Il maestro della Medersa  

1kham.jpg (139978 byte)

 

Più volte, ogni giorno, prima di accedere alla medersa , per le lezioni coraniche, il nuovo giovane maestro doveva compiere le abluzioni rituali per purificarsi. Poiché era tornato a toccarsi le carni di nuovo.

Così, nel piacere del proprio nerbo , si consolava di non averne il commercio con giovani ed uomini. Per una sua incapacità d'animo, e nel timore che se ne divulgasse la diffamazione. E vi si ostinava benché fosse consapevole che quegli atti lo isolavano in una religione senza più cuore, e la pratica di non fare uso di  se stesso che in solitudine, lo grondasse di vergogna sotto lo sguardo di ogni discepolo ed uomo.

Nemmeno il senso nonostante tutto della sua elezione, in lui sempre più debole, poteva farlo desistere o limitarsi, per quanto fosse consapevole  che in quegli atti egli si ottenebrava nella stessa vita delle genti perdute, la stessa che si consumava  dietro gli sporti anche delle più nobili case, di cui le donne si purificavano alla fontana le mani e la bocca Tanto meno ignorava come tra gli allievi che il mattino si chinavano devoti nella preghiera, dinnanzi al suo sguardo (occhio concupiscente), la sera i più belli si chinassero nei vicoli all'altezza di un ricco straniero.

Ma non poteva più nulla, in lui, lo stesso tormento di divenire così schiuma del torrente di Allah, perduto alla sua luce nella corruzione delle cose sensibili.

La manipolazione di se stesso non terminava di esasperarlo: benché la precedente effusione avesse avuto un lascito ancora più amaro,  già lo esaltava, ritemprato (rinvigorito),  il solo riaprire la djellaba alla vista della propria animalità, il tatto di nuovo della sua eccitazione sudata, la bellezza allo specchio della sua vitalità intatta.

Nella sua dissoluzione, soltanto, egli trovava un'intimità con la sua natura, da cui sentiva di doversi bandire ad ogni uscita tra gli altri, per mostrarsi decoroso e conforme alla Legge.

E proprio quanto più così si assecondava, tanto più poi si doleva di oscurarNe lo specchio, tanto più con tormento e vergogna  quindi si mescolava fra gli altri, riguardandosi da ogni finestra, in ogni interno, come la ridicola pena che immaginava di suscitare negli altri.

Finché non fosse stato  che carne in se intenta (volta), luce spenta di spiritualità celeste,  si rampognava,  ogni giorno, che per lui non vi sarebbe mai stata conoscenza del cuore, la sua tensione essendo una corda usurata fin nell'intima fibra.

E come poteva dirsi ancora maestro? Egli la cui verità era diventata il desiderio impotente della  genitalità dei suoi allievi, quello sfogo dei sensi di cui la loro virilità pervenuta alle donne non aveva più bisogno; seguitando fra gli uomini ad abbassare lo sguardo nel timore della irrisione.

Eppure, ciononostante, in che seguitava a presumersi ancora un eletto?

Ma se non si asteneva nella carne anche da questi suoi atti, come avrebbe potuto mai  divenire la parvenza dell'Adamo perfetto? si chiedeva anche quel giorno nel cingersi la veste, distogliendosi da un volo di colombe e dalla fragranza di oleandri che si era espansa nel suo giardino, mentre con la mano ancora insisteva presso lo specchio.

" Ah, come sono interminabili le potenze della costrizione, si dice irrigidendosi mentre perviene all'acme,  nell' istante che si vanifica lo sforzo di contrarre la  carne per non espandere il seme, "quel fluido di una vana maschilità", come si compiace di considerarne l'effusione in atto; ed in tanto  si ripete che così, e non altrimenti, lo ha voluto Allah nella sua natura di uomo, secondo la riformulazione dell'alibi perenne del suo cedimento.

"Mi avesse visto, ora è un istante, il discepolo ch’è più caro alla mia carne nella sua irraggiungibilità, come potrebbe riaccostarmisi nella sua venerazione? E mia madre piangerebbe la miseria della maschilità a cui mi ha generato".

Riaccostando le grate, prima di uscire, nel balenio rivede i gesti con i quali, ieri, quei giovani carovanieri alludevano ad una loro castità che valeva nei soli riguardi delle donne, mentr’erano intenti a disciogliersi i sandali per le abluzioni .

La santità del luogo ne aveva esaltato lo splendore delle carni nella reticenza degli atti, all'accostarsi delle loro gole nella reciproca cura dei crini ricciuti.

Egli si rimorde il labbro, nel distoglierne l'immagine sempre più provocante.

All'uscire per i vicoli, incontro ai suoi allievi, i suoi sensi snervati li sente più succubi della luce abbagliante, il biancore dei muri ne stordisce la fragilità accecata, lo esaltano più trepidamente colori e fragranze.

Saluta frettolosamente i conoscenti che incontra, temendo con loro di stentare e confondersi, nell'articolarsi delle sue parole in vani discorsi, ogni ombra o alito di vento lo fa rabbrividire.

E’ solo nella più immota luce accecante, che il suo fervore consunto brama di estinguersi.

"In me non potrà più sbocciare l'interno dell'uomo",gli ripete intanto il compiacimento della sua disperazione, " se anche la luce più netta, la più pura, è l'ardore stesso che vela l'occhio del cuore".

Egli ha già nella mente quale sia il versetto del Libro, che la sua sottomissione alla carne commenterà ai discepoli: " Non è dato all'uomo che Dio gli parli altro che per una comunicazione da dietro un velo, oppure Egli  gli invia un Angelo".

Intanto che così prefigura la lezione del giorno , la sua cortesia ricambia intimidita il profumiere che lo saluta.

Attenendosi, con una voce che si fa sempre più sottile, a salutare anche il macellaio che gli ha rivenduto in settimana della carne guasta.

"Io, per il decoro del mio abito, sono il servo timorato di ogni uomo. Ma proprio così, provoco negli altri ogni atto malevolo che presagisco.  

Come posso, dunque, sperare ancora nella Sua Legge? 

Nel mentre, per il mio timore, non sono nemmeno l'uomo di me stesso".

Quand'è nello spiazzo della Mellah, lo accoglie un gridio di bambini che saltellano per strada come degli uccellini sui rami.

" Quand'ero uno di loro, già ne ardevo e non ne sentivo la colpa. Ero innocente e senza paura negli atti.

Fu poi, che mi formularono la Legge e s'intorbidò la Luce."

Giunto oltre le porte, nel suk dei calderai, con il rumore dei battiti, dagli antri, ne colpisce i sensi il braciere dei crogioli.

 "Nel fuoco che li apprende, il ferro e la fiamma si nutrono l'uno dell'altra. Anche nel mio ardore impuro Egli dunque si esalta. E quanto più ne brucio Lui si avviva".

Poi all'angolo del fico, tra la polvere addensatasi sulle sue foglie, nel loro vividio ne osserva  la consunzione dei frutti rinsecchiti.

" Io ugualmente, non altrimenti sparirò in me stesso..., non potrò altrimenti sparire in me stesso.

Come gli escrementi, non potrò che per seccarmi e dissolvermi nello sterminio della Sua polvere della Sua santità".

Si reimbatte allora, all'altezza dell'hammam, nella comitiva di giovani carovanieri i cui splendidi corpi ieri ha spiato intenti alle abluzioni.

Ed il rimpianto è il nodo alla gola che lo stringe se si volge indietro.

Dai loro discorsi era trapelato che si recano verso un'oasi più a Sud.

Nel mentre, come si lambiscono e sottintendono...

Il più bello e prestante signoreggia sugli altri. Succubi al suo seguito, alcuni di loro a prova suonano flauti.

Vanno al palmeto, nel cui folto trascorreranno insieme la notte.

Li guata di nuovo sotto l'arcata, tra il variegarli della luce traverso i graticci:le loro risa, ed i sussurri,  facendosi sempre più gravidi di complicità notturne.

Potrebbe ancora essere ben accetto al loro servizio, purché  si pieghi ad ogni loro volere, ad uno ad uno...

E’ ormai prossimo alla medersa. Il suo ansito nel petto non ha tregua.

Come il primo Adamo si sente di fronte a stesso in una vertigine di stordimento, ed è solo in una spogliazione mortificante che  intravede i suoi gradi ascendenti.

Abbia pure il solo Suo libro delle ore e dei giorni, in pagine e pagine di sfinimenti abietti, pur di sfamarsi anch'egli nell'immondo, quando, di padrone in padrone, gli sarà inflitto il gusto di offendere più ancora il suo avvilirsi.

Lo soccorre il pensiero, mentre supera la medersa, che quando l'Adamo iniziale convocò le forme di luce perché si rivolgessero al loro Principio, se non le avesse rese sensibili, si sarebbero sempre più intorbidate annichilite nella spiritualità più pura.

"Ed anche per me, non c'è più Luce altrimenti che nell'intenebrarmi. Anche troppo, sono io in ritardo su me stesso".

Sciogliendosi, già oltre, al seguito dei suoni verso il palmeto.   

 

(All'alba, al biancheggiare del sole, dove due cani selvatici ne sparpagliavano i resti.)

    

 all' inizio della pagina 

all' accesso