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Astarak,
2002
In
Astarak la buona ventura, l’illuminazione divina,
riconducendomi alla incantevole Karmravor, di così alta umiltà
nel cielo notturno, mi ha ricondotto alla donna che ne è
la custode e che mi ha immediatamente riconosciuto, pur
rivedendomi a distanza di un anno, alla bambina, bellissima, che
di nuovo mi ha mostrato dei disegni a tempera e ad acquerello
della chiesetta perché ne acquistassi qualcuno.
Alla
incanutita signora, come mi ha dato la mano, ho espresso con un gesto quanto la delizia della Karmravor mi
fosse rimasta nel cuore, della bambina ho acquistato il cartoncino
in cui era stato raffigurato il katchkar
che è addossato
nei pressi.
E
mi sono lasciato
prendere per mano da
lei e dal suo fratellino gemello, ugualmente bellissimo, ancora più bello, per salire a condividerne
la cena all’ aperto con l’intera famiglia: i genitori, due
creature di una
bellezza dolce
e dimessa dolci e dimesse, il fratello maggiore Ovik,
che era il
timido e silenziosissimo autore effettivo dei
disegni mostratimi, di
una intelligenza schiva come la sua più recondita piacevolezza
delicatezza
d’aspetto.
Del
“lobio “, dei fagiolini
lessati in tuorlo, burro e limone,
pomodori e cetrioli
e peperoni con del formaggio
di capra, prima della
torta , e delle prugne, il cibo nel silenzio di una gioia
estatica sotto le fronde di vite,
interrotta solo dagli abbaii dei
cani Geko e Pango, dalla
sillabazione divertita
in armeno dei termini di ogni
alimento e di ogni cosa che mi veniva offerta.
In
cambio ho chiesto di vedere i
disegni di Ovik e ne
ho acquistato un altro, che realizzava
l’immagine della chiesa di
Santa Gayanè nella vicina Echmiadzin,
senza che il
ragazzo nemmeno ai miei complimenti facesse parola
Siamo
rimasti poi da soli io e Ruzan,- la madre era rientrata dopo che
aveva sparecchiato ogni cosa sul desco, il padre ed i
fratelli riposavano nell’ oscurità (del fresco notturno
) di una stanza aperta sull’ esterno-, e la piccola
intraprendente, meravigliosa
bambina, ha iniziato allora a disegnarmi ed a dirmi, in
armeno, traducendolo in russo,
il nome di ogni bellezza creaturale circostante:
delle piante, dei tronchi, delle foglie e dei loro frutti,
delle erbe e degli animali che
vi si possono nascondere,
il cane , “sciun, il
gatto, “ katu”, il
coniglio, “napstsag”,
mi
ha detto il
nome della casa e di quanto la compone, la “tamag”, “pilikan”,
“dur,” “batuan”, scala, porta, finestre,
il nome degli elementi di ogni cosa del mondo,
del cielo e di ogni suo fenomeno notturno su di noi
incantevole,- come splendenti nella sua volta la luna e le stelle...[m1] ,
finché
sono riuscito a comprendere e ricomporre la mia prima frase
in armeno, “ ereg andrei(v)
katuma, “ ieri il cielo pioveva “, trascrivendola sotto
l’immagine da lei
tratteggiata di una graziosa “titer”, una farfalla sorvolante su
un fiore di russa “ramaska, la camomilla che con le
campanelle delle “zangag” infiorava il
suo giardino.
Ma
ora, nella notte, dopo il
nubifragio del giorno trascorso, quanto la
“lusin” luceva tra le “aster” di Astarak,
sulla via del ritorno cui il padre mi ha riaccompagnato in
una stretta di mano, dopo che ne ho declinato il ripetuto invito a
che restassi ancora per giacere con loro.
Fine
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