cento anni di cinema a Mantova

 

Il visitatore che fosse entrato, senza necessità di biglietto, nella saletta della Casa del Mantegna  ove aveva inizio la mostra testè conclusasi su Mantova, 100 anni di Cinema, benchè alcun pannello illustrativo o didascalico vi fosse stato apposto, già avrebbe potuto pur appagarvisi della suggestione che gli forniva, lì presente, il materiale d'esordio di una Musa nascente come è sorta in loco: si trattasse dell'avviso della prima proiezione Lumiere all' Andreani, degli esemplari di cineprese e cineproiettori della collezione Bondini o di proprietà Maccacaro, o delle immagini fotografiche dei baracconi dei cinema ambulanti, nel Val Padana, dell'Imperial Cinematografo gigante Cini, come accadeva al seguito delle compagnie di burattini Campogalliani, prima del prendervi sempre più dei fratelli Protti, quali esercenti e venditori di attrezzature e di noleggio. 

Eppure, a non contentarsi intorno della stupefacenza software, più  di uno spunto  si offriva a una meditata riflessione, anche se ci si fosse limitati alla sola lettura dell' annuncio, su" La provincia di Mantova", della prima proiezione della fotografia ottenuta col cinematografo dei fratelli Lumiere: donde è possibile desumere come il cinema vi risulti messo al mondo senza consapevolezza o intenzione d' arte, ma unicamente quale "meraviglioso strumento" tecnico, rapportabile esclusivamente agli zooscopes o  proxinoscopes, per le sue virtù, di " ingegnoso apparecchio", nell' assicurare allo spettatore  l' illusione perfetta della vita, tramite quella che realizza l' illusione del movimento che realizza nei  films, quali " quadri viventi meravigliosi".

E con tale consapevolezza della sua sola valenza tecnica, così come già nel 1896 si divulga nella nostra Provincia, la cinematografia appare già dotata anche di un compiuto linguaggio tecnico, non fosse per "le scene animate su di una striscia pellicolare", o per il kinescopio Edison dell' inserzione su la Gazzetta di Mantova del marzo 1896,  che dovranno tuttavia attendere solo fino al 1909, ossia sino allo spieghevole pubblicitario dei fratelli Protti, per figurare delle scene animate su di una pellicola e riprodotte con un proiettore.

Ma seguitando nel visitare la mostra, non c'era che il poco tempo, nella medesima sala, di compiacersi di come il cinema già nel novembre del  1906 fosse entrato trionfalmente pur anche nel teatro Sociale, tempio della lirica, e di come nel 1913 avesse convertito definitivamente a sè il teatro Andreani, prima che l' addentrarsi nel similingresso del prima cinema che sia sorto in quanto tale in Mantova, ossia dell' Apollo meravigliosamente liberty, prima del Corso, non costituisse anche l' adito allo sconcerto deludente di ogni aspettativa ingeneratasi, per ciò che aveva da riservarci il seguito della mostra nelle restanti sale.

Ove il discorso oltrechè il seguito di quelle precedente, aveva a farsi e avrebbe dovuto vertere essere su ciò che fosse stata Mantova nel cinema e per il cinema, alla luce dei tanti film che vi sono stati girati.

Ma ahime, poichè pare che ogni linea di discorso, o di pensiero, non sia mai leggera e light quanto inconsistente la vorrebbero i tempi,  tutto si riduceva in seguito a una serie di locandine, o di foto di scena, senza nè discernimento nè discorso a proposito, quasi che "Senso" o "Novecento", o "Domani mi sposo" siano stati eventi filmici di rilievo identico, e di pari importanza ciò che di Mantova resta per opera del hanno espresso il cineoperatore Tonti o invece dell' attore Jerry Calà.

La congerie, poi, vi era esposta con qualche svarione non lieve e inammissibili lacune: poichè non occorre essere chissà quali cinefili, per ravvisare tra le immagini di scena, di Senso, una foto che risale invece a Ossessione, e non restare più che stupefatti, che mentre vi sono documentati l' uno e l' altro film di Sollima che vi sono stati girati, - per fortuna non Sandokan-, non v' è menzione alcuna del fatto che Pomponesco e Sabbioneta in una simbiosi magica, sono diventate la Tara della " Strategia del ragno", ossia di uno dei maggiori film in assoluto del cinema italiano.

E dico, senza che abbia a inveire, possibile che i " Curatori della mostra" abbiano pensato bene di coinvolgere delle scolaresche pur anche nella realizzazione dei pupazzi gadget di Guerra e pace, piuttosto che il loro intelletto, innanzitutto, nell' interrogativo che è implicito e non può non esserne la  problematica prima di una mostra del genere:  ossia di quali mondi che cosa Mantova e la sua terra siano state immagine nel cinema?  

Basta una semplice rassegna delle locandine, perchè la domanda non ammetta le risposte scontate di chi scuota la testa a ogni interrogativo che sia in odore di speculazione riflessiva, e replichi " ma di se stessa e che mai? avrebbe dovuto essere l' immagine".

Poichè se si scorre la rassegna dei film che vi sono stati girati, si può riscontrare che Mantova è stata l ' Italia non di più specificatamente rinascimentale di Addio, fratello crudele, mentre non ha fornito il volto a se stessa, quando Pasquale Festa Campanile ha girato " Una vergine per il principe", desunta da" "Segreti dei Gonzaga" di Maria Bellonci, e si è prestata ad essere la Parma della Certosa di Bolognini, o a farsi mascherare da Milano e da lazzaretto ne " I promessi Sposi "di Nocita,

e ad essere se stessa ma a patto di non senza esserlo esplicitamente o di fatto, in "Le stagioni del nostro amore" o " La marcia su Roma".

Un destino cinematografico ben diverso, il suo, da quello invece di Ferrara, destinata filmicamente ad essere e a rappresentare essa, sì se stessa,  sia in Ossessione" che ne "Il grido", o in " La lunga notte del 43", che ne " Il giardino dei Finzi Contini" o "Gli occhiali d'oro", per tacere di film che ignoro se non abbiano sconfinato nel rodigino, alle foci del Po, da Paisà a * di " Mazzacurati".

Un destino, quello cinematografico di Mantova, che volenti o repellenti, sembra invece omologarci cinematograficamente piuttosto al Marocco, allestito da Joseph von Sternberg negli studios , per rappresentare il quale nel film omonimo Von Sterberg, per dirla con Borges, "non ha immaginato un mezzo meno brutale della laboriosa falsificazione di una città araba nei suburbi di Hollywood", e lo stesso dicasi di Casablanca, celeberrimo, laddove, altrimenti, più che per rappresentare se stesso, come pur avviene nelle varie "Bandere" o "Il vento e il leone", il Marocco è stato e seguita ad essere utilizzato intensivamente quale set, per essere il Vicino Oriente di Lawrence d' Arabia o la Grecia di Edipo re, la Cipro di Otello, o la terra primordiale dei patriarchi in ogni sceneggiato biblico.

Ma è forse un altrove ciò che è stato destinato a rappresentasre filmicamente Mantova e il suo territorio, in virtù ma é un raffronto, questo, che vale più per questo o quel caso filmico, che per quello che è il destino filmico della nostra città e del nostro territorio, del configurarsi sul set degli esiti artistici più alti, più che di questo o quel caso filmico, così come il Marocco, oltrechè e più che di se stesso, è divenuto l' ambientazione di ogni esotismo o primordio orientale?

Se per quanto mi consentono le mie poche cognizioni filmiche, al termine della licenza posso qui almeno ipotizzare , direi che Mantova e il suo territorio nel cinema hanno rappresentato raramente se stessi, non già perchè il loro destino filmico prevalente sia risultato quello di rappresentare un altrove, ma in quanto sono stati ripresi per rappresentare piuttosto il mito di questa nostra terra o civiltà, ossia non già la Mantova dei Gonzaga, ma la città di corte rinascimentale per eccellenza, non già la città in Lombardia dei tre laghi Superiore e di Mezzo ed Inferiore, e la provincia dei cinque fiumi a cominciare dall'Oglio, ma la terra e la città o i borghi supremi della Padania, come si attesta in "Novecento", nella "strategia del ragno, e prima ancora che in "Sensualità" nel " Mulino del Po", e decadendo ahimè per essere, nei nostri tempi, icone della città, e della provincia nordiche, flagellate o devastate dalla crisi cronica e dalla corruttela  della sinistra storica, più che la città di Renato Sandri per un verso e Claudio Martelli per quell' altro.

Caso emblematico quello del film di Lattuada, " Il mulino del Po", che per un'astuzia della storia del cinema congiurata dalle piene in arrivo, ebbe a sancire come dove e quando il Ferrarese doveva rappresentare la intera civiltà fluviale del Po, piuttosto che stesso, dovesse venire eletto il Mantovano a rappresentare lo stesso ferrarese!

E trattasi di un film di cui è difficile immaginarne un esito

maggiore che non sia La strategia del ragno, per quanto attiene alla negli esiti della nella valorizzazione rappresentativa espressiva dell' ambiente nostrano, il mantovano rivierasco da San benedetto Po a Villa Saviola, se ho buona memoria ottica, che per il tramite della fotografia di Tonti, vi assurge a immagine della vita al colmo, nella plenitudine estiva, di ogni epica civiltà fluviale, di ciò che è l'anima eterna di ogni vecchio grande fiume, nel rigoglio della maturità che consente che sia fertile, in cui Mississipi, Nilo e Po, trascorrono e si trasfondono l'uno nell' altro.

Ed è la riva, con acume intenso, che vi è la linea visuale che raccorda il trapasso dalla civiltà fluviale delle interminabili sabbie litorali, alla civiltà agricola degli sterminati campi a perdita d'occhio.

O sono i porticati rustici di piazza, in Canicossa, che vi esprimono tutta la ruralità ottocentesca della vita di paese...

Con il che concludo; persuaso, una o due cose, di averle almeno dette.