E’ accaduto a Kazbegi

 

In Kazbegi

Alla fine di luglio del 2001

 

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L'

 Aragvi che a lungo avevamo costeggiato nel suo corso schiumante, sempre più sprofondava giù in basso, via via che risalivamo i tornanti del passo Divari; vi si vedevano ora precipitare tumultuosi i torrenti di montagna, mentre intorno la natura seguitava a fiorire smagliante, sino a farsi oltre il passo una distesa erbosa di acquitrini circostanti

Poi i monti si sono rinserrati intorno, cupi di nude rocce, prima di riallargarsi nella vastità della valle in cui serpeggiava il Terek, per poi richiuderla in lontananza ad altezze sublimi, lasciando il solo varco per la vicina Russia.

 

 

Da Kazbegi, il tempo di trovare alloggio presso la prima donna che me lo ha offerto, alla fermata della marsukta, di ricercare il forno, le botteghe o gli spacci alimentari, che già nel pomeriggio risalivo sino alla chiesetta della Tsminda Sameba, lungo l'itinerario immortalato da Puskin.

 

E superavo nel fondovalle il Terek, raggiungevo le povere case del villaggio di Gergeti, procedendovi per le lastre e i ciotoli degli sconnessi camminamenti che ne colmavano i dislivelli tra le case, oltre il cimitero ero di nuovo tra il verde ora di pascoli e prati. Seguitava ai margini il percorso che non s'addentrava nel bosco, l'aria fragrante di fieno falciato, intorno i covoni e i campi di erbagioni, finché il bosco non sopraggiungeva anche lungo quel camminamento, senza che ai bordi del sentiero, come tra le distese di verde lasciate più a valle, cedesse il profluvio dei colori dei fiori-anche delle roselline ingentilivano il percorso -. Intanto alle spalle, se mi volgevo, vedevo i monti sorgere sempre più immani dal fondo, laggiù della valle, mentre di fronte più ancora elevato, di una potenza sovrastante impressionante, intravedevo finalmente il picco innevato del vulcano spento del prometeico Kazbeg, tra le nubi che ne coronavano la sovranità solitaria.

 

Il piacere di cui ero estatico, più che l’esaltazione di Lermontov, e del suo eroe Pecorin, di salire più in alto di quanto mai prima essi fossero ascesi, era di ritrovarmici nella più amena natura tra delle vette intorno cosi vertiginose, le cui sommità risorgevano dove credevo che non ci fosse più che il cielo, oltre le nubi che ne fasciavano i fianchi, che veleggiavano dentro la valle,- formandovi nel cielo, come nelle pagine di Lermontov, una seconda aurea catena di montagne.

Ma che era pur tanta gioia estatica, di fronte allo spettacolo che mi si è offerto al termine del bosco, quando in fondo a una prateria sommitale, su un culmine, mi è riapparsa la Tsminda Sameba, di vivida pietra in un verde smagliante sconfinato, le cuspidi della chiesa, del campanile, sullo sfondo di altitudini immense fosche di nubi.

 

 

 

Al rientro in Kazbegi, a sera inoltrata, ero così sfinito e stremato nel mio appagamento, che prima di ritornare nell' alloggio mi sono intrattenuto sugli scalini del forno del paese, uno dei pochi abitati che fossero illuminati nel villaggio, intento, tra quanto compivano gli uomini d’intorno, ai soli gesti complimentosi che un uomo faceva al proprio cane, docile ed enorme, che non voleva saperne di risollevarsi da dove giaceva.

Sulla veranda, in stanza, ho solo accennato che avevo capito, quando la signora, in russo, mi ha chiesto se avessi un accendino per la candela, dopo di che, nei suoi modi ruvidi di popolana, mi ha portato una lampada a petrolio in stanza.

Ha tentato di spiegarmi in russo come dovessi usarla, al che io ho solo annuito vagamente, prima di precipitare di lì a un' istante nel sonno.

Quando l ' indomani ve li riapro, è su un disordine intorno che non mi è abituale.

Risistemo subito un poco le cose, ma come tocco la mia tracolla con la chiusura a doppia cerniera, ne ricadono  insieme, e all' istante, Iconostasis di Florenskji, con la copia di “Un Eroe del nostro tempo” che mi ero portato appresso verso la Tsminda Sameba.

 

Com' è possibile... non è una mia distrazione possibile, la tracolla lasciarla talmente aperta....

Vi frugo dentro, per accertare se dalla apertura può essermi caduto fuori dell' altro, e all' appello constato che manca lo zainetto piccolo che tenevo al suo interno, in cui con lo scatolame e con altro, per le escursioni, custodivo la macchina fotografica con tutte le foto che ho già scattato..., i quaderni con le mie impressioni di viaggio...

Metto sottosopra anche ciò che è rimasto in ordine, rovisto nel letto, scruto dappertutto entro lo spazio della stanza che mi è riservato, non ritrovo alcunché da nessuna parte.

Sono dunque andate perdute, di rientro da Tsminda Sameba, le immagini di Mtsketa, della cattedrale  di Gelati, dei due amabili maialini che vi grufolavano appisolati lungo la strada?

Le tante immagini e le descrizioni di scorci architettonici, di dettagli ornamentali inusuali, che dovevano visualizzare i miei ipertesti sull' arte armeno-georgiana?     

Non mi do alcun tempo per decidere altrimenti, nemmeno mi preoccupo di non disporre che di un sorso d'acqua e di un pacco di biscotti, nell' avviarmi a ripercorrere la salita verso la Tsminda Sameba.

Nella frescura mattutina appare incantevole lassù in cima, così come la inquadro con uno degli apparecchi usa e getta che mi è rimasto, sullo sfondo igneo roseo del Kazbeg velato e disvelato di nubi.

 

 

  

 

Riecco il Terek, il tratto d'asfalto sconnesso che conduce a Gergeti, lungo il quale ricerco tra i rifiuti al margine del torrente.

Sia fatta, sia fatta anche così la Tua volontà, dico in me a Lui rivolto, anche se mi è così duro l'accettarla...

Se solo penso che l'immagine dei mie due maialini non vedrà più che la luce della mia vaga memoria, sempre più vaga, quando loro non saranno più altro che carne insaccata, tranci salati e fatti seccare, che la loro inermità dolce non potrà più perpetuarsi così, in nessun altro che in me che ne ho avuto pietà, quando si sono spaventati a tal punto perché mi sono accostato a loro solo un poco di più, se solo penso che si viene vanificando ogni mio ulteriore sopraluogo in Mtsketa, l’avervi fatto ritorno, tutto ciò che ho impresso di Bagrati e di Gelati, del suo angelo cherubico mirabile... 

        

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E riaffronto in salita l'erta scoscesa tra i tumuli e le tombe del cimitero di Gergeti, ove ho più speranza di potere ritrovare quanto ho perduto, è lì che mi può essere fuoriuscito o che posso averlo deposto e dimenticato, abbandonandolo, nell' atto di appoggiarmi mentre il pendio ripido mi franava di sotto.

Ma per quanto scruti tra le pietre e i cespi, non ritrovo nulla di nulla.

Oltre la radura dei prati è magnifico il Kazbegi come mi si disvela nella sua roccia brunastra, nei suoi nevai, - ma alla sua vista il mio cuore è velato da una cupezza sorda.

Poteva l'Essere Onnipotente, più semplicemente prendersi gioco di me?

Quando sembrava che tutto mi fosse stato da Lui propiziato, ...

Avessi perduto rotoli di dollari, non mi sarebbe stato inflitto un simile male.

Che mi è valso essere stato due volte di ritorno a Mtsketa, pur di acquisire le immagini della fronte absidale della sua cattedrale, per poi tradurla in parole che sono andate con esse smarrite...

Col cuore affranto, pur senza dare per perse le residue speranze, mi riaddentro nel sentiero del bosco, confidando che lungo il suo percorso, più oltre, mi sia dato di ritrovare lo zainetto in cui sono recondite le mie immagini perdute, o piuttosto presso la stessa chiesetta di Tsminda Sameba, se non lungo il crinale sottostante, dove posso averlo lasciato, distrattamente, mentre vi ero intento a fotografarne il profilarsi sullo sfondo del monte Kazbegi, quando nel tramonto si era manifestato sgombro di qualsiasi nube.

( Sempre che lo zainetto non sia scomparso altrimenti, su quella scalinata, mentre stavo tra quegli uomini, ed ero intento ad osservare quel caro bestione di cane...

Non è strano che l'apriscatole ch'era contenuto nello zainetto, insieme al resto, l'abbia ritrovato dentro la sacca a spalla in cui tenevo lo zainetto stesso...

Ma non è che una congettura, nient'altro, la supposizione di una mente che vaglia ogni possibile ipotesi prima di arrendersi...) 

Lungo il sentiero nel bosco, che cosa non sarei disposto a ripromettermi, a sacrificare, se ciò che scintilla fra l' erba non fosse scisto...

Uscito dal folto, al colmo della prateria sommitale riappare l'incanto della chiesa romita umile ed alta, nel sermo volgare in cui è un esemplare di cattedrale alpestre.

Lungo il verde crinale, recuperandone l’immagine in una serie di foto, ora ansimando ripercorro con speranza e desolazione il tratto restante, col passo pesante che non sa farsi la fretta gioiosa del giorno avanti, quando sono accorso verso la rivelazione compiuta della sua apparizione, così come si stagliava  magnifica nell' orizzonte grandioso, mentre ora, per quanto mi aggiri e scruti fra l'erba smagliante e i detriti rupestri, vado verso la certezza compiuta che anche tra la cinta della chiesetta, ed il declivio, non ritroverò niente di niente.

 

 

 

Né vi hanno intravisto alcunché, di quel che cerco, un ragazzo ed una ragazza di San Pietroburgo che mi ci hanno preceduto, di primo mattino, e che distolgo dalle loro effusioni amorose.

Ma quando con lo zaino in spalla, così come ci sono arrivati, lungo il crinale si allontanano in discesa, mi ripromettono di chiederne giù in paese.

E rimasto solo, nonostante ciò che ho ripromesso al mio Dio, mi sfogo tra l'erba nella pena cocente, vi invoco il mio padre terreno, tra i morti, che mi venga a soccorso nella mia sofferenza...

Ma anche così, lo spasimo non è che dolore cocente...

Sopraggiungono due anziani pastori, e mi salutano prima di sorseggiare e di pasteggiare con dell' acqua del pane e del formaggio…  

Quando ridiscendo, anziché ripercorrere ancora lo stesso sentiero, mi inoltro per quello lungo il quale ero salito la prima volta, più ripido e più breve, ma che mi riconduce nel verde ameno e confortante dei prati fra i fiori, di contro la vastità spalancata del fondovalle, l'immensa mole montuosa che sovrasta tra le nubi il villaggio di Kazbegi.

 

 

 

Chissà, per quale di questi percorsi, sarà risalito Puskin nella sua ascesa sino " al monastero, oltre le nuvole", quando Tsminda Sameba gli è apparsa così "come un'arca nel cielo si libra, appena visibile, al di sopra delle montagne", secondo quanto dicono i suoi versi, che reco appresso, dove cantano il magnifico sito.

" Là, dato l'addio alla gola montagnosa, vorrei sollevarmi nel libero spazio, e in una cella oltre le nubi nascondermi in vicinanza di Dio..."  

E mi faccio forza, mi riaffido alla fede, dallo zaino traggo lo scampato Lermontov, e vi rileggo i passi che descrivono il paesaggio caucasico.

Insieme con le sue parole ora anche l'acqua mi è di copioso ristoro, sgorga poco distante dalle condutture di alta montagna che la desumono dai ghiacciai del Kazbeg, prima di farsi una pozza acquitrinosa fra i pascoli rigogliosi.

E quasi che vi attingessi alla fonte sorgiva di ogni speranza, vi riaffiora la possibilità che dove alloggio possa non avere ben cercato, che frugando meglio, perlustrando...

Ma in stanza, anche quando vi sono prostrato di ritorno, giù nel villaggio, e rimetto tutto sottosopra, non ritrovo niente di niente.

E' un'amara divagazione, mentre si fa pomeriggio, tra le misere case di Kazbegi risalire sino all' "Ekotsentri", averne dal responsabile la carta degli itinerari possibili fra i monti circostanti, per individuarvi le cime e le valli di cui parla Lermontov, e chiedergli della salvaguardia ambientale del Caucaso senza venirne a sapere che vaghezze.

Oramai, quand'anche volessi raggiungere i ghiacciai di Gergeti non farei più a tempo, mi occorrerebbero altre tre ore di cammino, tre ore e mezzo, per i crinali dei monti oltre Tsminda Sameba; ed io, quand'anche in giornata fossi ancora in tempo ad alcunché, non ho in mente che un solo percorso: ritentare ancora una volta di ritrovare quanto ho perduto, risalendo una terza volta alla Tsminda Sameba.

Sia fatta la Tua volontà, mio Dio, mi ripeto, ma contro ogni mio sforzo inesausto di riavere le immagini e le cronache perdute, contro ogni mia possibilità di amarTi altrimenti che sottomettendomi, Dio padre crudele onnipotente...

E riaffronto il crostone d'asfalto, e la polvere, dell' erta verso Gergeti, il fetore della sgozzatura animale fra le sue case, di nuovo soggiaccio all' affanno dell' inerpicarmi nel sentiero fra le sepolture, per riuscire di nuovo dove l'acqua sgorga dalle tubature e si diffonde fra l' erba.

Traggo fiato e mi volgo all' incombere della vertigine montuosa, quando mi siedo ai margini di un prato e riaffronto la vista della catena, già alle mie spalle, che dal fondovalle di Kazbegi sale a incielarsi fra le nubi piovose.

Dal fondo dell' erta risale verso i prati e i boschi circostanti anche un gruppo di ragazze, mi avvicina una di esse, ed in inglese mi chiede la strada più breve per la Tsminda Sameba.

E' georgiana, come le sue amiche, tra le quali è sua sorella maggiore, più riservata e in disparte, e quando dopo avermi ringraziato di quanto ho loro detto, le vedo disperdersi più a valle, verso le case più in alto di  Gergeti, credo che data l'ora, o per altro, abbiano oramai desistito dal raggiungere la chiesa .

Riappaiono invece intercettando il mio cammino, quando ho già intrapreso il sentiero che nel bosco sale più agevolmente verso Tsminda Sameba.

Con loro è una giovane donna di Gergeti, che ha la chiave della chiesa e che le ha guidate per una scorciatoia.

Altro che rinunciatarie...

Quella giovane ragazza, Shorena, dai grandi occhi scrutanti, dal bel riso aperto, ama parlare con me, e quando mi chiede le ragioni per le quali scruto continuamente il fondo sterrato del sentiero, o indugio a ogni chiazza vistosa di colore, viene a sapere perché per la terza volta abbia affrontato quel cammino, comprende e ha riguardo della mia pena, sente quanto per me sia importante ciò che ho perduto.

Ma oramai, se cerco ancora, è più che altro per un'ostinazione che non si arrende, piuttosto che per la convinzione, o la speranza residua, di ritrovare i miei beni lungo quel tragitto.

Raggiunta la chiesa, quando è già sera, lei e le altre sue compagne, prima ch’io mi allontani, mi chiedono di accompagnarle al rientro nell' ora tarda.

Vagolo intorno, tra le sue pietre, ma il mio cuore già sa che non vi ritroverò niente, che il mio accertamento penoso non è che un atto di doverosa indagine incredula.

Ma io mi sono veramente arreso alla perdita di ogni mia immagine e scritto di/ Mtsketa, Bagrati, Gelati, di ogni dolce ricordo visivo dei miei due cari maialini georgiani?

Non è forse perché ancora non mi do per vinto, mi dibatto, che comincio oramai a dubitare della stessa donna presso la quale alloggio,- confido alla giovane-, se penso al disordine incredibile in cui la mattina ho ritrovato la stanza, alla lampada che mi aveva recato prima che prendessi sonno e che ora ricordo, non ho ritrovato poi al mattino...

Le avrebbe parlato lei, si è offerta.

Ero d'accordo, lo volevo? Certo, se anche lei lo voleva, se non le pesava l’assunzione di tale delicato compito sgradevole.

Come le sono grato, cara, di prendere sul serio la mia pena, la sofferenza di una perdita che tento invano di minimizzare, quando la invito a parlare d'altro, di risollevarmene dal peso, perché ne accetti definitivamente la perdita.

Di quante cose veniamo così discorrendo, mentre lei con me ride, pensosa, mi scruta intensa e si fa attenta non solo a quel che le dico, - dei suoi studi di psicologia in Tbilisi,  del suoi interesse per l'Italia e la sua arte, l'opera ed il cinema.

E dire, le ho rivelato amaramente, che per gli Italiani, per i miei studenti, la Georgia è una realtà inesistente, che non è certo a visitarne le meravigliose chiese, o i monti del Caucaso, che pensano di destinare il tempo delle loro vacanze.

Preferiscono i giovani miei connazionali, suoi coetanei, svagarsi divertendosi altrimenti.

" Come? Andando al cinema o a teatro?-

Se per l’educazione che l’ha formata, sono tali le aspettative della giovane, su come da noi comunemente ci si ricrei nel tempo libero, poteva ella fornirmi involontariamente un'apologia migliore di che cosa, anche in Georgia, è stato nel bene il socialismo reale?

Già è scesa la sera fonda su Gergeti, sul Terek che trascorre a fondovalle, quando raggiungiamo le prime case di Kazbegi, e lei mi chiede intrepida di farle strada, insieme alle altre, verso la casa dove alloggio.

Ma perché insiste? E non lascia perdere al mio invito a non scomodarsi? In che cosa crede, che mi lascia ancora credere, a quale filo ella si appiglia, che è la viva luce che brilla fiduciosa nei suoi occhi?

Glielo ho detto, per scrupolo di completezza, che la sera avanti mi ero trattenuto di fronte a quella panetteria, prima di fare rientro, e lei vuole chiedere delle mie cose perdute innanzitutto al fornaio, ai suoi familiari, agli uomini che vi ritrovo riuniti davanti.

Nessuno, a onore del vero, si schermiscono, che ne sappia od abbia ritrovato niente.

Ma perchè lei si assume intrepida ora anche il delicato onere di interrogare in russo la signora? La quale, battendosi il petto, si scagiona di ogni possibile sospetto.

No, no, assolutamente, a quanto capisco dai suoi gesti vibranti.

Non è così finita, a quanto pare? A quanto non voglio ancora credere?

Non sono ancora rassegnato, a quanto la donna ribadisce recisamente? E’ accalorata senza mostrarsi offesa.

Ma quando la ragazza le menziona con voce più circospetta la mia sosta precedente, presso il forno, il suo modo di fare si fa tutt'altro, con lei mormora e bisbiglia, alludendo ad alcunché che deve restare confinato tra loro.

Capisco, dai suoi gesti, che le dice di restare lì in attesa,

che provvederà in qualche modo,capisco dal tono con cui le ragazze mi dicono di aspettare quel che recano gli eventi, che c'è appiglio alla speranza.

Intanto la donna si avvolge in uno scialle ed esce dal cortiletto, scende in paese guardandosi attorno.

Sia fatta la tua volontà, mio Dio, dice il mio animo in attesa, che trepida e palpita dell' insperabile.

Passa una decina e più di minuti, finché la donna riappare, dopo di lei si fanno al cancello due uomini anziani, e quello che intravedo tra le loro mani è il mio zainetto, proprio il mio zainetto, che mi viene trasmesso con tutto il suo contenuto intatto... con le immagini in serbo dei miei maialetti, delle cattedrali georgiane, del tramonto sulla chiesetta della Tsminda Sameba con lo sfondo del Kazbeg

 

 

Casella di testo:

Casella di testo: I Maialini di Gelati

Casella di testo:

 

 

 

 

 

 

       
    Casella di testo: Cattedrale di Mtsketa: abside
 
  Casella di testo:
 

Casella di testo:

   
 

Casella di testo: Cattedrale di Mtsketa:
motivo ornamentale della facciata

     

 

 

 

 

 

Casella di testo: Cattedrale di Gelati

   
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Casella di testo: Tsminda Sameba , in Kazbeg

   
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Casella di testo:   

 

 

Casella di testo: La chiesa della Tsminda Sameba

   
  Casella di testo:
     
 

 

 

 
Casella di testo:   
Casella di testo: Il monte Kazbeg , sullo sfondo della Tsminda Sameba


Casella di testo:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Dio mio, Dio mio, come sono circonvolute le spire del Tuo amore... a quale stremo mi hai ridotto per poterTI amare...

Alla donna, alle ragazze, faccio dono in cambio di ogni mia scatoletta di cibo.

" Ma com'è stato, com'è successo?, chiedo, quasi che non avessi capito.

" Ciò che è importante, con un quieto sorriso mi dice la sorella della giovane, di mone Maya, è che lei abbia ritrovato quanto cercava. No?"

Il resto deve rimanere silenzio.

E che io stia riparato dentro, che non vada in paese, mi metta tranquillo a dormire, la donna che mi ospita mi suggerisce in un russo che riesco a capire benissimo.

E alla sua vecchia che è sopraggiunta, che convive in famiglia, fa intendere a gesti che cosa e come sia successo.

" io non so che cosa sia avvenuto- dico alle ragazze in atto di congedo.-So soltanto che simili cose accadono anche nel Sud  Italia".

Ne ridono le ragazze, all' atto di accomiatarci, non senza esserci scambiati gli indirizzi e la promessa di scriverci".

Che male, sempre più intenso, mi fa l'arto in cui soffro d'artrosi.

Ma prima o poi, ugualmente, potrò avventurarmi felice nel sonno.

In un calore circostante, di cui sento lambirmi l'avvolgimento amoroso.

( Sei anche tu, padre mio morto, sui miei passi vigilante?)

 

    

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