Febbraio 2000

 

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Nella cruda luce del pomeriggio di quel giorno di febbraio,  oltre  il passaggio a livello  mi sono inoltrato in bicicletta, tra i campi spogli, ove anche la periferia cedeva definitivamente al terreno rurale, ma mi sono presto arrestato lungo il sentiero ghiaioso, per volgermi  con lo sguardo verso la città.

Nella limpidezza ventosa tersa di luce, a settentrione le montagne prealpine la sovrastavano all' orizzonte, nitide nei profili dei loro rilievi innevati.

La vista ne aveva così scorciata la realtà agricola di industrioso centro padano, per incastonarla come una Torino in una corona subalpina.

Perché non inoltrarmi nell' aria pungente verso le frazioni successive? Fin alle ville suburbane del suo patriziato d'un tempo.

Sarebbe stata la prima volta, da allora...

Ma la mia corsa, al pensiero che ne è sopraggiunto, come se in esso le si frapponesse dinnanzi un suo ineludibile guardiano, ha cercato invano di procedere oltre,  di nuovo si è dovuta arrestare nello sterrato del fondo.

Una forza  cui non sentivo di potere, nè di voler  resistere, ha barrato ogni seguito possibile, ha curvato la calotta d'un impedimento che ovunque mi era circostante.

Poi, al ( rientro in città, lungo la rampa del cavalcavia che sormonta le reti ferroviarie , non ho potuto mancare, come ogni volta che vi passo,di ritorno da scuola, di sostare presso il palo dove da più di una settimana avevo sepolto il micio nero. L' avevo scorto  a quell' altezza, steso in mezzo alla strada, quand'era ancora caldo della vita di cui l'aveva privato  l'auto che in fronte l' aveva appena investito.

Come ne ho raccolto la spoglia esanime, la sua animalità  felina  che non opponeva più resistenza vitale,  entro il nero pelo umido del sangue ch'era sgorgato dal suo muso spaccato, ho sentito tutta la pena di manipolarvi un cadavere quale quello d'un uomo, d'un qualsiasi bambino, d'un essere, a me fino allora ignoto, degno della identica pietà.

Povero amico mio...la tua orecchietta, conica e nera, seguitava a spuntare ancora dall' umido terriccio, per quanto io te ne riponessi di sopra.

Ma i tuoi occhi ho voluto salvaguardarli dalla terra che li aveva gremiti, frapponendo un poco d'erba a fasciarli, a farti da fresco cuscino.

In essi sembravi ancora guardarmi fissamente quando ti ho rivoltato: ma uno dei bulbi mi indicava la ragione presumibile del tuo incidente letale, nella  cateratta che lo aveva cecitato.

Mentre la  parte del volto sottostante la bocca, scempiata dal'l urto,  mostrava i denti sanguinanti della povera tua ferinità  inerme. Che più potevano anche i tuoi artigli...

Ma ora in quel terriccio, che già ha intriso la pioggia, tu vi giaci  acciambellato per sempre nella posizione fetale d'ogni dormire innocente, a cui le tue membra inerti già si riconducevano. 

 Quando poi al rientro ho riposto la bici accanto alla portale d'ingresso della mia abitazione, ho voluto accertarmi che nell'aiuola di fronte, entro il cortile condominiale, non fosse stato rimosso, nel suo folto di foglie, il tumulo sotto il quale(,) qualche giorno prima che il micio, ho composto il piccione che ho raccolto cadavere su di un cassonetto, al di là della strada ch'è antistante il palazzo.

E mi sono ancora una volta compiaciuto, prima ancora di salire, di constatare, al contatore all' esterno, quanto sia minimale il mio consumo di calore energetico, di gas come di acqua e luce e di telefono.

Per il mio telefono fisso è il solo canone oramai che pago, la sua cornetta opaca di polvere e polvere sul suo odioso suono.

Non fosse per mia madre che ostina a cercarmi, a pretendermi nel suo attaccamento residuo...

In appartamento, una volta che ho acceso la televisione, sono quindi accorso dalla cucina ogni volta ad abbassare l'audio, quando le parole e i suoni si facevano musica e canto.

Come seguito a fare da allora, senza nostalgia di armonie o melodia alcuna.

Era ancora l' altro anno, secolo e millennio.

Prima del nuovo anno, secolo, millennio, in cui io non sono ancora  entrato, in cui non ho alcuna voglia che di morire a tutto, (da che per me non ha più grazia la beltà superstite).

Da che mi ha lasciato il mio Diletto.

Da che sono vedovo del mio uccellino .

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Febbraio 2000

Nella cruda luce del pomeriggio di quel giorno di febbraio,  oltre  il passaggio a livello  mi sono inoltrato in bicicletta, tra i campi spogli, ove anche la periferia cedeva definitivamente al terreno rurale, ma mi sono presto arrestato lungo il sentiero ghiaioso, per volgermi  con lo sguardo verso la città.

Nella limpidezza ventosa tersa di luce, a settentrione le montagne prealpine la sovrastavano all' orizzonte, nitide nei profili dei loro rilievi innevati.

La vista ne aveva così scorciata la realtà agricola di industrioso centro padano, per incastonarla come una Torino in una corona subalpina.

Perché non inoltrarmi nell' aria pungente verso le frazioni successive? Fin alle ville suburbane del suo patriziato d'un tempo.

Sarebbe stata la prima volta, da allora...

Ma la mia corsa, al pensiero che ne è sopraggiunto, come se in esso le si frapponesse dinnanzi un suo ineludibile guardiano, ha cercato invano di procedere oltre,  di nuovo si è dovuta arrestare nello sterrato del fondo.

Una forza  cui non sentivo di potere, nè di voler  resistere, ha barrato ogni seguito possibile, ha curvato la calotta d'un impedimento che ovunque mi era circostante.

Poi, al ( rientro in città, lungo la rampa del cavalcavia che sormonta le reti ferroviarie , non ho potuto mancare, come ogni volta che vi passo,di ritorno da scuola, di sostare presso il palo dove da più di una settimana avevo sepolto il micio nero. L' avevo scorto  a quell' altezza, steso in mezzo alla strada, quand'era ancora caldo della vita di cui l'aveva privato  l'auto che in fronte l' aveva appena investito.

Come ne ho raccolto la spoglia esanime, la sua animalità  felina  che non opponeva più resistenza vitale,  entro il nero pelo umido del sangue ch'era sgorgato dal suo muso spaccato, ho sentito tutta la pena di manipolarvi un cadavere quale quello d'un uomo, d'un qualsiasi bambino, d'un essere, a me fino allora ignoto, degno della identica pietà.

Povero amico mio...la tua orecchietta, conica e nera, seguitava a spuntare ancora dall' umido terriccio, per quanto io te ne riponessi di sopra.

Ma i tuoi occhi ho voluto salvaguardarli dalla terra che li aveva gremiti, frapponendo un poco d'erba a fasciarli, a farti da fresco cuscino.

In essi sembravi ancora guardarmi fissamente quando ti ho rivoltato: ma uno dei bulbi mi indicava la ragione presumibile del tuo incidente letale, nella  cateratta che lo aveva cecitato.

Mentre la  parte del volto sottostante la bocca, scempiata dal'l urto,  mostrava i denti sanguinanti della povera tua ferinità  inerme. Che più potevano anche i tuoi artigli...

Ma ora in quel terriccio, che già ha intriso la pioggia, tu vi giaci  acciambellato per sempre nella posizione fetale d'ogni dormire innocente, a cui le tue membra inerti già si riconducevano. 

 Quando poi al rientro ho riposto la bici accanto alla portale d'ingresso della mia abitazione, ho voluto accertarmi che nell'aiuola di fronte, entro il cortile condominiale, non fosse stato rimosso, nel suo folto di foglie, il tumulo sotto il quale(,) qualche giorno prima che il micio, ho composto il piccione che ho raccolto cadavere su di un cassonetto, al di là della strada ch'è antistante il palazzo.

E mi sono ancora una volta compiaciuto, prima ancora di salire, di constatare, al contatore all' esterno, quanto sia minimale il mio consumo di calore energetico, di gas come di acqua e luce e di telefono.

Per il mio telefono fisso è il solo canone oramai che pago, la sua cornetta opaca di polvere e polvere sul suo odioso suono.

Non fosse per mia madre che ostina a cercarmi, a pretendermi nel suo attaccamento residuo...

In appartamento, una volta che ho acceso la televisione, sono quindi accorso dalla cucina ogni volta ad abbassare l'audio, quando le parole e i suoni si facevano musica e canto.

Come seguito a fare da allora, senza nostalgia di armonie o melodia alcuna.

Era ancora l' altro anno, secolo e millennio.

Prima del nuovo anno, secolo, millennio, in cui io non sono ancora  entrato, in cui non ho alcuna voglia che di morire a tutto, (da che per me non ha più grazia la beltà superstite).

Da che mi ha lasciato il mio Diletto.

Da che sono vedovo del mio uccellino .

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