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L’Incontro con Al_Ugiayli

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Raqqa, Agosto 1999

 

E

ro così timoroso di chiedere di lui direttamente come del grande scrittore al-'Ugiayli, che ho escogitato, sapendolo dottore, di domandare in Raqqa dove fosse una farmacia, in cui mi si potesse indicare un medico al quale rivolgermi.

Il farmacista al quale mi ha indirizzato un negoziante della strada principale della città, più che mai affollata e luminescente nella sera, mi ha prontamente indicato la via poco distante dov' era la sua casa.

Ma ero talmente emozionato nell' approssimarmi, che nei paraggi ho chiesto conferma ad un passante, ed egli si è rivolto a due ragazzi nei pressi perché mi ci accompagnassero.

Insistentemente uno dei due ha seguitato a suonare alla sua porta, benché lo pregassi di desistere per non disturbarlo, finché al Ugiayli infine mi ha aperto, e nella sua persona mi è apparso un anziano signore ottantenne di un'affabilità semplice e dimessa, che nei suoi modi ospitali non ha mostrato esitazione o difficoltà ad accogliermi.

"Bien sur", che potevo parlargli in francese.

Del suo aspetto alterato dagli anni, nei lineamenti tumidi assunti dal volto, non poteva non colpirmi lo stato degli occhi, i cui bulbi fuoriuscivano dalle orbite divergendo fra loro, talmente dovevano acuirsi in una vista che ad al-Ugiayli si era fatta assai difficoltosa.

Traverso poi delle stanze silenziose e ombrose, aperte l'una all' altra senza diaframmi di porte, egli mi ha affabilmente accompagnato al suo studio, ove era acceso il computer al quale stava scrivendo.

L'emozione e il riguardo non mi hanno consentito di soffermarmi intorno, ho allora avvertito solo l' impressione della vastità quieta e ordinata di una gran bella casa, della solitudine operosa in cui vi avevo colto immerso chi vi vive.

" Ho voluto incontrarla per esprimerle la mia ammirazione,a seguito di ciò che ho letto delle sue opere", gli ho detto prima di declinare le mie generalità, senza ancora giungere a confidargli la comune vocazione di scrittore, quando mi ha domandato se poteva chiedermi chi fossi, e per quali ragioni avessi voluto incontrarlo.

"Ah, se sono venuto fin qui e sono suo ospite, Lei può ben chiedermi ora qualsiasi cosa", ho soggiunto con voce più ancora dimessa, in una convenzione d'intesa che al-'Ugiayli ha accolto con un sorriso sfumato di apprezzamento.

Si è allora alzato per recarsi a prendere gli occhiali, e mi ha detto accennando al computer:" Come vede ora scrivo così " dès souvenirs, pas mes memoires," seguitando a parlarmi in un tono minimale, di una colloquialità aliena da solennità formali di circostanza.

Mi ha quindi accennato alla sua situazione familiare presente, ai figli distanti, dicendomi, di quelli maschi, che lavorano in America ove sono in affari; quella sera stava appunto aspettando una loro telefonata, in quella casa che non appariva più affidata alla cura di una moglie.

Gli ho allora mostrato, quali mie credenziali di lettore delle sue opere, le copie che mi ero portato appresso delle sole loro traduzioni apparse in italiano, quella dei racconti " Le Lampade di Siviglia", e di “La febbre"che insieme con " La visione", già presente nella traduzione della sua raccolta precedente, figura nella "Antologia di narratori arabi del Novecento".

Con che fatica le sue mani, malamente guidate dalla vista, stentavano ad estrarre i due tomi dell' Antologia dal loro cofanetto,- quelle mani che già valorosamente avevano armeggiato fucili, combattendo contro l'insediamento degli israeliani in Galilea.

Mentre levavo per lui l' Antologia dal cofanetto, ed egli si sedeva a visionarne la copia, mi ha detto quanto sia tradotto nelle più varie lingue.

Ed io per quali interessi ero venuto in Siria, da dove venivo dal mio paese?

Ah, conosceva bene l' Italia, vi aveva fatto molti viaggi.

Si è quindi recato ad apportarmi dalle teche in vetro di una elegante e sobria scrivania ch' era  alle mie spalle, e dove i libri si alternavano a videocassette ed a immagini fotografiche, l' edizione in spagnolo dei suoi racconti di viaggio, in cui figurava la narrazione di un fatto che gli successo in Italia, "Accaduto a Milano", come recitava il titolo dell'opera.

Ed io, in Siria, dopo essere stato quel giorno a Sergiopolis, avrei visitato Raqqa, l'indomani ?

Così chiedendomi si è intanto diretto verso un'altra vetrina, alla sua sinistra, e vi ha prelevato uno spieghevole di immagini della sua città.

Ne ha scorso il retro in rassegna, e visto che le riproduzioni non erano correlate che da diciture in arabo, a penna le ha traslitterate per me in francese nel consegnarmele in dono.

" Voicì le pont sur l'Euphrate, la porte de Bagdad, ah, et maintenant la vieille mosquée..."

" Voi sapete, di certo,- si è rialzato a dirmi- che io sono stato ministro, uomo politico, et... beaucoup d'autres choses...ma ora io non sono che un dottore, qui a Raqqa."

Del resto tutto questo stava scritto, no?, nella Postfazione di una decina di pagine alle sue opere in italiano, cui faceva vagamente riferimento .

Era grazie a quanto vi si diceva della sua vita, che già sapevo che prima dell' avvento di Assad era stato ministro della Cultura, dell' Informazione, il ministro degli Esteri del suo Paese, quel vecchio solo e inerme, senza difese, che nella sua casa veniva tranquillamente accogliendo l' estraneo che per lui ancora costituivo.     

" Ma volete che usciamo a prendere un caffè?"

Come no? Ho assentito volentieri. Lui ha lasciato acceso il computer, e mi ha ricondotto con sé all' ingresso ripercorrendo i vani di casa.

Nell' uscire fra la gente, quand' era già notte, allora soltanto ho trovato il coraggio e il modo di confidargli che anch'io sono uno scrittore, per quanto solo virtuale, e dunque benché non abbia pubblicato ancora alcunché.

Le sue opere, invece, la raccolta stessa che di lui ho letto, mi ha detto che appaiono edite in numerose lingue, finanche in norvegese. Ed egli era appena reduce da una serie di conferenze in America, in Francia.

Il caffè al quale ci siamo seduti era lungo la via principale, il che mi onorava di essergli ospite per chiunque ci vedesse della folla ch'era di passaggio.

Sui gradini d'accesso mi ha presentato ad un suo conoscente, di me un poco più attempato, che ci è venuto cordialmente incontro come ci ha scorti, e si è seduto a lui di lato fronteggiandomi.  

Non ha dovuto certo poi insistere, al- Ugiayli, perché prima del caffè sorbissi anch'io una limonata di puro succo, insieme con il rituale bicchiere d'acqua.

" Vous avez à savoir - ha ripreso- ch'io non sono uno scrittore di professione, ossia ch' io mi considero piuttosto, come si dice in francese, " un amateur". Io sono innanzitutto un dottore, come sapete, e come tale mi conosce e considera la gente di Raqqa. Come il dottor 'Abd al-Salam al-Ugiayli.

( E non è forse così anche per me?, mi sono detto, se per quanto agli altri dica che scriva, e loro sappiano che coltivo tale vocazione, purtuttavia per i miei allievi, per chi mi conosce, sono pur sempre soltanto un professore di Lettere, traendo anch'io come insegnante, quanto lui come medico, dalla mia attività professionale il mio riconoscimento sociale).         

E' soprattutto dall' estero che in Raqqa lo si viene a cercare come scrittore, mi confida.

"E in quanto tale, come "amateur",- Al-Ugiayli riprende-, io non scrivo che quando voglio e come voglio.

Se fossi uno scrittore di professione, nel mio Paese io non sarei così libero di scrivere.

Qui in Siria c'è la censura, - trae un profondo sospiro-.

E' pur presente un' Unione degli scrittori, ma ci si deve attenere a ciò che  è permesso di pubblicare dall' autorità politica.

Nel mio paese certamente io posso scrivere ciò che credo, non mi si fa niente per questo, ma non mi è concesso poi di pubblicarlo.

Ho scritto una quarantina di libri che circolano nel mondo arabo, ma sono stati editi a Beirut".

"Mes écrits, soggiunge, sont surtout dès récueils", delle raccolte di racconti, di articoli e di sue conferenze.

Ma prima di quanto potevano lasciar trapelare queste sue parole, nel chiedere di lui, nel ricercarlo, io non avevo inteso appurare in che rapporti fosse con il regime siriano,- per me, infatti, tale era la grandezza dell’uomo che rivelavano i suoi racconti, che egli era ugualmente autorevole, ugualmente stimabile, quale che fosse la sua posizione rispetto all' autorità vigente nel suo Paese.

Ero predisposto a comprendere, come ad accettare, che potesse avere le più valide ragioni per riconoscersi in essa, e presupponevo piuttosto che egli fosse un' autorità letteraria istituzionale, talmente egli è conosciuto in Siria, e tale era l'alone di rispetto ammirato che mi aveva evocato il suo nome, tutte le volte che lo avevo fatto per accreditarmi al mio interlocutore.

" Al-Ugiayli? ah, doctor 'Abd al-Salam al-Ugiayli..."

" Se chiede di lui, tutti sapranno indicargli dove abita in Raqqa, e la condurranno certamente alla sua casa. Vedrà poi che lui potrà fare per lei ciò di cui ha bisogno", mi aveva detto il giovane studente, in compagnia di un amico curdo, con il quale avevo fatto il viaggio in autobus da Aleppo sino ad al- Mansoura, dove egli era disceso per Ath- Thawra preso il lago Assad.

In Aleppo, l’ avevo incontrato mentr’era anche lui in attesa alla stazione degli autobus, quel caro giovane dal volto così luminosamente aperto e intelligente, e avevamo simpatizzato, e ci eravamo intesi all' istante, per come avevo attirato la sua attenzione ed avevamo riso, senza irrisione, alla vista di quel ragazzo che dopo ch'era montato su uno scaleo, per ripulire i vetri di un autobus, ogni volta, con una sua sorta di professionalità acquisita, si era ben riempito la bocca d'acqua, per poi sputarne il getto sui vetri che ripuliva con uno straccio.

Lo "sputavetri", "The spitglass", l'avevo battezzato...

Al contrario di ciò che pertanto avevo immaginato sul suo conto,  ora potevo piuttosto ascoltarlo, al Ugiayli, in tutto il distacco che il suo spirito di dissidente mi manifestava dall' autorità del regime, sentendo di dovergli essere grato, in questo, per la fiducia istantanea che in me aveva riposto.

Ma mentre così mi parlava, ero insoddisfatto della piega assunta dal nostro discorso, volevo sapere piuttosto se vi fossero anche per lui delle  ragioni più determinanti di qualsiasi autorità politica o situazione civile, che necessitano a scrivere ancora o che fanno disperare che ne valga la pena, che abbia ancora valore la parola scritta.

Volevo arrivare a chiedergli, pertanto, se non occorra avere fede in alcunché, per potere ancora scrivere.

" Ciò che qui per lei come scrittore è l'autorità politica, nel mio paese è per me rappresentato dal potere dell' immagine che si fa spettacolo, dal successo decretato a quanto appare e si pubblica nei media, in quanto che tolgono la possibilità di ascolto alla parola letteraria, a quella che è la sua verità intima e più autentica...".

Intanto che gli vengo così parlando, noto che l' uomo che gli siede accanto, e che sta a me di fronte, su un foglio seguita a tracciare a matita i lineamenti di chi posso bene immaginare sia l'effigiato, e penso sia il caso di non rivolgergli lo sguardo.

" So bene, mi replica al-Ugiayli, qual è la vostra situazione in Europa, quanto vi sia difficile pubblicare, quale vi sia il potere delle lobbies.

Una signora francese che è con me in corrispondenza, mi ha detto che la traduzione che ha ottenuto di una mia opera è perfetta, ma che da anni non trova un editore per pubblicarla...

" Ma se uno dispera che vi sia ancora chi possa leggerlo, o che sia in grado di interessarsi a ciò che scrive, alla verità di sè che non può esprimere che con la scrittura, a costui non occorre forse, per potere seguitare a scrivere, la forza eccezionale di una necessità interiore, il soccorso di ciò che può dirsi una fede?...

Era forse il mio ulteriore intento, così chiedendogli, di accedere alla rivelazione del suo rapporto con la religione islamica?

Annuisce, annuisce più volte, sorbendosi la limonata ch'è una delizia, e in tutta risposta taglia via netto:" Io scrivo comunque ciò che amo scrivere, e quando scrivo non me ne importa se avrò lettori."

Che sollievo una simile risposta, in cui mi è di conforto potermici talmente riconoscere...

( Ora, tuttavia, che ne vengo scrivendo e ci ripenso, vorrei avergli potuto chieder se così, qualora si sia dei veri scrittori, non ci si sia condannati al tormento critico del più esigente ed ineludibile dei lettori, ossia al giudizio e all' esame insuperabile, in sé stessi, del demone interiore di Dio medesimo).

E' a tal punto, che mentre al-Ugiayli sorseggia ancora la sua bevanda, l'uomo accanto mi mostra l'opera che ha ultimato sul foglio.

Trattengo il disegno tra le mani e gli sorrido contraffacendo una smorfia di sorpresa, perplesso nel dovermici riconoscere in un mio ritratto. " Shukran, shukran, ma appaio forse così infelice?", gli chiedo, talmente c'è dell' afflizione nella mia immagine su quel foglio; quand'io, da che sono in Siria, mi credo di irradiare ovunque luce intorno, di viverci e di muovermi propiziandomi ogni evento e ogni altrui volontà, in virtù di un "adab" interiore che mi ci illumina di grazia.

" Ma da voi, in Europa, -soggiunge al- Ugiayli,- sono tanti e tanti a leggere, mentre da noi la gente è ancora analfabeta.

No, vorrei dirgli, non è affatto così, in due case su tre, della gente fra cui vivo, non entra un libro ch' è un  libro, più che scorrere i giornali, che sfogliare riviste,... e non v'è arroganza di cui più ci si compiaccia, sprezzanti, che di essere incolti quanto si è ricchi e persone che contano, importanti...

E lei che cosa scrive, mi chiede?      

Gli dico che sono di ascendenze poetiche, come scrittore, e che quando scrivo in prosa tendo pertanto all' introspezione soggettiva, ad essere eminentemente biografico. Anch'io, al pari di lui, ho scritto e vengo scrivendo dei miei viaggi, traendo ora gli appunti del tour che vengo compiendo in Siria. Ove anche in Resafe, quel giorno, sono andato ricercando e mi è venuta affascinando la prefigurazione bizantina delle forme occidentali, delle postume rinascite cristiane dell' arte greco- romana, come è vero dell' ornamentazione degli stessi portali di Sergiopolis-Resafe, similari a quelli della basilica rinascimentale della mia città. Ed in Siria io sono felice, gli confido, mentre in Italia ...

" Ma perché, qui in Siria,- gli chiedo nel chiederlo prima ancora divertito a me stesso,- sono così felice tra delle rovine? "

Egli che nell' ascoltarmi annuiva a distanza, a ciò mi sorride nella sua bonomia arguta, che allevia ogni cosa in termini semplici, con ironia...

Ma piuttosto che parlargli quindi della mia irrealtà di artista, della mia disperazione che mi fa rinnegare la mia arte letteraria per l'infimo della casalinghitudine, o di che altro di quotidiano, pur seguitando a sacrificarle ogni altra forma di felicità terrena, preferisco chiedergli di lui, come artista, di quali siano stati, nella sua formazione, gli autori europei più importanti: i classici francesi, ovviamente, Victor Hugo, per esempio, così come i grandi scrittori russi..., mi cita tra i minori Axel Munthe, ma quale autore della " Storia di San Michele", non dei libri seguenti che non gli sono piaciuti, Roger, non Alain, Peyrefitte, sorridendomi delle sue scandalose rivelazioni sui papi, del fatto che la cattolicità l' abbia messo al bando, benché egli sia cattolico, perché " il est un homosexuel", dissacratorio...

Il suo mi sembra il tono stesso, divertito e irriverente, con il quale dell' argomento avrebbe parlato un Sartre, cui somiglia tanto, ad un accolito in uno dei café di qualche boulevard parigino.

Un Sartre rivierasco dell'Eufrate, invece che della Senna...

E gli chiedo dei suoi racconti che ho letto, dei quali quello che dà il titolo alla raccolta per me è il più bello, indubbiamente.

E' veramente straordinario, in "Qanadil Ishibiliyya", il motivo delle chiavi del ritorno. Che come la generalità di chi oggi è profugo palestinese, già gli esuli di Andalusia si erano portati appresso nell' esilio, quali contrassegni di riconoscimento della casa ch’era andata perduta in mani infedeli, il giorno che un discendente avesse voluto ritrovarla, di ritorno, per il tramite della porta che la chiave consentiva di aprirne.  

Ugiayli assente, nel suo sorriso, tanto più sfumato, credo, quant'è più intenso ciò che condivide nel riconoscimento di cui gli rendono omaggio le mie parole.

Prediligo tra gli altri racconti, gli confido, quelli della guerra di liberazione che ha combattuto, "La lettera spedita", "Fucili nel distretto della Galilea". Ma a proposito di quest'ultimo racconto, si tratta di eventi realmente accaduti? Talmente può parere incredibile, a un lettore avvertito, la corrispondenza rovesciata dei fatti che vi narra: le vicende  dell'ardimentoso giovane beduino le cui mani sono deflagrate dal fucile di scarto che gli ha rivenduto chi fa commercio della sua guerra ideale, alle cui disgrazie fa da chiasmo che il più meraviglioso fucile, inopinatamente, sia sprecato nelle mani di un vigliacco che lo sottrae alla lotta di liberazione... mentre un terzo combattente siriano cade vittima delle stesse pallottole che ha sparato, che ne hanno rivelato la presenza a chi l'ha poi colpito...

Sì, certo, mi assicura, ma nel “récit “ sono diventati motivi con una vita propria.

E quanto ammiro anche "Sally", e basta che citi il racconto perché lui sembri rammemorare colei alla quale corrisponde il suo personaggio femminile, in un sorriso che sfuma ancora di più. " Ma adesso, soggiunge, e il suo sorriso si smorza e trapassa in un borbottio come di narghilè-, è passato il tempo che potevo leggere ciò che volevo, di mia libera scelta. Ora devo leggere ciò a cui sono obbligato da chi mi scrive e mi invia dei libri. Ogni giorno ne ricevo...".

Ma torna altrimenti a sorridere al suo sodale, e scuote il capo, quando solo vincendo una certa vergogna, gli dico il nome dell' hotel dove mi ha chiesto io alloggiassi.

Sono tentato di aggiungere, a giustificarmi, che solo due hotels di Raqqa figuravano nella guida, e che il precedente era anche più avvilente...

Mentre io desisto dal farlo e resto imbarazzato, egli si viene isolando nei suoi pensieri, nella cui ruminazione sembra ricordarsi solo allora, d'improvviso, che attende ancora dagli USA una telefonata dei figli; ed è il pretesto del suo improvviso congedo.

Non riesco più a dirgli altro, sull' istante, nell' alzarmi in piedi come colui che mi ha fatto il ritratto, in atto di rispetto mentre si solleva dalla sedia.

Di tanto che vorrei ancora dirgli, mentre mi lascia e gli stringo le mani, soltanto questo non posso fare a meno di confidargli ancora:

" E abbia per certo che quanto vengo scrivendo, ora in Siria, non può essere che un atto di amore per il suo Paese, perché in Siria io sono felice."

Felicitas, ipsa virtus...

E la sua persona si allontana, nel vicolo si fa ombra.

 

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