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Lasciando l’India

 

 

Ieri, insieme ad Ajay, più che mai un  incantevole uomo-bambino-,  sono stato di ritorno in Khajuraho dal mio viaggio in Allahabad, da dove ci siamo inoltrati a Kushambi,  il primo giorno, recandoci  nel sito archeologico di Bitha e  nel forte templare di Gharwa, il giorno seguente, per esserne  di rientro ieri l'altro  via Rewa, dopo una sosta tra le  stupa e pitture rupestri di Deor Khotar. Abbiamo dovuto alloggiare in Sarnat, durante la notte, essendovi arrivati ad un'ora troppo tarda per trovarvi ancora un autobus per Panna, e ne siamo  ripartiti nella prima mattinata, per ritrovarci nel silenzio ordinato e pulito della casa rimasta vuota,  giacchè  Kailash con la nostra restante famiglia_ Poorti, Chandu, Vimala- era convenuto per una puja  con i suoi genitori nel tempio di Hanuman, oltre Bamitha.

L' ulteriore monsone ha ritardato il suo rientro pomeridiano, era ancora in viaggio sul nostro autorickshaw quando ha iniziato a scrosciare, e la  precipitazione a dirotto ci ha annunciato che non si tratta più delle prime piogge che lasciano la tregua di giorni, ma che la caligine plumbea e le piogge intermittenti sono già la quotidianità di ogni giorno in India fino a tutto settembre

" Come sono felice di rivederti presto", mi ha detto ieri sera mia madre al telefono. Ma nel gioirne ugualmente, soffrivo  che il trascorrere dei giorni porti tra poco al distacco dalla fisicità quotidiane di queste pareti domestiche tra cui ancora mi ritrovo, dei contatti con Kailash e con i nostri meravigliosi  bambini, per quanto tra noi risorgano insofferenze, avversioni e ripulse. E' bastato che ieri pomeriggio vedessi Ajay poggiare sul suolo della cucina ,su cui avevo appena inoltrato i miei passi, i cetrioli senza più la buccia e i pomodori e le cipolle che veniva tagliando per me, perchè la mia mente non se ne capacitasse nonostante la mia calma esteriore. Possibile che il mio caro Ajay, che era appena stato per me lassistente  più fedele e devoto assistente ,  mostrandosi già così intraprendente e  capace di farsi valere, che  ogni giorno riceve il mio amore come una trepida pianticina accoglie il calore del sole , fosse ancora così indifferente ad ogni riguardo igienico?

" Tre cose, ho ripetuto più tardi a  Kailash, mi restano difficili da accettare del modo di vita di una famiglia indiana come la nostra, che si guardi sempre cricket alla televisione, il consumo di gutka, che vi si faccia ogni cosa per terra". Cucinare, mangiare, dormire, -ora quasi non più-, i compiti di scuola, o quant'altro. E a Vimala,  egli ricordasse che sarebbe assai più bella non solo se si curasse i denti sporgenti, ma se abitualmente non rendesse il suo volto scimmiesco, masticando gutka in continuazione

 Diventa allora così frequentemente sgradevole, che non è difficile credermi, di certo, quando di Kailash ripeto ai locali benevolenti. " His wife is his wife, but his children are my children", Chandu, prima di ogni altro, cui grazie a me  è stata data la vita, ora ora sopraggiunto in stanza,  per vedere i filmati di quando era sulle giostre del mela ground per Shivaratri.


 

Poi avrei evitato di agitarmi con Kailash, se dopo avere dedicato la mattinata domenicale ai preparativi della nostra partenza per Delhi, dove mi avrebbe aiutato a trasportare i bagagli dalla stazione di Nizamuddin all'hotel N* e sarebbe poi stato in mia compagnia, si era di nuovo distolto dall'intento di racimolare guadagni con l'autorickshaw, dedicandosi all'irrinunciabile sonno quotidiano dopo avere imbandito il pranzo, il cui protrarsi sin oltre le quattro, fino alle cinque, se qualcuno con le buone o le cattive maniere non si attenta di svegliarlo, mi ha fatto talmente disperare che possa mai lavorare duro, " to work hard" , come richiede l' assicurazione di un futuro dei nostri bambini , senza dovermi per forza incatenare a vita al loro destino.

Ricordo ancora , ora divertito, come alcuni giorni prima che partissi con Ajay alla volta di Allahabad, io e Vimala e i nostri bambini ci siamo ritrovati fuori di casa in attesa che si rabbonisse, dopo che egli aveva infuriato nei miei riguardi come un leone destato dal sonno nella sua tana, per averlo richiamato al risveglio quando erano oramai trascorse abbondantemente le quattro pomeridiane.

Ma come dimenticarmi che ogni mattina non lo ritrovo più in casa, al nostro risveglio, perchè con l'autorickshaw è già  alla volta della stazione ferroviaria, o vi  è già in attesa dei passeggeri che arrivino da Delhi o da Varanasi.


 


 


 


 


 

Nell'ultimo abbraccio di Chandu, sollevandolo al cielo tra i baci e le lacrime sulle sue guance,  con lui portandomi al cuore anche Sumit,  per pochi istanti  l'ho distolto dal luogo in cui l'ho ritrovato,

con sgomento, intento a giocare con altri bimbi : il seguito della stradicciola da cui si distacca  il vicoletto che reca alla nostra casa; incrostato di escrementi animali, di lato al quale le ultime piogge hanno rigonfiato la canaletta di liquame nero, tracimato nella distesa di immondizia a cielo aperto che campeggiava alle spalle dei nostri bimbi, per il lurido crogiolarvisi di vacche e maiali neri.

Quando la madre mi diceva che Chandu non era in casa perché era a giocare con Ajay, o che Ajay   era fuori a giocare a cricket, fino all'ultimo giorno, senza ricercarli più dove fossero, come ho potuto credere che stessero giocando più oltre, altrove?, in un altrove illusorio verde e radioso, diverso da tale lurido squallore, tra le madri e le  comari, o i compari, incoscienti dell'orrore in cui li lasciavano intenti a giocare.


 

Quando ad ottobre ritornerò,  il mio primo compito, miei cari Ajay, Chandu, Poorti,  sarà distogliervi in tuk tuk da tali siti, per gli aperti spazi oltre il villaggio, al di là dei templi delle Yogini o di Vamana,  dove possiate ritrovarvi tra gli aperti campi con i vostri piccoli amici.

 

15 giugno 2013


Prima Ecloga Indiana ( 2012) Riscrittura

Qui dove la tigre che ti fronteggia 


 

è il pupazzo di stoffa di Chandu, 


 

e nel dolce lume il gioco e il canto


 

sono la felicità di bimbi tra l’immondo,


 

che lieve brezza ti riconduce,

trattiene i tuoi giorni tra sibili e incanto,

prima che cedano al sonno ed ai silenzi,

inquietati dai ladri ,

della luna sui terrazzi e gli orti di Sevagram,

cum complexa sui corpus miserabile nati,

lo stesso colpo di tosse nell'ultimo nato

e già è il tremendo del sereno

di cui i muri sono assorti nei giorni,

tu vi schiudi il cuore e le braccia

e quanta delicatezza tenera

discopri nel morso

ch’è il calore della schiusa di piccoli cobra,

mentre non hai più altra vita, che questa,

che ti adempia o ti smentisca per sempre,

tra gli strilli e il pianto o il crollo di schianto

deus nobis haec otia fecit

dove il villaggio riposa all’ombra dei nim,

nell’attesa del rientro al tramonto

dalla giungla di bufali ed ox,

e tutto, per la tua remissività ad ogni oltraggio,

da che cedendo la gola per il taglio a Kali Bhairavi

potesti lasciare il tormento delle aule

dove chi è rimasto rimarrà ancora più a lungo

ed altrove, qui in India,

eccoti di già sulla via del ritorno

con l’amico sotto le stesse fronde ospitali dell’himli,

quando di febbraio è già estate

e la senape ingiallisce i campi,

in lontananza sfumando i declivi

dove alle acque del Ken discendono i boschi,

presso le propaggini del parco

che pervengono (approdano) ai giunchi ,

“Vedi, come il fiume senza farne uso e ricevere offerte

dona la sua acqua a pecore e cervi,

così l’albero ci dà la sua ombra”,

sotto la quale possiamo ancora indugiare

disvelandoci che cosa sia tra noi paro upkar,

è nelle vicinanze il tempio di Chattarbuja

che preannuncia la nostra antica città,

poi conterà solo andare avanti,

e sarà questo il nostro canto più alto


13 luglio 2013




 

Chanderi la si raggiunge per lo più da Lalitpur, dove l’Uttar Pradesh si insinua più in profondità nel Madhya Pradesh, a sud di Jhansi, lungo la direttrice ferroviaria che da Jhansi  giunge a Bhopal, doppiata dall’arteria stradale che  reca a Sagar. Ma una dolente premessa  si rende qui necessaria, a onore del vero,  prima che chi intenda visitarla si risolva a giungervi:  i 37 km che vi recano da Lalitpur, si riveleranno il tormento doloroso incessante, per i tre quarti del percorso , che  è  inevitabile patire per accederne alle bellezze recondite, in merito alle quali va premesso, perchè si abbia consapevolezza  di sia ben presente, quel che si perde sottraendosi al subbuglio, che sono si situano tra quanto di più bello  riserva il lascito in India dell’arte islamica afgana.

Tutto un sobbalzo, uno sconquasso di organi interni, per schivare l’uno o l’altro cratere stradale senza potere evitare il successivo, che solo la stabilizzazione concessa dal viaggio a pieno carico degli autobus di linea macilenti, può lenire nelle trasmisssioni delle vibrazioni ossee. Ma  si riveleranno le asperità ch’è valso la pena affrontare fino all’ultimo scombugliamento / sconocchiamento,, per le quali  si raggiunge ciò che anticipa in terra il gaudio celeste, non appena si affianchi e si superi la Rajghat dam sul fiume Betwa, e inizi l’erta che fa ascendere sull’altopiano del Malwa,  addentrandoci di li  a poco nell’abitato di Chanderi adagiato tra i colli.

Tale arrivo in salita, lasciando per l’altura del Malwa ed il rientro nel Madhya Pradesh, le lande del Bundelkand che sono situate  nell’ Uttar Pradesh, ci fa già intendere  quanto fosse militarmente strategica la postazione di confine di Chanderi, e si situasse imprescindibilmente lungo le vie del commercio tra l’India del Nord ed i porti occidentali  ed il Deccan, destinandola all’affluenza della ricchezza e alla conquista predatrice.

A credere al visir Abul Fazl, a quel che riferisce come parla di Chanderi , nell’ Ain-i-Akbari, “La costituzione di Akbar”,- volume terzo e conclusivo del  monumentale libro celebrativo dell’ imperatore moghul Akbar, l’Akbar Nama, alla fine del Cinquecento era Chanderi  una mirabile città fiorente con 14.000 case di pietra, 61 palazzi, 384 bazar, 1.200 moschee, 1.220 pozzi con gradini...Meno immaginifica, sotto tali parvenze di essere  puntualmente precisa, è la rappresentazione che ne preservò all’inizio del medesimo secolo l’avolo capostipite  di Akbar, ossia Babur, imperatore,  nel libro delle sue memorie, il Baburnama, alle pagine che scrisse dopo averla espugnata il 2 settembre del 1527, di Venerdì, sottraendola a Medina Rai, il ministro secessionista di Mahmud II del Malwa, a cui il potere sulla città era stato trasmesso solo sette anni prima dal re del Mewar Rana Sanga di Chittorghar, che l’aveva posta /ponendola a sua vltasotto assedio  stremando le resistenze di Mahmud II.

 “ E’ la cittadella di Chanderi su una collina e all’interno ha un bacino d’acqua intagliato nella roccia... Tutte le case in Chanderi, siano esse alte o basse,  sono costruite in pietra, quelle dei ceti più alti essendo laboriosamente scolpite; quelle delle classi umili sono anch’esse di pietra ma non sono scolpite....”

Ma ancor più affascinante ed affascinata è l’immagine di Chanderi che due secoli dopo, nel 1859, si offrì alla vista dell’ufficiale armato Lt Reginald Craufuird Sterndale, così come ebbe a scriverne, accedendovi dalla Kati Ghati, la porta ch’è intagliata nella montagna, a sud di Chanderi, ed ora confinata al traffico locale, ma che dall’epoca della sua costruzione, nel 1495, era destinata ai viaggiatori che pervenivano in Chanderi dal Malwa o dal Bundelkhand: “ Transitando attraverso la Khati Ghati, Chanderi sorgeva alla vista come un dipinto dal quale sia stato improvvisamente rimosso/ scostato  un telo. Le montagne formavano una lunga valle a ferro di cavallo interamente chiusa su tre lati. Sotto di noi giacevano la città di magnifica pietra scura, alte case, pinnacoli di templi scintillanti d’oro, moschee, cupole, minareti e portali, palazzi d’estate /estivi...tutti  cinti  da masse di fogliame, densi boschetti  di tamarindo, shureefa, more, frammischiati con  luccicanti specchi d’acqua sui quali migliaia di volatili si svagavno.Tutto intorno si snodava un’ alta muraglia in pietra, bastionata, dotata di torri con feritoie e di imponenti porte, e a sinistra, a coronamento del più alto sperone roccioso  delle montagne, e dominando l’intera valle, e l’intera città, incombevano minacciose le scure torri ed i bastioni della cittadella

La fortezza, ora più imponente che arcigna, senza  particolari  tetraggini d’aspetto, sovrasta alla vista la città,  da che/ e più non vi lascia, come  vi si accede dall’opposto versante, e la visione che ne ebbe il luogotenente resterà tutta da raggiungere nella sua contrapposizione a distanza, dopo avere traversato e trascorso l’intera città.  L’ingresso si apre ora a noi  in prossimità della Delhi Darwaza, la porta (darwaza) di Delhi, una delle quattro porte , su cinque originarie, che ancora sopravvivono della cinta muraria, o kot, ultima, fra le molteplici cortine di un   tempo, che ancora in parte racchiude la città interna, o andar sheher .

Portata a termine nel 1411, sotto il regno di Hoshang Shah, quando la città era sotto la signoria monumentale dei  sultani afghani di Mandu*- mentre era stato /fu sotto il sultano Dilawar Khan che i lavori ebbero avevano avuto inizio-, la caratterizza il rilievo su ambo i lati del mitico animale denominato shardula, attinto alla mitologia  hindu dai sovrani muslim, che  raffiguratovi mentre vi è intento nella sua raffigurazione a sgominare un elefante, emblematizzando /a per emblematizzare il potere incontrasto dei governatori della città. Di matrice hindu sono pure le mensole  lavorate come fossero intagliate nel legno, nei loro boccioli gemmei pendenti, che sovrastano plurime gli stipiti interni della porta, sagomati a loro volta come se fossero l’ingresso nelle guise di  ingresso/ ad un palazzo.

Appena oltre la porta,  trattenendo ogni anelito monumentale, che può mai esserci già concesso, di più fascinoso, che sviarsi,  sulla sinistra, per i selciati delle strade restringentisi astringentisi e  gli slarghi degli spiazzi ombrosi dell’antica città interna, riesumandola  così come risorge alla vista nei suoi scorci d’incanto, ove le alte murature e i pilastri di supporto delle antiche magioni , e di occluse porte urbane ,

vi hanno una prosecuzione in laboratori e officine e scuole, e dimore contemporanee, tinteggiate di bianco e di blu,  nei loro sporti sovrastanti.

 

A poco a poco l’antica città si fa così il  Sadar Bazar, nella varietà dei suoi negozi e commerci artigianali, tra i quali primeggiano quelli dei rinomati sari di Chanderi, confezionati nei i laboratori che si possono intravedere e in cui è gradito l’ accesso, ove le fusaiole e i telai sono all’opera nel’intesserli.

Bellezza dei colori, dei semplici motivi ornamentali, loro lunga durata, leggerezza ed eccellenza della seta in cui sono lavorati, i pregi cui è  oggi dovuta la loro fama.

Meno rinomata, ma di rilievo,  anche la lavorazione delle foglie di tendu per fabbricare di casa in casa le bidi,  o sigarette.

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 Seguendo l’ opera femminile intenta nella lavorazione dei sari, il vagare ci conduce inevitabilmente, sulla via che reca forte, al primo degli edifici monumentali che ne ospita una scuola tessile,  il Raja-Rani ka Mahal,  il palazzo urbano del re e della regina di Chanderi, composto di due edifici distinti raccordati da una galleria, ai margini di una vasto spiazzo.

Dai corridoi  cinti da pilastri/pilastrati che danno sui cortili interni,  per l’altezza dei tre piani, all’ombra di torri e chattri,  si può accedere ai laboratori velati da tendaggi, o lo sguardo si può sollevare alla magnifica vista della muraglia bastionata / delle mura e dei bastioni possenti della fortezza sovrastante, o altrimenti può anticipare , sulla sinistra, l’allinearsi dei bianchi sikkaras cuspidati dei 24 santuari, svettantivi bandierine color zafferano, che compongono il tempio Shri Chaubisi Jain.

Grande è stata nei tempi e persiste vitale la presenza della Comunità jain in Chanderi e nei dintorni, lo attestano i templi che sono  pressocché tutto quanto  rimane dell’antica Chanderi, situata a distanza, ancora più  in altura, le sculture rupestri improfanate e i tempietti nelle immediate vicinanze di Sri Digambar Atishay Khandagiri, o i siti di pellegrinaggio nel raggio di una ventina di chilometri di  Thuvanji, Sironji,  e in  paraggi più remoti  quelli più celebri di Deoghar.

Più a Nord est, tra  Gwalior e Jhansi, in Sonagiri è la Comunità madre di lattescenti templi lungo l’intero pendio di una collina, da cui proviene chi fu il fondatore stesso del tempio Sri Chuabisi, Bhattaraka Harichand, mentre oltre Lalitpur sussiste una costellazione ulteriore di siti jain, nei pressi di Tikamgarh,  Baldeogarh, in  Khajuraho e Nachna Kuthara.

Di due parti consiste il tempio,  di cui la più recente ospita ed offre alla devozione le 24 immagini dei 24 profeti jain , o thirtankaras, una per ciascun santuario.

Se il tempio non si è  prestato che al vostro riguardo  devozionale, poco più aavanti, più sottostante al forte, potrà rinvigorire la vostra sensorialità il vivace cromatismo, hindu,  della facciata del  tempio  in onore di Narashima, quarta incarnazione di Lord Vishnu, semi-uomo, semi-leone.**

Cinque  gradini di pietra sopraelevano l’arcata d’entrata, tra due gallerie che ostentano il più brillante colorito, svariante di giallo, di rosso, di blu.

Le sovrastate  unbaldacchino cupolaceo e guarnito di chattri, Ancora un cortile interno di smaglianti pitture, o rangoli e si è al santuario del tempio per la venerazione del  dio.

Una retrocessione oltre il palazzo stesso di re e regina di Chanderi, ci conduce alla mole antica della dimora della casa di Baiju Bahwra, il  musico eccelso, e santo,  che primeggiò  alla corte stessa del Raja Man Singh di Gwalior.

Ci si interni ancora di più, volgendo a sinistra, e si perviene di lì a poco  a uno dei più incantevli monumenti di Gwalior, le presunte tombe della famiglia del santo sufi Nizamuddin.

Se ci si attiene a ciò attestano una placca esterna ed alcune iscrizioni tombali, che fanno risalire i relativi sacelli al 1425 quando era signore di Chanderi il Sultano del Malwa Hoshang, che diede l’incarico di erigerle al ministro Malik Salaar, sono piuttosto i sacelli alcuni di suoi tardi discepoli, sorti al seguito della testimonianza di fede di Hazrat Wajihuddin, coevo di Nizamuddin,  preposto alle genti di Chanderi dal sultano Alauddin Khilji.

Ciò detto,  è bello bene smemorarsene, per restare assorti negli intricati incanti della loro trascendenza ultraterrena, nelle trame di luce ed ombra che  profilano gli intagli geometrici e floreali, i rilievi in cui sboccia la pietra.

 

Incroci di diagonali dai fulcri astrali, il loro intercidere ottagoni concentrici, trine stellari , pendenti foliari, intrichi d’arnie alveolari, capolini floreali esagonali dal cuore di stelle, da cui si dipartono e si interconnettono rombi di petali, la profusione  in cui può estasiarsi la mente.

Lasciati i sepolcri con comprensibile stento,  resta il dilemma se portare a termine la visita monumentale della antica città interna, o ascendere prima al forte, senza resistere oltre alla suggestione di entrarvi.

Confidando nell’ arte di indugiare del visitatore, nella morosità della sua delectatio, e prediligendo l’ ordine di precedenza cronologica dei resti, optiamo per ritardare l’ascesa, e volgendo alla fortezza anche le  terga, per dirigercii verso nord ovest , dove  s’ergono le rovine e gli edifici più monumentali della città e della civiltà che finì sottomessa  ai Moghul, dopo la prese del forte da parte dell’ imperatore Babur: 

Si perviene cosi, irresistibilmente, per i galis che sono come i capillari della

circolazione della sua rete viaria, al di quà dei resti  delle sue mura, i kot dell’andar sheer, o città interna, come si  già detto, al monumento- simbolo della città di Chanderi, la Badal Mahal Gate, ossia la Porta del Palazzo tra le Nuvole. 

Quando mai, al suo cospetto, sorge da dire al solo suo nome,// il caso di soggiungere, denominazione fantasiosa fu più realistica: solo tra le nuvole, infatti,/ appunto/, può situarsi il Palazzo fantasma cui immetterebbe, giacchè la Porta ha un seguito solo nel fondale del forte sù in alto. Più prosaica e fittizia, o falsa, ci sembra la spiegazione del nome originata dal dato che le sue torricelle sembrerebbero toccare il cielo, mentre  il vero storico,chissà,  è che era una porta trionfale, di rappresentanza,  che  preludeva per gli ospiti, tra fiori e musica, ai palazzi di corte ed al forte. Certo è che fu edificata nello stesso secolo d’oro degli altri monumenti islamici di Chanderi, per la precisione nel 1450, quando il Sultano che da Mandu governava  Chanderi era Mahmud Shah Kilji.

 

Entro il complesso di cui fa parte,  la porta svetta nelle due torrette che ne affiancano la cortina centrale, in cui si sormontano due archi , dei quali quello superiore ha le sembianze di un affaccio su cui incombe il graticcio finissimo di quattro jali, ma solo perchè l’apertura,  in realtà, è l’ammanco di altri quattro pannelli andati perduti.

Una lunga storia, di reminiscenze, prende corpo nelle torrette laterali inclinate. Esse richiamano e si richiamano all’arte  dei sovrani Tughluq di Delhi, già governatori del’area di Multan, ora nel Pakistan, dai piloni inclinati delle cui moschee trassero o trasmisero ai loro artefici  l’ ispirazione di quelle affini, del secolo antecedente a quello della nostra porta. Le loro vestigia si ritrovano nei villaggi ora inglobati nella attuale megacity, in cui sorgevano le due città di Delhi fondate dai sultani Tughluq, dopo quelle antecedenti di Qila Rai Pitora e di Siri:  Tughlaqabad e Jahanpanah, quest ultima di raccordo di Tughluqabad con Siri.

Adiacente a Tughlaqabad,  ritroviamo dunque la moschea  inclinata nelle sue mura di Ghiyasuddin,- quello Tughluq, da distinguersi dal precedente Ghiyassudin Balbab, che in Chanderi già aveva fondato  la congregazione originaria della grande moschea-, mentre nei villaggi  che corrispondono al sito storico  di Jahanpanah, sorgono le moschee dagli ingressi tra piloni ,come la  Badan Mahal  in Chanderi, di Kirkee e di Begumpuri, da cui i caotici villaggi traggono il nome. A completezza dei riferimenti, va ricordata per i suoi minareti laterali inclinati anche la ulteriore moschea tughluquide di Kalan, che è rinvenibile/ rintracciabile nella vecchia Delhi seguitando l’arteria che si distacca dalla Turqaman Gate,  per distaccarsene dentro  strettoie di vicoli che tolgono il respiro.

Ma dalla nostra porta  del Palazzo tra le nuvole, la vista può spaziare libera invece su una vastità di cieli, inoltrarsi con i voli degli uccelli nelle chiome in cui si infoltano  gli alberi retrostanti, o sospingersi verso la fortezza che li sovrasta, differita e incombente, ove un bastione ne asseconda la curvatura.

 Ma ancora una volta ricusiamo, sia pure  temporaneamente, il suo invito attrattivo, le volgiamo le terga per ritrovarci al di là della cortina dielle mura, ove è adombrata la quiete islamica della Jama masjid, la moschea del Venerdì.

Benché la fondazione della moschea congregazionale  risalga alla riconquista islamica di Chanderi ad opera del sultano Ghyassuddin Balban di Delhi, nel 1251, lo  stesso il cui mausoleo in Tughlukabad presenta la  i verrebbe ad inclinazione muraria che abbiamo ritrovato nei minareti delle moschee tughluquidi in Delhi e nelle torrette della porta Badhal Mahalnella nostra Chanderi,  la Jama Masjid si evolse nel più puro stile afghano, secondo i dettami dei Sultani del Malwa che da Mandu subentrarono nel governo della città, al punto che se ne posticipa l’edificazione fino al periodo di massimo splendore artistico che intercorse sotto il loro governo della città, durante il regno dunque di Mahmud Khilji,- smentendo anche ciò che lascerebbe supporre un’iscrizione rinvenuta nella moschea, secondando la quale si dovrebbe retrodatare la sua edificazione al periodo della sovranità su Chanderi di Dilawar Khan ( 1390-1405).

Al di là del meraviglioso portico d’entrata sontuosamente decorato nella sua calda pietra, di fogliami cuoriformi, intrecci di nodi, schiuse rosacee/ rotate di corolle di petali, ecco che  intorno alla vastità del cortile, nei chiostri laterali, o dalans,  nella sala di preghiera sormontata da tre spoglie cupole di marmo, senza che il complesso sia sovrastato da alcun minareto, la moschea . si  depaupera di  ogni ornamentazione, che non siano i medaglioni di loto e i montanti  serpentinanti,  e  si fa luce ed ombra della raccolta assorta sublime potenza di nude arcate e pilastri portanti, per il raccoglimento assorto di sola meditazione e di preghiera.

Per ridotte che ne siano le dimensioni, più ornamentato appare il dargah di fronte alla moschea,  ricco di intrichi di jali, di motivi floreali,  che inducono a supporre che sia stato edificato quando a governare in Chandu erano da Mandu  i Kilji del Malwa. Altri due dargah, più tardi, del XVII secolo, sorgono, poco oltre lungo la strada che procede in direzione opposta all’ingresso in città per la porta di Delhi.

A un secolo prima, il XVImo,   risale invece il Chakla Baoli , preceduto da due tombe, una vasto bacino acquatico scavato nel suol a cielo aperto, cui

si scende per scalinate di gradini a forma di V.

Levando inevitabilmente lo sguardo dallo stato d’incuria e d’abbandono in cui versa, possiamo scorgere quanto intanto si sia fatto distante il forte in altura,  come alla sua ascesa non resti più da frapporre che il percorso che conduce agli inizi della salita, tra il clamore del traffico sugli acciotolati,  il clangore dei telai e delle battiture metalliche nelle officine, e  alte rovine fatiscenti e isolate di altri antichi edifici.

Nel risalire invece alle  origini del forte, le inevitabili note storiche ci fanno retrocedere a tal punto, giustificando una  sosta, fino all’ XI secolo medievale, quando ebbe a iniziarlo un re hindu Pratihara entrato nella leggenda, Raja Kirti Pal, da cui trae il nome di Kirtidurg.  Occore invece rifarsi più tardi  ad Alauddin Kilj, sì, quello dal cui magnifico mausoleo nel complesso in Delhi del Qutbminar, ha inizio l’assimilazione perfetta della curvatura di cupole ed archi nell’arte indiana, per venire a sapere a quale conquista del forte  si debba la sovrastratificazione definitiva, anche in Chanderi, della civiltà islamica su quella hindu, raggiungendovi il suo acme quando agli esordi del 15 secolo passò sotto i Sultani  del Malwa in Mandu.

Se si sta alle cronache del Baburnama, il libro di Babur, sembra che quasi senza colpo ferire nel dì che si è già detto del 1527,  l’imperatore moghul si sia impadronito della possente fortezza: ” Io ho espugnato questo forte rinomato, senza dovere sollevare le mie bandiere, o battere i miei timpani, e impiegare l’intera forza delle mie armi”.

Ma il forte ci svelerà tra poco, come a Babur, quanto di tremendo aveva significato tale arrendevolezza .

Risalendovi intanto, per la massicciata del sentiero che vi conduce, ai rumori della città subentreranno il canto degli uccelli  e il clangore dei campanacci di capre, sospinte per lo più da pastori bambini, mentre lerba si infolta ai bordi e fra i ciotoli. Traverseremo così una soltanto delle tre porte che rallentavano il passo, la superstite Khuni Darwaza , o Porta insanguinata, che trarrebbe il suo nome cruento dai cadaveri espostivi dei prigionieri che vi finivano maciullati, strapiondandovi dall’alto delle mure da cui erano fatti esemplarmente precipitare, durante il regno dei Sultani del Malwa.

Giunti entro le mura merlate, cattura immediatamente la vista il complesso, o componud, di palazzi sovrastificati addossati ad esse, per superarle in altezza nelle torri, e nei chattri, in cui culminano i tre piani dell’aggregato degli edifici aggregati intorno a un luminoso cortile,  costellato di vere di pozzi.

La vicina moschea, attribuita a Babur, ma risalente al 14 secolo,  e di epoca Kilji, sopravvive solo nella sala di preghiera, dal meraviglioso mirab intarsiato di rombi ricamati nella pietra, dei più incantevoli boccioli floreali.

E’ nei suoi pressi che dal balcone della porta Hawa Paur  ci si può alfine affacciare sulla vista incantevole di tutta Chanderi sottostante, del biancheggiare delle sue murature e dei terrazzi dei tetti, nel dedalo di vicoli curvanti e di slarghi di cortili, entro la chiostrahe le fa corona,  delle colline sormontate/ costellate/in cima da dargah , ove già si possono ravvisare, sulla sinistra, i bacini lacustri dei siti di caccia, la Kati  Gathi intagliata in una gola rupestre, mentre tra gli abitati e l’infltarsi degli alberi di chanderi,  è ora un’ incantevole meraviglia ravvisare nella panoramica, ad uno ad uno, pressocché tutti quanti i monumenti già visitati, come in un loro plastico che ne è invece la visione fragrante e reale: eccolo di nuovo, miniaturizzato, il Palazzo del Re e della regina, il tempio jainista accanto, coi i sikkara e gli stendardi color zafferano sventolanti, più sottostante il tempio di Narashima, più oltre, come si allarghi, la vista, la porta Badal Mahal, la jami masjid, il tutto incantevole, stupendo...

Nel distacco, rechiamoci per assoluto contrasto al Jauhat Tal, la fonte primaria per il forte  d’acqua sorgiva, e vi sapremo che cosa rivelò d’atroce, il suo pozzo, sui retroscena dell’arrendevolezza a Babur di Medini Rai e dei suoi militi e cortigiani hindu : 600 donne del Rajput  si erano gettate dentro nel pozzo in un suicidio collettivo, pur di non finire stuprate e oltraggiate nelle mani del nemico.

Una lasta di marmo nel padiglioncino eretto sul tal, commemora il loro sacrificio.

 Più a Ovest  è la tomba del grande musicista cantante** Baju Bavra,  cui,  per la dedizione totale alla musica del cuore infranto da un amore deluso, si rese nel canto  possibile l’impossibile: in una tenzone canora vincere di fronte ad Akbar medesimo il  mitico Tansen, suo favorito.

 

La discesa dal forte ci porta, in conclusione dell’itinerario, a risalire i pendii, poco oltre il termine della discesa , che gradino dopo gradino ci recano al tempio hindu Shri Jageshwari.

La sua edificazione sarebbe opera, Stando alla leggenda ch’è persuasione locale, La sua edificazione si dovrebbe al  medesimo Kaja Kirti Pal che avrebbe dato inizio all’insediamento del forte,  ma stavolta per una ispirazione della stessa Dea.

Come in ogni mito che si rispetti, anche in questa leggenda c’è

chi non sa resistere alle prescrizioni di attendere, e si volge ad Euridice prima che sia fuori del Tartaro. o indietro a vedere Sodoma che ancora brucia, Kirti Pal  inaugura il tempio prima dei tempi convenuti, e la dea vi manifestò se stessa solo nell’ emersione del volto.

In una cava vicino all’entrata principale sta  l’idolo prezioso della dea, e un tempio moderno ceramicato vi  à attorno.

E appresso che  bene sostare, per assistere o farsi partecipi delle puja alle dee dai suoi devoti, delle prasad ricevute in controfferta, delle manifestazioni vespertine della Devi nei darshan.

Tra i vari padiglioni, tinteggiati tutti di bianco, due shiva linga, in pietra nera, si distinguono tra tutti gli altri, con il loro nandi,  recano essi scolpiti  1.000 più piccoli linga, alla stregua dei mille, e più Buddha, di innumerevoli luoghi di culto buddhisti.

Un’antica immagine rupestre di Shiva e Parvati, scolpita nella roccia retrostante il tempio, un dio Hanuman, anch’esso scultoreo, immancabilmente tinteggiato di rosso arancio, sono le restanti attrattive del tempio, prima di ritrovarci al termine del nostro itinerario, ai piedi del colle, presso il bacino lacustre del Sagar Kund.

 Per i devoti hindu è inutile discendervi a trarre acqua, o per lavacri lustrali, se i monsoni non sono ancora sopraggiunti, lungo i ghat tra i chattri ai quattro angoli.

E per noi resta soltanto il Suo respiro in una brezza fra i rami, che percorra gli anfratti  e  i templi  nella cavità del monte.

Fine del primo itinerario in Chanderi 


 

Abbozzo ulteriore


 


 

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Ed eccoci, preso un tuk tuk,  a quanto di più bello v’ è in  Chanderi: il Koshak Mahal,  eretto da Mahmud Kalj in onore della moglie Koshak che vi ebbe il terzogenito.

Sette avrebbero dovuto essere forse i suoi piani, di cui tre soltanto sono giunti a termine, più un quarto semifinito, sopravvivendo a ogni tentativo di distruzione, ultimo quello del British dopo l’uprising, l’insorgenza indiana del 185.: sette piani quanti furono sette i giorni celebrativi la vittoria di Mahmud Shah Kilji su Mahmud di Jaunpur a Kalpi nel 1445.


 

Come un Char bag pietrificato,   è un enorme edificio cubico, di 35 m per lato, in cui quattro archi preludono a quattro passaggi arcuati che s’incrociano al centro dell’ edificio,originando quattro quadranti a più piani inflessi anc’essi in serie di archi e gallerie arcuate.  Scalinate raccordano i piani, finestre balconate si aprono all’esterno immettendo luce. L’ornamentazione  ridotta ai minimi termini di medaglioni di loto,  di marcapiani dentellati e di trafori di jali al culmine degli archi inferiri,  per lasciare il campo architettonico alla nuda potenza immane /grandiosa delle masse murarie voltate  e dell’incurvarsi degli archi, nel rilancio del loro slancio di piano in piano di campata in campata, senza che la perfezione espressiva  della tensione sprigionata si risolva  trovi  la sua perfezione in una conclusione sedatasi. Il tutto nel calore inesausto della pietra  vibrante di una pietra di una pietra incensa.      

 

19 luglio 2013

 


Caro, amato Kailash, amico mio

 

Caro Kailash, che di lontano amo più che mai, nel ricordo dei modi animali che assumevano la  sua circospezione e  disperazione, come quando  la realtà  deludeva di nuovo ogni sua prospettiva di guadagno, ed egli  doveva circoscriversi in ambiti di vita più limitati, di quelli che temporaneamente apparivano concessi a sé e ai nostri cari,  intanandosi nelle ristrettezze cui si rassegnava senza tanti patemi, purchè salvaguardassero la permanenza di sé e dei bimbi in Khajuraho, mentre invece, se  solo  facevo l'atto di   lasciarlo, per la sua indolenza o per le sue brutalità ingrate, senza che per lui si fosse concretato ancora niente che gli assicurasse di che vivere, all'aprirglisi all'istante del baratro del rientro con i bambini nella miseria di vita del villaggio d'origine, ogni suo lividore nei miei riguardi, gravido d'odio, si faceva il ricatto della disperazione sconvolta, ed egli si avvinghiava attorno al collo come un  cappio la corda elettrica, minacciando il suicidio, di dare fuoco a tutto, la morte ai bambini, se non desistevo e non rimanevo con  lui...


 

"Whats News? ( It's) Only raining", mi ha replicato anche oggi. Eppure  non c' era stato mancato guadagno.

Si,  Ma lui doveva fare i conti con ciò che costa il gasolio, i tuk tuk non vanno ad acqua... L'intera giornata non aveva dormito, mentr'io temevo che fosse tornato a mettersi a letto più ancora di prima, profittando del maltempo dei continui monsoni . Così sfinendosi, non voleva tornare a prendere sonno solo quando gli altri si risvegliano, e per lui è già l'ora di partire per i passeggeri del treno in arrivo da Delhi, o da Varanasi, sicchè se egli solo allora si assopisse rischierebbe di perderlo, come è avvenuto ieri, per la prima volta. Ma è bastato perché temessi che stesse già ricadendo in un suo circolo più ancora vizioso, di quelli che mi avevano fatto disperare che non potesse mai farsi lavoratore per le sue letargie pomeridiane, e perchè mi angustiassi che stesse già sfiduciandosi e cedendo a una nuova inedia  da cui dovevo mettermi in guardia., assalendolo con delle  nuove avvisaglie su che cosa deve assicurarmi che non possa più succedere al mio rientro, prima che possa  confermargli il mio ritorno in India.. Solo per dire, di che cosa si parla quando si dice di amare...(di chi si ama, soffocando e schiacciando il  riprendersi del respiro vitale).

 

21 luglio 2013


 

Valore aggiunto
 

Con soddisfazione interiore, per quanto mi è costato, penso che  il mio amico Kailash, in realtà, lottando con il demone sociale della mentalità più diffusa tra i boys streets ed i procacciatori di Khajuraho,ha infine ben compreso che solo grazie al lavoro al servizio degli altri in cui l’onestà e la conoscenza profonda fanno la differenza e il valore aggiunto, è possibile competere nella giungla economica indiana con fortuna e senza dannarsi l’anima.

 

5 agosto 2013


scia di strazio


 

E la sua scia di strazio si rapprende ogni giorno nei suoi scarti d’umore,  quando Kailash minimizza i guadagni già di per sé inferiori alle sue aspettative, o è tutto contento del  giri turistici che ha rimediato in giornata con il singolo turista indiano o la coppia di stranieri, e differisce di dirmi quanto ha raggranellato per degustarlo meglio. Quando le cose vanno peggio del previsto per quel misto di “ insolenza, di capriccio e vanità” che per lo più sono con lui gli stranieri per una reazione di difesa della propria paura, allora  il compiacimento per il proprio spirito di servizio per cui è così bravo, al punto che il nostro  recente cliente italiano l'ha trovato fantastico, cede al malumore di non sapere parlare falsamente, ché allora i turisti lo seguirebbero, come vanno al seguito dei ragazzi  e dei procacciatori di strada, mentre non gli credono e lo rifiutano se parla sinceramente e fornisce  buone informazioni.” Ma le menzogne hanno vita corta,ieri si   consolato, prima di congedarsi dopo i suoi ripetuti stacchi di voce per espettorare.  E’allora in linea la sua materialità umana , che all'istante avverto tutta, e in cui mi si fa così caro e lo sento a due passi,  come quando gli telefono ed ha appena lasciato la guida del tuk tuk,  ed è angustiato che gli occhi siano tornati a lacrimargli da che l’afa si è fatta polverosa calura, al desistere delle piogge per più giorni, o deve contentarsi  di una scostante Vimala e dei suoi curry di pomodori  che  non vorrebbe stessero già finendo, chiedendomi  di poter finire di consumarli in santa pace con il congedarmicome abbia finito di stare al telefono, oppure quando ritarda perché sta ancora finendo di vomitare il cibo in fondo al quale ha trovato una cimice , a rovinargli la cena, di levarsi ogni retrogusto disgustoso, nonostante tutto il dentificio che si è sprizzato in bocca.

O in linea  è altre volte la sua attenzione che mi ripaga di tutto, quando dopo essermi stato ad ascoltare in ciò che temo gli passi sopra la testa o gli stia già uscendo dall’altro orecchio, mi puntualizza che sul dépliant degli itinerari in autorisciò potrebbe figurare anche una mappa di Khajuraho o dintorni, o quando, come oggi,  torna ad insistere che  sulla ricevuta di pagamento che gli ha richiesto il giovane indiano ricco, se avrà con lui altri  giri turistici e che gli stavo inviando annessa a una e-mail, doveva figurare in fondo  ben visibile un tank you.

Poi stacca la comunicazione ed io resto da solo con le immagini incantevoli dei nostri bambini viventi, con  la foto nella stanza da letto di Sumit, che mi si fa incontro e mi sorride, ingenuo e felice, di una identica gioia di vivere stroncata con la mia.

Con la nostra, ad ogni suo riproporsi.

 

9 agosto 2013


Bugie corte, cipolle costose

 

Poi ho inteso, da quali falsità fosse tentato Kailash con i turisti, e come ad esse avesse ceduto, sentendosi colpevolmente stupido, “ murk”, per quanto siano di corta vita e ti si ritorcano contro.

“Sai,  il driver hindu che ha portato a Panna, a visitare le miniere di diamante, il giovane cliente indiano che avevo indirizzato a lui? Gli ha detto che non era vero che ho una Inova e una Indigo come gli avevo fatto credere,  così il giovane , the guy, non si è più fidato di me,  mi ha detto al telefono,  e si è servito solo di lui. i giorni dopo... Che ladro, che “chor”, lui ed il suo padrone, ed io che stupido, che “murk”..Io ho perso rispetto, e il  Bapuculturaltours  la sua reputazione...

Come avevi ragione in Delhi, Agra, Jaipur, a dire che non dovevamo parlare falsamente con le agenzie di viaggio, negli hotels...”

Così mi diceva  Kailash seguitando a prendersela con sé stesso, o più ancora con quelli di Khajuraho “ che amano solo il denaro”, dispiacendosi delle 200 rupie o poco più che aveva perduto, più di quanto fosse capace di gioire e di ringraziarmi delle 15.000 che gli avevo inviato la sera prima, tramite la Western Union., e che gli avevo appena detto che erano già disponibili per lui

Oggi, giorno dell’ Indipendence day, che  subentrato per Kailash ad una vigilia in cui aveva infinitamente sudato, standosene tutto il giorno fuori di casa  con il tuk tuk,  più che la celebrazione nazionale  in lui ricorreva l’assillo per i prezzi in ascesa dei vegetali, le cipolle innanzitutto, nell’imminenza di andare al bazar del giovedì

“Ora costano settanta, forse già novanta rupie al chilo”.

Ed in estate, ad aprile, quand’era possibile coltivarle anche nel Madhya Pradesh, in Khajuraho?

“ Dieci, cinque rupie...  Ora sono d’importazione dall’Himachal Pradesh, dal Ladak. Ti ricordi in Leh, che vedevamo spuntare in luglio i germogli verdi delle cipolle?

“E quanto le hai pagate?” gli ho chiesto telefonandogli di nuovo al rientro dal bazar, quando erano già le nove di sera.

“ Sessanta rupie al chilo, trenta i pomodori. venti le patate. Il green chilly ottantao rupie...Addirittura 120 rupie al chilo lo zenzero. Ne ho comprato solo 50 grammi per dieci rupie”

La spesa era stata di poco superiore a quella delle settimane estive, prima dei monsoni, 350 rupie in luogo di 300, 250, ma i vegetali “ non bastano che per qualche giorno, mentre l’estate scorso le borse piene di vegetali bastavano per una settimana”

“ Chandu ora dorme dopo avere mangiato tante banane. Costano poco adesso. Ne ho avute ben venti per trenta rupie.”

 Ma che cosa significava il good night con cui lo avevo salutato? era stato il suo esordio quando l’ho ricontattato..

“Good night! Non lo sai forse che cosa significa ?

“ Lo so, ma intendevo dire, perché mi hai chiamato ora nuovo?


 

“ Perché, Kailash, mi piace sentirti di nuovo parlare così”

 

 15 agosto 2013
 



 

Haiku


 

Mio piccolo Iddio,

Sumit, se da che sei morto

tutto è cadavere


 

Mantova 12 agosto 2013


 


 


 


 

 Haiku

 Ante diem


 


Un altro giorno,
senza che cessi l'urlo
che tu sia morto

per Sumit Sen ( 2007-2009)


 


 

Haiku


 

Mi parli e vedo

con i tuoi occhi, ti sento

come Lui ti ama


 

Mantova 12 agosto 2013


 

 


 


 

Haiku

Falce di luna,
la sua stria nell'acque
la tua lenta moria

Mantova, 11 agosto 2013


 

15 giugno 2013
 



 

Haiku 


 

Bocci di ninfee,

all'ultima luce diurna

rosei anelanti


 

Mantova, Grazie, 16 agosto 2013


 

 


Haiku 


 

Vele di cigni,

in fresche acque lacustri

scie di vita


 

Mantova, 16 agosto 2013


 

 


 


 

 

 


 


 

 

 

 

 

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