la santa madre di Costantino la si vede a sua volta riesumata nel romanticismo gotico, di ascendenze nazarene, più freddamente edulcorato od astinente ieraticamente (astinente) dal vero, ove è tutto un levarsi notturno di mani sacerdotali o profetiche, comunque protese bene o maledicenti, provocando un prostrarsi o ritrarsi di figure che a quei gesti sacri, sono suscitate o atterrite o racconsolate, nonchè è il concedersi grazioso di catecumeni intenti al bagno battesimale, o di Cristi aureolati entro nembi gelidamente fosforescenti, in superba solitudine o su portacroce calcarei (di calcare), sicchè senti solo pietà, eppure di chi riguarda intanto tali immagini con attenzione devota.

Finchè il culmine dell'atroce è l'edicola finale del Santo Sepolcro, intorniata di selve di ceri svettanti sbilenchi, tant' è che anche le colonnine interne al vestibolo sono ceri di marmo, vegliati da una ulteriore sequela pendente di lampade votive; prima che curvandoti per una porticina- il viatico della lieve pena d'accesso al culmine del sacro mistero- sia la bella figura compiaciuta di un francescano, che dopo averlo fatto rilucidare dalla dame delle pulizie, (riaccarezzandosi la barba) ti fa  accedere all'involucro di marmo della tomba.

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