Mardin
Davvero è stato un bene che l'altro giorno abbia assecondato il consiglio di raggiungere Mardin che mi ha dato l'anziano ed elegante signore francese che ho ritrovato nell' internet café di Dyarbakir.
Egli è altrettanto appassionato anche dei più remoti luoghi d'archeologia, dei campi di scavi minati della ittita Karkemish, ai confini con la Siria, come del sito neolitico di * , nei pressi di Dyarbakir, quanto è " méfiant", " ici, surtout", delle persone che deve interpellare per raggiungerli.
" Il n'y a qu' une heure d'ici", mi ha minimizzato, per raggiungere Mardin, il che è vero,certamente, sempre che non si impieghi un dolmus che rifà più volte l'intero giro del centro, come mi ha spazientito il conducente di quello sul quale sono salito.
Ma all' apparizione di Mardin, come ne ho ripercorso l'arteria centrale, il mio umore contrario si è lenito nel miele delle sue case lungo l'erta, meravigliosamente inalveolate tra i minareti che ne contrappuntano il cielo, per il pendio ch'è l'estrema propaggine della Turchia in magnifica vista delle campagne siriache, che si susseguono in un'inquadratura ininterrotta, a perdita d'occhio, d'appezzamenti gialli, di stoppia, od ocra di terra bruciata.
E Mardin non era soltanto mirabile, per le vie, solo nei volti delle case e nel sembiante dei suoi minareti.
Un the, il mio primo " kus burnu", un the dolce d'erbe di montagna, presso la terrazza panoramica che sormonta la "*" e che fronteggia l' Ufficio postale - caravanserraglio della città, e risalgo alla Sultan Isa Medresi , abbagliato dallo splendore del suo portale .
Ma all' interno, che folla inquietante mi turba, nello sforzo già di per se intrigante di cercare di comprendere come turbe e mescit i siano ordinate su più piani, nella più complessa medresa dell' arte artuqide: uomini in kefyah con tanto di kalashnikov, beduine con la prole appollaiata a terra, signore vistosamente addobbate all' antica che s'aggirano nervosamente, mentre ai cancelli una folla di bambini si stipa invano per essere lasciata entrare, come a me soltanto è consentito.
Solo al piano superiore mi si è chiarito l'enigm: si trattava di una troupe che vi girava un film di guerra, tra i fili e i fari e le macchine da presa disposte intorno.
Discendo nella via principale, all' altezza del bazar, ma per intenso che sia il richiamo della fragranza degli ortaggi che sono esposti lungo le scalinate che discendono al bazar, nell' ombra di porticati coperti, prevale quello della freccia segnaletica che mi avvia verso l'Ulu cami artuqide.
E' splendido il minareto, nelle sue fasce e nei motivi ornamentali , mi rievoca il fulgore di quelli posteriori della Safa Camii di Diarbakyr ( 1531),
Il minareto della Safa Camii di Diarbakyr ( 1531) | |
di quello della moschea di El Rizk, di Hasankeyf , dove nidificavano delle cicogne, nell' azzurro di un cielo marino veleggiato di nuvole.
Il cortile dimesso da cui si accede alla sala di preghiera, al pari della Ulu Camy di Dyarbakir ,
Immagini degli edifici del cortile di preghiera della Ulu Camy di Dyarbakir , | |
benché più umilmente, si rifà al modello omayade della moschea siriaca, ma l'interno della sala di preghiera, nel cui caldo chiarore è un conforto spirituale porsi a giacere, mi appare superiore alla realizzazione in Dyarbakir dello stesso prototipo: la navata centrale, la cui dilatazione rispetto alle tre navate su ambo i fianchi, di tre campate ciascuna, riorienta in senso trasverale l'impianto basilicale bizantino della moschea, in modo che se ne attui il distacco dalla cristianità d'origine come già in quella di Damasco, immette in un mihrab dai rilievi in stucco di fini lamine foliari, cui infonde una quiete luce la calotta della sua cupola, nel vano centrale preceduto da un portichetto su colonnine finemente tornite, al pari delle due navate contigue sui fianchi.
Uno studente universitario che si compiace della mia ammirazione, mi indica come nel capitello di una colonna del portichetto laterale, sulla sinistra, sia inciso il nome di Ali, genero di Mohammad.
Esco dalla moschea, mi riaddentro nel bazar, vi faccio scorta di pesche per nutrirmene lungo il tragitto che mi separa dal Deyrul Zafran, il monastero siriaco ortodosso a oriente di Mardin.
In una cartoleria che è prossima all' uscita dal centro, ho modo di chiedere invano delle cartoline, di tentare invano di avviare un discorso con degli studenti locali. Costoro, curdi od arabik, che siano, mi ciedono che ne pensi della situazione che vige nel Kurdistan , ed io, per quel che ne discerno, so solo dire che è difficile per uno straniero capire che cosa vi è possibile e che cosa non lo è, fino a che un diritto è concesso e quando non lo è, riesco solo a concludere che tutto ciò che se ne può dire sembra vero e falso allo stesso tempo.
L'integralismo del nazionalismo turco è una maglia elastica di una rigidità ferrea...
Nel sole in cui fuoriesco da Mardin, la città è meravigliosa in controluce, così come è meraviglioso addentrarmi nella solitudine rocciosa che reca al Deyrul Zafran, superata , una buona volta, la scritta di pietre bianche sulla collina che recita " Ne mutlu Türküm Diyene", quale gioia debba essere dire "io sono turco", per chi del luogo sia curdo od arabik.
Il monastero si profila all' orizzonte arroccato nel grembo delle rocce ,, , di un chiarore fulgido nelle mura che lo fortificano, illeggiadrite dalla sola ricorrenza di una banda che ne sottolinea le finestre alte.
Un passaggio che gentilmente mi è offerto, da alcuni turisti turchi, mi agevola l'arrivo, sono pertanto il primo dei turisti pomeridiani, ed occorre che batta a lungo ai portali del monastero perché mi si apra.
Con una comitiva che sopraggiunge alle mie spalle, discendo nel tempio pagano soggiacente, la luce del Dio sole, di cui vi si praticava il culto, era filtrata da oriente, ma nel tempo il suo vano è stato pressato dall' edificazione sovrastante, che vi grava con una soffittatura di pietre che restano aderenti l'una all' altra pur senza malta.
Al piano superiore ecco la sala dei patriarchi (e dei ) metropolitani, sepolti seduti all' impiedi in sarcofaghi murati, indi la cappella, la sala adiacente, in cui giacciono le portantine su cui i dignitari giacobiti compivano il tragitto che li separava da Mardin e ne rientravano, in conclusione un trono ligneo, disposto in una sala di cui mi è difficile individuare il brano di un antico mosaico pavimentale.
Nella cappella antecedente, nella camera funeraria dei patriarchi (e dei) metropolitani, nel cortile che sottostà al campanile, ciò che mi avvince è l'ornamentazione che vi è profusa, giacché in essa si celebrò l'adesione al back ground tardo romano, e bizantino, della patria syriaca d'origine spirituale, in un profluvio di girali vorticanti, di capitelli di foglie d'acanto mosse dal vento, o nella profilatura ridondante degli stipiti di portali ed arcosoli ed archi, di bande siriache continue e frante ad omega, a marcare piani od a cigliare le aperture di luce.
Mi deve ritenere certamente uno stupido vagante, il ragazzo che fa da guida quanto mai sbrigativa ai gruppi che sopraggiungono, il suo sguardo mi seguita perplesso, e infastidito, come fossi la realtà inquietante di un visitatore infermo di mente,
nell' aggirarmi ritornando ancora una volta sui miei pass incantati, quando già più di un gruppo di cui ero al seguito è defluito all' esterno: che mi aggiro a fare nei paraggi della foresteria, il luogo deputato all' accoglienza spirituale dei visitatori, dopo che ho ribaltato la ciotola con cui attingere l'acqua nel secchio che la trae dal pozzo?...Mi stupisce, nell' insistere nel persistere, che il prete più giovane che si intrattiene familiarmente con dei siriaci sopraggiunti nel monastero, quando cerco di comunicare con luis i schermisca di non sapere un minimo di inglese, quasi che gli fosse bastante, nei limiti vigenti, che il monastero resti un luogo di visita e di transito per chi non è della sua fede.
" Are you monophisite?, chiedo inutilmente anche ad un siriaco che vive in Svezia, il quale cerca od almeno tenta un dialogo con me.
Ma poi che gioia, di ritorno in Mardin, pur e gli interni
dolore fisico che si acuisce della mia valgitudine, dell' infiammarsi dell' inguine arrossato dall'usura del gran camminare, ripercorrerne il centro un'ennesima volta, pur di risolvermi ad acquistare una macchina fotografica che non sia monouso, con l'autofocus, l'avanzamento automatico per giunta, fe are ritorno alla moschea di Ulu Cami, e ritrovarvi lo studente che vi era a mezzogiorno, con un suo più giovane amico, il quale può insegnarmi come usarla, per fotografarne nella sera il minaretoChe importa, che dell' ultimo dolmus per Dyarbakir sia l'unico passeggero disponibile, c'è pur sempre un pullman che parte più tardi, dal quale a notte fonda scendo a pochi passi, nel centro di Dyarbakir, dall' hotel in cui ritorno a riprendere i bagagli dal deposito e a occupare la stanza.
Per partire domani, finalmente per Erzurum, destinazione Artvin , la Georgia.
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