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L’oca capitolina

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Sazia, l’oca capitolina cara, della semente sovrabbondante  che giaceva sparsa tra l’erbetta primaverile,  benché ancora inesausta del suo appello  a che ogni altro animale del lago accorresse lì dove c’era cibo , che poteva ora volere mai da me, dirigendosi  lungo la riva  dove io  sostavo presso il capanno?

Ed in effetti nulla voleva da me,  ella addirittura disdegnava l’ulteriore grano franto che le disseminavo davanti,  per dirigersi oltre l’ intralcio della mia persona verso (ciò ch’era) la meta effettiva che la sollecitava : la famigliolina di un’anitrella e dei suoi anitroccolini, che al suo richiamo stentoreo finalmente era sopraggiunta in acqua, dove immergendosi in un tuffo li raggiungeva.

Se ne poneva alla testa, e forte del suo ascendente, come un rimorchiatore li pilotava tra le imbarcazioni approdate a riva ,  per anticiparli nella risalita  della proda al punto stesso da cui  si era mossa.

Li  aveva così ricondotti dove potevano  sfamarsi della semente franta ch’era rimasta , prima di  precederli al largo, dove si allineavano al suo seguito verso l’ isola dei canneti fra le foglie di loto .

Ieri li avrebbe prudentemente  distolti dal frammischiarsi dalla coppia di cigni coi loro quattro piccoli,  che  si era sospinti fino in prossimità della riva per  nutrirsi  della mia semente.

Gli anitroccolini vi si sarebbero ritrovati alquanto malcapitati..

Con quegli inconsueti ospiti , v’era a riva ogni altro frequentatore recente dei paraggi,  lo stesso germano che non vedevo più da giorni, che da lungo tempo  si trascina al suolo un’ala  spezzata.

Disperavo oramai di rivederlo vivo, mentr’ egli a tal punto si è adattato alla sua calamità, che pur ad ogni passo risollevando con l’ala tra le zampe riesce a procedere spedito anche a terra.

 E all’ altezza della riva del  parco, per la prima volta  non  mi avrebbe rifuggito in acqua,  la grossa nutria  che tra una frasca al  suolo divorava il  seme che vi avevo già sparso.

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