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Gennaio -marzo 2015

 
     
  DOMENICA 4 GENNAIO 2015

In viaggio con Ajay, ad Ajaygarh, Kalinjar


Con Ajay ho lasciato Khajuraho in autorickshaw che non erano ancora le dieci del mattino del 26 di dicembre, per raggiungere Bamitha e prendervi un autobus per Panna e da Panna per Ajaiygarh.
La nebbia dei giorni precedenti non era ricomparsa sul fare del giorno, e il sole fin dalle prime ore mattutine era propizio al viaggio nel suo splendore
La sera precedente alla presenza di papà Kailash gli avevo chiesto di ribadirmi se era davvero intenzionato a venire al mio seguito, come gli avevo lasciato intravedere che si rendeva possibile per l intercorrere delle sue vacanze natalizie. Ed egli aveva confermato che non attendeva altro. Il mio comportamento ora dolcemente amorevole ora aspramente irascibile nei suoi riguardi non era valso a dissuaderlo dall’avventurarsi in mia compagnia, esponendosi ai miei eccessi senili d’opposto tenore. Già in Bamitha potevo avvertire le prime avvisaglie delle mie prevenzioni nei suoi riguardi, quando mi anticipava preveniva nel rifiutare di salire su di un autobus costipato di passeggeri, ricorrendo al quale saremmo stati obbligati a rimanere in piedi fino a Panna. Non è che avrebbe fatto di nuovo il signorino che in India si rifiuta di sostenere ogni incomodo, come già era avvenuto in Allahabad, l’anno scorso, o già due anni or sono, più non ricordo bene, quando non c’era stato verso di farlo salire sull’autobus per Rewa ch’era sovraffollato già alla partenza.
Poi tutto è proceduto per il meglio sino all’arrivo in Ajaigarh, lungo il meraviglioso percorso dei tornanti che traversano il Parco Nazionale di Panna recando nel centro in altura della cittadina, ne discendono tra le piante di tek delle boscaglie adiacenti, divallando nel verde smagliante dei coltivi invernali. Nè ci riservava asperità la salita al forte che affrontavo di nuovo a oltre due anni di distanza, dopo averla sostenuta con Kailash in una radiosa domenica d’ottobre, rallentato nel cimento dalla sua stessa refrattarietà a sostenerne lo sforzo. Certo Ajay aveva più lena del padre, ma ugualmente gli rimaneva estranea ogni sollecitudine ad alleviarmene lo sforzo, sgravandomi del mio bagaglio o precedendomi avanti. Ricomparivano le porte del forte, le incisioni rupestri, il Ganesha volante con ascia e dolci laddu sorbiti con la proboscide, la coppia di divinità, che essendo fiancheggiata da Ganesha e da un dio su un pavone in cui era ravvisabile l’altro loro figlio Kartikkeya, insegnavo a Ajay ad identificare in Shiva e Parvati. Entrati nel forte, si faceva una dura reminiscenza il tratto di pietraia che dovevo ripercorrere prima che il cammino alleviasse le sue ruvidità e si appianasse, inoltrandoci in una radura della foresta collinare. Soccorrevano le indicazioni dei rari viandanti del luogo, donne e giovinette e ragazzi gravati dai carichi di sterpi di legna che avevano affastellato, le tracce segnaletiche del percorso da seguire, tenendo la destra e poi verticalizzando, che insieme ai cippi di pietrisco erano costituite dalle bustine di gutka di cui era disseminato il percorso principale. Rieccoci così in vista del bacino lacustre scavato nella roccia del talab di alcuni templi di culto di un passato prossimo, dell’amalaka frammentata al suolo la cui immagine avevo appena eletta a visualizzazione inaugurale del sito web del bapuculturaltours.
Avendo dimenticato che la cancellata d’accesso al sito dei templi la si raggiungeva dall’ altezza sulla destra dei resti di una porta dirupata, vi pervenivo per la stessa via da cui vi ero giunto la volta precedente con Kailash, sempre sulla destra inoltrandomi di lato al talab nella boscaglia di tek, fino a raggiungere la recinzione che anche per la mia mole presentava un agevole varco.
La vista dei templi , nel loro splendido isolamento nella giungla, era un’apparizione di nuovo emozionante, la cui fascinazione era temperata dalle mie accresciute capacità di indagine visiva, che mi consentivano di rilevarne istantaneamente le peculiarità che già mi avevano strabiliato la prima volta, per quanto li differenziavano dai templi Chandella di Khajuraho: l’ammanto statuario ridotto ai minimi termini delle effigi che figuravano nelle proiezioni superstiti delle pareti esterne del santuario e nel portale che vi dà accesso, l’ornamentazione proliferante in loro vece, con il motivo ricorrente e non rinvenibile in alcun tempio in Khajuraho delle hamsas od oche allineate in fila, simbolo eminente delle anime sospese tra la terra di questo mondo e il cielo della nostra destinazione divina. I due templi che precedono quello di cui resta solo il nucleo di pietra del santuario e del sikkara, insieme con il portale soggiacente d’accesso alla cella, apparivano due variazioni di una stessa tipologia, con la differenza nel secondo, che come non si dà mai in Khajuraho, ma già nel tempio Rahila di Mahoba, od in quelli di Vyas Badora, due ingressi laterali si sostituivano alle proiezioni dei due balconi laterali della grande sala- o mandapa -del primo tempio, che apparivano inusualmente privi dello schienale inclinato della kakshasana, d’obbligo nella loro ricorrenza in Khajuraho. Solo quando pervenivamo all ultimo tempio, e già erano le cinque pomeridiane, Ajay che mi aveva quietamente assecondato , sollecitato dai quesiti e dalle questioni interpretative che gli ponevo, mostrava le sue apprensioni data l’ ora che si faceva tarda, per poter prendere un autobus di rientro in Panna, tanto più che avremmo dovuto ripercorrere l’area del forte e l intera discesa da esso, prima di ritrovarci nelle ultime propaggini a valle dell’abitato di Ajaygar, ed ancor più se da Panna avessimo ancora inteso essere di ritorno in Khajuraho sul far della notte.
Ma negli ultimi bagliori del tramonto erano troppo incantevoli le modanature in cui erano integralmente tornite le costolature delle proiezioni del tempio, per lasciarlo tempestivamente, e non celebrarvi l’agnizione grandiosa che vi aveva compiuto Kailash, quando negli interni a più piani, irrintracciabili nei templi di Khajuraho, aveva rinvenuto la stessa compagine dei templi gemini Shas Bahu di Gwalior, la città dei Kacchapagatha divenuti a loro tempo tributari feudali dei Chandella, cui rinviavano come sua simbologia eponima le stesse hamsa dei primi due purana mandir del forte, in un contraccambio reso alle signorie sottomesse che ne sussumeva le forme templari.
Rinviavo Ajay indietro sui nostri passi di ritorno dal cancello principale , a sincerarsi presso il guardiano che stavano chiudendo l’ingresso che tutti i templi fossero shivaiti, come avevo presunto, e come temevo aveva per me inizio il tormentio della discesa, le ginocchia che era come si disossassero ad ogni scoscendimento della pietraia, ai gradini impervi che risalivano al vecchio forte, Ajay che ora mi precedeva leggero , senza mai volgersi indietro, con il solo onere dei viveri rimasti, di tanto in tanto con la luce del cellulare mostrandomi i gradini lungo i quali arrancavo o ricercandone la numerazione che gli richiedevo di indicarmi quale termine per me di sollievo, per poi soffermarsi in attesa senza che gli passasse minimamente per la testa di recarmi aiuto ed alleviare la mia sofferenza con il suo sostegno corporeo o facendosi carico del mio zaino, esattamente come suo padre, pronto finanche a raggiungermi in Delhi al mio arrivo, se gli manifestavo le mie difficoltà di raggiungerlo in India con il mio carico finanche sestuplo di bagagli, ma poi lasciando ogni volta che gravassero sulle mie spalle i fardelli più immani
Ma non erano ancora le 18,30 quanto aveva termine la discesa, e in mezz’ora, prima delle sette, quando un autobus sarebbe stato in partenza per Panna, secondo quanto Kailash ci aveva detto al cellulare di ricordarsi, c’era modo di arrivare alla stazione degli autobus, grazie anche a una scorciatoia di cui mi ricordavo, per uno spiazzo in cui immettevano alcuni gradini nel buio che mi era faticoso discendere, mentre si perdeva nel vuoto il mio grido ad Ajay, più che un richiamo, che indugiasse un poco in mia attesa, essendo egli in ascolto solo del passante che ci stava accompagnando.
La luna illuminava un cobra che giaceva morto nella polvere del cortile , cui io soltanto sembravo fare caso.
Giunti nello spiazzo dell’autostazione, sollecitavo a Ajay a richiedere intanto in hindi quale autobus fosse in partenza per Panna, mancando meno di una decina di minuti alle sette, ed egli si accingeva certo a farlo, ma senza trasmettermi le informazione ricevuta che su mia sollecitazione nervosa, e in spezzoni frammentari, tanto meno ingrossare il suo filo di voce in ragione della mia sordità, solo su mia istanza .
“ E quest’autobus?”
“ Non parte per Panna”.
“ E dov’è l’autobus in partenza per Panna?”
“ E’ quello”
“ Allora andiamoci. E perché ora non ti dai da fare a salirci?
“ E in partenza alle 8, 10”.
Anche in questa era consimile a suo padre, che quanto volte mi ha contrariato perché riservava per se stesso per decidere per suo conto e di testa sua le informazioni che per comodità chiedevo a lui di richiedere in hindi, per agevolarmi presso le popolazioni locali che ignoravano l inglese o avevano con esso scarsa dimestichezza..
Inoltre avevo modo di contrariarmi ancora di più perchè stava iniziando a procedere per disposizioni le poche volte che di sua iniziativa seguitava a dirmi qualcosa, sempre in conformità agli usi paterni e alle costumanze degli indiani in genere, con chi è altro da loro, di parlare solo per ordini impartiti, anche chi è sudra o dalit sentendosi un bramino o un raja con chi è null’altro di meno che uno straniero
Nell’attesa della partenza chiedevo ad Ajay di aiutarmi a ricorrere al più affidabile dei locali che servivano somosa e pokora, cercando di rifarci a quelli più dissimili da un’antro fuligginoso preceduto da una fornace infuocata tra la sporcizia antistante, seguisse quale criterio che li imbandissero ancora caldi, o li stessero friggendo, solo che mi dava il modo di riprenderlo con astio perché per sincerarsi aveva cominciato a tastare con le mani gli involti sui tavolati, prima che mi precedesse proprio presso il gestore di una di quelle cavità cavernose, che stava soffriggendo la pastella che Ajay aveva già ordinato con il suo ripieno e contorno . Erano buoni in verità gli snacks, e potevamo sederci su una panca in attesa, mentre alla fucina annerita alle sue spalle un giovane ci stava recando una tazza di the miscelato con il latte, solo prima che indisturbate dalle grida di richiamo e di allontanamento, una vacca, una seconda e poi una terza, avessero modo di servirsi dei somosa che il friggitore si rassegnava a lasciare esposti, dopo averne messo via un primo involto.
I miei intenti sublimatori ne traevano ancor più lena ad esercitarsi, e ad Ajay lasciavo la scelta risolutiva, a dispetto di ogni inavvertenza, inosservanza, impertinenza, o inottemperanza, che avesse l ultima parola, sulla decisione se restare a Panna in hotel, per ripartirne l indomani verso Kalinjar, o se tentarvi il rientro in Khajuraho quella notte stessa. E con mio dispetto decideva di ripiegare quanto prima verso casa. Con la clausola, però. che l’autobus per Khajuraho fosse in partenza al nostro stesso arrivo nell’autostazione di Panna. A onore del vero non c’è partnership, o condivisione, che io non sostenga senza remore e ritrosie se non fa proprio il mio punto di vista, così avvertivo Kailash della volontà del figlio, per fargli presente quanto fosse difficile dopo le 22, 30 trovare autorickshaw che dalla fermata intermedia di Bamitha conducessero a quell’ora in Khajuraho.
Al nostro arrivo in Pasnna con lo stesso autobus che avevo già preso con Kailash la volta precedente, in direzione di Jabalpur, troncava ogni residua velleità di questione che venissimo a sapere che solo alla mezzanotte restava ancora in partenza un autobus diretto a Bamitha , Chhatarpur, per raggiungere Indoore l indomani.
In hotel, occupata la stanza, lasciavo che il caro Ajay trafficasse in bagno a simulare di lavarsi almeno un poco nella sua straordinaria bellezza, contento che si togliesse i guanti che usa d’inverno per ogni circostanza, e si lavasse le mani in mia presenza.
Chicken curry, muttar paneeer le nostre ordinazioni, prima di assopirci all’istante nei nostri rispettivi letti, infreddoliti e bramosi di tepore.
Il mattino seguente era brumoso e solatio, e nella sua radiosità avrei voluto attardarmi nel Raja-Laxmi hotel, alla vista dei templi di Panna sovrastanti il suo giardino alberato, assaporandovi la memoria delle mie precedenti soste in cui vi avevo soggiornato da solo od in compagnia di Kailash, ed ogni volta l’incanto del viaggio e del permanervi in India vi era risorto, ma non avessi indotto Ajay a limitarsi solo a bere un the, avremmo perso l auto che alle nove precise è partito per Ajaygarh, dove alle 10,30 ha iniziato la sua corsa quello per Kalinjar, dove siamo arrivati solo a mezzogiorno.
Pervenirvi è stato lo stesso con il discendervi ad un grado di incivilimento materiale inferiore, che in India sembra corrispondere infallibilmente alla rilevanza nel passato di siti di stupa e templi prestigiosi o ancor splendidi e inespugnabili forti, contro i quali condussero le loro invincibili armate o persero la loro vita condottieri quali Mahamud Gazhni o Sher shah Shur, una stato deprimente delle cose che vi rendeva difficoltoso o proibitivo reperire anche acqua in bottiglia e pokora o somosa, ed alimentava solo voci discordi o inattendibili sulle nostre precarie prospettive itineranti lungo il dissesto stradale
Non circolavano autorickshaw in Kalinjar, tanto meno per il forte, anzi si, ma non ci sarebbe costato meno di 6.00 rupie, per una distanza che si dipanava tra almeno sette o solo quattro chilometri , e quanto agli autobus di ritorno in Ajaygarh, c’era chi sosteneva che l ultimo fosse alle 16, 00 chi ne differiva la partenza alle sedici e trenta, non più tardi, comunque, il che, calcolato un tempo di ascesa forzata a piedi di non meno di un’ora e mezza e una durata della discesa per il rientro non inferiore, riduceva a poco più di mezzora il tempo che dovevamo riservare alla sola visita del tempio a Shiva Nilakanteshwara.
E non v’erano soluzioni di ripiego in Kalinjar, se non avessimo potuto fare rientro con l’autobus in Ajaygarh, dato che non v’era alcuna possibilità di alloggiarci in alcuna struttura ricettiva, che non fosse una rest house dislocata nella fortezza, e che non mi restavano che poco più di mille rupie per essere di ritorno in Khajuraho, confidavo quella sera stessa.
Nel passaporto avevo ritrovato una mia carta di credito, ma nessuno sapeva di atm in Kaklinjar, ed era dubbio se mi fosse stato possibile utilizzarla fuori di un grande centro abitato, dove è difficile che affluiscano i darti che ne autorizzano l impiego.
Cosi stando le cose non mi restava in ogni caso che avviarmi subito con Ajay lungo l’erta asfaltata che recava al forte, ch’era più lunga delle ascese per scalini ma che ci evitava l’affaticamento lungo le loro rampe, sopendo ogni tacita renitenza di Ajay, alla prospettiva di dovercisi avventurare forse per non meno di sette chilometri all’andata e altrettanti al ritorno. La speranza era che qualche motociclista o autista di passaggio ci recasse soccorso, abbreviandoci i tempi di percorrenza.
Di nuovo mi stavo frustrando nel frustrare la sua presunta tendenza al facile e comodo, e quando un motociclista ci offriva un passaggio fino alla deviazione che ascendeva alla qila, rifiutavo la sua offerta di condurci fino al suo ingresso di li a poco, credendo di dovermene poi duramente pentire di li a poco, quando mi sarei ritrovato ancora all’inizio dell’erta , dopo oltre mezz’ora di cammino, spossato sotto lo zaino, con Ajay sempre e soltanto al mio seguito, senza che il tornante superiore apparisse risolutivo.
Imperterrito seguitavo confidando comunque, in capo a una svolta ulteriore dei giovani ciclisti che intercettavamo ci dicevano che non restavano più di due chilometri, che si dilungavano a quattro secondo la diceria cui cercavo di non prestare ascolto di un altro interpellato, pur se un lungo tornante sembrava condurre all’altra estremità delle mura sovrastanti, finché una svolta si faceva risolutiva e ci immetteva di lì a poco dentro la cinta muraria del forte.
Chiedevo all’ imperterrito Ajay quanti chilometri di ascesa avessimo percorso secondo i suoi calcoli, non più di quattro secondo il mio stesso calcolo, solo che tutti i computi tornavamo a collimare per il protrarsi estenuante, dati i tempi ridotti a nostra disposizione, del camminamento ripido all’interno del forte che ci restava da compiere per raggiungere il tempio, che sapevo posto sotto le mura all’altra estremità della sua vasta estensione. Un uomo che intercettavamo mentre procedeva in bicicletta sotto l suo fascio di sterpi ci riservava ancora due chilometri a piedi per essere all’altezza del tempio, di cui era una vana smentita, cui non prestavo credito, la riduzione a meno di un chilometro del percorso restante, che ci forniva in altro passante in bicicletta.
Era incantevole la boscaglia circostante, di cui respiravo la stessa fragranza nel sole che ne avevo recepito quando con Kailash vi ero pervenuto al termine della ripida erta di scalini,
ma l’ansia di pervenire quanto prima al tempio e quanto al destino conclusivo della nostra escursione oscurava e precludeva ogni distensione mentale nella sua contemplazione appagata.
Ed eccoci alfine all’altezza del portale costituito di materiale di recupero e reintegri, che sapevo condurre alla ripida discesa scalinare che recava al tempio, un’ora e quaranta la durata della camminata, le due e dieci l ora del nostro arrivo, ma nonostante fosse già tardi dato il rientro che dovevamo anticipare, differivo di percorrere la scalinata per chiedere conto dell’ora di partenza degli ultimi autobus per Ajaygarh, ad una guardia giurata locale che supponevo per questo una fonte più autorevole dei negozianti che avevo interpellato
Giù nel villaggio. Ed egli alleviandomi l’ansia e consentendomi più agio nel rivisitare il tempio, mi diceva che l’ultima corsa per Ajaygarh partiva alle 5,00, se non alle 5,30, come confermava un suo collega. Ci indicavano anche un percorso di discesa più rapido, la scalinata che si profilava al di sotto delle mura d’accesso all’area sacra del tempio, che recava nel sobborgo di katra, al termine del quale, laddove vedevamo profilarsi un traliccio enorme, stava la stazione o la fermata di sosta degli autobus.
Un avanzo di pena la discesa ulteriore per i 160 scalini, a contarli tutti, che ci separavano dal tempio e dalle sue sculture rupestri non meno magnifiche, che tornavano a impressionarmi e ad esaltarmi al contempo, nella loro celebrazione dello sfrenarsi di Shiva il tremendo.
Mi prestavo ad essere agevolato da una ulteriore guardia nella loro decifrazione, ma quanti dei suoi dati erano attendibili?
Ed Ajay che faceva da traduttore intermediario, alla mia sordità porgeva in un filo di voce le sue informazioni.
A riunirle insieme, rielaborandolo il tempio sarebbe risalito nel samvat 853 a un re Pandu anteriore ai Chandella, che dopo la presa del forte nel samvat 2012, ne avrebbe sfumato il tantrismo sfrenato shivaita sussumendolo alla celebrazione degli sponsali di Shiva e Parvati, in conformità con la rilevanza centrale delle loro festa nuziale per Shivaratri in Khajuraho.
Non vi era altro dio che Shiva scolpito ovunque, eccetto Vishnu ai lati del portale del tempo e la sua incarnazione più macabra Narashima, di fianco al pannello più orrido, in cui una Chamunda più che mai emunta ed emaciata sfrenava la sua danza dissolutoria tra un Shiva consimile ed uno Shiva nero, un Manupero di cui mai non avevo sentito parlare, mi ripeteva la guida, un suo avatar faticava a farmi intendere Ajay, Shiva aghora intendevo io.
Le mie reiterate insistenze perché Ayaj quando non capivo i termini usati dalla guida me li traducesse a volte alta, e con sonorità comprensibili, erano state un tale gemito vano, che stizzito ad un certo punto ho dovuto frenare l impulso a scagliare verso qualche parete o piattaforma la macchina fotografica, incollerito da tale sua assenza o indisponibilità mentale.
Estremamente illuminante era il ravvisamento del mitico progenitore lunare dei Chandella re Chandravarman che mi propiziava la guida, nel raja con la Raniu al suo fianco che era reiterato in adorazione di Shiva, mentre in un altro sovrano dall’acconciatura meno tondeggiante e rigonfia era riconoscibile la figura storica di re Yasovarman.
Langur si affollavano ovunque, tra le rocce del tempio la cui suggestione più potente era l’essere ancora un tempio vivente, odorante d’incenso e di sandalo nell’oscurità cavernosa del suo garbagrahiha, umido e trasudante di fumi e fragranze e liquami oleosi di offerte, oltre i soli pilastri e le trabeazioni che restavano del portale d’accesso, in cui il sole sforava radiante l’assenza di sovrastruzioni sommatali.
Re stava l’enorme Shiva Nataraja con il fallo in erezione e collane di teschi, in compagnia di una Parvati o in essa trasfiguratesi, che stentavo a individuare negli accertamenti della guida. Possibile, poi, che tra le svariate immagini di un dio col turgore rigido del fallo snudato non una corrispondesse a Lakulisha?
Comunque fosse, a ognuno il suo, alla guida il suo emolumento, e d a me e ad Ajay il conforto di una ricognizione esaltante, che per quanto affrettata, era durata quasi un’ora e mezza, imponendoci di affrettarci all uscita verso la scalinata che discendeva a Katra, secondo la scelta che aveva condiviso di Ajay, per quanto si preannunciassero alle mie rotule ed alle articolazioni delle ginocchia non meno di 450 scalini ad uno ad uno dei quali sconocchiarsi.
Che ne pensi Ajay, di Kalinjar? Chiedevo al ragazzo nel calzare di nuovo le scarpe, che avevo dovuto levarmi per accedere al mandap e alla cella del santuario
“ E più bello anche di Ajaygarh”
“ Peccato che la foschia diffusa in cui si era schiarita la nebbia e la precipitazione del rientro al più presto in Kalinjar ci precludessero tutta la magnificità della vista della vallata e dei rilievi sottostanti e di indugiarvi, che Ajay non raccogliesse che furtivamente i miei inviti ad ammirarla, nel rilucere pomeridiano del fiume che serpeggiava tra i coltivi a perdita d’occhio, ora precedendomi in continuazione con altrettanta leggiadria quanto io affrontavo di sbieco ogni gradino con la grevità di un elefante, senza che nemmeno gli sfiorasse la mente di venirmi incontro ad alleviarmi la pena.
E quando gli chiedevo se fossero un peso per lui gravoso le bottiglie dell’acqua e i biscotti e la fetta di torta e la frutta ancora rimastaci da consumare nel sacco di plastica che recava in mano, non raccoglieva l’invito indiretto a farsi carico almeno in parte del mio onere più gravoso. Si cinto intanto il capo con la mia sciarpa bianca, a guisa di turbante, il che lo rendeva ancora più bello e contrariante nel suo bellissimo volto che ne traeva più ancora risalto nei suoi fini lineamenti oscuri.
Avevo smesso frattanto di contare gli scalini che restavano, altro che quattrocento, almeno settecento, secondo quanto mi sincerava un’altra guardia del forte che incrociavamo, porgendomi con estrema gentilezza lo sterpo che stava usando come bastone
Con i loro fasci di legna, o le capre che riconducevano dal pascolo, avremmo ancora incrociato donne e bambini, prima di ritrovarci a valle , all ultimo scalino cui succedeva un percorso cementificato in ulteriore discesa.
La via che traversava Katra ci offriva il più vario spettacolo al tramonto degli aspetti della vita di un villaggio indiano, i bambini intenti nel gioco con delle piastre di pietra, una cerimonia religiosa ed un festeggiamento presso il porticato di una casa, il clangore del mulino e la vista di macchinari di molitura o di cardatura, prima che ci ritrovassimo
Alla fermata degli autobus, quando non erano ancora le cinque di sera.
L’ultimo autobus che era stato dato in partenza per Ajaygarh era partito quando erano ancora le tre e trenta, e comunque non avremmo mai potuto prenderlo, e a poco ci era valso che nonostante le mie difficoltà dolenti avessimo impiegato non più di un’ora e dieci minuti per scendere dal tempio sino alla stazione di sosta degli autobus.
“ Io ci avrei messo solo mezz’ora” era il commento importuno di Ajay.
Lo mandavo in avanscoperta per raccogliere dati utili su quale autobus ulteriore e a che ora potesse ancora essere in partenza per Ajaygarh, e le risposte raccolte dovevo carpirgliele ad una ad una.
“ Ajay, debbo fare così perché non capiscono una parola d’iunglese”
“ Yes”
“ E tu perché non mi traduci quello che ti hanno detto”
Muto silenzio.
Unautobus era appena pervenuto dalla meta di destinazione.
“ Ajay chiedi se riparte per Ayaigarh”
“ Yes”
“ E che cosa ti è stato detto”
Ai suoi vaghi accenni tutto e il contrario di tutto-
Come alla domanda conseguente se ci fossero altri autobus per Ayaigarh e versio quasl ora, prevalendo il diniego di ogni possibilità ulteriore, come restava a me di intendere e di non voler credere.
E dovevamo ritornare sui nostri passi dove si era arrestato, dopo avere svoltato, stando o non era meglio, secondo i negozianti affacciati sulla strada nel loro baracchino, ed il mio parere, seguitare dove la strada per Ayagarh procedeva in direzione opposta verso Banda, dove era possibile che sostassero altri autobus di passaggio, e dove già con Kailash avevo trovato il modo di lasciare Kalinjar?
In mancanza della sua trasmissione di dati forzavo le cose in tale direzione, ritrovandomi oltre degli altri portali al incrocio viario che segna l ingresso in kalinjar e già l’avviamento alla sua conclusione in direzione di Banda, dove verso la capitale del distretto dell’Uttar Pradesh in cui rientrano il suo abitato ed il forte, avviava una strada dal dissesto pulverulento.
Un’inquietudine crescente si stava in me insinuando nella sua vaga apprensione, che dissimulavo ad Ajay sotto un’aria svagata, cercando l’appiglio di ogni possibile dato rassicurante, mentre faticavo a tacergli la mia insofferenza che Kailash non ci avesse ancora telefonato per chiederci dove ci ritrovassimo ed in quale situazione. Pazienza che per risparmiare lo facesse quand’io ero in viaggio da solo, ma ora, che alla mia responsabilità era affidata la sorte del figlio…
“ tuo papà deve avere una gran fiducia in me, se non mi ha ancora telefonato una volta..”
“ Yes”
Al punto dove oltre l incrocio fermavano ulteriormente gli autobus vedevo un uomo, poi più donne che sostavano.
Chiedevo ad Ajay di domandare loro se fossero diretti anch’essi ad Ajaygarh.
Li interpellava, ma dovevo carpirgli la risposta affermativa che gli avevano dato.
“ E perché non me l hai detto ed ho dovuto cavartelo di bocca? Capisci , Ajay, l importanza della cosa? Se c’è della gente locale che è in attesa di un autobus per Ajaygarh, è quasi certo che c’è anche un autobus che prima o poi passerà e vi ci porterà.”
Capiva, solo che restava sulle sue, sempre più infreddolito, mentre la sera calava sempre più oscura e inospitale.
Che non fosse il caso di procedere invece in direzione di Banda, con il primo autobus che ci consentisse di lasciare comunque Kalinjar dove non avevamo di restare, e tentare il rientro in Khajuraho con il treno notturno che vi passa provenendovi da Varanasi?
Era un po’ in senso inverso come il buscar il levante por el ponente, ci eravamo mossi da Khajuraho verso nord est e ci saremmo rientrati da nord ovest, ma comunque vi avremmo potuto fare ritorno la mattina seguente, per quanto il treno fosse “ normally late”un cumulo di ore, secondo il comunicato delle ferrovie indiane che proprio lyngo quella tratta ferroviaria mi era divenuto familiare in Allahabad.
Mi confermava in tale avventurarmi, che il solo autobus che sostava in partenza fosse quello in direzione di Banda, e iniziavo a fare menzione di tale opportunità ad Ajay, a parlarne al telefono con un laconico Kailash, che si limitava a prenderne atto e a informarmi che il treno che da Varanasi reca a Khajuraho vi era in arrivo alle due notte.
Fino a punto era il caso di attendere un autobus sempre più improbabile per Ajaygarh, mentre i soli che nella sua aspettativa intanto effettivamente partivano e che rinunciavamo a prendere per lasciare a qualunque costo Kalinjar, erano prima l uno, dopo l’altro, quelli che se allontanavano verso la più distante Banda?
Confabulavamo facevo Ajay sempre più convinto dell’opportunità di muovere in tale direzione oppota, solo, che convenivamo, era il caso di attendere che fosse definitivamente trascorsa l’ora di un eventuale partenza di un autobus per Ajaygarh, in tempo utile per la coincidenza per Panna, dove si faceva impossibile non dover permanere un’altra notte, mentre le rupie non bastavano più per il pernottamento, e occorreva confidare nell utilizzabilità del bancomat.
Ma di li a poco veniva meno anche l ultimo appiglio della mia ostinazione a credere che un autobus per Ajaygarh potesse ancora sbucare o profilarsi in arrivo da una qualsiasi parte, un furgone di passaggio caricavo tutti coloro che sostavano lungo la strada che vi recava, e che in realtà erano diretti ad un villaggio a dieci chilometri di distanza.
“ Saliamo anche noi, Ajay?” sono stato tentato a chiedergli?
“ No” mi ha risposto con prontezza, con tutta la sensatezza del caso.
Ci saremmo ritrovati senza possibilità di alloggio, a sera più inoltrata, ancora più impossibilitati a muovercene che da Kalinjar
Facevo appello a Kailash, ancora per telefono, che si limitava a propormi di chiedere informazioni ulteriori ad altra gente locale.
Erano oramai le sei di sera, nessun autobus sarebbe più partito per Ajaygarh, ed ora che anche Ajay era dell’idea di tentare la soluzione di Banda, nessun autobus sarebbe più partito anche per tale destinazione, a quanto ci si ribadiva da più di uno, compreso il gestore dio uno spaccio di card e ricariche della telefonia mobile, che sembrava avere più prontezza mentale della generalità degli altri nostri interlocutori precedenti.
A tal punto, con una fiducia interiore che sormontava tutte le difficoltà e le ansie del caso, prospettavo ad ajay la soluzione estrema e a me più invisa, quella di ricorrere a un taxi.
Che altro ci restava da fare?
Il guadagno conseguente avrebbe di certo reso reperibile anche in Kalinjar un qualsiasi conducente privato, confidavo, come mi confermava l uomo dello spaccio di ricariche, per il tramite di Ajay.
Solo che per Ajaygarh il trasporto ci sarebbe costato non meno di mille rupie, ed ancora di più per Banda, a oltre 50 km di distanza, troppi per le mie disponibilità effettive, a prescindere dalla mia carta di credito.
La sola opportunità che ci restava e che l uomo individuava con una tempestività che si rivelava il nostro appiglio imperdibile, era quella di tentare di accordarci con un conducente di un furgoncino a più posti alla guida del quale era in procinto di partire per Naraini, un grosso villaggio sulla strada per banda e Citrakoot, dove era possibile comunque alloggiare, forse ancora prendere un autobus per banda, verificare l utilizzo della carta di debito, secondo le assicurazioni dell uomo dello spaccio
Dovevo chiedere più volte ad Ajay della effettiva località d’arrivo, e di quanto distasse, come era venuto a sapere, e ricorrere alla sua mediazione perché il conducente dell’autoveicolo si accordasse per 300 rupie in luogo delle 4.00 che richiedeva inizialmente, per un percorso che sarebbe stato di una ventina di chilometri.
Nel cuore oramai di una notte stellata rischiarata dalla luna, l’autoveicolo,l come vi salivamo alla partenza, si rivelava una autentica carcassa , mancava di ogni vetro che non fosse quello frontale, e il freddo più acre ci raggiungeva dovunque, intirizzendovici tra i passeggeri amici che erano stati fatti salire a mie spese.
Porgevo ad Ajay un lembo dello scialle di cui mi ammantavo, ma egli se ne discostava, dicendo di patire quel gran freddo solo un po’. Ed io avevo la sconsideratezza di credergli e ritirare la mia copertura
Il fondo stradale integralmente dissestato rendeva intanto il tragitto interminabile, allontanando da noi Kalinjar irrevocabilmente, a una distanza tanto più remota quanto più era impensabile che potessimo ripercorrerla di nuovo, per ritrovarcisi in tale avamposto di ogni abbandono del mondo.
“ The road is very bad”era la considerazione d’obbligo in cui usciva Ajay dal suo riserbo.
Nel volto mi appariva eccitato dalla situazione in cui eravamo avventurati, gli occhi spalancati sulla tenebre notturna, come se le circostanze che ci avevano coinvolti nella loro smisuratezza lo sospingessero a sentirsi e a farsi più grande del piccolo Chotan che si era ritrovato ad essere.
La mia ansia, in apprensione soprattutto per la sua sorte apprensivamente responsabile della sua sorte, a sua volta si lasciava immergere nella immensità della notte indiana , in ciò che il corso assunto dagli eventi ci rivelava di così bello e inatteso, la vastità dei campi e la grandiosità degli alberi rischiarata dalla luna , il biancore dei casolari e delle casipole ai lati ghiaiosi delle strade, dove balenavano e sparivano alla vista le vampe crepitanti dei fuochi accesi dagli uomini che vi si riscaldavano e radunavano intorno
in capo a un’ora e quaranta eravamo finalmente a Naraini, illuminata da cosi poche luci nella animazione residua nei suoi percorsi stradali, da lasciare ben poco sperare su che cosa potesse riservarci.
Il conducente del furgoncino smentiva che ci fossero alloggi in cui pernottare, coloro che contattavamo non ne sapevamo di atm, e le varie alternative cui dare la precedenza all’arrivo, su cui mi ero intrattenuto con Ajay,
si riducevano alla sola possibilità di trovare ancora un autobus in partenza per Banda.
Kailash con cui si erano persi i miei contatti, avendo esaurita la mia ricarica del cellulare, mi contattava in mia vece mostrandosi oramai fortemente preoccupato, in narerenj in cui potevo dirgli che eravamo arrivati avrebbe voluto che cercassimo un alloggio per la notte, temendo per la nostra salute esposta al gran freddo notturno più di quanto volesse un nostro ritorno a casa nei tempi più brevi, essendo rimasto impressionato dalle notizie di quanti erano già morti in india per il rigore notturno dell’inverno indiano, ma data l irreperibilità di qualsiasi albergo in Naraini, che lo cercassimo in Banda, sempre che mi restassero rupie abbastanza per consentircelo e pagare l indomani i biglietti del treno o degli autobus su cui fare ritorno a casa.
Commutavo le sue esortazioni in disposizioni, visto che ne avevo affidata la sorte del figlio, e ad Ajay chiedevo di farci condurre dove fosse la stazione degli autobus.
Con il conducente del furgoncino scendeva in strada e si arrestava poco distante, senza darmi spiegazioni, nemmeno dopo essere disceso a mia volta e d essermi affiancato a lui.
“E qui che ci stiamo a fare?”gli chiedevo stizzito. Ti ho chiesto di farci condurre quanto prima all’autostazione di cui si è parlato”.
“E’ tutta qui l’autostazione. E’ qui che fermano gli autobus per Banda”
Ed io come posso venirlo a sapere da solo, se non c’è niente di niente “.
Per il tramite del conducente che li interpellava, sopraggiungeva un gruppo di uomini che ci attorniavano, che si rivelavano dei conducenti di autorickshaw.
Dopo che tutto era stato convenuto tra loro ed Ajay, dovevo alzare la voce nei suoi confronti, perché mio dicesse che restava possibile recarci su una loro vettura ad Atarra, a una diecina di chilometri di distanza, dove c’era pur anche la stazione ferroviaria, era utilizzabile l’atm, e in un albergo sarebbe stato possibile trovare alloggio.
Cominciavo così a intravedere la luce . Pervenire ad una stazione ferroviaria nodale, era già ritrovarsi fuori della situazione più critica, dell’arresto all’addiaccio con Ajay durante tutto il corso della notte, in una località che non offrisse alcun alloggio ed alcuna possibilità di ripartirne che a nottata passata…
“ Ajay va bene così, ma ti devo ripetere ancora che devi dirmi ogni cosa prima di decidere? Che mi sei stato affidato da tuo padre e che devo prendermi in cura di te? E debbo tener conto di tutto, come tu non fai: va bene così, ma solo se non viaggiamo su un’altra vettura senza vetri che ci riparino dal freddo!Capito? Capito?”
“ E’ un autorickshaw”
Solo una volta che l’autorickshaw è stato avviato ed era in corsa, mi sarei reso conto che non aveva teli protettivi ai lati, e che insieme con me avrei esposto Ajay all’infreddolimento di altri dieci chilometri almeno di percorso stradale.
Dovevo sollecitare Ajay più di una volta a chiedere se Atarra, di cui sentivo parlare per la prima volta fosse tra Banda e Mahoba, verso la quale nel qual caso avremmo potuto inoltrarci direttamente. Restava invece tra Citrakoot e Banda, e Banda restava un’ulteriore tappa obbligata procedendo con l’autobus. Il conducente dell’autorickshaw ci ripeteva che un treno per Mahoba ripartiva dalla stazione di Atarra dopo la mezzanotte, ma vi fermava il treno che da Varanasi recava in seguito a Khajuraho?
In Atarra ci ritrovavamo ad essere risaliti di un altro livello di civiltà materiale rispetto a Kalinjar, strade luminose, trafficate, palazzi ed edifici moderni, con vetrature metalliche, uffici e filiali , non solo negozi, sovrappassi e sottopassaggi, vie affollate ancora di vita quando erano già passate le otto di sera. Ma quando l’autorickshaw sostava al principale atm ma vi andava delusa la possibilità di prelevare rupie. Poco distante era un locale ove ed io ci riprendevamo dal gran freddo sorbendoci un the, mentre chiedevo se a quell’ora vi fosse ancora un autobus in partenza per Banda. Si, e di li a poco, verso le nove, sostando proprio lì davanti. La fiducia nel decorso favorevole della scelta intrapresa conosceva il battito d’ali d’una schiarita ulteriore… Mentre Ajay capiva all’istante l opportuniutà di eludere la stazione ferroviaria di Atarra e di procedere verso Banda dove il treno per Khajuraho avrebbe senz’altro fatto sosta , in una tappa di ravvicinamento, tanto più che l’atm non mi aveva erogato il contante utile per rimanere in Atarra al riparo dal freddo in un alloggio, dovevo ripetermi più di una volta con il conducente premurosissimo dell’autorickshaw per fargli intendere la vantaggiosità che ci lasciasse a quel punto senza
condurci alla stazione ferroviaria.
Sferragliante e puntuale arrivava l ‘autobus per banda su cui salivamo, tra il suo carico di lavoratori pendolari involtati in coperte, nel suo interno senza riscaldamento.
Solo ora, ravveduto dalle sollecitazioni di Kailash, vedevo che Ajay aveva affrontato quel viaggio sprovvisto di giubbino e di abiti pesanti, traendone l’avveertenza a scostarlo dal finestrino cui s’era accostato da cui provenivano spifferi, e se rifiutava di trarre lo scarso riiaro che offriva il mio scialle, che almeno gli facesse da coperta l’asciugamano che traevo dallo zaino e in cui si invboltolava.
Le luci di Banda e le sue contrade notturne apparivano oltre i vetri quando da poco erano le dieci.
La confidenza che sempre più riponevo nel decorso della nostra avventura mi induceva a fare partecipe Ajay del mio intento di tentare di avvicinarci ulteriormente a Khajuraho su di un autobus ulteriore che fosse in partenza per Mahoba, sempre che il freddo vi fosse sopportabile, pur se attenendomi alle volontà di Kailash restava da perseguire l’intento di trovare riparo e dove dormire in Banda, sempre che un atm mi erogasse rupie, o di attendervi altrimenti il treno da varanasi, all’interno accogliente della stazione ferroviaria. In Mahoba avrebbe potuto prendere anche il treno che vi proveniva da Delhi per khajuraho , se non quello che vi recava che muove dalla stazione di Jhansi
All’autostazione di Banda Ajay provava a chiedere se per mahoba cerano ancora autobus in partenza, ci si additava quello rossastro che oltre lo spiazzo d’arrivo stava avviandosi proprio in quel momento, irraggiungibile anche dalle nostre segnalazioni che ritardasse ad attenderci.
L’ultimo autobus per Mahoba, ci si diceva,..
Venivo allora elaborando il mio disappunto, quando Ajay mi mostrava un autorickshaw navetta su cui salire.
Per dove mai?
Per raggiungere l’autobus ch’era già partito. Glielo avevano messo a disposizione coloro che aveva già interpellato alla sua partenza
Salivo, malmostoso, non senza ribattergli che non dovevo essere io a chiederne la destinazione. Se si fosse fermato invece per la stazione ferroviaria, o lo sportello di un atm, dove sarebbe stato ugualmente sensato indirizzarci.
E perché mai, senza che egli o nessuno mi dicesse il perché, ora nell’algore notturno la vetturetta si arrestava in quel punto stradale , dove le auto sollevano con le ventate di freddo solo un gran polverio. Era per arrestarvi chissà fino a quando l’arrivo chissà mai di un altro autobus per mahoba, chiedevo sempre più alterato ad un Ajay da cui mi sentivo scavalcato, nelle mie responsabilità e nei miei compiti, non immaginandomi che potessimo intercettare quell’autobus che sopravanzandolo al nostro sopraggiungere e chiedendo al conducente di arrestarsi per farci salire.
E qui, da parte sua e del conducente si aveva modo di dirmi solo quando era già trasceso, che l’autobus deve ancora arrivare per farvi una sosta.
Il mio sfogo si faceva un’ eruzione incontenibile, conscio che potevo consentirmela anche perché la situazione non metteva più ansia, od angoscia, per la tempestività dello stesso Ajay , su cui mi scatenavo, nel dare attuazione alle soluzioni che gli venivo comunicando.
“ E come posso io anche solo pensarlo , se non mi dici niente, e mi taci tutto, in questo punto della strada come ogni altro? Come faccio a sapere, se non mi dici niente, che l’autobus che abbiamo visto partire è quello che chi deve ancora arrivare, o se siamo qui in attesa di un altro, e fino a quando, con questo freddo? Io devo pensare a più cose di quello che credi, alla tua salute , e non solo ad arrivare, devo considerare quello che vuole tuo padre., oh no, caro mio, anche andare alla stazione ferroviaria, o ad un atm, se c’è qui da aspettare, poteva essere una soluzione buona, ma tu sai già tutto, eh, sei tu che pensiu di stare decidendo e di di dover decidere anche per me, vero, e non pensi di dovermi dire tutto di quello che vieni a sapere in hindi che mi serve a decidere… sei un ragazzino di quattordici quindici anni, te lo ricordo, mentre sono io che debbo provvedere per te, alla tua salute e sicurezza prima di tutto! E copriti come devi, una buona volta … “
E così urlandogli, più che dicendogli, lo strapazzavo avvoltolandolo nell’asciugamano che lasciava cadere sui fianchi.
Con ciò il nostro capitano coraggioso era da me sventuratamente ridotto alla sua remissione forzata di ogni giorno senza più neanche l’aire di fiatare.
Né mi placavo quando eravamo già seduti sull’autobus che era sopraggiunto e ci conduceva a mahoba
“ Se pensi che sia un baba murk, stupido, non è proprio il caso che viaggiamo insieme ancora un’altra volta! Ma che cosa anche solo ne sapevi di Banda e Mahoba, in kalinjar, eh, tu che credidi stare decidendo tutto e di stare facendo tutto di testa tua… Chi l’ha trovata questa via d’uscita… tu, in tutto, come tuo padre, come voi indiani, a pensare e parlare solo per ordini, mai che siate capaci di decidere insieme, o di fare insieme con gli altri… di pensare per loro… sempre e solo a tenervi tutto per i fatti vostri… e la lista del conto si allungava ad includere ambo le salite e le discese in cui non mi aveva dato una sola volta la mano o sollevato dello sforzo, che era rimasto indietro o mi aveva proceduto in avanti…”
“ You decide all” era quanto non poteva più che dirmi all’arrivo in Mahoba, quando gli ho fatto presente l’alternativa ulteriore che ci si prospettava,o farci condurre in autorickshaw direttamente alla stazione ferroviaria, ad aspettarvi almeno fino alle tre, se non tardava, il treno per Khajuraho in arrivo da Varanasi, o in autorickshaw avviarci a cercare un atm, e se ci avesse riconosciuto l’autorizzazione della carta di credito e rilasciato contante, sistemarci in un alberghetto vicino, e ripartire l indomani mattina, con il primo treno che fosse fino a tal punto in ritardo, o con l’autobus.
Era ovvio nella mia mente che anche solo un briciolo di saggezza non lasciava spazio a un’alternativa reale, che s’imponeva quanto imponevo al mio Ajay derelitto, così , dopo avere disseminato con un’aria stupida e svagata i conducenti di autorickshaw che ci si appressavano intorno, gli ordinavo di chiedere a due ragazzi che ancora andavano su e giù in autorickshaw alla autostazione di portarci al più vicino atm, che non era quello della State bank of India richiesto, ma che forse proprio per questo mi accreditava a viva voce le credenziali da gran signore per ottenere le rupie più che bastanti ad assicurarmi qualsiasi soggiorno notturno in Mahoba e rientro mattutino in Khajuraho.
I due giovani compari non avevano nessun discernimento di scelta negli hotels, così non restava che sistemarmi con Ajay nel primo che fosse utile a posarcisi su un letto e a fare meno di entrambi, per il loro atteggiamento profittatorio, visto anche che per avere scorazzato in su ed in giù per qualche chilometro chiedevano quanto ci era stato richiesto da Naraini ad Atarra.
La stanza ed il bagno sono veramente brutti, Ajay, e le lenzuola ed i cuscini lo vedi quanto sono sporchi, ma avevamo a che fare con due “madarchor”, e qui ci serve soltanto un letto dove dormire vestiti al riparo dal freddo fino a domattina. Se vuoi possiamo lasciare l hotel alle tre di notte, quando è in arrivo il treno per Khajuraho. Tik-e?”
Conveniva il ragazzo, “ very good” era il commento di sollievo di Kailash quando veniva a sapere del nostro pernottamento in stanza a Mahoba, grazie alla ricarica che Ajay era stato in grado di effettuare in Atarra poco prima dell’arrivo dell’autobus per Banda” Ora sono tranquillo e posso dormire fino a domattina. Non cìè più problema, voi potete anche fare ritorno anche domani sera, viaggiando di giorno”.
Di li a poco le coperte che ci serviva l’addetto alla reception, il cui loculo per dormire era dietro una serranda da garage, ci hanno offerto una tale tiepida alcova nel freddo della stanza che il sonno è piombato istantaneo e non ci siamo risvegliati solo dopo le sette del mattino.
La giornata sii preannunciava magnifica, con l ultimo dilemma ancora da sciogliere, lo stesso tutte le volte che da Mahoba si deve fare rientro in Khajuraho- se sia meglio prendere un treno che impiega solo un’ora ma che non si sa mai con che ritardo parta provenendo da altrove , o un’autocorsa che di ore che impiega non meno di tre e mezza, abitualmente quattro, ma di cui basta recarsi all autostazione per verificare l ora certa di partenza. Se uno dei due treni da Varanasi e da Delhi fosse arrivato in ritardo proprio al contempo quell’ora alla stazione, un’ora dopo soltanto ci saremmo ritrovati in Khajuraho,
La sensatezza condivisa ci induceva a verificare come stessero innanzitutto le cose all’autostazione, un autobus vi era immediatamente in partenza per la nostra destinazione, e su di esso ci era giocoforza salire.
Avessimo tentato l’azzardo irragionevole, alle nove del mattino avremmo potuto ritrovarci in Khajuraho tre ore prima,apprendevamo all’arrivo, con il treno che nel frattempo sta raggiungendo la stazione di Mahoba con cinque ore di ritardo, le stesse di quanto si sarebbe prolungata la degenza notturna di me ed Ajay in una delle stazioni ferroviarie lungo la tratta, se l’avessimo scelta in Atarra, Banda o Mahoba appena dopo il nostro arrivo.
Ma Khajuraho non ci sarebbe apparsa così bella come si è rivelata arrivandovi in pullman da Mahoba, pur nel dissesto dell’accesso mediante la sua circonvallazione, nello snodarsi sotto il sole prima di Vidhya Colony, poi dei villaggi turistici e di serre e giardini, tra le radure e gli armenti del pascolo, dell’estendersi ultimo di Sewagram, nei fortilizi squadrati delle sue case su cui si sopraelevavano i sikkara dei templi, nella plaga del Ninora talab prospiciente i templi di Brama, Javari e Vamana, l’incrocio da cui iniziava l’intrico di case di Khajuraho vecchia, quello dell’ ulteriore chowk alle sue estremità, da cui aveva inizio l’addentramento lungo il viale alberato nell’area verde dei servizi civici –l’ ospedale, la polizia, le poste-, che preludeva nei suoi viali al dispiegarsi dei parchi degli hotel di lusso, prima dei quali un’ampia curvatura dell’autobus poneva felice termine al nostro viaggio nella autostazione di quanti miei arrivi e partenze tra la felicità ed il pianto.
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MARTEDÌ 13 GENNAIO 2015

In Marai, Tigawa, ai primi di dicembre del 2014

Possibile che io non mi sia ancora dato per inteso elevato ad intendere abbia ancora inteso /acquisito assimilato Davvero non ho ancora interiorizzato quanto io debba gratitudine alla ignoranza sovrana della popolazione indiana sui propri reconditi cimeli archeologici locali, se rende ogni volta il loro ritrovamento un evento prodigioso, un'autentica apparizione, invece di contrariarmi animoso per il riproporsi dell'ennesimo copione che si inscena ogni volta che pervengo nei paraggi del sito che ricerco, e di cui mi ritrovo a scrivere, che mi eclissa puntualmente nell'insicurezza e nel discredito, in cui la incredibilità di ciò che ricerco getta ogni mio appuramento, mi immelma nelle difficoltà che insorgono ad accedervi proprio quando vi si è oramai prossimi, inducendomi a dover confidare nell'assecondamento alla cieca delle mie richieste,solo per il lucro che si presume di estorcere dagli strampalati miraggi di uno straniero bizzarro?
Possibile che non abbia ancora desunto la dovuta confidenza nella mia ricerca pionieristica, alla luce degli stessi esiti di fatto che attestano che puntualmente ogni volta s'invera pur che mi affidi ancora alla speranza quando essa oramai appare contro ogni speranza, mi appigli alla certezza dei dati rivelatimi dalle fonti autorevoli di cui dispongo, dei quali sta pur sempre al mio discernimento colmare l'assenza di più indicazioni per raggiungere la meta prefissata con il salto mentale nelle concrete circostanze in cui si riconfigura la quest.
La rivelazione illuminante a cui nella prima decade del dicembre del 2014, un mese or sono, era affidata la mia sequela archeologica per pervenire al tempietto Kalachuri di Marai era il foglietto miracolisticamente preservatosi nel tempo n cui avevo trascritto gli insegnamenti trasmessimi nel museo dismesso di Ram van, su quali fossero le località di riferimento per potervi giungere. Che giunto a Maihar chiedessi della localitò di Dilaha , vi era malamente indicato.
Alla partenza da Satna dell'autobus per Maihar chiedevo di Dilaha al bigliettaio, per il tramite per telefono dello stesso Kailash, verificare se almeno lui sapeva dell'esistenza di una località denominata approssimativamente in tal modo nel circondario di Maihar.
Ne aveva contezza, e sapeva dirmi dove avrei dovuto scendere in Maihar, all'altezza della strada che vi conduceva.
Confortato da tali prime conferme mi facevo lasciare in Maihar dove un portale immette nel bazar, e vi iniziavo a chiedere di Dilaha, di un purana Marai Mandir nelle sue vicinanze. Di Dilaha mi indicavano unanimemente la via che si snodava in sua direzione, sei o sette i chilometri di distanza, ma pure unanimemente nessuno sapeva niente di alcun antico tempio Marai che vi fosse ubicato, o di alcuna località denominata Marai da cui il tempio traesse il nome. Nessun schiarimento in merito neanche presso i conducenti di autorickshaw di cui raggiungevo la postazione, pronti comunque a spararmi le richieste più esose, nell'assenza di ogni cognizione su dove mi dovessero condurre.
Kallu, cui chiedevo al cellulare di farmi da traduttore, non riuscendo io a farmi capire in inglese, era più pronto solo a maledirli e a inveire contro quei suoi compagni di mestiere, che avevano ceduto alla tentazione cui è esposto e in cui cade abitualmente alla vista della white face di un turista straniero, con l particolare difetto di non mostrarsi ingenuamente estranei a quegli istinti profittatori/ predatori che kailash credeva fossero una prerogativa solo dei luoghi indiani turisticizzatisi, nella inversione dei ruoli che mi faceva vestire i panni dei suoi clienti e a lui di mio assecondatore, cui chiedevo di spuntarmi l importo più basso per l'escursione. Lui insisteva perchè partissi con il primo conducente non esoso accomodante che sapesse qualcosa del purana mandir, io mediavo per accondiscendere più realisticamente con chi simulasse di esserne a conoscenza e fosse disposto per una cifra ragionevole all'azzardo di portarmi, in Dilaha, ad una destinazione che restava per lui stesso un'incognita. Confidavo che poi in Dilaha, sempre che le indicazioni originarie che vi riconducessero fossero giuste, si potessero raccogliere sulla ubicazione del tempio le informazioni che non mi era stato dato di ottenere ancora in Maihar. Due giovani più tignosi degli altri si arrischiavano e si dicevano disponibili a condurmici per l importo di 350 rupie, con essi mi accordavo e finalmente mi rimettevo in moto, tanto più che l'ora pomeridiana si faceva già tarda.
Via via che Dilaha s’avvicinava. al profilarsi sempre più smisurato sullo sfondo di un cementificio, i due giovani sempre più di frequente si fermavano a chiedere dove mai fosse un purana mandir,. senza ricevere alcuna conferma certa della sua esistenza, nemmeno una volta pervenuti al villaggio, dove li si invitava a svoltare sulla sinistra, fino a un tempio scialbato tra una pietraia lavica che nulla aveva di remoto.
Anche ad un passante che si era cortesemente fermato presso l’autorickshaw in sosta per fornirci informazioni, seguitavano a chiedere del purana mandir, ricevendo ulteriore smentita, né sortiva esito diverso che lo interpellassi tramite Kailash al telefono: Ma la mia fede nelle mie scritture archeologiche non si dava per persa. se non sapeva niente di alcun tempio Marai, sapeva dirci se esisteva un villaggio Marai da cui il tempio che ricercavo potesse trarre la sua denominazione? Certo, 5 chilometri più oltre, lungo quello stesso tratto di strada Nella luce che volgeva al tramonto era il riaccredito di ogni mia fede e speranza ancora rimastemi, cui non potevo non dare un seguito, se non volevo votarmi altrimenti al fallimento della mia ricerca, chiedendo ai due giovani di condurmici immediatamente, mi costasse pure un aggravio di 150 rupie, com'erano lesti a chiedermi in sovrappiù.
La strada era scorrevole, a lato delle emergenze laviche del trap che costeggiava, e quando ancora il tramonto era al suo volgere eravamo già a Marai, dove finalmente di un purana mandir tutti gli interpellati iniziavano ad attestarne unanimemente l'esistenza, secondo le voci raccolte si svoltava allora a sinistra, restavano divergenze solo sul modo migliore per pervenirvi, ci si atteneva ad un ragazzo che saliva davanti e che ci conduceva ad una radura dove dei giovinetti erano ancora intenti a giocare a cricket, un muraglione vetusto che lo bordeggiava e che precedeva un filare d'alberi maestoso consentiva che il dubbio trepidante cedesse oramai all'assoluta certezza che il tempio di Marai era retrostante. E non tardavamo infatti ad avvistarlo, sovrastante, tra uno scoscendimento di frammenti, nel sopraelevarsi , sulla piattaforma franata, del portale d’accesso al santuario del garbagriha, pochi spezzoni del vestibolo dell’antarala, ciò che restava della parte antistante.
Alla base degli stipiti del portale solo Ganga figurava superstite tra l’assistente e un naga con il proprio canopo di serpenti, sotto le sakas delle quattro bande laterali, in cui due serie di ganas danzanti e suonanti affiancavano quella centrale di mithunas, entro nicchie colonnate e coronate da una chaitya* , mentre una rampa verticale dii leogrifi fungeva da bordo esterno
Al centro della trabeazione appariva Shiva, tra Brahma alla sua destra e Vishnu alla propria sinistra, intervallati dalle nove divinità planetarie
Tre piramidali sikkara miniaturizzati sormontavano le nicchie, udgamas le rientranze, affiancate da vidhyadharas e gandharvas.
In realtà a fare apparire il tempio di esigua mole era la caduta delle mura esteriori intorno al santuario, ne restava solo il basamento del portico d’accesso, sicchè si era tratti ad identificarle con quelle del solo santuario, intorno al quale correva un deambulatorio interno che corrispondeva ora al piano di calpestio lungo il quale ne ripercorrevo le pareti, con alcuni visitatori giovani locali, sopraggiunti da maihar.
Ad un raffronto le modanature dello zoccolo, o bitha, corrispondevano con quelle residue del portico, ad un primo corso profilato cion petali di loto ne seguiva un secondo piatto, un terzo affilatoi come una karnika, un quarto che suggellava la conclusione della prima sezione dell’adishtana riprendendo con più risalto saliente /plastico il motivo iniziale dei petalin di loto. Il plinto seguente era contraddistinto da una jadhya kumba, una karnika con gagarakas, il rientrio di un’antarapatra, il profilo saliente di una grasa pattina di kirtimukkas., subentrava quindi il podio della vedibhanda, canonicamente costituito di kura, kumba con rilievo di ugdama e kalasa, la rientranza di un’antarapatra traforata e la sporgenza di una kapota con gagaraka e takarikas, tutto secondo il copine già prefigurato o che venivano codificando per gli emuli e rivali Kalachuri i templi dei Chandellas nella loro capitale religiosa di Khajuraho. Era uno spartito di cui la jhaha riprendeva nelle pareti del santuario la successione delle note statuarie, ridotte a un solo ordine lineare, in ciò che sopravviveva della successione di leogrifi o vyalas nei recessi e ninfe apsaras nelle proiezioni, agli angoli le divinità vediche tutelari o dikpalas, nelle nicchie le gesta del dio Shiva dedicatario del tempio, di cui sopravviveva solo a presumibile l impresa contro il demone Andaka.
Avrebbero richiamato alla mia mente parabole kafkiane le difficoltà invece assurdamente insorte al mio arrivo in Bahuriband per pervenirvi a Tigawa, dove è situato uno dei più originati templi gupta, quando l’indomani vi sono giunto in autobus da Katni. sostandovi la notte in hotel, Avevo prescelto Katni come città di partenza perché è la capitale del distretto dove si situano le due località, che ne distano poco più di una cinquantina di chilometri. In questo l' aveva preferita a Jabalpur, che resta ad oltre 65 km di distanza da Bahuriband da cui è raggiungibile via Sihora- Da Katni erano due le direttrici che vi conducono in autobus o in automobile, l’una che procede verso Jabalpur fino a Sleemanabad, da cui si svolta poi a destra seguitando ininterrottamente per una ventina di chilometri ancora, l’altra che passa presso l’antica Bilhari, lungo una sequela di piccoli villaggi.
Dice il tramando storico trasmessoci da Alexander Cunningham nel volume IX dei suoi reports, che è Bahuriband un piccolo villaggio, ora una cittadina, situato ai bordi dell'altopiano dei rilievi Kaimur, 32 miglia a nord ovest di Jabalpur, costellato intorno da un gran numero di distese d'acqua arginate, o jhils,, da cui trae il suo nome, che significa nient'altro che " molte dighe". Ora annerisce le distese d'acqua la coltura che vi è praticata delle castagne d'acqua, che mi rinviano ai trigoi di cui è famosa la mia città d'Italia. Trae invece Bahuriband una certa qual fama da un'iscrizione che è ai piedi di una colossale statua jain, ai tempi di Cunningham sotto un pipal, che riconduce l'erezione della statua ai tempi in cui il territorio era sotto la dominazione del capo Rashtrakuta Golhana Deva, tributario del grande re Kalachuri Gaya Karna Deva, sollevando una diatriba mirabilmente risolta dal gran maggiore archeologo sulla sua datazione, in termine di samvat, di cui per l'abrasione della terza e quarta lettera è certo solo il secolo, l'undicesimo dell'era cristiana , come attesterebbero le prime due lettere 10**.
Fosse vera o falsa la diceria, raccolta dal maggior generale Cunningham, in ragione della diffusa presenza sull'altopiano circostante di cocci di vaso e di frammenti di antichi mattoni, che vi sorgesse una grande città, la stessa Tholabana di Tolomeo una delle città dei Parihars, altrimenti detta Volabana, da cui è facile desumere una meno remota Bahulaband, più prossima nel nome alla Bahuriband attuale, è quest'ultimo insediamento un raggruppamento di insediamenti raccordati dalla via di transito che l'attraversa e che ha il suo centro nello spiazzo che ne è tagliato in due dell'autostazione, lungo i cui lati si dispongono file di negozi e negozietti e spacci e locande in cui si concentra l'animazione della vita cittadina, che si affacciano su un vasto o sterrato annerito di lasciti di carburante e di liquame la cui desolazione come termine d'arrivo della mia corsa mi eclissava in uno stati di depressione.
Le indicazioni raccolte in internet situavano Tigawa ad oltre cinque chilometri di distanza da Bahuriband, e nessuna delle persone del posto che interpellavo mi ridimensionava la distanza intercorrente, certo , avrei potuto prendere un autobus, ma sarebbe partito molto più tardi, quando erano già passate le due del pomeriggio e restavano ancora due chilometri da fare a piedi, dal punto dove fossi disceso. Non c'erano autorickshaw disponibili, avrei potuto farmici condurre a pagamento in motocicletta, ma ne ero distolto dalla telefonata con Kailash che non mi arrischiavo a interrompere per non inasprirlo, mentre un giovane si offriva invano. Innervosito dall' inanità dei tentativi di procacciarmi un aiuto di Kailash, in collegamento, indispettito dal suo alterarsi per la mia richiesta insistita del suo aiuto tra quei nativi pur disponibili, ma con cui pareva vano ogni ricorso all' inglese, mi decidevo a fare da solo, manifestando come potevo la mia richiesta di un passaggio in motocicletta a pagamento. Ad onore del vero ero furente con Kailash, che non si sentivo in obbligo di porsi al mio servizio in un simile frangente, in cui dall'appagamento stesso del mio spirito di indagine di ricerca della bellezza spirituale dell India cercavo di trarre con il mio soddisfacimento più grande le forme più alte di aiuto che potessi recargli. Ma sembravo avere talmente la fortuna favorevole, che un giovane prestante che serviva nella dolciumeria/ pasticceria centrale dell'autostazione, sentite le mie richieste per il tramite di un intermediario, si offriva di trasportarmi gratuitamente, sempre che la mia visita non richiedesse molto tempo..
Solo che la mole della moto era così ingente, che non mi riusciva a salirvi soltanto arcuando la gamba, e così avevo la bella idea di montare con tutto il peso del mio corpo sulla staffa posteriore, mentre il giovane stava già seduto davanti, con il felice risultato di fare pencolare la moto e di provocarne il ribaltamento a terra, in un mio gemito d'orrore al rallentatore, mentre mi riversava di fianco nel liquame di un pozza stagnante presso il marciapiede. Tra le risate generali mi rialzavo senza scompormi verso la pompa dell'acqua con cui cercavo di pulirmi e di levare via lo sporco più obbrobrioso. Le risate così come s'erano levate ben presto si sopivano, io solo chiedevo al giovane se ci fossero danni a lui ed alla moto, ed egli con la formula d'uso degli indiani per sollevarti da ogni incresciosa conseguenza " no problem" mi rassicurava, in un sorriso gentilmente riguardoso. Non mi restava così che avviarmi a piedi con il mio zaino in spalla verso Tigawa, per pervenirvi prima o poi a piedi nel pomeriggio e farne chissà quando ritorno, confidando in qualche passaggio che mi fosse concesso lungo la via del cammino.
Via via che procedevo oltre Bahuriband, nessuno che più mi scoraggiasse o scuotesse la testa, alla mia richiesta di indicarmi la strada per Tigawa: sempre avanti, in direzione opposta a quella di arriuo, prima o poi distaccandomene per intraprendere la strada che dipartisse sulla destra .
Era prima di quanto credessi, poco oltre un chilometro,la strada lungo la quale mi si confermava che dovevo deviare, un largo sentiero di polvere ocra che iniziava a serpere tra i campi smaglianti di colza.
Io non deponevo la mia fiducia seguitando oltre, di tanto in tanto volgendomi indietro alle motociclette che sopraggiungevano , nella speranza che prima o poi una di esse si fermasse per caricarmi in sella. E due giovani si fermavano e mi facevano salire, dando ali alla mia speranza di pervenire in tempo alla località si di Tigawa
Neanche il tempo di allietarmi della vista dello scorrere dei campi tra le convalli all'orizzonte, che il villaggio in cui ci addentravamo si preannunciava al mio stupore come lo stesso Tigawa, per il vasto parco ombroso cinto da una cancellata che si prefigurava essere il suo sito archeologico.
"Tigawa"? chiedevo ai giovani, cion felice stupore, che confermavano che vi ero arrivato con il farmi scendere, rifiutando qualsiasi compenso mentre si congedavano per procedere oltre.
Così come il campagnolo dinanzi al portone della legge, mi ero lasciato ridurre all' impotenza dalla presupposizione dettata dalla della mia angoscia, insorta,nell'affrontare una nuova situazione, che l'ostacolo si frapponga insormontabile, le delle distanze si frapponesse insormontabile in tal caso insormontabili, mentre era quanto mai nelle vicinanze e riservato proprio a me, per la che vi avevo rivolto l'attenzione e la passione attenta ad ogni simile testimonianza del genere che me l' avevano reso accessibile unicamente a me , come straniero,, con tutto il tempo davanti per visitarlo, il tempio gupta di Tigawa che nessuno altro straniero, a memoria della gente del luogo, si era mai visto venire a vederlo.
E' tuttora Tigawa il piccolo villaggio rilevato da Cunningham, il cui nome significa soltanto " tre borgate" le altre due essendo i raggruppamenti di casolari di Amgowa e Deori, che sarebbe utile considerare ancora un suburbio di Bahuriband, per non accreditare da esso distanze superiori a quelle reali. Ma una tradizione che Cunningham si limita a riportare senza accreditarla, vorrebbe che vi sorgesse un tempo chissà / una grande città, dotata di un suo forte denominato Jhanjhangarh.
Tra le rovine raccolte ora nel parco archeologico Cunningham, ai cui tempi si estendevano per 250 piedi in lunghezza e 120 in larghezza, potè rintracciare le rovine di ben 36 tempietti, oltre ai due che superstiti, le cui misure variavano tra i 15, i 6 e i 4 piedi soltanto,di cui i più minuscoli erano costituiti di una cella aperta ad oriente, quelli di dimensioni intermedie, tra i 7 e i 10 piedi, presentavano una porta d'acceso con 2 pilastri, e soltanto i maggiori potevano avere un portico sostenuto da 4 pilastri. Una sovrastruzione a spirale conclusa da una amalaka era il coronamento comune. Una nota d'attualità polemica che Cunningham stila con raffrenato sdegno investe un rapacious spoiler recente dei resti del sito, che corrispondeva al nome rammemorato a sempiterna infamia di Walker, un contractor delle ferrovie britanniche che fece un unico ammasso di tutte le pietre squadrate reperite nel sito, per riempirne duecento carri ai piedi del rilievo, prima che la rimozione dei reperti fosse interrotta da un'ordinanza del Deputy Commissioner di Jabalpur, vitando ad essi la fine per gli stessi moventi del grande tempio di Bilhari , completamente spogliato, e di un altro tempio in Tewar
" To the railway contractor the finest temple is only a heap of ready squared stones; and
The temple of Jerusalem,
A ready quarry is to him;
And it is nothing more".
Tra la vastità delle adombrate rovine in cui mi addentravo, da un punto di vista retrostante risaltava immediatamente sulla destra il tempietto gupta nelle sue proporzioni mirabili, mentre sulla sinistra appariva più a distanza il secondo dei templi superstiti dell'antico complesso, sorto quando Tigawa e Bahuriband erano un grande centro, sulla via che ricollegava Bharhut a Tewar o Tripura, più a nord. esso avrebbe preceduto la costruzione di tutti gli altri santuari, quando, decaduti i gupta, vi si sarebbe localizzato un potentato locale emergente, ed in seguito durante la lunga dominazione dei Kalachuri.
Su una piattaforma proiettata in avanti da due avancorpi, il tempietto, uno dei primissimi templi hindu gupta dell'India del Nord, alla stregua di quelli in Sanchi, Vidisha, o in Eran, anteriore anche a quelli di nachna e di Bumhra, dispiegava un portico d'accesso con due pilastri centrali e due laterali di fronte alla cella del santuario,- di 12, 75 piedi per ogni lato all'esterno e di 8 all'interno-, tra loro separati da un intervallo maggiore di quello che li distanziava dalle pareti laterali. Li sovrastavano i rettifili delle modanature della trabeazione che variando solo in altezza ricorrevano sporgenti lungo l'intera superficie parietale del tempio. Delle lastre piatte ne erano i tetti, dei quali, enfatizzato da una cornice sporgente, era rialzato quello del santuario, che rispetto al portico d'entrata se ne staccava quanto ne era più largo.

Modanature rettilinee o curve le profilature quadruplici del basamento del portichetto e duplici del santuario.
Su un supporto prismatico i pilastri evolvevano in profili sempre più poliedrici, di 8, poi di 16 lati, a iniziare da una madhya banda di catene di campane ricadenti dalla bocca di kirtimukka in quelli laterali, di boccioli floreali in quelli centrali, per terminare in un corso circolare di foglie di loto salienti nei primi, ricadenti ne secondi. Negli uni e negli altri era sormontante una coppa dell'abbondanza da cui ricadeva il fogliame del rigoglio, prima che la emersione circolare dal vaso di un ulteriore corso di foglie di loto, preludesse al ritorno alla quadrangolarità di una sagomatura cubica. Su di essa era basato in una serie di anuli rosacei il capitello, nel cui abaco, dal profilo curvilineo, entro chaitya carenate* si alternavano volti umani e leonini. Nel pulvino terminale dei leoncini si opponevano le terga combaciando di facies in facies nel muso , in bella indifferenza alla pianta- una palma, od un mango- che sorgeva tra loro. Un motivo analogo mi era apparso sulla sommità in Eran delle colonne di epoca gupta che ne fronteggiano l tempio di Vishnu.e quello adiacente.
Le pareti interne laterali del portico erano istoriate da dei rilievi ,di epoca più tarda , che raffiguravano Sheshashai Vishnu e Chamunda , la Kankali Devi, da cui il tempio trae il suo nome attuale, risalenti a una trasformazione del portico in mandapa, secondo Cunningham, mentre un'enorme fiore di loto era schiuso nella pietra del suo soffitto,. sulla sola parete superstite di un portico ulteriore aggiunto all'esterno, era invece raffigurato un essere celestiale dalle orecchie dilungate e con una corona piatta sul capo, che i vidhyadaras adoranti non lasciano supporre sia un semplice monaco questuante.
Nel portale d'accesso al garbagriha, i pilastri laterali, sagomati analogamente ma più rudemente di quelli esterni,- con la sola variante rilevante di un'ardapadma o semiloto inciso nella prima scansione prismatica, e del raddoppiamento contiguo dell'anularità di petali di loto contrapposti, sotto il vaso dell'abbondanza-, fungevano da supporto all'inserto in una rientranza del muro dei gruppi statuari di Ganga e Yamuna con inservienti, in flessuosa tribhanga, appigliate ad un albero come salabanjka, in una collocazione inusuale nella parte alta della incorniciatura della porta, che ne accomuna la disposizione a quella in cui figurano nel tempio gupta posteriore di Deogarh.
Nella trabeazione, tra le rientranze dei profili laterali , in luogo della trimurti, o di divinità planetarie o di esseri celestiali o divinità femminili intermedie, ricorreva una successione di tulas, che rievocano nella dura pietra le testate delle travi ai tempi dell'edificazione lignea dei templi hindu.
Identiche tula erano ravvisabili nella parte superiore del portale d'accesso al secondo tempio, dedicato alla Devi, -per quanto vi campeggi un'immagine di Vishnu intorniato dalle sue incarnazioni-, vi sormontava una serie di chaitya in cui facevano bella mostra di se i busti di figurine umane, consimili a quelle dei capitelli dei pilastri del portico.
Vishnu nella sua incarnazione di Narashima era insediato al centro della cella coronato di ghirlande, ad attestazione di come il tempio, risalente al IV, V secolo dopo Cristo, sia ancora sede di un culto vivente.
Il sole iniziava a volgere al tramonto nel suo fulgore, quando lasciavo Tigawa ed ero di rientro in Bahuriband in nemmeno mezz'ora di cammino a piedi.
It s very near mi confermava un insegnante di inglese nella scuola elementare di cui era direttore, Ananda Gupta, come avrei imparato a conoscerlo, nella sua ospitalità generosa, l'ndomani quando raccogliendone l invito sono stato in Bahuriband, per visitarvi nei paraggi, recandomici in moto con lui, Rupnath , un luiogo di pellegrinaggio lungo la strada che reca a Sihora ed a Jabalpurche dalla denominazione Rupnatheshwar di Shiva che vi è adorato trae il nome, e dove nel loro esilio da Ayodhya avrebberio sostato Rama e Sita e Lakshman . In un luogo di assoluta quiete vi avrei goduto la vista dei kund, che da Ram Laxshman e sita traggono il nome, in cui ricade l'acqua a cascata dalla parete rocciosa che vi strapiomba , e vi avrei rinvenuto il masso che reca iscritto un presumibile editto di Ashoka. Poi , di rientro nel tardo pomeriggio in Bahuriband, poco distante dalla stazione degli autobus mi ci sarei recato insieme con lui al compound jain, con al suo interno l' imponente immagine statuaria del tirthankara cui soggiaceva l'iscrizione famosa.
" Di turisti non ho visto che lei da che vivo in Bahuriband" mi diceva al congedo quella prima settimana, nell'accompagnarmi all'autobus in cui sarei salito di rientro in Katni.







1 pollice (in.) = 25.4001 mm
1 piede (ft.) = 0.304801 m
1 yarde (yd.) = 0.914402 m
1 rod (rd.) = 5.02921 m
1 miglio (mi.) = 1.609347 Km 1 mm = 0.03937 in.
1 m = 3.28083 ft.
1 m = 1.093611 yd.
1 m = 0.198838 rd.
1 Km = 0.621370 mi.
Da www.puratattva.in

Ashoka’s Minor Rock Edict – published in the Edicts of Asoka by V A Smith – Thus said the Beloved of the Gods. A little more than two years and a half since I have been avowedly a lay follower of the Buddha. But I was not vigorously exerting myself in the cause of Dharma for the first one year. However, it is a little more than a year since I have been devoutly attached to the Sangha and been exerting myself vigorously. The gods, who were unmingled with the people inhabiting Jambudvipa during the ages down to the present time, have now been made mingled with them by me. This is indeed the result of my exertion in the cause of Dharma. And this result is not to be achieved only by the people of superior position like myself; but even a poor man is as well able to attain the great heaven if he is zealous in the cause of Dharma. Now, this proclamation has been issued for the following purpose, viz., that both poor and the rich may exert themselves, that even the people residing in the territories outside the borders of my dominion may realize this, and that exertion on the part of the people may be of long duration. This cause will be made by me to progress more of less to one and a half times. And now, my officers, cause ye this matter to be engraved on stone wherever an opportunity presents itself. And, wherever there are stone pillars here in my dominions, this should be caused to be engraved on those stone pillars. And, with the implication of this proclamation in mind, you should go on tour everywhere throughout the district in your charge. This proclamation is issued by me when I am on a tour of pilgrimage and have spent 256 nights away from the capital.
The meaning of the last statement, about number 256, was not satisfactorily settled among the scholars for a long time. The usual meaning taken is the same which is stated above, however there are certain variations proposed by various scholars. There are many edicts which were engraved while Ashoka was on a tour but nowhere the time is reckoned like this one in the Rupnath edict. Usual mode of reckoning time is in his regnal years.

Some scholars suggest that this 256 refers to some era used by Ashoka and the start of the era may be taken from the nirvana of Buddha. D R Bhandarkar, V A Smith and Senart suggest that it is the number of the messengers or missioners who were sent by Ashoka with the copy of this Proclamation to be engraved across his kingdom. These scholars interpret the last statement of his edict as, ‘This proclamation is caused to be announced by messengers, (of whom) 256 were sent out’. Some even suggests that 256=16*16=8*8*4, and it could me an equation suggesting that he sent messengers in eight directions. However I think now it is almost settled and we may take the interpretation as stated above in the translation of the inscription


MERCOLEDÌ 14 GENNAIO 2015

due figli indiani dell'antimateria


Due figli indiani dell'anti-materia
Al finire della lezione di ieri sulla denominazione delle parti del corpo umano in Italiano, quando in ufficio ho intrattenuto brevemente Ajay e Mohammad sul capitoletto della Encyclopedia junior che Ajay per parte sua non aveva sfogliato nemmeno una volta, dove si parla dello spazio, di materia ordinaria, energia e materia oscura, le loro menti si sono aperte d’improvviso come folgorate.
Mohammad si chiedeva se materia oscura fosse la stessa luna che si rende invisibile con il cessare della luna piena.
Ajay era pronto a replicargli che solo temporaneamente non è più visibile, mentre la materia oscura non lo è mai.
“E’ lo stesso per l energia oscura”, dicevo loro, traducendogliela con il termine di sakti
E per rendere loro intelligibile l infinità immensa della cosa, li facevo riflettere sui dati enciclopedici secondo i quali l’energia oscura è il 70% della sostanza spaziale, la materia oscura il 25%, elio ed idrogeno sono il restante 4% , mentre gli elementi pesanti che costituiscono il mondo dei nostri sensi, ciò che vediamo, udiamo, odoriamo, tocchiamo, che crediamo che sia tutto ciò che c’è, sono soltanto lo 0,3% del tutto, poco più che lo 0,6 % l'ammasso stellare.
"Com’ è possibile si chiedeva Mohammad, che esista una realtà che è invisibile?
“ E Dio è visibile?" gli chiedevo facendo appello alla sua fede islamica, una certezza per lui indubitabile, come lo è l' induismo per Ajay.
“ Nooo… sorrideva- Ma come sappiamo che l energia oscura esiste?
Lo invitavo a leggere la breve nota didattica della prima delle due pagine, che chiariva come senza un’energia oscura che contrasti le forti gravitazionali, non si spiega come l'universo sia in espansione.
“ Saremmo concentrati tutti in un punto senza estensione”
Il punto, o bindhu, in cui si conclude il riassorbimento di ogni cosa che viene alla luce, secondo quanto significa il pinnacolo terminale del tempio hindu, come gli spiegherò stasera, da cui tutto fuoriesce alla sua nascita e in cui tutto rientra alla fine, quanto dalle fauci dei volti di gloria dei kirtimukka rutilanti catene di fiori e campane.
Mohammad mi incalzava e mi chiedeva quale fosse per me la domanda più importante da porsi durante tutta una vita.
“ Credo che sia chiedersi che cosa ci può fare vivere oltre la morte “ gli rispondevo in tutta verità.
“ Per me la domanda più importante è “ chi sono io”?” mi replicava Mohammad, che la mia risposta non aveva turbato, come era accaduto invece altre volte, quando gli avevo fatto presente che la mia vita è già quasi tutta trascorsa, che la mia mente in gran parte è già andata, quanto fosse già prossimo al samadhi del nirvana
Venivo intanto riponendo i libri nello zaino , senza staccarmi dalla seggiola in cui ero insediato dietro il tavolo, per la mia sedentarietà artrosica, mentre Ajay stava staccando la luce prima di chiudere l ufficio, ed a lui mi rivolgevo scherzoso, per volgere in celia sul finire il nostro discorso, come già era avvenuto in precedenza, accennando alle mosse di danza manuali di katak, che per Salim , che li scansava divertito, era la minaccia di gesti di katak- karatè-
“ Ma noi, Ajay, la sappiamo, vero, la risposta alla domanda sul conto di Mohammad..”
“ Yes” confermava Ajay ridendo” Un jokar”. Che è a dire un pagliaccio, come tende giocosamente ad atteggiarsi Mohammad, che sabato scorso, non senza la mia complicità, ha volto irresistibilmente in facezia anche quello che avrebbe dovuto essere un punishment day, per i dati catastrofici dei suoi test scolastici, aggravati dalle risultanze dei registri di classe che conclamavano, che prima, e ancor più dopo gli esami, non era quasi mai andato a scuola, a scorno del fatto che gli avessi pagato la retta .
Ad onore del vero il presunto punishment day per il ragazzo lo era stato per davvero solo agli esordi mattutini, quando a un Salim compunto e triste il principal aveva imposto la mortificazione che alla sua presenza di tutor si tirasse le orecchie come un somaro, e quando in seguito egli gli aveva prospettato, senza dar corso alla cosa, di trasmettere i dati sconfortanti a suo padre, prima di convenire presso il suo spaccio di the con Salim ed Ajay, il quale ultimo, per parte sua, non aveva gran che di cui vantarsi, poichè aveva racimolato una percentuale nei voti che se era sufficiente, ( non soltanto di zero virgola qualche decimale e centesimo, o poco più, )era poco più della metà di quella ottenuta dalla sorellina Poorti.

“ Volete veramente dire tutto a mio padre?”
“ Assolutamente, vero, Ajay? - che egli chiamava in causa come se dovesse con lui colludere in un atto di perfidia-. Non appena avremo bevuto dal papà di Mohammad il nostro the”
“ Ma oggi costa cento rupie..”., non le cinque del suo costo reale-Costandogli ben più di cento rupie effettive, a causa sua, quel giorno di punizione che oltre che per il padre si era rivelato tale soprattutto per lui, anche materialmente, a causa delle spese che aveva dovuto sostenere per riparare il seggiolino metallico, che sedendocisi sopra, era riuscito a spaccare in quattro punti l’amico suo che era stato una seconda volta l intruso in ufficio la sera prima, facendogli maldigerire, che ancora una volta, vi sostasse in attesa che Salim finisse quanto prima di fare solo presenza alla lezione di italiano, per essere di ritorno con lui in motocicletta quanto prima in Manjurnagar, benché il padre , senza che egli fosse riuscito ad intenderne le parole, gli avesse detto al telefono che poteva restare a lezione più a lungo, come Ajay non aveva mancato di disvelargli
La sua stessa seggiola si era rotta contemporaneamente, al soprassalto che avevo avuto vedendo quel ragazzo ruzzolare, e il suo carico in spalla, e sopra la testa di Salim, fino all' officina in cui era stata riparata e di rientro in ufficio, si era convertito nella pena corporea simbolica concordata con il ragazzo, prima che egli dovesse pagargli anche la riparazione delle sue scarpe usate che gli avevo ceduto, e l’acquisto di un paio di calzini, Salim non avendone egli che di rotti.
Durante la lezione serale l’impegno profuso da parte d’ambo i reprobi miei studentelli era davvero encomiabile, quanto poco più che consolante, che quelle tirate d’orecchie, scuse in lacrime, dichiarazioni contrite di buoni propositi di ravvedimento, le aveva accolte come delle imbarazzanti messe in scena inscenate non richieste, per niente come i convincenti attestati di un ravvedimento sulla cui definitività potesse già contare, quasi che fosse a partita già vinta, né i risultati davano margine a facili illusionidel resto quelle tirate d’orecchie, scuse piangenti, dichiarazioni contrite di buoni propositi di ravvedimento, per quanto sincere le avevo accolte come imbarazzanti inscenate non richieste, per niente come convincenti attestati di un ravvedimento sulla cui definitività potessi già contare, quasi che fossi a partita già vinta, né i risultati davano margine a facili illusioni, visti gli esiti delle loro formulazioni degli usi di sopra, sotto, davanti, dietro, vicino, dentro , in funzione di preposizione avverbiale
C'è l'armadio dentro la camicia
c'è il letto sopra la finestra
c'è la libreria dentro i libri
C'è il letto sopra il cuscino
C'è il letto dietro il muro
Mohammed e Ajay , figli indiani surreali dell anti-materia.Due figli dell'anti-materia
Al finire della lezione di ieri sulla denominazione delle parti del corpo umano in Italiano, quando in ufficio ho intrattenuto brevemente Ajay e Mohammad sul capitoletto della Encyclopedia junior che Ajay per parte sua non aveva sfogliato nemmeno una volta, dove si parla dello spazio, di materia ordinaria, energia e materia oscura, le loro menti si sono aperte d’improvviso come folgorate.
Mohammad si chiedeva se materia oscura fosse la stessa luna che si rende invisibile con il cessare della luna piena.
Ajay era pronto a replicargli che solo temporaneamente non è più visibile, mentre la materia oscura non lo è mai.
“E’ lo stesso per l energia oscura”, dicevo loro, traducendogliela con il termine di sakti
E per rendere loro intelligibile l infinità immensa della cosa, li facevo riflettere sui dati enciclopedici secondo i quali l’energia oscura è il 70% della sostanza spaziale, la materia oscura il 25%, elio ed idrogeno sono il restante 4% , mentre gli elementi pesanti che costituiscono il mondo dei nostri sensi, ciò che vediamo, udiamo, odoriamo, tocchiamo, che crediamo che sia tutto ciò che c’è, sono soltanto lo 0,3% del tutto, poco più che lo 0,6 % l'ammasso stellare.
"Com’ è possibile si chiedeva Mohammad, che esista una realtà che è invisibile?
“ E Dio è visibile?" gli chiedevo facendo appello alla sua fede islamica, una certezza per lui indubitabile, come lo è l' induismo per Ajay.
“ Nooo… sorrideva- Ma come sappiamo che l energia oscura esiste?
Lo invitavo a leggere la breve nota didattica della prima delle due pagine, che chiariva come senza un’energia oscura che contrasti le forti gravitazionali, non si spiega come l'universo sia in espansione.
“ Saremmo concentrati tutti in un punto senza estensione”
Il punto, o bindhu, in cui si conclude il riassorbimento di ogni cosa che viene alla luce, secondo quanto significa il pinnacolo terminale del tempio hindu, gli spiegherò stasera, da cui tutto fuoriesce alla sua nascita e in cui tutto rientra alla fine, come dalle fauci dei kirtimukka rutilanti catene di fiori e campane.
Mohammad mi incalzava e mi chiedeva quale fosse per me la domanda più importante da porsi durante tutta una vita.
“ Che cosa ci può fare vivere oltre la morte “ gli rispondevo in tutta verità.
“ Per me la domanda più importante è “ chi sono io”?” mi replicava Mohammad, che la mia risposta non aveva turbato, come era accaduto invece altre volte, quando gli avevo fatto presente che la mia vita è già quasi tutta trascorsa, che la mia mente in gran parte è già andata, quanto sono già prossimo al samadhi del nirvana
Intanto ero intento già a rimettere i libri nello zaino , senza staccarmi dalla seggiola in cui ero insediato dietro il tavolo, per la mia sedentarietà artrosica, mentre Ajay stava staccando la luce prima di chiudere l ufficio, ed a lui mi rivolgevo scherzoso, per volgere in celia sul finire il nostro discorso, come già in precedenza, accennando alle mosse di danza manuali di katak, che minacciavano di essere gesti di katak- karatè-
“ Ma noi, Ajay, la sappiamo, vero, la risposta alla domanda sul conto di Mohammad..”
“ Yes” confermava Ajay ridendo” Un jokar”. Che è a dire un pagliaccio, come tende giocosamente ad atteggiarsi Mohammad, volgendo irresistibilmente in facezia anche quello che avrebbe dovuto essere sabato scorso un punishment day, per i dati catastrofici dei suoi test scolastici, aggravati dalla conclamazione dei registri di classe che prima, e ancor più dopo gli esami, non era quasi mai andato a scuola, a scorno del fatto che gli avessi pagato la retta .
Ad onore del vero, e non glielo tacevo, il presunto punishment day era stato ancor più per me e suo padre un giorno afflittivo , e solo il suo stato d'animo compunto e triste evitava che si rivelasse una farsa la mortificazione che si tirasse le orecchie come un somaro, dicendomi sorry, alla presenza del principal della scuola dopo la ramanzina di questi, o che lo divenisse la trasmissione dei dati sconfortanti a suo padre, presso il cui spaccio di the ero convenuto con Mohammad ed Ajay, il quale, ultimo, per parte sua, aveva racimolato una percentuale nei voti che se non era di zero, virgola qualche decimale e centesimo, era la metà di quella ottenuta dalla sorellina Poorti.
“ Volete veramente dire tutto a mio padre?”
“ Assolutamente, vero Ajay? - che chiamavo in causa come se dovesse colludere con un atto di perfidia-.Non appena avremo bevuto dal papà il nostro the”
“ Ma oggi costa cento rupie..”
Costandomi ben più di cento rupie effettive, a causa sua, quel giorno di punizione che lo era stato soprattutto per me stesso anche materialmente, per le spese che avevo dovuto sostenere per riparare il seggiolino metallico che era riuscito a spaccare in quattro punti, sedendocisi sopra, l’amico suo che era stato una seconda volta l intruso in ufficio la sera prima, facendomi maldigerire, che ancora una volta, vi sostasse in attesa che Mohammad finisse quanto prima di fare solo presenza alla lezione di italiano, per fare ritorno con lui in motocicletta in Manjurnagar, benché il padre gli avesse detto al telefono che poteva restare a lezione più a lungo, come Ajay non aveva mancato di disvelarmi.
La mia seggiola stessa si era rotta contemporaneamente, al soprassalto che avevo avuto vedendo quel ragazzo ruzzolare, e il suo carico in spalla e sopra la testa di Mohammad fino al' officina in cui è stata riparata, e di rientro in ufficio, si era convertito nella sua pena corporea simbolica, prima che dovessi pagargli anche la riparazione delle mie scarpe usate che gli avevo ceduto, e l’acquisto di un paio di calzini non avendone egli che di rotti.
Durante la lezione serale l’impegno profuso da parte d’ambo i reprobi miei studentelli era davvero encomiabile, quanto poco più che consolante, del resto quelle tirate d’orecchie, scuse piangenti, dichiarazioni contrite di buoni propositi di ravvedimento, per quanto sincere le avevo accolte come imbarazzanti inscenate non richieste, per niente come convincenti attestati di un ravvedimento sulla cui definitività potessi già contare, quasi che fossi a partita già vinta, né i risultati davano margine a facili illusioni, visti gli esiti delle loro formulazioni degli usi di sopra, sotto, davanti, dietro, vicino, dentro , in funzione di preposizione avverbiale
C'è l'armadio dentro la camicia
c'è il letto sopra la finestra
c'è la libreria dentro i libri
C'è il letto sopra il cuscino
C'è il letto dietro il muro
Mohammed e Ajay , figli indiani surreali dell anti-materia.

GIOVEDÌ 15 GENNAIO 2015

intolleranze sicuritarie


Intolleranze sicuritarie (riscrittura con ampliamenti)
15 gennaio 2015
Stamane, sul far di un giorno ancora nebbioso, come mi sono fatto sull’uscio della mia fredda camera Chandu mi è apparso sgambettare festoso vestito solo d’aria nel gelido cortile, correndo verso Vimala che l’attendeva per un rapido bagno nella catinella di plastica. Come mi sono poi rannicchiato accanto alla coperta in cui si era rinvoltolato presso papà Kailash, ho chiesto al mio amico come mai l’avesse lasciato avventurarsi all’aperto del tutto nudo, ed egli mi ha ricordato, se me lo fossi già scordato dal giorno prima, che era il burki del bimbo perché oggi è Makar samkranti, il giorno che segna la transizione del sole nel segno zodiacale di Makarha Rash, l’equivalente del nostro Capricorno, e dunque, trattandosi al freddo e al gelo di una spogliazione religiosa del piccolo, non c’era di che temere per la sua salute. Poco dopo è apparsa sulla soglia Poorti rivestita solo di un asciugamano, dopo che aveva fatto anch’essa il suo bravo burki, nella casa degli zii dove era rimasta a pernottare. Invece ieri sera , mentre stavo per uscire per la mia lezione in ufficio di italiano,nel cortile di casa Chandu mi è apparso alle prese con il fuoco, che avvivava nello scaldino in cui su dei listelli di legno aveva riposto dei fogli di giornale, da cui le fiamme si stavano levando dopo che aveva appiccato l incendio con i fiammiferi che gli erano stati vietati. Il bambino era meraviglioso nel suo volto incantato dal divampare della fiamma, su cui poneva le mani, le accostava, le riuniva veloce ove svettava più alta, consapevole che al moto d’aria delle sue mani si sarebbe ribassata prima di risollevarsi di nuovo, nella sua fascinazione permanendo egli insensibile a ogni mio richiamo o monito. So quanto il fuoco lo esalti, come di Dipavali egli splendesse di gioia roteando girandole, tra le faville sprizzanti nel buio della sera che stava facendosi notte, ma sono oramai settimane che la mia angoscia mi detta di intimare a Kailash di imporsi una buona volta a Poorti ed Ajay, perché smettano di accendere da soli dei fuochi, nella disattenzione della madre e del fratello più grande, da che li ho visti appiccarli non all’aperto ma in stanza, dentro lo scaldino, sollevando fumagioni soffocanti. Ne sono rimasto sconvolto, l’altro sabato, quando al rientro a casa di sera , ho visto il braciere ardere e divampare nella stanza della televisione senza nessuno intorno, mentre Poorti e Chandu giocavano a nascondino sotto le coperte da cui pervenivano le loro risa, il fumo si spandeva acre nel cortile, e nella cucina accanto Vimala ed Ajay erano intenti ai fornelli come se niente stesse accadendo.
La mia reazione collerica mi ha indotto per la prima volta dal mio ritorno in India a riferirmi a Sumit, gridando a Vimala che non poteva intendere e rideva della situazione, che della morte già di un nostro bambino non ho finito di certo di soffrire.
Il giorno seguente mi ha colto in chiesa un nuovo ictus mentale.
Eppure non è che le mie ansie od ossessioni sicuritarie non le tenga sottotono, talmente ricorrono le situazioni contrarianti e sconcertanti, Vimala che distende sul piano di calpestio della cucina le foglie di coriandolo che diventeranno la salsa fredda che avrà macinato, Ajay che sta senza lavarsi per settimane ed è al contempo l'aiutante in cucina di mamma e papà, suscitando il ribrezzo della sorellina Poorti che si rifiuta di portare alla bocca ciò che Ajay ha toccato o manipolato, Kallu che in tutta sincerità mi risponde che ha smesso di filtrare l’acqua che dà da bere ai bambini, ora che non è più estate e che fa freddo, i piccoli che appena la stagione consente vanno scalzi tra ogni sorta di rifiuti ed escremento, e raccolgono per terra solo ciò che portano alla bocca, per il freddo usando i guanti ad ogni evenienza, nell' impossibilità che si cibino di frutta, perché se è guava causa il raffreddore, se sono arance provocano la tosse, tenga io pure per me i miei agrumi in stanza, e non contravvenga dei genitori e del vicinato la sicumera ayurvedica, che ha dalla sua la sola ragione che la frutta, nell’agreste Madhya Pradesh, è solo d’importazione e costa così tanto...
Che il cielo intanto seguiti a mandarcela buona, anche per i miei insufficienti riguardi nel non camminare con le mie calzature sul piano di calpestio in cui i miei cari cucinano e mangiano, non fosse per la nuova pustoletta insorta ad un piede di Kailash, per il suo terrore di ogni iniezione risolutiva.





Prima versione

Stamane, sul far di un giorno ancora nebbioso, come mi sono fatto sull’uscio della mia fredda camera Chandu mi è apparso sgambettare festoso vestito solo d’aria nel gelido cortile, correndo verso Vimala che l’attendeva per un rapido bagno nella catinella di plastica. Come mi sono poi rannicchiato accanto alla coperta in cui si era rinvoltolato presso papà Kailash, ho chiesto al mio amico come mai l’avesse lasciato avventurarsi all’aperto del tutto nudo, ed egli mi ha ricordato, me lo fossi già scordato dal giorno prima, che era il burki del bimbo perché oggi è Makar samkranti, il giorno che segna la transizione del sole nel segno zodiacale di Makarha Rash, l’equivalente del nostro Capricorno, e dunque, trattandosi al freddo e al gelo di una spogliazione religiosa del piccolo, non c’era di che temere per la sua salute. Poco dopo è apparsa sulla soglia Porti rivestita solo di un asciugamano, dopo che aveva fatto anch’essa il suo bravo burki, nella casa degli zii dove era rimasta a pernottare. Ieri sera , mentre stavo per uscire per la mia lezione in ufficio di italiano,nel cortile di casa Chandu mi è apparso invece alle prese con il fuoco, che stava avvivando nello scaldino in cui su dei listelli di legno aveva riposto dei fogli di giornale, da cui le fiamme si stavano levando dopo che aveva appiccato l incendio con i fiammiferi che gli erano stati vietati. Il bambino era meraviglioso nel suo volto incantato dal divampare della fiamma, su cui poneva le mani, le accostava, le riuniva veloce ove svettava più alta consapevole che al moto d’aria delle sue mani si sarebbe ribassata prima di risollevarsi di nuovo, insensibile a ogni mio richiamo o monito. So quanto il fuoco lo esalti, come di Dipavali splendesse di gioia roteando girandole, tra le faville sprizzanti, ma sono oramai settimane che la mia angoscia mi detta di intimare a Kailash di imporsi una buona volta a Poorti ed Ajay, perché smettano di accendere da soli dei fuochi, nella disattenzione della madre e del fratello più grande, da che li ho visti appiccarli non all’aperto ma in stanza, dentro lo scaldino, sollevando fumagioni soffocanti. Ne sono rimasto sconvolto, l’altro sabato, quando al rientro a casa di sera , ho visto il braciere ardere e divampare nella stanza della televisione senza nessuno intorno, mentre Poorti e Chandu giocavano a nascondino sotto le coperte da cui pervenivano le loro risa, il fumo si spandeva acre nel cortile, e nella cucina accanto Vimala ed Ajay erano intenti ai fornelli come niente stesse accadendo.
La mia reazione collerica mi ha indotto per la prima volta dal mio ritorno in Idia a riferirmi a Sumit, gridando a Vimala che non poteva intendere e rideva della situazione, che della morte già di un nostro bambino non ho finito di certo di soffrire.
Il giorno seguente mi ha colto in chiesa un nuovo ictus mentale.
Eppure non è che le mie ansie od ossessioni sicuritarie non le tenga sottotono, talmente ricorrono le situazioni contrarianti e sconcertanti, Vimala che distende sul piano di calpestio della cucina le foglie di coriandolo che diventeranno la salsa fredda che avrà macinato, Kallu che in tutta sincerità mi risponde che ha smesso di filtrare l’acqua che dà da bere ai bambini, ora che non è più estate e che fa freddo, l impossibilità che i piccoli si cibinodi frutta, perché se è guava causa il raffreddore, se sono arance provocano la tosse, tenga pure per me i miei agrumi in stanza, e non ne contravvenga la sicumera ayurvedica, che ha dalla sua la sola ragione che la frutta, nell’agreste Madhya Pradesh follemente è solo d’importazione e costa così tanto...
Che il cielo intanto seguiti a mandarcela buona, non fosse per la nuova pustoletta insorta ad un piede di Kailash, per il suo terrore di ogni iniezione risolutiva.

MERCOLEDÌ 16 GENNAIO 2015

di che essere contenti
 

Oltre il talab procedeva oramai irraggiungibile l’autorickshaw di Kailash con Porti e Chandu che si erano avviati in ritardo alla scuola, per la renitenza di Chandu a riprenderne le attività dopo l ulteriore vacanza di ieri, e nel grigiore mattutino sentivo straziarsi la mia felicità, per non essere stato tempestivo nel vestirmi e salire con loro, esservi parte della gioia di vivere un nuovo giorno di vita di Chandu, di goderne lo splendore inesausto, mentre la mia, senza la sua incantevole luce, come la nebbia di questi giorni viene oramai evaporando in un tiepido sole, e una volta lasciati i bambini, condividere con Kailash piani e bilanci e problemi prima della mia partenza per Delhi.
Possibile gli dicevo raggiungendolo in bicicletta mentre era di ritorno, che debba inseguirti per parlarti di come provvedere ora ai pagamenti degli affitti e della fattura della luce? Per concordare quando recarci dal principal della scuola per sapere quanto non abbiamo pagato e ci resti da pagare della retta di Poorti ed Ajay? E che dire delle sedie e del mobilio del nostro negozio di barbiere che resta esposto alla nebbia sul terrazzo senza alcun riparo protettivo? E i documenti che quando ero ancora in Italia un vakil ti aveva assicurato, che ti servono per un passaporto o per l’acquisto di beni immobili? E quanto si era concordato per una lavatrice che alleviasse le fatiche di Vimala?
Per giunta, da quanto mi confidava, dovevo dispiacermi anche che non mi avesse detto niente dei contatti intrapresi, oltre che con un suo compagno di casta per l acquisto di un campo, con chi avrebbe potuto ben insediarsi come barbiere in un nuovo negozio , non fosse che va a suonare il drama nelle cerimonie nuziali notturne, e quando ciò accadesse il mattino seguente non si farebbe trovare in negozio.
Mentr’io per parte mia , inizio a preoccuparmi di quante volte urino di giorno, se come per la giovane lady russa che ieri per questo ha contattato un medico, si accompagnano ad una ripresa dei miei disturbi intestinali.
E tornavo a ricordargli la possibilità di allestire una bancarella in cui fossero in vendita ai turisti indiani dei manufatti artigianali che non sono disponibili in alcun negozio in Khajuraho, di comperare un campo, di impiantarvi un frutteto, di costruirvi una casa di malta dove alloggiare i nostri visitatori che vogliano permanervi nella pace e nel silenzio della magnifica campagna circostante, con un magazzino gondi in stile tribale per le riserve alimentari o commerciali che sia anche una casa da the ed un luogo di letture, dei suoi intenti, già manifestatimi, di fare ritorno a Berhaghat per verificare con quanta fortuna vi si può aprire un esercizio per i turisti indiani in visita alle marble rocks,
Ma se era così, non era perché oramai Kailash ora è tutto preso dal suo lavoro, cui per anni ho dovuto faticare ad avviarlo? Così confortandomene con lui, avvertivo io per primo quanto ulteriori piani e progetti, e nuove imprese, l’acquisto di un campo, l impiantarvi un frutteto, o l’esercizio di attività di commercializzazione di manufatti artigianali, con i costi, gli spostamenti di casa e di scuola che potevano richiedere, venissero innanzitutto perturbando gli equilibri e la serenità che abbiamo finora conseguito, con l’ acquietamento riguardoso e la confidenza domestica raggiunta tra Kailash e Vimala, la mia intesa sostanziale con loro, la crescita lieta dei nostri bambini, pur se quanto remissivamentee sofferta in ajay, le mia attività di ricerca e di studio ed i miei itinerari in corso, per cui già mi manca il tempo sufficiente,
pur se erano motivati dall insufficienza di tutto quanto si è concluso ed instaurato per assicurare il futuro dei nostri bambini, mentre per K.erano tutte ipotesi che tornava a prendere in considerazione come se fossero iniziative di mio esclusivo interesse e riguardo,
Meglio nel pensarci darci tempo, pur nel predisporre via via ogni cosa, perché tutto si adempia quando lo consenta il nostro unanime crescere ancora , senza impegnarci o chiedere l uno all altro oltre le nostre forze e i nostri limiti, avendo occhi per quanto intanto accade e succede di dolente,- Poorti che per gli eccessivi riguardi di papà con una lady non muove mai un dito, Ajay che a tutto soccombe in sua vece, -assaporando ogni cosa bella finora compiuta, nel lascito che ne è rimasto tra noi, tra gli abitanti di khajuraho che assistono a tanta fedele tenacia perseverante, ai visitatori, spagnoli, francesi, italiani, israeliani, che a noi hanno fatto ricorso e da noi sono stati accolti. Erano due domeniche or sono, quando ho accolto sul sagrato della chiesa una delle due sorelle cilene che Kailash aveva accompagnato alla messa, porgendole la Bibbia e la trascrizione dei pasi del legionario di quel giorno, secondo il rito syro malabarita che vi si professava.
Ed è oramai un mese che ci ha lasciato Mister Dipak, di kolkata e ora cittadino americano, con i suoi ringraziamenti di tutto quello che abbiamo fatto io e kailash perché nonostante la nebbia e la pioggia , una prenotazione mancata, al suo viaggio non venisse meno ogni meta prestabilita
 



Dear Kailash/Odorico:

Thanks for your help in completing my Khajuraho/Panna/Orchha Tour successfully. Your arrangements and thoughtfulness were commendable. Mr Dipak

Tra poco Jaime ed Alicia che furono nella nostra casa , nel Sud dell India, riceveranno con la mia e-.mail la fotografia per scattare la quale, - insieme con loro, . can I you send a e-mail without picture? Mi sono giustificato- li ho raggiunti in bicicletta nella stazione ferroviaria sei chilometri distante, dopo averli cercato invano nel villaggio della vecchia Khajuraho, nel hotel che avevano lasciato anzitempo

E finalmente avrà termine la mia inerzia, che mi ha finora impedito finora di rispondere a l caro Haroun Atila, con Pablo felice ospite nella nostra casa dei festeggiamenti del mio compleanno.

MERCOLEDI 11 FEBBRAIO 2015

Mohammad e gli avatars di Vishnu


“Dio dev’essere davvero un Dio cattivo, “ a very bad God”, ha soggiunto Mohammad, dopo avermi detto quanto si fosse rattristato la notte prima, per avere visto piangere suo padre per la disperazione della propria miseria.
Banchi, bancherelle, e spacci all’aperto, erano stati rimossi due settimane prima nell’area che fronteggia il museo archeologico presso il Madras cafe, e suo padre aveva dovuto levare il tavolaccio del suo the shop, con la panca e le sedie adiacenti, per ripristinarlo solo alcuni giorni fa all' ingresso del negozio di noleggio delle biciclette di un parente.
Prima guadagnava 180, 200 rupie al giorno, ora se va bene ne racimola poco più di 80. I turisti di passaggio sono sempre di meno e non vedono più ciò che il padre ha imbandito di nuovo in una sistemazione di ripiego.
A dire il vero, gli avevo detto i giorni avanti, se andavano rimosse tutte le baracche e i baraccamenti del sito, erano da abbattere gli stessi negoziucoli e il ristorante di tralicci metallici, rivestiti di sole tettoie di lamiere , che il raja locale aveva consentito che attecchissero intorno al monumento funerario dell’antenato Pratap Singh, in cui permane insediata una scuola i cui soli banchi presenti sono il lascito di una donazione., dopo avere fatto evacuare e ridotto ad un cimelio, dell’archeo-turismo, il bel raja-market che sorgeva a ridosso della sua palazzina, per evitare che gli recasse ogni sorta di disturbo. Non è che le 200 rupie che perveniva a raggranellare suo padre fossero chissà quale guadagno di cui avere rimpianti.. Ma ora, si affliggeva il ragazzo, pagare la retta della scuola di mia sorella, la luce, come restava possibile?
Con la meravigliosa animazione allegra che è la scia del suo incantevole aspetto, egli era sopraggiunto alla lezione che tenevo ad Ajay quando erano già passate le otto di sera, ed io già mi ero rassegnato alla sua assenza ulteriore, egli giustificandosi del suo ritardo perché un sandalo al piede si era rotto, come poteva mostrarmi, nel tentativo vano di ripararlo.
Non mi restava che dargli 100 rupie perchè se ne comperasse di nuovi, al costo più basso, senza che Ajay mancasse di ricordarmi che da tempo egli stesso necessita di nuovi sandali, come la sorella Poorti.
Mohammad rientrava con due orribili calzature verdastre e venti rupie di resto, che gli riconsegnavo perché ne comperasse di più decenti.
La sua partecipazione alla lezione, rinfrancatosi egli d’umore, si sarebbe poi rivelata tutta un’ impertinenza sugli dei hindu e le debolezze che ne rivelavano gli avatars di Vishnu , che quanto Ajay egli era pur voglioso che riprendessimo a leggere, terminata la lezione di italiano.
La sua visione islamica di un Dio sovrano assoluto onnipotentissimo, che lo aveva indotto ad una blasfemia d’esordio secondo la sua religione, degna della stessa decapitazione per qualche suo correligionario malmostoso, trovava risibile che gli dei potessero temere i demoni asura, che addirittura dalla loro opposizione fossero infiacchiti sino a temere la propria evanescenza, che nel suo essere ne fosse scemato il loro stesso re Indra, agli inizi delle vicende del secondo avatar di Vishnu che eravamo passati a leggere, quello di Kurma, la tartaruga, e della celeberrima frullatura dell’oceano di Latte, un mito che a Mohammad era ben noto per averlo visto sceneggiato o rappresentato in disegni animati alla televisione. E che dire, poi, quanto poi agli dei gelosi l uno del potere dell’altro, che se ne indispettivano fino a contrastarsi a vicenda, come nell’episodio del culto del monte Govardhana propiziato instillato dal dio Krishna, che aveva inteso così dissuadere i villici di quelle contrade dall'onorare ancora per paura il dio Indra, scatenando per reazione tutta l'ira pluviale di costui…
“ Mohammad, my dear, sembra che i fatti degli hindu gods siano per te solo dei cartoons”
" Io li rispetto, invece", mi ha risposto sorridendone, per poi, all uscita dall'ufficio, che io ed i due ragazzi avevamo differito quanto più a lungo ci fosse possibile, simulare, su mia provocazione di reggere la saracinesca sulla punta del dito mignolo, come il dio Krishna il monte Govardhana, per metterne al riparo dal diluviare di indra i propri ardimentosi seguaci .
“ Vedi, quanto più una storia di dei può sembrarmi un cartoon, gli ho detto mentre riprendevamo le nostre biciclette, tanto più mi va di studiarla più a fondo per coglierne un senso.”
Come ho fatto stamane, nel corpus del Matsya Purana degli Hindu myths, secondo il commento di Wendy Doniger, di cui ieri avevo acquisito l e-bok, il mito dell’incarnazione di Vishnu nel piccolissimo pesce che chiede a Manu di metterlo in salvo ponendolo in un recipiente più vasto quanto più cresce a dismisura, sino a che il solo Oceano può esserne capiente. Un mito che ci insegna solo come solo portando a salvezza le essenze e i semi di ogni creatura vivente, ( siano quelle animali nate da essudazione di coiti, uova, acqua, o mutino la loro pelle di rettili), serbandoli dentro l’Arca guidata dal corno del pesce nel diluvio della dissoluzione del mondo, Manu potrà portare esso stesso a salvezza.
Nel pesciolino più piccolo, e indifeso, riconoscendo e rinvenendo l'Onnipervadente nel suo infinito espandersi


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DOMENICA 8 MARZO 2015

Un'infelice felicità
Una felicità infelice


Sul far del sera ieri l’altro sono uscito con il giovane Mohammad tra i tempietti che danno sul bacino lacustre del Prem Sagar , e l’ho invitato a volgere lo sguardo ai rifiuti che vi stagnavano a riva, mentre il tramonto illuminava dei suoi ultimi bagliori le cime dei templi che si profilavano oltre le acque e le piante che vi crescono ai bordi.
“ E’ in queste acque che la moglie di Kailash lava anche i miei abiti”, gli ho detto a guisa di commento, senza che ci sia verso, il mio amico, da mesi e da anni di indurlo ad acquistare una nostra lavatrice, zero i risultati di ogni mio sforzo a mie spese, come zero sono stati i i risultati di ogni mio zelo perché doti i bambini più grandi dei certificati di nascita, se stesso di quelli che gli occorrono per il passaporto, zero quelli di ogni mio intento di visionare almeno qualcuno dei campi che gli sono stati offerti per l'acquisto, zero quelli di ogni proposito di ripristinare il negozio di barbiere, mentre dà segni di cedimento il suo encomiabile, perseverare ogni giorno nel proporsi all ingresso degli hotel di lusso con l’autorisciò, e sempre più io mi sento un animale morente. Nella congiuntura di un tasso di cambio che ogni giorno mi è sempre più sfavorevole, il mio denaro è una risorsa con cui non riesco più ad assicurare, ad entrambi ed ai nostri figli, che il solo seguito di questa nostra vita pur così bella e sempre più drammi che la sconvolgano, da cui mi è sempre più difficile il distacco, per la riflessione meditativa e la scrittura o per inoltrarmi in qualche viaggio, nel subcontinente indiano, che non sia il mio cabotaggio tra i templi del Madhya Pradesh e l’ acquisizione in Delhi e poi via internet dei testi occorrenti per rivisitarli più profondamente, tramite l indagine visiva diretta o dei reperti fotografici che ne ho desunto, per pervenire a scriverne con l’ autorevolezza di uno spirito interpretativo capace di definirli ed intendere in ogni dettaglio..
Mohammad, a quella vista delle acque infognantesi, mi ha allora indicato a sua volta un maiale che scendeva a bagnarvisi, ricordandomi come vi si defechi e urini a piacimento.
Il discorso l’abbiamo ripreso presso il chiosco che si affaccia sulla riva opposta del talab, dove abbiamo protratto i nostri discorsi tra coca cola, patatine e kurkuré
Gli stavo dicendo che lo stesso hotel che guarda sul talab, nelle immediate vicinanze, conviveva nella sua gestione immacolata con lo squallore rivoltante dell’immondezzaio adiacente, una discarica nel cui liquame lurido i rifiuti che vi finiscono sono il mondo di vita quotidiano di maiali e galline che vi scorrazzano e dei bambini che vi escrementano, ad ogni ora del giorno, nell indifferenza del traffico di scorrimento, e chiosavo la mia ripulsa rilevando come l hotel fosse di proprietà del politico locale del Bjp il cui volto compariva in un manifesto appeso alle lamiere di quel chiosco, quando lui mi ha invitato a leggere il motto che vi campeggiava in hindi ed in inglese, sotto le immagini di Narendra Modi per un verso e di Vivekananda ed altri illustri ascendenti sull’altro, cui non avevo fatto fino ad allora minimamente caso: ” Making India clean” come recitava in caratteri guizzanti.
“ A cominciare da quanto sta ad un passo dalla tua porta di casa, lercio dei rifiuti dei tuoi ospiti” mi viene l idea di replicargli in facebook, “una volta fotografato il luridume fognario a cielo aperto che coesiste con la bella vista che la stessa pensione offre sui templi, dal lato opposto, e abbinatolo al suo poster che in Khajuraho vedi dappertutto”, ma mi invitava alla cautela quanto era appena accaduto il giorno avanti, dopo che mi ero aperto in piena confidenza con la giovane coppia di un giornalista di una radio emittente e di un’anestesista, originari di Firenze, poco prima della quale avevo appena finito di pranzare nel tavolo accanto del Madras cafè, in cui era presente ed assisteva ai nostri discorsi il solo vecchio proprietario. Mi ero in particolare lasciato andare su quanto fosse il caso di fare una generosa offerta a una scuola del villaggio vecchio di Khajuraho che sguinzaglia anche i suoi bambini per accalappiare turisti e ricevere le offerte che hanno fatto subentrare finanche il marmo alle sue classi sul tetto di una volta, d’intesa con i lapkas più svezzati che si spartiscono il 50% dei soldi che le procacciano
Mi ero poi offerto di illustrare loro i templi orientali che restavano a loro ancora da vedere, prima della partenza, avviandomi con loro in bicicletta nella loro direzione, e sulla piattaforma del tempio Javari ero già tutto intento a spiegare loro come la sommità del pinnacolo significasse l’uno inesteso da cui emana il mondo manifesto , così come ne discende la curvatura del sikkara, ed in conformità con il dispiegarsi del tempio nelle proiezioni delle edicole che lo replicano in miniatura, etcetera etcetera, quando come il tenore del cavaliere della Rosa nel più bello della sua aria così difficile e bella, sono stato interrotto da una successione di telefonate in successione una più iraconda dell altra di Kailash, che .mi chiedeva per quale follia mi fosse venuto in mente di screditare le scuole di un bramino della vecchia Khajuraho, che avrebbe saputo come rivalersi su di noi.
I miei cari giovani ospiti, che tutto sentivano ed a tutto assistevano, non avevano avuto il tempo di esclamare “ Ma questa è una mafia…”, strabiliati della velocità del corto circuito informativo che si era prodotto nel giro di solo qualche decina di minuti, quando credevamo di avere parlato appartati, senza che nessuno potesse stare a sentire o a seguire i nostri discorsi tutti in italiano- non fosse stato per un mio accenno alla natura di business school delle scuole private di Khajuraho, che non si riferiva certo ai contenuti professionali del loro insegnamento, o per il mio atto eloquente di mettere immaginarie offerte in denaro nel solo immaginario taschino di un immaginario destinatario affarista, e senza preoccuparci che anche il solo gestore potesse starci a sentire o a riferire alcunché a qualcuno, quando alla mia attività interpretativa delle simbolicità del tempio hindu, che mi avviavo a riprendere, ci si metteva di traverso lo stesso vigilante, quasi che stessi facendo per lucro la guida abusiva, e sopraggiungeva trafelato dalla scalinata lo stesso direttore della scuola in questione, incattivito dal timore di perdere l’offerta che i due turisti gli avevano promesso il giorno avanti, dopo che gli osservatori che aveva sguinzagliato al loro seguito, nell’ imminenza di li a due ore della nostra partenza, gli avevano riferito le loro mosse, ed altro era stato addotto dal testimone interno dei nostri colloqui.
“ Non temere, daremo comunque un offerta, per non cacciarti nei guai…” era stata la premura manifestatami dai due giovani, prima che le nostre strade si dipartissero.
In stanza la sera seguente mi sarei ritrovato finalmente insieme con un calmo Kailash, non solo a riordinare ancora una volta la vanità di piani e progetti, a riproporci viaggi e chimere, ma a parlare delle case vernacolari locali, alla luce della conoscenza positiva che ne avevo acquisito, documentandomene in Delhi presso l Intach, l’organizzazione non governativa volta alla tutela del patrimonio storico artistico e paesaggistico dell’India.
“ E’ lo stesso talab dove la moglie del mio amico lava i nostri panni” riscorrendo l immagine del Prem Sagar avevo detto allora invece con la soddisfazione gioiosa di chi si riconosce di casa in un sito che cadeva nel cono di gloria di una rinomanza singolare, nel ripercorrere il fascicolo agli atti che documentava un progetto di risanamento intentato nei riguardi del bacino lacuale, per l’attenzione della giovane che me lo aveva approntato e che tanto generosamente e prontamente mi assisteva.
Insieme con Kailash tornavo così a parlare del chabutra, ch’è insieme la piattaforma intorno agli alberi sacri ed il ripiano che precede la soglia di casa, volto a propiziare cerimonie e incontri sociali e personali, come già ne avevo parlato con Mohammad, lungo il nostro magico viaggio in bicicletta diretti a Chitrai, tra il verde smagliante dei coltivi di colza , al profilarsi incantevole di casolari e chiome frondose e cime montane, chiedendo a Kailash se potesse accedere sullo stesso chabutra insieme ai dalit nel suo villaggio, fosse quello di casa propria o della loro.
Mi chiariva la natura di mezzanino del machiyara, in legno di mahua, o di log, come l’aangan fosse il nome di un cortile quale quello della nostra stessa casa,
ma quanto al dislocarsi nei suoi canti di Chula e Ghinochi, del forno di cottura della cucina, e dell’area di lavaggio, mi invitava a fare ritorno alla sua casa nel villaggio., dove avrei trovato anche l’angolo di cui in quei documenti non si parlava del nartha, la sbreccatura che volge a una piccola fossa che raccoglie l’urina che vi si rilascia.
Quanti giorni sono già trascorsi di questa mia ulteriore permanenza in india, venivo intanto pensando, mentre mi discorreva con fervore,- certo, acquietatici, senza che siano insorti tra noi “ drama” e tensioni, ma pur in assenza di una convivenza profonda di momenti vissuti insieme, se non nelle circostanze in cui ci riunivano i visitatori che abbiamo assistito, mister Dipak, Marinella, Alberta, Katerina from Moscow, assaporando solo la soddisfazione della comunanza di intenti, di una buona vita nel comune impegno per i nostri bambini, io al computer e lui in tuk tuk, per esiguo che ne fosse l’esito.
E distolto nelle mie peregrinazioni artistiche tra i libri ed il computer, dai miei intenti di “ ricostruire le fondamenta di epoche lontane”, per “farmi chiamare riparatore di brecce”, disperando che l’approfondimento delle conoscenze che esige ogni mio ulteriore mettermi in viaggio me li renda sempre più improponibili, di come i mesi che sono trascorsi in India siano già di nuovo più di quattro senza che sia riuscito ad avventurarmi che in Delhi, od oltre Kalinjar, o Tigawa, mi ha dilacerato la disperazione antitetica che tale struggimento che angustia il mio persistere in Khajuraho, me l abbia resa invisa e vi abbia reinscenato la mia tragedia reale, la mia autentica disgrazia mentale, ossia di vivervi , in prossimità di Kallu, tra i cari Poorti ed Ajay ed il mio adorato Chandu, godendo delle cure di Vimala e della più devota amicizia dell’amato Mohammad, forse il momento migliore della mia vita senza gran che felicitarmene, di esservi nel mio paradiso e ritrovarmici in un inferno in terra , nei miei assilli ad emergere ad un destino di fama e ricchezza assicurati, secondo le meravigliose parole in cui ha ritrovato in me vita Oren Miller, blogger, morto sabato 28 febbraio della stessa malattia che temevo e dubito ancora di covare nei miei polmoni, adempiendo il sacrificio di lode del limite accolto di ogni pienezza di vita.
“ Papà, perché mi hai trovato un Baba così grasso e non uno ch’è magro?” le parole di Chandu che ieri sera hanno divertito me e Kailash fino alle lacrime, quando ci siamo ritrovati insieme in stanza, dopo avere rinunciato a recarci in autovettura al Jarai Math di Barva Sagar ed alla fortezza di Garhkundhar, per il mio timore di incidenti per strada che potessero stroncare la vita dei nostri bambini più piccoli.“ Mi impegno Chandu a trovartene al mercato uno più magro, poi stai certo che vado subito via” gli ho detto nel lasciarlo per ritirarmi in stanza, la stanza dove mi intimato anche stamattina di fare rientro, “ room!” , ordinandomelo per gioco, quando mi sono effuso nei suoi riguardi nel mio amore che non so tacergli, la cui tracimazione mi preclude che il piccolino possa accogliermi come suo educatore. . Schermaglie per dirmi quanto è felice ogni volta di ritrovarmi nella sua vita, come quando accenna a nascondersi per essere scovato sotto le scoperte, allorchè di primo mattino mi affaccio in stanza, o quando mi avanza perentorio le sue richieste di dasko, one hundred, one hundred tirthy two rupeses, mostrandomi che se non si possono infilare le banconote nella fessura del salvadanaio a forma di casetta, per la quale non passano che le 8 rupie in monetine che ho nel borsellino, possono benissimo entrarci per la porta d’uscita del suo gullà.
 

Ritorno a Khajuraho


“ Do you stay one day in Khajuraho ? “mi chiede in prossimità dell’arrivo in stazione un corpulento nativo, dai generosi intenti quanto dal fare maldestro, che da una mia secca risposta precedente ai suoi precedenti tentativi di approccio, non ha inteso che a Khajuraho vivo oramai da più anni, in Sewagram, presso la mia famiglia d’adozione. Niente a che vedere o a che fare con la superficialità dei rapporti di convivenza di pochi giorni dello stesso stay home stay -dei friends of Orchha -, che ho sperimentato i giorni avanti, intrusivo di stranieri in una famiglia che ne commercializza affaristicamente l’ ingerenza, lasciando che sia il più evasiva possibile. Che ha di compartecipe tale sorta di meeting, con ciò che ha unito la morte di un bambino?
“ no, non ci starò solo un giorno come i turisti dei voli organizzati o che ne scappano subito via” , disgustati dagli accalappiatori che ci ritrovano, immancabilmente, come la coppia di giovani fratelli italiani che ho incontrato nell'home stay in cui mi sono intrattenuto, dove avevano invece intenzione di restarci per più giorni, mentre non erano stati in grado di trattenersi che un giorno in una Khajuraho fuori controllo, a dispetto dei suoi splendidi templi a loro stesso dire.
“ And do you like to stay in Khajuraho?’'
La sua voglia di ricevere una risposta compiacente è solo pari alla mia di frustrargliela appieno
“ No, perché ci sono solo lapkas ed okkar, ”, per non dirgli delle guide ufficiali.
Il mio malanimo e la depressione d’umore sono certo anche, e non solo, una conseguenza anche dell ulteriore infezione che mi sta oscurando la mente, ulteriore lascito della fetida sporcizia ovunque pervasiva, nel mio viaggio tra Orccha , Barwa Sagar ed i siti di antichi templi nel distretto di Shivpuri,
Ma il rimettervi piede non mi è certo allettante, per quanto mi ci attendano le creature più splendide e care..
Per di più a guastarmi un umore già di per sé nauseato, ci si intrufola l ultimo passeggero rimasto in carrozza, l'unico cui non abbia ancora dato la precedenza, che si interpone tra il mio pesante bagaglio e gli stipiti della portiera mentre sono affaticato a discendere.
“ Sorry...“ mi dice pure, senza nemmeno le scusanti di avere il timore che il treno possa essere in partenza, come il passeggero che mi ha fatto cacciare un urlo in Jhansi, per essersi intromesso nel corridoio tra la mia corpulenza e quella di un altro anziano signore, senza darci modo di defilarci l uno dall altro, nella fretta di ritirare un ultimo bagaglio.
“ Oh, you are standard in India…” gli ribatto, senza che nemmeno possa più sentirmi.
Mi raggiunge immediatamente un conducente di tuk tuk che non conosco, alla cui premessa introduttiva di quanto la stazione disti dal villaggio, devo ripetere che sono oramai di Khajuraho, e che mi attende un suo collega di lavoro inviatomi incontro da un mio amico, il barber driver come Kailash lo chiama, spregiativamente, per essere costui qualche gradino più in basso negli ordinatamente castali.
Il giovane conducente seguita ad insistere, e a non mollare la presa del bagaglio, ed io manco di dirgli che non solo so già quanto disti ancora Khajuraho , ma che so immaginare anche i motivi per i quali lui solo può avermi raggiunto dentro la stazione ferroviaria, senza correre il rischio di incorrere in multe e di ritrovarsi condotto fino a Gwalior.
Pietanze cucinate, ed altri servigi e favori , quali il lavaggio degli indumenti, resi alla locale polizia ferroviaria, al pari del barber tuk tuk driver che mi attende prima della biglietteria, secondo le disposizioni che ha recepito di Kailash.
Di fuori, la canea degli altri conducenti di mezzi che si contendono all’uscita turisti e viaggiatori locali, a seconda della loro destinazione vicina- “ Bamitha! Bamitha! Rajnagar! Rajnagar!”
Sull ‘autorickshaw ho modo di sobbalzare e di sussultare fin oltre l’area ferroviaria, per quanto è sconnesso e devastato il fondo stradale, a causa dei lavori in corso della costruzione di un sovrappasso stradale, che dovrebbe evitare di doversi ogni volta arrestare al passaggio a livello per almeno una decina di minuti, a seguito delle manovre di spostamento dei vagoni dei treni arrivati a destinazione.
Buona cosa in sé, come i lavori di ampliamento e di rifacimento del fondo stradale, sempre che non solo abbiano un inizio, ma prima o poi anche una fine.
Come non ne conosce una prossima o ventura l’ aeroporto che si vorrebbe di rango internazionale, mentre sempre di meno sono i turisti stranieri, il nuovo Museo archeologico, l’intero manto stradale di Khajuraho, distrutto ed ampliato e non ancora rifatto tutto ad un tempo.

Mi tengo il vomito di dentro, per non incrementare dei miei rigurgiti la sporcizia ai margini della strada o dei rivoli in cui evacuerei, e lo rigetto nella latrina di casa, provocandovi un fetore insostenibile. Ma tra quelle pareti in cui mi ritrovo e disperdo confusamente i contenuti dei bagagli, c’è chi è volto amore, c’è cura e dedizione volta ad attendermi, pur nel freddo fare a me dedito di ognuno di loro, che non me ne vorranno se senza tutti i dovuti riguardi imbratterò di miei escrementi liquidi piastrelle e indumenti intimi e lenzuola, pur nel sonno, in cui fin nel fondo del suo essere, rivedo immerso nel lettone di loro tutti l’adorato Chandu.


 

versi
Che di me sia scritto nel rotolo del libro,
come per colei che era detta sterile,
dopo avere lasciato tutto e ricevuto il centuplo,
è indecidibile dagli esiti della parola,

quando lo splendore del giorno è un cocktail alla mia follia,

 
Cronache di viaggio fine marzo 2015- Garhkundar
Nel Bundelkand e nei distretti di Shivpuri e di Guna- Ashoknagar

1 Garhkundar

All’arrivo in Jhansi, quando erano già le due del pomeriggio, attenendomi a quanto mi è stato confermato da un addetto all’ufficio turistico ch’è dislocato nella stazione ferroviaria, dopo che ho preso un autorickshaw per quella degli autobus, vi ho chiesto del primo che fosse in partenza per Barwa Sagar, per iniziarvi la mia escursione a Garhkundar, il primo dei grandi palazzi e forti dei sovrani Bundela, antecedente lo spostamento della loro capitale ad Orchha.
In Barwa Sagar ho divagato perdendo tempo prezioso senza un orientamento preciso, prima di decidermi o di ridurmi a richiedere se era in grado di condurmici, ad uno dei conducenti di tuk tuk che erano in sosta in un vialetto ombreggiato da piante che si dipartiva dal punto in cui ero sceso dall’autobus, lungo la via soffusa di sole che proseguiva verso Niwari, in direzione sia di Chattarpur e di Khajuraho, che di Mahoba.
Non era una richiesta che all’interpellato giungesse peregrina, e per soddisfare la quale avanzasse delle difficoltà rilevanti, se non quanto all'ultimo tratto da affrontare in salita, benché la distanza che intercorreva fosse di 36-38 chilometri, circa, e Garhkundar mi fosse stato preannunciato come un sito quanto mai fascinoso perché impervio e solitario , e cosa non indifferente a risolvermi ad accettare di mettermi in moto con lui, l’importo richiesto, di 800 rupie, come conveniva Kailash intermediando al cellulare, era tutt’altro che esoso. Concordavo prontamente e con i bagagli appresso partivo senza più indugi sul tuk tuk, seguitando in direzione di Niwari.
Nella splendida giornata solatia, traboccavano di luce e colore il rigoglio dei campi e della profusione arborescente ai lati della strada, la frutta e la verdura dei bazar che apparivano allestiti lungo il suo percorso, già all’uscita di Barwa Sagar, facendo seguito alla pulverulenza calcinata degli ammonticellamenti nei dintorni di Orchha, ravvivata dallo splendore a chiazze delle bouganville, attraverso la quale mi ero ritrovato a ripercorrere l’arteria dei miei primi tragitti che mi avevano condotto a Khajuraho, e di ogni ripartenza dal suo sito verso altre mete od il rientro in Italia, prima del dilatarsi della vista sul corso della Betwa, del succedersi della profusione di orti e giardini che avevano preceduto la riapparizione del tempio sakti Jarai Math, che mi ripromettevo di visitare l indomani.
Lasciando pure che il conducente trasformasse il servizio a me riservato in un savari condiviso, raggiungevamo e traversavamo Niwari, dove se il treno, come in Barwa Sagar, avesse fatto sosta qualche ora prima, mi sarebbe stata risparmiata la lunga digressione verso Jhansi e nei suoi peripli ferroviari e stradali, pervenivamo di lì a poco alla successiva borgata, oltre la quale svoltavamo sulla sinistra, lungo una viottola asfaltata secondaria che ci inoltrava tra campi e villaggi, intraprendendo ad un bivio la diramazione, sulla sinistra, che ci adduceva alle alture crestate che si erano profilate all orizzonte e che il percorso finiva per affiancare addentrandosi tra i loro rilievi, prima che una deviazione sterrata sempre sulla sinistra non ci portasse al villaggio di Garhkundar ed al forte omonimo che infine appariva, sovrastante e imponente, sommità tra le altre sommità collinari.
Il tempo di posteggiare l’autorickshaw ai piedi della scalinata che raggiunge le mura esterne d’accesso al castello, e la sua entrata, che il guardiano del forte si era già caricato il mio bagaglio in spalla, per iniziare a procacciarsi una mia compensa. Non mi restava che assecondarlo, nella sua mistura di sincerità e di artificio, perché anche il conducente risaliva l erta al seguito di entrambi fino all’ interno del palazzo.

La sua mole prefigurava il tipico assetto dei manieri Bundela, dispiegando in capo a sette piani, inclusi quelli del basamento, quattro possenti torri d’angolo quadrate, precedute dalle rimanenze di torri ottagonali, ed un avancorpo al centro delle mura, in cui si faceva prospiciente l’alto portale.
L’ arcata d’ingresso era compresa entro una cornice rettangolare ed all’interno di un secondo arcone cieco, nel cui grembo si apriva la umile grazia di finestrella, giusto all’altezza della parte centrale della trabeazione sommitale del portone d’accesso, tale myse in abyme stagliandosi tra le serie- tre- di due nicchie ad ambo i lati, di cui il portale era l interruzione della successione, secondo gli stilemi che sono tipici , nell’architettura islamica di Delhi, delle tombe a guisa di palazzo ultraterreno d’epoca Lodi, delle moschee coeve o risalenti all’ interregno di Sher Sah Sur, oppure ai primordi dell’era Moghul. Tale magnificenza accogliente era enfatizzata, nella sobrietà del suo apparato, oltre lo stacco di un cornicione dalle ulteriori tre schiere di arcate che lo sormontavano, per un totale di sei ordini , se si includevano le arcate che affiancavano il portale, . Semplici ballatoi mensolati raccordavano il portale alle torri laterali, a suggello della severità marziale del forte schiva di ogni adornamento o decorazione, che non fossero i modesti chattri, connessi da un bengaldar, che restavano a coronamento di una soltanto delle torri d’angolo.
Il cortile interno,sopraelevato come negli altri palazzi Bundela rispetto al piano d’ingresso, mi sarebbe apparso il più vasto e immensificante di ogni altro di loro, per la serratura entro la schermatura di una galleria e dei cortiletti pensili al piano superiore, della proiezione verso l interno, in una serie di sale sovrapposte, dei corpi d’angolo e centrali, un’alternanza di vani chiusi ed aperti ch’era una prefigurazione ulteriore dell’architettura successiva dei palazzi mirabili d’ Orchha e di Datia.
Dai parapetti la vista poteva spaziare tutto intorno incantevolmente, per la modesta altura anche dei rilievi circostanti, che due altiforni o ciminiere che fossero sfidavano impunemente verso nord ovest, mentre nell’opposta direzione tra i ponticelli si schiudeva la vista di un laghetto e del biancore di un tempio sulle sue rive, il sito di preghiera e di culto delle regine d’un tempo del palazzo, quando vi discendevano dal baradar che vi s era rivolto, secondo quanto mi diceva il guardiano, tentando in hindi di farmi da guida.
Il suo maldestro tentativo , quando eravamo più soli e più in alto, di estorcermi un ammontare ben superiore per i suoi servigi impostimi e non richiesti, tentando di profittare della venuta alfine di uno straniero in Garhkundar, gli propiziava poco più di un centinaio di rupie, di cui aveva modo di ringraziarmi con i più ossequiosi omaggi servili, dopo che un intervento al cellulare di Kailash l’avevo ricondotto al un ridimensionamento in termini interni al mondo indiano delle richieste avanzabili..
La sera si era fatta oscura quanto la notte al rientro in Barwa Sagar, di cui fiochi lumi illuminavano le strade, esponendomi al rischio ricorrente di esservi investito da motocicli od autovetture. Troppo a lungo mi ci attardava l’indeterminazione su quale delle due destinazioni, tra Orchha e Jhansi , avessi a prescegliere per il pernottamento, apparendomi troppo esose anche le sole 300 o le 500 rupie richiestemi dai conducenti in autorickshaw per trasferirmi in Orchha, quando per una ventina di rupie avrei potuto raggiungere in autobus Jhansi. Solo che i drivers dei tuk tuk si facevano sempre più rari e indisponibili, sempre più unicamente interessati a stipare sul loro veicolo quanti più passeggeri possibili alla volta di Jhansi, senza spazio o respiro per me ed il mio bagaglio, mentre gli autobus per Jhansi arrivano già stracarichi al punto da non potere più far salire nessuno. Finalmente ne sopravveniva uno che non aveva ancora raggiunto la soglia del proprio traffico illimitato, e su cui il bigliettaio mi faceva salire, sollecitato dalla gentilezza premurosa di un signore corpulento che sopravveniva in vettura.
Era dunque Jhansi la mia destinazione notturna, malauguratamente, ancora una volta: perchè ancora una volta vi avrei sperimentato l imprevidenza di farvi affidamento nella stagione dei matrimoni, che ancora una volta ne intasavano a notte fonda strade ed alberghi. Così solo a caro prezzo vi ho potuto trovare soggiorno al Samrat hotel, ben deciso, l indomani, a lasciarlo di primo mattino per Orccha. Meta, la rivisitazione particolareggiatissima del tempio stupefacente Jarai Math, di ritorno verso Barwa Sagar
2
Secondo giorno il tempio Jarai math
Terzo giorno in Barwa Sagar , di nuovo in jarai math , da Orchha a Shivpuri
quarto giorno Sesai
Quinto giorno terahi mahua
Sesto giorno keldar
Settimo giorno terahi mahua, kadwaha, indor
Ottavio giorno surawaya scindia chattri
Nono giorno terahi, mahua, kadwaha
Decimo giorno shivpuri, orchhha, friends of Orchha
Undicesimo giorno jarai math, datia
Dodicesimo giorno penultima domenica di marzo, orccha, ram temple, jahangir mahal, jhansi khajuraho

Il secondo giorno mi trasferivo sul far del giorno nei tempi più brevi già di primo mattino da Jhansi in Orccha, presso il Gampati hotel che avevo visionato con Kailash già anni addietro. Alla reception c’era la figlia dell’albergatore, che a conferma dell’accoglienza domestica che l hotel vantava di assicurare, mi accordava anche l’uso del computer nella sua stanza, il che mi acconsentiva di ragguagliare in internet le mie informazioni librarie, grazie al sito putatattva.in, non quanto, però, il sito mi avrebbe consentito e mi sarebbe occorso in Kadwaha i giorni seguenti..
Per duecento rupie in luogo delle trecento fino a barwa Sagar e di ritorno, al parcheggio in Orchha degli autorisckshaw pattuivouna sola corsa di andata fino al tempio Jarai Math, per evitare che mi si stesse ad attendere per un tempo che avrebbe trasceso le supposizioni di ogni aspettativa, e potevo già ritrovarmi, di li a mezzora , in un giorno incerto d’estate, di fronte alla meravigliosa vista del tempio dove emergendo da una nebbia fittissima tre mesi avanti non avevo potuto trattenermi che una decina di minuti in compagnia del disinteressato mister Dipak ,
tre mesi avanti eccelso cliente del mio bapuculturaltours..
La grandiosità della magnificenza frontale del tempio era un effetto fors’anche di quanto ne era stata una rovina, con la perdita del portico d’accesso che aveva lasciato in vista in un continuum splendido outdoor l’ornamentazione che era adombrata al suo interno e quella che lo trascendeva all’esterno, fino alle volute a suggello dell’antefissa del sukanasa, contro il fondale reticolato di gavakshas del sikkara, che ne riprendevano la trama del sacrale ordito continuo. Delle loro carenature erano arcuati gli udgamas delle nicchie che si stagliavano sopra la vedibhanda, della coronatura dei tempietti delle proiezioni centrali di ogni parete, delle pratiratha laterali a guisa di pilastri , delle nicchie dilungate dalle loro sovrastrutture a templi nei recessi e nelle proiezioni d’angolo delle karnas e dell’antarala, dove gli udgams si dilatavano e si duplicavano, nel loro slancio ascendente verso il loro reticolato superiore di cui era luminescente la parte superstite del sikhara originario,.
Da uno scatto fotografico all'altro di ogni aspetto percepito della sua sublime visione, testi alla mano, iniziavo a ripercorrere in ogni suo dettaglio l'arcano sublime del tempio che mi si ripresentava meravigliosamente intatto, nelle sue anomalie, e nei suoi precorrimenti, che pur non ne smagliavano la esemplarità canonica, nella onnipervasività del suo manifestarsi quale criterio d'ordine di una profusione eccelsa , in cui mi si riformulava al contempo l'enigma o mistero della sua cripticità fascinante, cifrato dal rebus della sua divinità di culto.
Epitome macroscopica dei templi Pratihara, incredibilmente sfuggita/o al cribro del vaglio del maggiore Cunningham, immane come il Teli-ka-mandir di Gwalior quanto egualmente riconducibile al solo apparato architettonico del santuario e dell'antarala del vestibolo, dei templi pratihara osservava l'assetto di rito pancharatha, che contempla cinque proiezioni laterali, badhra centrale, le pratiratha a guisa di pilastro nelle antiche fogge Gupta, karna d'angolo con i dikpalas tutelari, riassunte dalle rathas corrispondenti del sikkara nel cielo riassorbente dell' unità divina originaria, del farsi molteplice del divino originario e del riassorbimento nella sua unità eterna, pur accusando l'irregolarità sostanziale espressa dalla parete di fondo, che presentava due badhras centrali in ragione della sua dimensione più dilungata. ma si trattava di un'infrazione già registrabile e convenuta in altri tempi e tempietti Pratihara, a iniziare da quello 20 della valle di Nareshar, cui era stata conferita parimenti una dimensione oblunga, in ragione del culto in esso riservato alla Dea ed al consesso della sua pluralità d'aspetti. Al tempo stesso, con l'eccezion fatta del motivo delle gantha mala di festoni di campane-, dei templi Pratihara riassumeva tutta l'ornamentazione di rito, in una preziosità d'intaglio ammaliante, precorrendo nel basamento gli arricchimenti futuri delle sue modanature, come si standardizzeranno , anche nel senso seriale o deteriore del termine, nelle magnifiche adishtana che insieme con i templi che su di esse vi si sopraelevano assurgeranno Khajuraho a capitale religiosa dei Chandella. Era dai portali che iniziava la mia ricognizione ulteriore, nei più minuti dettagli, a iniziare dalle serventi di due esternalizzate rispetto alle dee fluviali Ganga e Yamuna, in flessuosa tribhanga, che virtuosizzavano l'accesso purificatorio in prossimità del quale erano defilate, pur cedendo insolitamente il primo piano al guardiano dvarapala, al di sotto di un torana sovrastato da un udgama e dal tilaka di un tempietto, replicati nelle protomi ai lati.. Le attendenti recavano delle borse di approvvigionamento della dea, nel che si è rinvenuto un indizio probante che il tempio fosse luogo di culti esoterici alla Sakti.
Di lato alle dee una pianta di loto rampicante si schiudeva in tre boccioli, in cui trovavano ricetto un docente e quattro discepoli. In esso si sono ravvisate le sembianze di Lakulisha e dei suoi discepoli Kusika, àMitra, Garga e Kaurushya, per la sua similarità con altre ricorrenze dello stesso soggetto in posizione analoga, nel portale del tempio della Maladevi in Gyaraspur., o nel Teli ka Mandir , in Gwalior,
in cui è ben individuabile la danda di un bastone alle spalle del soggetto centrale. Essendo Lakulisha il riformatore leggendario del culto di Shiva pashupatinath, se ne è desunta una affiliazione shivaita del tempio, ma è una debole traccia, forse per una licenza o una estempooraneità dovuta alle maestranze, a seguito di loro mera ripresa imitativa.

DOMENICA 29 MARZO 2015

my new itineraries
1) Khajuraho-Orccha - Datia via Mau -Dhubela,, Garhkundar, Barwa Sagar, Jarai Math
2) Khajuraho, Orccha, Ranod by Jhansi- Pichor, Terhai, Mahua, Kadhwaha, Chanderi and its Surroundings, Deoghar and its surroundings ( Dudhai, Pali, Chandpuur)
3) Khajuraho, Garhkundar, Orchha, Datia, Gwalior.
4) Khajuraho, Orchha- Jarai Math in Barwa sagar, Shivpuri, Sesai, Surwaya, Kalder, Renod, Mahua, Terhai, Kadwaha, Chanderi, Deogarh..

5) Khajuraho-Raneh Water falls, Panna, Brahasptatikund, Rewa, Purwa- Chachai, Beotha Falls, Katra-Deor Kothar- Chandrehi- Ram van, Bharhut, (Bandavgarh National Park).

6) Khajuraho, Nachna Kuthara, Ram Van, Rewa, Chandrehi, Bandhavgarh, Sadhol, Amarkantak- Jabalpur. Beraghat, Tigawa, Sindursi, Notha- Katni. Maihar, Marai, Bhumra, Jaso, Nachna, Khajuraho
PUBBLICATO DA ODORICO A 19:27


 

 
     
   



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